CORSINI, Edoardo (Odoardo)
Nacque da Pellegrino il 4 ott. 1702 a Fellicarolo di Fanano (Modena) e fu battezzato con il nome di Silvestro, mutato poi all'ammissione tra gli scolopi in Eduardus a S. Silvestro (il C. ed altri useranno quasi costantemente la forma toscana Odoardo). Il C. studiò nelle Scuole pie di Fanano fino al 1717 quando decise di entrare nell'Ordine calasanziano, iniziando il noviziato a Firenze; qui continuò gli studi con un biennio dì lettere e lingue classiche e un quadriennio di filosofia e teologia, subendo l'influenza di V. Talenti, che accanto alla scolastica aveva introdotto nell'insegnamento alcuni elementi del pensiero moderno.
Fin da questi anni i superiori apprezzarono le sue doti, fondate su una forte capacità di lavoro e un'impostazione mentale riflessiva e metodica, con prevalenza dell'abito analitico sull'intuizione brillante e rapsodica; a questa fisionomia intellettuale, che ben si coglie nelle opere della maturità, corrisponderanno le posizioni filosofico-religiose del C., aliene dall'arroccamento metafisico ma anche dall'accettazione indiscriminata dei temi illuministici. La storia personale del C. s'identifica in gran parte con quella della sua produzione intellettuale; questa però non ebbe un corso lineare e mostra fasi la cui successione fu dovuta in parte a ragioni contingenti, anche se è sottesa da una fisionomia costante: ciò va osservato in quanto la fase più matura del lavoro del C., quella delle grandi opere erudito-antiquarie, ha caratteri tematici e metodici connettibili in parte alle esperienze precedenti.
Quando terminò gli studi, nel 1723, i superiori lo scelsero come docente di filosofia nella scuola di Firenze, ancor prima dell'ordinazione sacerdotale (1725). Introdusse nell'uso testi di autori della area cartesiana, come il Duhamel, ed incoraggiò i suoi studenti ad attingere anche ad autori moderni per la preparazione delle tesi pubbliche di filosofia, attirandosi antipatie e anche accuse esplicite di eterodossia, che gli procurarono una sospensione dall'insegnamento per accertamenti; questi si conclusero favorevolmente per lui, ma forse non è privo di significato il fatto che in seguito fu trasferito alla cattedra di teologia scolastica e dogmatica, presentante spazi interpretativi molto più ristretti. L'ambito d'interessi del C. in questi anni si può capire solo tenendo conto di ciò che per "filosofia" si intendeva ancora nella didattica dell'epoca: vi confluivano temi logico-metafisici, l'etica, la filosofia naturale (cosmologia, proprietà generali dei corpi e del moto) e, nel caso della cattedra del C., anche la matematica: si trattava d'una sintesi "scientifica" il cui presupposto era l'unità del sapere, in una strutturazione piramidale al cui vertice si collocava la metafisica ed alla cui base erano discipline più "concrete", in senso sia fattuale (fisica) sia valutativo (etica). La struttura era stata incrinata dagli sviluppi filosofico-scientifici del secolo precedente, che però tardarono a farsi largo nella didattica, particolarmente in quel cardine istituzionale della tradizione che erano le scuole religiose; è in questa prospettiva latamente storica di estensione di sviluppi "laici" alla didattica ufficiale che l'insegnamento del C. a Firenze è significativo, e non in una strettamente speculativa, dove la sua elaborazione appare scarsamente originale, come si può verificare nelle Institutiones philosophicae ac mathematicae ad usum Scholarum Piarum, il trattato che pubblicò a Firenze in sei volumi tra 1731 e 1734 sulla base delle sue lezioni, anche allo scopo di mostrare l'insussistenza delle critiche mosse al suo insegnamento.
