BOUTET, Edoardo (Caramba)
Nato a Napoli nel 1856 da Achille e da Gerolama Russo, di origine francese, il B. non fece studi regolari. Si dedicò invece interamente fin dall'adolescenza a vastissime letture teatrali e all'assidua frequentazione dei teatri napoletani d'ogni ordine e specie: dal Fiorentini, dove le grandi compagnie rappresentavano il repertorio maggiore, al San Carlino, regno della scena dialettale, fino ai minuscoli e un po' malfamati teatrini di "basso porto" come il La Fenice o il Partenope (che videro in quegli anni gli esordi di popolari maschere napoletane, il celebre "pulcinella" Antonio Petito e il "Feliciello Sciosciamocca" di Scarpetta), e persino ai popolarissimi teatrini di marionette, lo Stella Cerere e il Sebeto. Quest'esperienza diretta di tutti i differenti livelli della realtà scenica dell'epoca (di cui il B. darà testimonianza nelle sue raccolte di "macchiette e scenette" di vita teatrale napoletana: Pulcinella, in Il Carro di Tespi, II [1890], nn. 16-39;e Sua Eccellenza San Carlino, Roma 1901) e la scoperta delle straordinarie possibilità sociali del fatto teatrale costituiscono il fondamento della "missione teatrale" del B., che dedicherà la vita a combattere dalle colonne dei giornali per una riforma che riscattasse il teatro italiano dal dominante istrionismo guittesco delle "compagnie di giro" e lo portasse a dignità d'arte senza spegnerne le potenzialità educative a livello soprattutto popolare.
Il B. esordì come critico teatrale a Napoli nel 1877, quando fu assunto da Martino Cafiero per collaborare al supplemento letterario del Corriere del Mattino, diretto da Federico Verdinois. Passò successivamente alla redazione della pagina letteraria della Gazzetta di Napoli, e di qui fu chiamato dal De Zerbi a collaborare al Piccolo, con funzioni non solo di critico teatrale, ma anche di cronista (nel 1883 promosse, partecipandovi di persona, una campagna per l'assistenza ai colerosi). Infine nel 1884, insieme con Roberto Bracco, Eugenio Tofano e Valentino Gervasi, costituì la redazione del Napoli, organo della sinistra meridionale fondato da Martino Cafiero, ma cessato nell'anno stesso con la morte del fondatore.
Episodio notevole di questi primi anni di attività critica del B. fu la scoperta di Eleonora Duse, che nel 1879-80 sosteneva al Fiorentini le prime prove come protagonista. Il B. fu con la Serao tra i pochi a intuire la portata rivoluzionaria del tipo d'interpretazione proposto dalla Duse, fondato sulla spontaneità e sincerità della dizione e sulla capacità di "ricreazione" del personaggio: talmente ardente fu la sua difesa della "rivoluzione" dusiana contro la tradizionale classicità di Virginia Marini da procurargli addirittura una sfida a duello.
