ARBIB, Edoardo
Nato a Firenze il 27 luglio 1840, costretto a interrompere gli studi per la morte del padre, si impiegò come tipografo e poi come correttore di bozze presso la stamperia di G. Barbera. Nel 1859 fece la campagna di Lombardia coi "Cacciatori delle Alpi" e nel 1860 raggiunse Garibaldi in Sicilia: nella battaglia di Milazzo (20 luglio) fu ferito, promosso sottotenente e decorato al valore. Entrato nell'esercito regolare, fu dapprima corrispondente di guerra e nel 1863 divenne redattore de La Nazione, iniziando cosi una carriera lunga e fortunata. Nel 1866 partecipò alla guerra come sottotenente del 270 reggimento fanteria, e nel Trentino, per i fatti d'arme di Primolano, Borgo e Levico (22-23 luglio), si meritò una nuova ricompensa al valore. Subito dopo la guerra, però, amareggiato dalla prova di inefficienza data dall'esercito, si dimise dal servizio; in un opuscolo, L'esercito italiano e la campagna del 1866 (Firenze 1867), esaminava le cause della sconfitta e chiedeva l'adozione di una politica militare.
Le cause dell'insuccesso consistevano per lui nella mancante unità dell'esercito, diviso tra sostenitori di una disciplina rigorosa e fautori di una revisione dei tradizionali sistemi piemontesi; nella politica di eccessiva economia, cui i vari ministri della Guerra non seppero mai opporsi; nell'insufficiente preparazione tattica e tecnica dei soldati; nell'elevato numero dei volontari; infine nella pessima esecuzione del piano operativo, conseguenza del dualismo tra La Marmora e Cialdini.
Fra i rimedi suggeriti, la stabilità del ministro della Guerra, il rinsaldamento morale e disciplinare dell'esercito, la maggiore preparazione culturale e tecnica degli ufficiali.
Dopo aver diretto il Corriere della Venezia e la Gazzetta del Popolo di Firenze, nel 1870, all'indomani del 20 settembre, l'A. si trasferì a Roma dove fondò La Libertà. Il quotidiano, di tendenze moderate, e che riscosse, soprattutto agli iniizi, un notevole successo di pubblico, permette di cogliere non solo gli atteggiamenti politici dell'A., e certe sue autonomie nell'ambito dello schieramento moderato, ma anche, attraverso tutte le contradizioni, o per lo meno le oscillazioni, il progressivo differenziarsi dell'opinione pubblica cui si rivolgeva. Inoltre, quando l'A., dopo essere stato battuto nelle elezioni del 1876 a Frosinone, fu eletto deputato nel 1879 nella circoscrizione di Viterbo, il giornale servì ad appoggiare la sua azione parlamentare.
La conquista di Roma era per l'A. più l'inizio che la conclusione di un'epoca; per questo non nascondeva il dissenso verso il govemo, che gli sembrava procedere con troppa lentezza e, nella speranza di impossibili accordi, esitava a trasferire a Roma la capitale, estendervi le leggi del Regno, sopprimervi le corporazioni religiose. I dissensi si ripetevano identici nel 1873, durante le discussioni sull'abolizione dei conventi nella città di Roma: il giornale chiedeva una provincia e l'irrigidimento della legislazione per fronteggiare adeguatamente i pericoli della reazione cattolica, e nello stesso tempo levava ampie critiche al ministro Ricotti, in favore del potenziamento dell'esercito destinato a preservare l'unità da ogni attentato eversivo. La politica finanziaria di Sella veniva accusata di aver trascurato i bisogni essenziali della nazione e dì provocare l'inaridimento delle fonti produttive; l'A. sosteneva la necessità di ridurre la tassa di ricchezza mobile (31 ag. 1871) nella convinzione che ad un equilibrio aritmetico tra entrate e uscite doveva anteporsi un'espansione del lavoro e della ricchezza promovendo il credito a favore del commercio e dell'industria e abolendo il corso forzoso. Sosteneva anche la possibilità di elidere il conflitto tra capitale e lavoro (23 luglio 1871), facendo partecipare quest'ultimo alla ripartizione degli utili, ma era restio invece ad una legislazione sociale, e ancora nel 1876 metteva in dubbio l'opportunità della tutela dei fanciulli nelle fabbriche (14 febbr. 1876); conduceva contemporaneamente una strenua difesa del liberismo contro le correnti che orientavano sempre più l'operato del ministero Minghetti.