I volumi riguardano nell'ordine: logica, fisica generale, astronomia e cosmologia, psicologia e metafisica, etica; il sesto, che è un trattato di geometria classica, cioè sintetica, fu edito in realtà anteriormente agli altri, e circolò anche separatamente. L'opera conobbe un buon successo su scala nazionale; una seconda edizione, che si ebbe a Bologna nel 1741-42 in cinque volumi, ripresa poi a Venezia dal 1764, escludendo la matematica, ricevette dal C. modifiche significative allo scopo di differenziare nettamente la sua impostazione da quelle materialistiche, sensistiche e deistiche la cui diffusione in Italia si andava facendo apprezzabile. Una analoga preoccupazione di difesa della teologia naturale contro la scepsi illuministica fu, a detta di uomini molto vicini al C. come C. Antonioli e A. Fabroni, il criterio ispiratore di un compendio di metafisica che egli pubblicherà a Venezia nel 1754 (Institutiones metaphysicae in usus academicos). Formalmente, le Institutiones presentano una strutturazione quasi interamente tradizionale, anche nelle articolazioni tematiche minute, ciò che mostra bene che esse furono intese come manuale rientrante nella tipologia didattica consolidata, e non come opera di ricerca innovativa; quanto ai contenuti, le novità non sono numerose, e tendono a concentrarsi nelle parti II e III a carattere osservativo-fattuale, senza investire cospicuamente il livello logico-categoriale e metafisico del discorso. Il C. rivendica l'antidogmatismo, inteso come non allineamento in una specifica corrente filosofica, come tipico dell'intera tradizione scolopia, ed imposta l'esposizione di filosofia naturale in modo storico-eclettico; comunque i suoi autori moderni sono ancora Cartesio e Gassendi, ed assunte ad indice dell'adeguamento della cultura filosofico-scientifica toscana del primo Settecento ai progressi internazionali le Institutiones paiono indicare una informazione notevolemente arretrata (non compaiono Newton, Locke, Leibniz). Il trattato è quindi ben lontano dall'essere rivoluzionario, ma alla sua comparsa certe novità che introduceva in un fronte didattico fin allora compatto fecero premio rispetto ai suoi aspetti statici, e lo si può assumere insieme con lavori contemporanei di filosofi-scienziati religiosi come Fortunato da Brescia, Fromond ed altri come preannuncio della revisione del rapporto tra Chiesa e pensiero moderno intervenuta durante il pontificato di Benedetto XIV.
Il volume di matematica annesso alle Institutiones non fu frutto d'un interesse contingente, legato alla natura composita dell'insegnamento affidato al Corsini. Pur non andando al di là d'un discreto manuale scolastico (lo stesso simpatetico Fabroni lo definirà "satis bonus", e non mancarono le critiche), si sviluppò ed ebbe ristampe: una seconda edizione italiana, con elementi di aritmetica e geometria pratica, si ebbe a Firenze nel 1735 col titolo di Elementi di matematica, e fu ristampata in due volumi a Venezia nel 1738 e nel 1765. Un interesse del C. per la matematica è documentato fin dal 1723, quando un suo superiore inviò a G. Grandi, matematico dell'università di Pisa, uno scritto del C. sulla quadratura del cerchio, che dette luogo ad una breve corrispondenza tra il Grandi e il giovane scolopio, ripresa poi con l'invio al primo dei volumi delle Institutiones (sei lettere del Grandi al C. sono state pubblicate dal Picanyol; alcune inedite del C. al Grandi sono nella Biblioteca universitaria di Pisa, ms. 90). Per alcuni anni la matematica parve dover costituire l'effettivo campo d'attività del C.; nella tradizione italiana questo settore era spesso associato all'ingegneria idraulica, cosicché egli svolse funzioni di esperto in controversie civili legate alle acque e consulenze governative per bonifiche e regolazione di fiumi; appartengono a questa fase d'attività, collocabile negli anni '30 del secolo, i Ragionamenti intorno allo stato del fiume Arno e dell'acque della Valdinievole, Colonia 1732, e il Ragionamento istorico sopra la Val di Chiana, in cui si descrive l'antico e presente suo stato, Firenze 1742 (quest'ultimo inserito nelle varie riprese settecentesche della Raccolta d'autori che trattano del moto dell'acque, e poi in Opuscoli idraulici, Bologna 1845, pp. 1-80).