Il passo decisivo della carriera giornalistica del B. fu compiuto nel 1885, col trasferimento a Roma, dove era stato chiamato da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao per tenere la rubrica teatrale sul loro Corriere di Roma, che iniziò le pubblicazioni il 25 dic. 1885. In precedenza, nei primi mesi dello stesso 1885, il B. aveva brevemente collaborato anche a un altro quotidiano romano, il Nabab, diretto da Panzacchi, ultima impresa giornalistica di Angelo Sommaruga, fallita dopo due soli mesi di pubblicazione. Quando alla fine del 1887 Scarfoglio e la Serao furono costretti da varie vicende a ritrasferirsi a Napoli, trasformando il Corriere di Roma in Corriere di Napoli, il B. rimase nella capitale. Fin dal settembre di quell'anno aveva praticamente abbandonato il Corriere per accostarsi al gruppo di giornalisti repubblicani e radicali (Arnaldo Vassallo, Luigi Bertelli, Emilio Faelli e Luigi Lodi) raccolti allora nella redazione del Capitan Fracassa (cui anche il B. saltuariamente collaborò). Con l'avvento al governo di Crispi, questo gruppo si staccò dal Fracassa, filogovernativo, per fondare il Don Chisciotte della Mancia, il cui primo numero uscì il 20 dic. 1887.Il B., con lo pseudonimo, di Caramba, fu tra i redattori più attivi del Don Chisciotte e, pur trovandosi su posizioni politico-culturali un po' diverse, vagamente populistiche più che radicali, seguì per molti anni le sorti del gruppo Vassallo. Quando, il 7 apr. 1892, la redazione del Don Chisciotte, vedendo in pericolo l'autonomia del giornale, si dimise al completo, il B. trasferì la sua rubrica di cronache teatrali sul Folchetto, che già usciva da qualche mese sotto la direzione di Bertelli e Faelli; partecipando anche, dal 5 maggio al 31 dic. 1892, al tentativo del Torneo, che voleva essere un giornale liberamente aperto a redattori di diverso orientamento politico. Successivamente, il 15 ott. 1893, il B. tornò nella redazione del rinato Don Chisciotte, che durerà fino al 1899; e mantenne l'ufficio di critico teatrale anche nel Giorno, risultato della fusione fra Don Chisciotte e Fanfulla, uscito dal 10 dic. 1899 al 1º genn. 1901. Infine, dal 12 dic. 1901 al 20 dic. 1902, fu redattore capo del Travaso delle idee, quotidiano "letterario, artistico e politico" affiancato al settimanale omonimo: e lo caratterizzò con lo sforzo di propagandare il teatro (intere prime pagine sono dedicate ad avvenimenti teatrali, come la prima della Francesca dannunziana o le onoranze ad Adelaide Ristori).
Durante questi anni il B. svolse opera di critico teatrale anche su diversi periodici: nel 1890 scriveva sui pochi numeri usciti di una Rivista democratica italiana diretta da Ettore Socci; dal 1890 al 1896 collaborava alla Tribuna illustrata;nel primo semestre del 1891 partecipava al tentativo presto fallito di una Rivista moderna di politica,lettere ed arte, diretta da Umberto De Bonis; dal novembre del 1891 fino al dicembre del 1892 scriveva sul vivace settimanale di Vamba (Luigi Bertelli), l'O di Giotto;dal 1892 al 1897, e poi dal 1902 al 1904, tenne la rubrica teatrale sulla Nuova antologia;nel 1893 e 1894 collaborò alla Nuova rassegna diretta dal Lodi; dal 1898 redasse saltuariamente la rubrica drammatica della Rivista d'Italia.
Ma per diffondere liberamente le proprie idee, e svolgere senza limitazioni la propria opera di propaganda per un rinnovamento del teatro, il B. aspirava ad avere a propria disposizione uno strumento che non subisse i condizionamenti del giornale politico (è da sottolineare peraltro la notevole autonomia della critica del B., che non esitò a condannare dalle colonne di giornali radicali gli infelici tentativi teatrali di Felice Cavallotti e Giovanni Bovio, e si dimise dal Don Chisciotte nel gennaio 1895 quando una sua stroncatura di Vipera di Ferdinando Martini fu censurata; solo un mese dopo accettò di rientrare in redazione). A questo scopo fondò nel 1889 il Carro di Tespi settimanale in-folio di critica teatrale volto, secondo le parole del B., a "offrire un campo assolutamente libero agli autori, ai critici, agli artisti per le discussioni d'arte, qualunque sia la scuola e il metodo".