L'autonomia dell'A. in seno alla Destra gli permise di accettare l'avvento di Depretis, offrendogli il suo appoggio in cambio della promessa di difendere il pareggio e di abolire il corso forzoso. Criticò invece l'impegno dei ministero di sopprimere la tassa sul macinato e alla Camera, il 3 luglio 1879, votava contro il Depretis, con la Destra e il gruppo di Baccarini, Cairoli e Zanardelli. Per l'A. era infatti necessario creare nuove fonti di lavoro e di guadagno, diminuendo la tassa di ricchezza mobile (22 febbr. 1879), e appoggiando tutti i provvedimenti tendenti a dare al paese le infrastrutture necessarie, ferrovie e opere pubbliche; in sostanza, la politica della spesa del ministro Magliani, del quale nel 1886 prese le difese in una serie di articoli antigiolittiani.
Nel 1881 aveva difeso il progetto di legge favorevole al suffragio universale, dichiarandosi però contrario allo scrutinio di lista e all'indennità ai deputati. Durante la crisi aveva approvato il tentativo di Sella di dar vita a una coalizione che superasse la contrapposizione tra i partiti storici. Si determinava così l'adesione dell'A. al trasformismo (Discorso agli elettori del 2° Collegio di Perugia, 16 maggio 1886), interpretato come la politica delle grandi riforme, che i piccoli cedimenti di Depretis a questo o a quel gruppo non potevano oscurare, e come l'avvio alla formazione di un vero partito liberale cui avrebbe potuto utilmente contrapporsi la vecchia Destra statalista di S. Spaventa. Nello stesso tempo l'A. venne mitigando l'ostilità verso ogni tentativo di conciliazione con la Chiesa, e non nascose ora le simpatie per la conciliazione con il Vaticano (24 apr. 1886), che avrebbe dovuto stabilire, sia pure entro la formula separatista di Cavour, un clima di distensione e di collaborazione nei rapporti fra Stato e Chiesa.
Col 1° gennaio 1887 il giornale si traslormava in settimanale, conservando il titolo; agli articoli politici si affiancavano ricerche storiche (L. Chiala, P. L. Bruzzone e altri), cronache romane e una sezione letteraria (G. Antona Traversi, G. Faldella, D. Gnoli e altri).
Un forte accento antifrancese, che aveva già ispirato gli interventi alla Camera dell'A. e gli articoli del quotidiano, caratterizzò tutte le considerazioni di politica estera da lui svolte sul settimanale; insieine, insisteva sull'idea di stabilire più cordiali rapporti con il Vaticano (Libera Chiesa in Libero Stato,15 genn. 1888).
La rivista fu sensibile ai problemi dell'istruzione agraria, e di fronte alla crisi agraria assunse una posizione ostile al protezionismo; sostenne gli interessi degli operatori economici contrari al progetto di legge per il riordinamento delle banche di emissione, e con le rubriche dedicate all'andamento della Borsa e dei mercati fornì un utile strumento d'informazione agli uomini d'affari.
Molti atteggiamenti d'opinione pubblica, che l'A. insieme esprimeva e contribuiva a formare, si erano andati modificando. Caduto Crispi, appoggiò il Di Rudini del quale, accolse favorevolmente la riforma del sistema elettorale con il ritorno al collegio uninominale; insoddisfatto dalle sue dichiarazioni in materia finanziaria, il 5 maggio 1892 non votò la fiducia al ministero e passò ad appoggiare Giolitti. Durante il nuovo gabinetto Crispi fu all'opposizione e più volte prese la parola per respingere la proposta di legge sulle spese militari straordinarie, e per difendere il decentramento come l'unico mezzo per ottenere consistenti economie; nella discussione sui provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza, l'11 luglio 1894 votò contro l'articolo 3 che prevedeva il domicilio coatto.
Nel 1890 l'A. aveva iniziato la collaborazione alla Nuova Antologia; intanto veniva redigendo il Sommario degli Atti del Consiglio Comunale di Roma dal 1870 al 1895, pubblicato a Roma nel 1895.
L'opera voleva essere un apprezzamento del lavoro svolto e dei risultati raggiunti dal municipio romano nei primi venticinque anm di vita nazionale; ma non mancano gli spunti critici, che mettono in rilievo i difficili rapporti tra il Comune e il governo fino alla soluzione commissariale del 1890, e fanno risalire la responsabilità della crisi edilizia all'azione delle banche che, snaturando le funzioni del credìto, se ne servivano per valorizzare con nuove costruzioni i terreni di cui erano proprietarie. Nel 1893 successe a V. Mantegazza nella direzione de L'Italie, e nel 1899 passò a dirigere La Capitale, che apparteneva insieme a Il Giorno alla Società editrice nazionale; quando il primo dei due giornali interruppe le pubblicazioni, divenne collaboratore del secondo.
