ALFIERI, Edoardo (Dino)
Nacque a Bologna l'8 dic. 1886, da Antonio e da Maria Bedogni. Da giovane visse a Milano dedicandosi al giornalismo ed all'attività politica nelle file del nazionalismo. Partecipò alla preparazione del congresso di Firenze del 3-5 dic. 1910, dal quale nacque l'Associazione nazionalista italiana, e fu poi tra i promotori della costituzione del gruppo nazionalista milanese (14-15 genn. 1911), divenendone uno dei principali esponenti. Completati gli studi nell'infuocato clima della vigilia dell'intervento italiano nella grande guerra con il conseguimento della laurea in giurisprudenza presso l'università di Genova il 15 maggio 1915, dieci giorni dopo presentò domanda di arruolamento volontario come soldato, non avendo in precedenza effettuato il servizio di leva perché riformato. Nominato sottotenente nel luglio 1915 e promosso tenente nell'aprile 1916, partecipò alle operazioni militari sulla fronte dell'Isonzo, meritando la medaglia di bronzo (3 ag. 1916) nei combattimenti per la presa di Gorizia. Assegnato quale ufficiale d'ordinanza del generale Montuori al comando del II corpo d'armata, fu ferito sul Monte Santo ed ottenne la medaglia d'argento al valore militare (15 sett. 1917) per il suo comportamento nella battaglia per la conquista della Bainsizza. Fu congedato il 26 luglio 1919.
Tornato alla vita civile (nel 1920 si sposò con Carlotta Bonomi), esercitò a Milano la professione forense riprendendo anche l'attività politica nel partito nazionalista. Eletto consigliere comunale, fu assessore al comune di Milano nel 1923-24. Al momento della confluenza dell'Associazione nazionalista nel partito fascista (marzo 1923), l'A. "si oppose con grande fermezza alla fusione, argomentando che il fascismo avrebbe annacquato l'ideologia nazionalista" (Cannistraro, p. 14). Ciò non impedì che fosse candidato nel listone fascista per le elezioni dell'aprile 1924, nelle quali fu eletto per la circoscrizione lombarda. Fu quindi deputato al Parlamento dal giugno 1924 (XXVII legislatura) al 2 marzo 1939, venendo confermato nella XXVIII e XXIX legislatura. Fu poi consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (23 marzo 1939 - 2 agosto 1943).
L'attività pubblica dell'A. nel periodo fascista si può dividere in due fasi. Nella prima ricoprì incarichi minori: presidente dell'Istituto fascista di cultura di Milano, di cui era stato anche il fondatore, e presidente dell'Ente nazionale della cooperazione, dal 1925 al 1929, fu poi nominato sottosegretario al ministero delle Corporazioni (9 nov. 1929), rimanendovi per tutto il restante periodo in cui Bottai fu ministro (20 luglio 1932).
In occasione del decimo anniversario della marcia su Roma - il cosiddetto decennale - l'A. suggerì l'idea di organizzare una Mostra della rivoluzione fascista che illustrasse il cammino percorso per l'ascesa al potere. Mussolini l'accolse, dandogli l'incarico di organizzarla. La mostra, inaugurata nell'ottobre 1932, conteneva materiale fotografico e di altro tipo relativo agli esordi politici di Mussolini, alla costituzione dei primi Fasci di combattimento, alle gesta dello squadrismo ed infine alle realizzazioni del regime.
Il successo della manifestazione non portò tuttavia grandi frutti all'A.: il 15 genn. 1933 fu nominato presidente della Società italiana degli autori ed editori, incarico che mantenne fino al 1936, quando si era ormai iniziata la seconda fase della sua attività, quella degli incarichi di maggiore prestigio.
Il 22 ag. 1935 era stato nominato sottosegretario al neocostituito ministero della Stampa e Propaganda.
L'importanza dell'incarico era notevole sia in rapporto alla crisi etiopica in atto, sia per la diretta collaborazione con Galeazzo Ciano, che era il ministro. Questa svolta nella carriera dell'A. fu infatti determinata in parte dalle esperienze acquisite nel settore attraverso gli incarichi precedenti e in parte dal sodalizio stabilito con Ciano, con il quale era entrato in stretta amicizia. Quando Ciano andò in Africa per partecipare alle operazioni militari, la responsabilità del ministero ricadde interamente sull'A. che assolse al suo compito con buona capacità. Si trattava di compiere un grosso sforzo propagandistico sulla missione civilizzatrice dell'Italia in Africa e per contrastare gli effetti psicologici delle sanzioni sull'opinione pubblica italiana. Il ministero curò il coordinamento fra i vari mezzi di comunicazione di massa ed assicurò in modo efficace la trasmissione delle direttive che pervenivano direttamente da Mussolini.