La buona reputazione di idraulico e le pubblicazioni matematiche parvero destinare il C. a inserirsi nella notevole tradizione dei matematici scolpi, e risulta che anche il granduca Gian Gastone pensò di collocarlo nella lettura matematica dello Studio fiorentino; per motivi non chiari la cosa non ebbe però esito, e nel 1736 il C. si vide offrire la lettura di logica nell'università di Pisa. A Pisa egli visse nella casa della sua congregazione, in contatto col confratello A. Politi, docente di lettere umane nell'ateneo, uno dei pochi grecisti di qualche significato nella Toscana del primo Settecento; questo rapporto fu decisivo nel dare un volto definitivo agli interessi del C., ormai già maturo. Appassionatosi all'erudizione antiquaria, riprese sistematicamente lo studio del greco, e si dedicò a letture di testi storici, filologici ed eruditi, formandosi particolarmente sul Sigonio; l'intensità del suo impegno si misura adeguatamente solo quando si osserva la vastità di dati linguistici, storici, epigrafici e numismatici, e la conoscenza di testi letterari, storici, filosofici e dossografici utilizzati nelle opere successive.
In quegli anni, in Toscana, la ripresa dell'interesse per il greco, inteso non in senso puramente linguistico ma ampiamente culturale, era indice d'una intera evoluzione intellettuale, cosicché sotto forma di opposizione a quella risposta si manifestò un conflitto più generale: ciò perché la cultura scolastica era essenzialmente basata sullo strumento linguistico latino, e la didattica gesuitica, cittadella della tradizione filosofica, escludeva in gran parte il greco e la grecità. L'interesse per il greco caratterizzò quindi preferenzialmente gruppi intellettuali tendenti a rivalutare aspetti del pensiero classico rimossi dalla coscienza scolastica, come il platonismo, l'atomismo e lo stoicismo; se questa connessione tra aspetto linguistico ed aspetto ideologico non è tassativa, la rivitalizzazione didattica della grecità ebbe certo, anche nel C., un sapore antigesuitico: la vecchia tensione esistente già dall'età di Galileo tra seguaci di Calasanzio e di Loyola assumeva così nuove valenze.
Nel 1737 un famoso attacco polemico del gesuita G.C. Cordara (De tota Graeculorum huius aetatis litteratura, Genevae [ma Lucca] 1737) avviava la reazione dei tradizionalisti anche sul fronte linguistico: tra gli avversari, che Cordara indica derisoriamente con nomi greci, compare già il C., che il gesuita chiama Norisco. Tra i Graeculi rispose duramente al Cordara G. Lami, mentre scolopi come il Politi e il C. tacquero, quasi a voler sottolineare nei fatti l'insussistenza del legame tra interessi linguistico-letterari ed ideologici supposto dal critico. Nel 1744la nuova direzione di lavoro assunta dal C. si manifestò infine pienamente in quella che è la sua opera storiografica di maggiore estensione ed impegno, i Fasti Attici in quibus Archontum Atheniensium series, philosophorum aliorumque illustrium virorum aetas atque praecipua Atticae historiae capita per olympicos annos disposita describuntur, I-IV, Florentiae 1744-56 (2a ediz., Florentiae 1764-66).