Sulle colonne de Il Giorno, durante l'ostruzionismo parlamentare, condusse, con lo pseudonimo di "Semplice", una vigorosa campagna di opposizione contro il ministero Pelloux; poi dopo le elezioni del giugno 1900, di fronte al successo dell'estrema sinistra, sostenne la necessità di abbandonare i metodi autoritari e di svuotare dall'intemo la pericolosità dei partito socialista. Qualche mese più tardi pubblicava una serie di articoli per l'industrializzazione di Roma, riprendendo ancora pubblicamente posizioni assunte fin dal 1870, che rientravano in una contrapposizione tra la Roma laica e liberale del Quirinale e la Roma papale del Vaticano (Per Roma, 28 ag. 1900), e sulle quali ancora più tardi tornerà con articoli.
Ritornato a La Capitale nel 1901 come redattore, difese la politica giolittiana durante lo sciopero generale del 1904; era contrario alla costituzione di un blocco liberale di resistenza ai partiti di estrema sinistra, e piuttosto incline ad accordi con il partito radicale. L'A., che non si era presentato alle elezioni del 1895, fu sconfitto in quelle del 1897 da A. Fortis, suo competitore nel collegio di Poggio Mirteto; nel 1904 ebbe la nomina a senatore.
Gli ultimi anni della sua vita furono prevalentemente dedicati alla composizione dei volumi Cinquant'anni di storia parlamentare del Regno d'Italia e alla raccolta di Pensieri sentenze e ricordi di uomini parlamentari (Firenze 1901), che è il risultato del lavoro preparatorio dell'opera maggiore.
Il primo dei quattro volumi, che abbraccia le vicende del parlamento subalpino dall'8 maggio 1848 al 21 nov. 1853, uscì a Roma nel 1898, l'anno stesso in cui G. Arangio-Ruiz, pubblicando a Firenze la Storia costituzionale d'Italia, constatava la mancata risoluzione della vita della società italiana in quella del suo parlamento. L'A. dava una diversa, più positiva valutazione, che arrivava fino al riconoscimento dell'assoluta coincidenza fra la storia del paese e quella delle sue istituzioni rappresentative: alle sempre più consistenti censure del sistema parlamentare, l'A. intendeva contrapporre la prova della sua efficienza e della sua vitalità, e la dimostrazione di quanto ormai esso fosse incorporato nel funzionamento dello stato italiano. Il secondo volume (che arriva fino al 20 maggio 1863) ed il terzo (che si interrompe al 2 nov. 1870) furono pubblicati rispettivamente nel 1900 e nel 1902; il quarto (che si arresta al 29 apr. 1880) fu invece stampato nel 1907 a cura dei figlio Ernesto.
Accanto all'attività dell'uomo politico e del pubblicista va ricordata, per quanto marginale e secondaria, l'opera del letterato e del romanziere: uno dei suoi primi lavori fu La moglie nera (Milano 1874) e a questo ne seguirono negli anni successivi parecchi altri (Dopo il congedo, Roma 1894; Catene, Milano 1894; Le tre contesse, ivi 1896; Mogli oneste, ivi 1897), ma nessuno si distacca dal genere del romanzo d'appendice per l'approssimatezza della forma e per la genericità delle situazioni psicologiche. È nota infine la polemica dell'A. col Carducci, per la mancata partecipazione di questo alle guerre del Risorgimento.
Morì a Roma il 6 marzo 1906.
Fonti e Bibl.: Manca uno studio sull'A.; per la puntualizzazione della sua attività e delle sue posizioni, oltre i suoi articoli politici, le opere. e i giornali che diresse, si vedano gli Atti della Camera e del Senato. Riferimenti sparsi, e di varia importanza, in N. Bernardini, Guida della stampa periodica italiana, Lecce 1890, pp. 108, 642; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale. Profili e cenni biografici, Terni 1890, pp. 57-58; Storia del 27° Reggimento Fanteria, Firenze 1892, pp. 57, 74; G. Bandi, I Mille (Da Genova a Capua), Firenze s. d., p. 251; A. Chierici, Il quarto potere a Roma, Roma 1905, pp. 49, 50 s.; Illustrazione italiana, 11 marzo 1906, pp. 226, 243; Bollett. ufficiale del I Congresso di Storia del Risorgimento Italiano, n. 2, apr. 1906, pp. 86 a.; F. Sticca. Gli scrittori militari italiani, Torino 1912, pp. 269, 323; G. Manacorda, Il movimento operaio italiano attraverso i congressi operai e socialisti, suppl.al n. 8-9 di Rinascita (1949),. pp. 160 s.; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1949, II, p. 1351; F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari 1951, pp. 266, 360; B. Righini, I periodici fiorentini (1597-1950), I, Firenze 1955, pp. 58, 223, 355; A. Caracciolo, Roma capitale, Roma 1956, pp. XIV, 75, 77, 173 s., 188, 196, 205, 225; G. Carocci. Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, p. 516; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 958, p. 260; C. Rotondi, Bibl. dei Period. toscani, Firenze 1960, pp. 53, 85.