Il periodico, di cui il B. fu direttore responsabile, uscì dal 17-18 nov. 1889 all'8-9 ag. 1891. Presentato nel primo numero da un fondo augurale di Luigi Capuana, ospitò scritti di Eva Cattermole Mancini, dello stesso Capuana, di Luigi Bertelli, Felice Cavallotti, G. A. Cesareo, Olga Ossani Lodi, L. Arnaldo Vassallo, Enrico Panzacchi, Ferdinando Martini, Pietro Coccoluto Ferrigni, Diego Angeli, Ugo Fleres, Marco Ruato, Roberto Bracco, Salvatore Di Giacomo, Federico Verdinois da Napoli, Giancarlo Molineri da Torino, Gerolamo Rovetta da Milano inviavano regolari corrispondenze sulla vita teatrale di quelle città, mentre lo stesso B. seguiva gli avvenimenti scenici romani e non mancavano analoghe corrispondenze dalle principali capitali europee. Francesco d'Arcais e, dopo la morte di questo, Eugenio Checchi tennero una rubrica musicale. Vi comparvero anche, a puntate, importanti produzioni drammatiche fino allora inedite, come La trilogia di Dorina di Rovetta e la traduzione di Capuana di Casa di bambola di Ibsen. Nel complesso il Carro di Tespi, che costituisce una notevole fonte per la storia del nostro teatro, testimonia dello sforzo del B., fiancheggiato soprattutto dal Capuana, per fondare anche in Italia un teatro naturalista (si vedano i numeri speciali dedicati a Daudet e a Becque, e l'articolo del B. su Zola nel n. 5).
Una riforma di questo genere doveva muovere, secondo il B., non tanto dagli autori, condizionati dalle consuetudini vigenti sulla scena italiana, quanto appunto dal palcoscenico. Ciò spiega perché la sua critica risulta più perspicua e incisiva quando tratta di attori e di allestimenti scenici piuttosto che del repertorio, e spiega perché l'originale periodico da lui fondato nel 1899, le Cronache drammatiche, fu interamente dedicato all'analisi dei vizi imperanti in quel "triste paese" che era per il B. il palcoscenico italiano. Le Cronache, diversamente dal Carro di Tespi, erano interamente redatte dal Boutet.
Uscirono dal 2 apr. 1899 al 25 febbr. 1900, in fascicoletti settimanali di sedici pagine, poi raccolti in quattro volumi trimestrali. Il contenuto della rivista si articolava su tre livelli: una parte cronachistica (rubriche A teatro,Coreografia,La scena dialettale,L'operetta), una parte di tipo storico-aneddotico (rubriche Tipi e macchiette,Scene e scenette,Le novellette,Tra le quinte e i camerini Memorie), infine una parte più propriamente critica, dedicata all'analisi delle questioni di fondo del teatro italiano (condizioni delle compagnie, concorsi drammatici nazionali, situazione dei "direttori"), a ritratti critici di attori (e cantanti) italiani e stranieri, e a noterelle sferzanti sulle goffaggini del malcostume scenico (rubrica Palcoscenico e Platea).
Il successo della formula consentì nel 1900 una trasformazione editoriale: col nuovo titolo di Cronache teatrali, la rivista s'arricchì di numerose illustrazioni e aumentò di formato, passando a una periodicità trimensile (usciva il 5, 15, e 25 di ogni mese). Anche le Cronache teatrali durarono un anno; ne uscirono 36 fascicoli, dal 25 marzo del 1900 al 15 marzo del 1901.