Al termine dei conflitto, allorché Ciano assunse il ministero degli Esteri, l'A. fu nominato ministro per la Stampa e la Propaganda (11 giugno 1936). Esaurito il compito bellico il ministero aveva perduto la sua funzione principale e l'A. contribuì ad indirizzarlo verso un nuovo settore d'attività che, "congiungendo propaganda e politica culturale, avrebbe messo in grado il regime di raggiungere le masse in modo diretto e non superficiale" (Cannistraro, p. 130). Si doveva da un lato stimolare lo sviluppo di una cultura fascista e dall'altro realizzare l'elevazione culturale del popolo, permeandolo di essa. Per rispondere a questi nuovi obiettivi, il 27 maggio 1937, il ministero fu ribattezzato ministero della Cultura Popolare.
Il Popolo d'Italia di quel giorno scriveva che il nuovo ministero rappresentava "l'elemento propulsore di attività che interessano da vicino i più vasti strati sociali e che non possono in tempo fascista restare privilegio di pochi. Il rinnovamento operato dal fascismo rende sempre più necessario il contatto fra la cultura e le masse". I settori nei quali il nuovo ministero fu più attivo, più da un punto di vista organizzativo che propriamente culturale, furono la radio e il cinema, allora in fase di accelerato sviluppo. L'opera dell'A. in proposito è stata così giudicata: "Sebbene portasse nelle sue nuove funzioni un bagaglio imponente di esperienze fatte nelle istituzioni culturali del regime, nella sua gestione del ministero non è rilevabile alcuna comprensione particolarmente profonda dei problemi culturali. Temperamento affabile e amichevole, Alfieri fornì al ministero una direzione capace ma niente affatto spettacolare" (Cannistraro, p. 134). Un giudizio in cui si mescolano elementi positivi e negativi con prevalenza di quelli positivi.
Con i mutamenti ministeriali del 30 ott. 1939, l'A. dovette lasciare il ministero della Cultura Popolare. "Ciò mi dispiace - scrive Ciano (Diario, 19 ott. 1939) - perché è stato un buon camerata. Cercherò di tenerlo io a galla e se non riuscirò a vararlo come Presidente della Camera, vorrei nominarlo ambasciatore presso la Santa Sede", cosa che avvenne il 9 novembre. Nella sua nuova funzione l'A. non poteva contare su alcuna esperienza precedente. Fortunatamente in quel tempo i rapporti dell'Italia con la S. Sede non presentavano problemi gravi, ma attraversavano anzi un periodo discretamente felice, data l'azione in favore della pace svolta dall'Italia nella crisi dell'estate 1939. Ciò consentì all'A. di organizzare una visita dei sovrani italiani in Vaticano (21 dicembre), che fu restituita personalmente da Pio XII il 28 dicembre al Quirinale, fatto assai significativo, perché era la prima volta dal 1870 che un pontefice usciva in forma ufficiale dal Vaticano. L'avvenimento ebbe una vasta eco in Italia e dette indirettamente lustro all'A. che comparve nelle fotografie ufficiali con il papa e con i sovrani. La permanenza all'ambasciata presso la S. Sede fu però assai breve. Dovendosi sostituire Attolico a Berlino, divenuto inviso ai Tedeschi, la scelta di Ciano cadde sull'A., il cui nome, in alternativa con quello di Farinacci, era stato fatto dallo stesso Hitler. L'A. non si era segnalato, come Farinacci, per la sua rigida fedeltà all'alleanza con la Germania: era stato anzi deciso fautore del non intervento italiano nel 1939. Il senso dell'alternativa che i Tedeschi proponevano era nell'indicare il gradimento per un ambasciatore nettamente filotedesco oppure per un personaggio prevalentemente rappresentativo del regime, come appunto era l'A., che non desse le noie che aveva procurato Attolico e consentisse di accentrare tutto il lavoro politico nell'ambasciata tedesca a Roma. "La scelta di Alfieri - scrive Michele Lanza (Simoni, p. 100) - indica chiaramente che, nell'attuale momento, il nostro governo vuole a Berlino un rappresentante di parata che non faccia della politica, non sollevi questioni, e non scriva rapporti". Tale in effetti fu il comportamento dell'A. a Berlino, dove giunse il 16 maggio 1940.