Nella dedica a Francesco di Lorena, che apre l'opera, il C. ne spiega il progetto come una risposta sistematica a problemi di cronologia intellettuale in cui s'era imbattuto fin dalle Institutiones; nell'essenza i Fasti aspirano quindi a fornire un quadro cronologico oggettivo cui riferire gli eventi della storia greca, connesso in modo certo alla datazione latina ed alla cristiana. Lo schema di riferimento è fornito dall'istituto ateniese dell'arcontato, e particolarmente dalla figura dell'arconte eponimo, di cui il C. fornisce una lista pressoché completa inquadrata nella successione dei quadrienni olimpici, dal I al CCCXVI (485 d. C.), ricostruita sia con una analisi dei risultati di studiosi precedenti (Scaligero, Petavio, Dodwell, Sigonio, de Meurs), sia col ricorso a vastissimi materiali testuali, epigrafici, numismatici. Nello schema il C. inserisce i principali avvenimenti della storia sia politica sia culturale dell'Attica, discute le strutture del calendario, la natura e collocazione nell'anno delle festività (donde il nome dell'intera opera), e molte questioni connesse, ripartendo le analisi in quattordici dissertazioni preliminari che formano i primi due volumi dei Fasti, mentre i volumi III e IV, ciascuno con importanti Prolegomena, presentano la successione dei quadrienni olimpici coi relativi arconti ed avvenimenti, non solo ateniesi ma greci ed anche esterni alla Grecia, connessi a quegli attici mediante importanti considerazioni di cronologia comparata. Il tipo di lavoro del C. è atipico rispetto a quello dell'erudizione antiquaria italiana del Settecento: è lontanissimo da un approccio "curioso" o meramente estetico-letterario, e tende a ricostruire, in modo che suona molto moderno, aspetti "strutturali" (nel senso di costanti istituzionali e di costume) della vita greca, la cui esatta conoscenza è presupposto del lavoro storiografico. A questo carattere di contenuto ne corrisponde uno di metodo: il C. eredita gli aspetti più solidi della tradizione antiquaria e di critica del testo, oltre alla grande filologia dei Montfaucon e dei Muratori, ed insieme l'influsso più sotterraneo, ma decisivo, del razionalismo filosofico e dello sperimentalismo, che opera in lui come esigenza d'inquadramento quantitativo dei dati qualitativi e di precisi riscontri documentari per le interpretazioni ipotetiche: in questo senso tende a configurarsi nel C., come in un Muratori e in altri studiosi ecclesiastici del periodo, una dissociazione tra il razionalismo degli strumenti, integralmente accettato e spinto ad esiti virtuosistici e di grande rigore, e il razionalismo dei contenuti, dal quale volle accuratamente allontanarsi.
Per completezza ed affidabilità i risultati dei Fasti (ed anche di opere successive) segnarono un netto incremento rispetto agli studi precedenti, e il C. giunse ad una notorietà europea, tramite soprattutto le recensioni ai suoi lavori apparse estesamente negli Acta eruditorum di Lipsia (ristampate tutte da A. Horanyi, Scriptores Scholarum Piarum liberaliumque artium magistri, I,Budae 1808, pp. 399-569): prova di questa notorietà sono le 387 lettere al C., alcune di provenienza tedesca e ceca, conservate con altre sue carte nell'Archivio della provincia fiorentina degli scolopi (S. II, 7). In Italia egli si accreditò presto, nel giudizio di uomini come il Muratori e il Maffei, quale ottimo grecista; entrambi corrisposero con lui, e Maffei lo ebbe ospite a Verona nel 1751, fornendogli il testo di numerose epigrafi greche di cui il C. dette una interpretazione esemplare nelle Inscriptiones Atticae nunc primum in lucem editae, Florentiae 1752; il carteggio fiorentino comprende anche lettere di Paciaudi, Politi, Querini, Passionei, Grandi, A.F. Gori, E. Manfredi, A. Vallisneri iunior, G. Fontanini, G. Tartarotti, e dei pontefici Benedetto XIV e Clemente XIII, mentre vi mancano minute di lettere del C. stesso: a ciò può riferirsi la notizia, data dal Fabroni, secondo cui prima della morte egli bruciò il suo carteggio. L'accuratezza tecnica dei suoi lavori e l'autocontrollo di chi "non privo di passioni, le reprimeva" (Fabroni) gli evitarono polemiche ed inimicizie, tranne una cui fu costretto da G. Lami, che plagiò la sua interpretazione d'una epigrafe accusandolo, a sua volta, di plagio (il C. replicò con una dura risposta che circolò manoscritta, il Passatempo autunnale, ed in seguito le sue ragioni furono pienamente riconosciute); fu infine quasi un riconoscimento simbolico del ruolo da tutti riconosciutogli l'offerta di succedere al Muratori a Modena nella Biblioteca Estense, ma il C. preferì restare a Pisa, venendo per questo ringraziato direttamente da Francesco di Lorena, tramite il Richecourt.