Nell'insieme la critica teatrale del B., non sempre stringente e lucida nei singoli giudizi, ebbe il merito di individuare con chiarezza i mali cronici del teatro italiano: le compagnie di giro, con gli anacronistici "ruoli" fissi che appiattivano qualsiasi carattere; il tipo di recitazione convenzionale, declamatorio e artificioso ("le fiorettature dello sciocco genere, i sostantivi battuti, i pestamenti di piede, le pause musicali, le scale semitonate, gli sbracciamenti ginnastici"); lo squilibrio fra i primi attori, i "mattatori", e il resto della compagnia; la mancanza assoluta di "direttori" culturalmente preparati, in grado di curare l'insieme dell'allestimento; la noncuranza per la messa in scena. Il tipo di riforma propugnata dal B. - con fervore giustamente definito "religioso" dal D'Amico - per un ritorno del teatro alla "verità della vita", al "rispecchiamento della creatura così com'è", è sostanzialmente analogo a quello perseguito negli stessi anni da Konstantin Stanislavskij, fondatore nel 1898 del Teatro d'Arte di Mosca. Come Stanislavskij, anche il B. mirava soprattutto a un mutamento di mentalità dell'attore, si sforzava di trasformare il vanitoso individualismo dell'istrione in ascetica sottomissione all'arte.
A questo appassionato tentativo (esemplato in Quidam, Torino-Roma 1904, romanzo a sfondo autobiografico e didascalico, ispirato all'affettuosa amicizia per Tina Di Lorenzo) il B. poté dedicarsi dal 1901 oltre che dalle colonne dei giornali, anche più direttamente attraverso l'insegnamento. Infatti era stato nominato professore di storia del teatro presso la scuola di recitazione annessa al liceo musicale di Santa Cecilia, cattedra che, tranne un intervallo fra 1904 e 1906, tenne fino alla morte, dopo averla trasformata, a partire dal 1906, in una più autonoma scuola di storia e letteratura drammatica e teoria dell'interpretazione scenica.
Nel 1905 ebbe la grande occasione per realizzare concretamente il suo ideale: la nomina a direttore artistico del primo vero "teatro stabile" italiano, nato quello stesso anno su iniziativa della Società degli autori di Roma, con sede al Teatro Argentina. Il B. gettò tutte le proprie energie in questa impresa, nel tentativo di farne "un'istituzione non di concorrenza teatrale e commerciale... ma illuminantemente e teneramente indicatrice e ammonitrice... per il risanamento e il rinnovamento del teatro di prosa". Coerentemente alle sue posizioni teoriche, il B. formò una compagnia priva di "grandi nomi" (a eccezione di Giacinta Pezzana, peraltro già in età avanzata) composta di elementi giovani "non ancora deformati dalla malaria del paese della scena"; e poté programmare un repertorio finalmente non condizionato dalla mentalità vanagloriosa dei comici e dagli interessi commerciali degli importatori di mediocri commedie straniere, ma impostato su direttive esclusivamente culturali.
Il B. puntava in particolare a mettere in scena classici scelti "con sapiente gradazione, in modo da attrarre chi non sa, e non rendere vano l'insegnamento e il godimento per il tedio di chi ignora"; accanto ai classici erano previste riprese di quei lavori italiani recenti o contemporanei di autori affermati che per le loro caratteristiche non commerciali e non consone all'istrionismo degli attori scomparivano quasi subito dal repertorio delle compagnie di giro. Per la scelta del repertorio straniero, il criterio del B. era di "mai accettare le forniture dei mercati più o meno tradizionali... che non danno la conoscenza degli ideali intravveduti e tentati nelle varie nazioni", ma accogliere da un lato le opere sicuramente rappresentative di una cultura, dall'altro gli esperimenti anche audacissimi condotti nei vari "teatri liberi". Infine l'impostazione della Stabile avrebbe consentito anche una scelta di lavori nuovi e di autori ignoti non più affidata a dubbi criteri da capocomico.