Durante la sua permanenza nella capitale tedesca si verificarono molti momenti difficili nel delicato rapporto d'alleanza con la Germania: la campagna di Grecia, la spartizione della Iugoslavia, il caso Hess, le condizioni dei lavoratori italiani in terra tedesca, la questione dei porti tunisini e quella della fame in Grecia, il "nuovo ordine" europeo, il rovesciamento delle sorti militari del conflitto, senza che si registrassero le impennate e le esatte previsioni che erano state tipiche del suo predecessore. I suoi rapporti - scritti, secondo Ciano, dall'addetto stampa Ridomi (Ciano, Diario, 30 sett. 1941) - erano generalmente intonati all'ottimismo. Solo verso l'ottobre 1942 cominciarono a comparire osservazioni di segno diverso.
Dopo l'uscita di Ciano dal ministero degli Esteri (9 febbr. 1943) e la sua pratica sostituzione con il sottosegretario Bastianini, tuttavia, l'A. collaborò all'azione di questo tendente a "parlare chiaro" con i Tedeschi al fine di giungere ad una rottura dell'alleanza ed all'uscita dell'Italia dal conflitto. Ma non si trattò di una collaborazione incisiva e appariscente tanto che quando il 24 luglio 1943 giunse a Roma per la storica seduta del Gran Consiglio (di cui era membro dal giugno 1942), Bottai, il suo vecchio ministro, annotò con sorpresa nel suo Diario (p. 405): "Ce l'aspettavamo incerto; e, invece, è senza oscillazioni pel nostro indirizzo, cui porta, proprio dalla Germania, nuovi elementi di conforto". Durante la seduta fece un intervento in questo senso e conseguentemente votò a favore dell'ordine del giorno Grandi. Con la caduta del regime, non tornò più a Berlino: il nuovo ministro degli Esteri Guariglia accolse le sue dimissioni dall'incarico (31 luglio 1943).
L'A. si trasferì a Milano, da dove, il 24 ott. 1943, avvisato dell'imminente arresto da parte della polizia fascista, riuscì a rifugiarsi in Svizzera, in una clinica di Montana-Vermala, a causa delle sue precarie condizioni di salute. Al processo di Verona contro i "traditori" del regime fu quindi contumace ed evitò l'esecuzione della condanna a morte, pronunziata il 10 genn. 1944. Fu collocato a riposo come ambasciatore con decreto del 1º ag. 1944, (e analogo provvedimento era stato preso dalla Repubblica di Salò il 5 nov. 1943).
Deferito nel dopoguerra per i reati previsti dal decreto legge luogotenenziale del 27 luglio 1944 (instaurazione della dittatura, suo mantenimento, ecc.) fu prosciolto in istruttoria dalla sezione speciale della Corte d'appello di Roma con sentenza del 12 nov. 1946, perché la sua azione non integrava i termini del reato rispetto all'accusa maggiore e per amnistia per quelle minori. Uguale conclusione favorevole ebbe, il 6 febbr. 1947, il procedimento dinanzi alla Commissione per l'epurazione del personale del ministero degli Esteri.
Su entrambe le procedure ebbe notevole influenza il parere formulato, su richiesta del tribunale, dal ministero degli Esteri. Nella parte conclusiva il documento, firmato il 24 febbr. 1946 da De Gasperi, diceva: "Certo è, in linea generale, esatto che l'Alfieri, che di politica estera era peraltro digiuno e che non possedeva le qualità necessarie ad un mestiere che gli era completamente nuovo, fugermanofilo; che fuper questo designato dai tedeschi come persona gradita; che si adoperò, nella sua veste di ambasciatore, a rafforzare le relazioni tra Roma e Berlino. È peraltro anche esatto che, nel corso della guerra, tali suoi sentimenti e propositi subirono oscillazioni varie, come, tra l'altro, il diario Ciano documenta. L'Alfieri, fu comunque in questa, come nelle altre sue capacità, al di sotto della mediocrità. Sarebbe certamente sopravalutarlo, attribuirgli responsabilità di decisione o di iniziativa in materia di politica estera, che indubbiamente non ebbe" (Roma, Arch. stor. del min. per gli Aff. Esteri, fasc. pers.).