Si possono considerare complemento ai Fasti le Dissertationes IV agonisticae (Florentiae 1747), dedicate al cardinal Querini, ciascuna delle quali esamina genesi, carattere e svolgimento di uno dei giochi panellenici, mentre una appendice fornisce un elenco ricchissimo dei vincitori divisi per giochi e per tipi di gare. Tra il 1747 e il 1754, oltre a completare i Fasti, il C. fornì contributi minori ma spesso rilevanti: nelle Notae Graecorum, sive vocum et numerorum compendium (Florentiae 1749), forse il vertice del suo lavoro di epigrafista, descrisse ed interpretò circa mille sigle abbreviative in uso presso i Greci, ampliando di molto le Graecorum siglae lapidariae del Maffei (da lui discusse nelle Novelle letterarie di Firenze, VIII [1747], col. 3); sviluppando interessi dossografici già palesi nelle Institutiones e nei Fasti, curò Plutarchii de placitis philosophorum libri quinque (Florentiae 17-50) con una appendice critica, e pubblicò nel tomo VI delle Symbolae y letterariae di A.F. Gori (Florentiae 1751) le Dissertationes IV, quibus antiqua quaedam insignia monumenta illustrantur, concernenti anche i viaggi di Platone in Italia (e possibile fonte del Platone in Italia del Cuoco). Questi contributi ed altri minori (Herculis quies et expiatio in eximio Farnesiano marmore expressa, s.l. né d.; l'antologia scolastica Selecta ex Graeciae scriptoribus, Florentiae 1753) apparvero mentre la posizione accademica del C., se consolidatasi nel 1746 col passaggio dalla lettura di logica a quella più prestigiosa di metafisica ed etica, era pur sempre eterogenea rispetto al corso recente dei suoi studi; ma nel 1752, morto Politi, egli gli successe sulla cattedra di lettere umane. L'originaria destinazione di questa era retorica, ma con Politi, e molto più con il C., si avviò ad una configurazione filologico-antiquaria, soprattutto nei seminari privati che il C. tenne con regolarità, anticipando così la formazione d'una specifica cattedra di antiquaria nell'Istituto delle scienze di Bologna. Subentrato al Politi, mentre forniva un contributo alla nurnismatica e genealogia del regno persiano con la De Minnisari aliorumque Armeniae regum nummis et Arsacidarum epocha dissertatio (Liburni 1754), pensò a riprendere il progetto cui il predecessore s'era dedicato nei suoi ultimi anni, la riedizione con annotazioni critiche del Martyrologium Romanum curato dal Baronio, di cui era già apparso il volume I (Romae 1751); in una lettera del 1752 a Benedetto XIV, che è tra quelle dell'archivio fiorentino, chiese il permesso di valersi dell'aiuto d'un confratello per proseguire il lavoro: il pontefice acconsentì, ma consigliò al C. di affrontare imprese meno vaste, cosicché questi lasciò cadere il progetto. Nel 1753, avviandosi alla scadenza la prepositura generale del p. Chelucci, gli scolopi tennero i loro capitoli provinciali per eleggere i delegati a quello generale, da tenersi in Roma l'anno successivo, e il C. fu tra gli eletti per la Toscana; d'altronde la designazione non era il primo riconoscimento ottenuto dal suo Ordine, poiché già nel 1734 era stato nominato consultore provinciale ed esaminatore del sinodo fiorentino. Apertosi il capitolo generale nell'aprile 1754, i delegati emiliani diressero il loro voto sul corregionale C., costituendo il nucleo di un'ampia maggioranza che il 2 maggio l'elesse a preposito generale: nella sua persona, come prima in quella del Chelucci, si determinò una coincidenza tra vertice culturale e vertice gerarchico dell'Ordine, ed in ciò va forse vista una precisa iniziativa di papa Lambertini.