Questo programma fu fedelmente rispettato durante la prima stagione della Drammatica compagnia di Roma, inaugurata trionfalmente il 29 dic. 1905 con il Giulio Cesare diShakespeare. Con quella cura per l'allestimento e quell'equilibrio scenico che il B. aveva per tanti anni predicato, in "un'atmosfera nuova, di ordine, di accuratezza, di coscienza, di scrupolo, di finitezza, assolutamente insolite" (D'Amico) furono poi rappresentate, tra i classici, l'Orestiade, nella riduzione di Cippico e Marrone, e le commedie goldoniane Il ventaglio e l'Impresario delle Smirne. Ma particolarmente significativa degli intenti del B. fu la scelta delle novità italiane e straniere, accentrata su opere antievasive, di deciso impegno sociale: Pietra fra pietre di Sudermann, che agitava il problema della rieducazione degli ex carcerati; I tessitori di Hauptmann, storia di una rivolta proletaria; Il risveglio di Hervieu, centrato sulla problematica del conflitto fra istinto e leggi; Notte di neve, un atto unico di Roberto Bracco, e La sorella minore, opera prima del socialista Tommaso Monicelli. Unica stonatura in questo programma, La pesta di Sardou, peraltro caduta clamorosamente e subito tolta di scena.
Purtroppo già verso la fine del primo anno comico scoppiarono le prime difficoltà. Critiche vivaci furono mosse al B. in seno al consiglio d'amministrazione dell'ente per le spese di messa in scena, giudicate eccessive. Inoltre l'affermazione fra gli attori della Stabile della personalità di Ferruccio Garavaglia provocò nella compagnia la tendenza a trasformarsi nel tipo di formazione così tenacemente combattuto dal B., fondata su un capocomico primo attore e su "ruoli" fissi definiti. D'altra parte il B. non possedeva la necessaria esperienza pratica per fungere da direttore dell'allestimento scenico vero e proprio; perciò era ricorso all'espediente di scindere la figura del direttore in due funzioni, quella del direttore del quadro scenico alla ribalta, che a partire dalla stagione 1906-07 fu ufficialmente affidata al Garavaglia, e quella del direttore "per il complessivo indirizzo d'arte e i fini dell'istituzione", che tenne per sé. In queste condizioni era peraltro inevitabile che l'attore prendesse la mano al B., cui in sostanza rimase la sola responsabilità della scelta del repertorio; e probabilmente non senza condizionamenti, se in quella stagione furono rappresentati accanto a opere del tutto coerenti al programma del B., come I ventri dorati di Emile Fabre, La flotta degli emigranti di Vincenzo Morello, I fantasmi di Roberto Bracco, molti lavori insignificanti, di banale intrattenimento. Il B., che il 20 giugno 1907 aveva sposato un'attrice della compagnia, Anita Viel, allestì anche il cartellone della stagione successiva, inauguratasi il 10 genn. 1908 con la memorabile prima della Nave dannunziana, e proseguita con Re Lear e con lavori di Giannino Antona-Traversi, Tommaso Monicelli, Sudermann, Fabre e una novità di Bertolazzi, I giorni di festa;ma quando queste opere andarono in scena il B. aveva già rotto definitivamente con la Stabile. In una conferenza (La mia follia, Roma 1908) letta nel foyer del Teatro Argentina, il 16 maggio del 1908, il B. riaffermò i criteri del suo programma, "comicarolescamente prima e loyolescamente poi scompigliato", polemizzando indirettamente con il Garavaglia; e, ribadendo che il suo intento principale era di creare un teatro "per il Popolo", "a nessuno asservito, concesso a mitissimo prezzo, gli abbienti paganti per i non abbienti", che avrebbe dovuto "concorrere a formare anime e menti", a migliorare "la coscienza civile delle moltitudini", concluse dichiarando che avrebbe continuato a combattere la sua battaglia dalla cattedra e dal giornale.