Effettivamente il Diario di Ciano (confermato da quello di Bottai) contiene vari riferimenti all'A. con giudizi e osservazioni assai caustici nei suoi riguardi, scritti con linguaggio a volte pesante. Dal che si deduce che, oltre la fedeltà, Ciano apprezzasse ben poco altro dell'Alfieri. Lo stesso dicasi per quanto scrivono di lui due suoi collaboratori, il Lanza ed il Luciolli. Ma anche a non voler dare un valore assoluto alle loro testimonianze, dato il momento in cui furono scritte, resta quella di Ciano, che proviene per di più da persona amica. Essa è però riferita solo al periodo in cui l'A. fu diplomatico e non tocca quello in cui egli fu sottosegretario e ministro perché se Ciano avesse avuto dell'A. una opinione quale quella che emerge dal Diario, non si comprende il motivo per cui l'avrebbe preso come collaboratore, non potendo l'amicizia e la fedeltà supplire a tutto. C'è quindi da ritenere che il giudizio di Ciano nei riguardi dell'A. si sia inasprito da un lato per un'attenuazione dei vincoli amichevoli e dall'altro per l'inadeguatezza mostrata dall'A. alle funzioni diplomatiche, nelle quali il suo carattere estroverso - "è "chiacchierino"", scrive Ciano (Diario, 17 sett. 1937) -, la mancanza di preparazione ed una certa dose di superficialità ("dopo sei mesi di guerra con la Grecia… non sapeva che cosa fosse Florinas, annota il 19 maggio 1941) ne mettevano maggiormente in luce i difetti, rimasti più in ombra quando si occupava di questioni a lui più congeniali.
Nel dopoguerra, pensionato come ambasciatore, l'A. ebbe presidenze in organismi economici a carattere internazionale. Morì a Milano il 2 genn. 1966.
L'A. è autore di un libro di memorie, limitato al periodo in cui fu ambasciatore: Due dittatori di fronte, Milano 1948.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. del min. per gli Affari Esteri, fasc. personale, e serie dell'Uff. di coordinamento del Gabinetto, 1940-43; Ibid., Arch. centr. dello Stato, fondo Min. della Cultura Popolare e fondo Segreteria particolare del Duce, ad nomen; I documenti diplom. ital., s. 9 (1939-1943), II-VII, Roma 1957-1986; Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, I, Città del Vaticano 1965; Documents on German Foreign Policy, serie D, IX-XII, London 1956-1964; Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik, s. E, I-VI, Göttingen 1969-1980. Vedi inoltre: M. Donosti [M. Luciolli], Mussolini e l'Europa: la politica estera fascista, Roma 1945, pp. 231, 248, 276-277; G. Ciano, Diario 1939-1943, Milano 1946, ad Indicem; L. Simoni [M. Lanza], Berlino: ambasciata d'Italia 1939-1943, Roma 1946, passim; G. Ciano, Diario 1937-1938, Bologna 1948, ad Indicem; V. Cersosimo, Dall'istruttoria alla fucilazione. Storia del processo di Verona, Milano 1949; G. Bastianini, Uomini, fatti e cose. Memorie di un ambasciatore, Milano 1959, pp. 77-108; F. Sicbert, Italiens Weg in den Zweiten Weltkrieg, Frankfurt am M. 1962, ad Indicem; F. W. Deakin, The Brutal Friendship: Mussolini, Hitler and the Fall of Italian Fascism, London 1962, ad Indicem; G. Bianchi, 25 luglio: crollo di un regime, Milano 1964, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere, 1921-1925; II, L'organizzazione dello Stato fascista, 1925-1929, Torino 1966-68, ad Indices; P. Pastorelli, L'estensione del conflitto (giugno-dicembre 1941), Milano 1967, pp. 93-134; R. De Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso 1929-1936; II, Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino 1974-81, ad Indices; P. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso: fascismo e mass media, Bari 1975, ad Indicem; F. Gaeta, Il nazionalismo italiano, Bari 1981, ad Indicem; G. Bottai, Diario 1935-1944, Milano 1982, ad Indicem; M. Knox, Mussolini Unleashed 1939-1941: Politics and Strategy in Fascist Italy's Last War, Cambridge 1982, ad Indicem; F. Perfetti, II movimento nazionalista in Italia 1903-1914, Roma1984, ad Indicem.