La prepositura del C., durata fino al maggio 1760, è stata studiata dal Sántha, dalla cui analisi appare che, con la sua tipica sistematicità di approccio, il C. non curò solo l'ordinaria amministrazione ed i problemi emergenti, ma mirò ad una ristrutturazione della gerarchia dell'Ordine, modificando il rapporto tra preposito ed assistenti e chiarendo le attribuzioni di questo; ciò dette alla sua direzione un carattere più collegiale del consueto, che apparve ad alcuni come indice di debolezza, mentre un esame dei concreti risultati smentisce questa valutazione. Gli si devono l'ampliamento a quindici delle province dell'Ordine, la fondazione di circa venti sedi didattiche, una applicazione scrupolosa dei deliberati dei vari capitoli. Un tentativo di disciplinare il sistema delle candidature per le varie istanze gerarchiche entro l'Ordine destò perplessità e resistenze, ma fu la base di quello poi ratificato da Clemente XIII. Il C. favorì anche il rinnovamento della didattica, concepì l'idea d'una sorta di censimento delle forze culturali dell'Ordine, promosse il riordinamento dell'archivio centrale con criteri rimasti in uso fino al primo Novecento.
Gli anni romani segnarono di necessità una pausa nell'attività del C. come studioso. Tuttavia, in parte per circostanze in cui l'interesse storico s'univa all'aspetto devozionale, egli fornì alcuni contributi, anche se ristretti ed occasionali; tra questi, la risposta alle critiche del gesuita E. Froelich al suo scritto sugli Arsacidi (Dissertatio in qua dubia... a cl. E. Froelichio proposita diluuntur, Romae 1757), ed un altro scritto di storia iranica su base numismatica, la Epistola in qua Gotarzis Parthiae Regis nummus... explicatur, Romae 1757. Inoltre, la Spiegazione di due antichissime iscrizioni greche, Roma 1756, la Relazione dello scoprimento e ricognizione fatta in Ancona dei sacri corpi di s. Ciriaco, Marcellino e Liberio, Roma 1756 (ripresa in Notizie storiche intorno a s. Liberio, Ancona 1764), ed una poesia in lode del Calasanzio (B. Iosephi Calasanctii vita carminibus expressa, Romae 1758).
A Roma il C. fu assiduo di Benedetto XIV, che amava conversare con lui, e la sua semplicità ed umanità attrassero privati studiosi come il giovane Winckelmann, per il quale la conoscenza del C. uomo e delle sue opere fu esperienza importante. Nel maggio 1760, scaduta la sua carica, egli declinò gli inviti a rimanere a Roma giuntigli anche da parte pontificia, e rioccupò la cattedra pisana sulla quale l'aveva supplito l'Antonioli. La sua capacità di lavoro era ancora tale da indurlo ad un progetto della vastità della Series Praefectorum Urbis ab Urbe condita ad annum usque MCCCLIII sive a Christo nato DC (Pisis1763 e 1766), organizzato come le precedenti opere in una Praefatio critico-metodologica sull'istituto romano della prefettura ed in un elenco (quasi completo) dei prefetti di ogni anno: la Series sarà nell'epoca uno strumento base per la storiografia su Roma, ed alcune critiche occasionali cui andò incontro furono validamente ribattute da G. Marini.