Già nel gennaio del 1908 aveva tentato di rilanciare una rivista del genere delle Cronache drammatiche, le Cronache teatrali di Caramba, in cui si riprometteva di pubblicare fra l'altro le lezioni tenute alla scuola di recitazione di S. Cecilia. Il tentativo fallì assai presto, e dall'ottobre del 1908 il B. tornò a collaborare a quotidiani politici, assumendo l'ufficio di critico teatrale dell'Avanti!. Collaborò anche alla Rassegna contemporanea, al Viandante, settimanale milanese fondato da Tommaso Monicelli che il B. stesso aveva lanciato come autore di teatro, e dal 1913 ancora alla Nuova antologia, dopo un altro fallito tentativo di rivista specialistica interamente redatta da lui (Il giornale di Caramba, 1913). Alla fine del 1912 il consiglio d'amministrazione della Stabile gli aveva nuovamente offerto la direzione della compagnia: ma il B., fatto accorto dalla precedente esperienza, pose condizioni precise e irrinunciabili (miglioramento dell'organico, tempo per preparare un nuovo repertorio, pieni poteri in materia di strutture organizzative e metodi di recitazione) che non furono accettate.
Morì a Roma il 30 marzo 1915.
Altri scritti: Bimba attrice, in Don Chisciotte, Roma, 7 luglio-25 sett. 1889; Il Madro,tipi del palcoscenico, in Folchetto, Roma 4 Maggio-3 ag. 1893, poi in volume, Roma 1901; Nel centenario della nascita di Gustavo Modena, conferenza, Roma 1903.
Fonti e Bibl.: L. Capuana, E. B. e le sue "Cronache drammatiche", in Cronache letter., Catania 1899, pp. 279-287; G. De Frenzi (L. Federzoni), E. B., in Candidati all'immortalità, Bologna 1904, pp. 91-106; B. Villanova d'Ardenghi, E. B., in Il teatro neo-idealistico, Milano-Palermo-Napoli 1908, pp. 777-297; G. Zuccarini, Schegge e sprazzi, Ancona 1912, pp. 203 s., 210; L. D'Ambra (R. E. Manganella), E. B.,Caramba (Ricordi personali), in Nuova antologia, 1º luglio 1915, pp. 100-108; S. D'Amico, Un giornalista e il teatro d'Arte, in Maschere, Roma 1921, pp. 27-49; Id., Tramonto del grande attore, Milano 1929, pp. 32, 50, 86, 140, 149, 151; L. Lodi, Giornalisti, Bari 1930, pp. 42, 76, 169-170; S. D'Amico, E. B. e il sogno della Stabile, in Invito al teatro, Brescia 1935, pp. 91-130; Id., Il teatro italiano, Milano 1937, pp. 54, 62; E. Bona, La prima della "Nave" in quattro lettere inedite di G. D'Annunzio. Gli inediti dannunziani alla Biblioteca Forges - Davanzati. Rovetta a B. nel carteggio inedito, in Rivista italiana del dramma, III (1939), 1, pp. 55-64, 204; 2, pp. 54-69; G.(uido) A.(rtom), "Dina" di Alfredo Oriani in un carteggio,inedito,ibid., IV (1940), 1, pp. 257-271; U. Fleres, Il caleidoscopio di Uriel, Roma 1952, pp. 123 s.; R. Radice, Commemorazione di Silvio D'Amico, Venezia 1955, pp. 11-14;G. Calendoli, Silvio D'Amico rinnovò il sogno di B., in La fiera letteraria, XI (1955), 15, pp. 1-2; S. D'Amico, Storia del teatro drammatico, Milano 1958, pp. 164, 288;A. Camilleri, I teatri stabili in Italia (1898-1918), Bologna 1959, pp. 16-17, 40-56e passim;O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, pp. 200 s., 256, 287, 314 s., 396, 470, 639, 657, 665, 790, 801, 825, 946;S. D'Amico, La sorte dell'Argentina e Prima,ricordare B., ora in Cronache del teatro, I (1914-1928), Bari 1963, pp. 65-70 e 471-473; Enc. dello Spett., II, pp. 936 s.; Enc. Ital., VII, p. 619. Un copioso carteggio del B. con autori, attori e varie personalità è conservato presso la Biblioteca teatrale della S.I.A.E. (Casa del Burkardo) in Roma: se ne veda la descrizione in Scenario, II (1933), 8, pp. 444 s.