Appartengono anche a questi anni le Epistulae tres, quibus Sulpiciae Durantillae, Aureliani ac Vaballathi Augustorum nummi explicantur et illustrantur (Liburni 1761), la Epistola de Burdigalensi Ausonii consulatu (Pisis1764 e ristampata dal Püthmann a Lipsia nel 1776) e la Ad I. Ch. Trombellium... Epistola su una medaglia greca di Livia Augusta (postuma, Bononiae 1766). A Pisa, come docente di lettere, spettava al C. tenere l'orazione inaugurale dell'anno accademico; sei di queste orazioni, unitamente a due scritti agiografici e ad un De civitatibus, quarum mentio fit in Graecis nummis, furono segnalate manoscritte ancora nell'ottocento da I. Bernardi. Dopo il ritorno a Pisa il C. fu nominato storiografo dell'università, e si dedicò a ricostruirne le origini anche dopo che nel 1763, nel corso d'una conferenza nell'ateneo, fu colpito da apoplessia, riprendendosi a stento; secondo E. Micheli, la storia delle origini dell'università già stesa dal C. fu riprodotta integralmente dal Fabroni nel I volume della sua Historia Academiae Pisanae e alla questione si riferì anche F. Dal Borgo in una Dissertazione epistolare sull'origine dell'Univ. di Pisa scritta al rev.mo p. maestro O.C., Pisa 1765.
Il lavoro sull'università era giunto fino al sec. XV, quando il C. fu colpito da un secondo e più grave ictus; morì a Pisa dopo tre giorni, il 30 nov. 1765.
Fonti e Bibl.: Appunti e materiali di lavoro del C. costituiscono buona parte del ms. 506 della Bibl. della Acc. Etrusca di Cortona; sue lettere sono nel ms. 473 della stessa Biblioteca e a Pisa, Bibl. univ., Autografi Ferrucci, II,ms. 728; Benedello (comune di Pavullo nel Frignano, prov. Modena), Raccolta di Ca' D'Orsolino, ms. 1132; Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 12.564, Roma, Arch. gen. delle Scuole pie, Reg. Gen. 168-169, 207-208. Notizie sul C. si trovano in tutte le storie della letter. e filosofia italiana del sec. XVIII, qui omesse; un elenco di studi scolopi su di lui in L. Picanyol, La biblioteca scolopica di S. Pantaleo in Roma, I,Roma 1952, pp. 65-67. Novelle letterarie di Firenze, IV (1743), coll. 133, 342, 529; VII (1746), col. 65; IX(1748), col. 97; XXVII (1766), coll. 101-111; n. s., II (1771), coll. 536-539; Lettere di vari illustri italiani del sec. XVIII e XIX a' loro amici, Reggio Emilia 1841-1843, I, pp. 227-230; Epistol. di L. A. Muratori (elenco dei corrispondenti), a cura di M. Campori, Modena 1898, p. 15; L. Ferrari, L'epist. manoscritto del P. G. Grandi, in Arch. stor. lomb., s. 4, VI (1906), pp. 214-245; U. Balzani, Lettere ined. di L. A. Muratori al P. E. C., in Misc. di studi stor. in un. di A. Manno, I, 1912, pp. 447-454; A. Mercati, Lettere del P. C. a Benedetto XIV, Modena 1927; L. Picanyol, Del carteggio del Padre E. C., scolopio, Roma 1934; G. Maffei, Epistolario, a cura di C. Garibotto, Milano 1955, II, ad Indicem; J.J. Winckelmann, Lettere italiane, Milano 1961, pp. 15-18, 20-21, 42. 46 s.; A. Fabroni, Vitae Italorum., VIII, Pisis 1781, pp. 76-130; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, II,Modena 1782, pp. 144-51; Agatopisto Cromaziano [A. Buonafede], Della restauraz. di ogni filosofia nei secc. XVI, XVII e XVIII, II, Venezia 1785, pp. 178 s.; I. Bernardi, C. E., in E. De Tipaldo, Biogr. degli Italiani illustri, X,Venezia 1845, pp. 177-87; M. Ferrucci, De antiquitatis scientia in veteri Lyceo magno Pisano, Pisis 1855, pp. 23-27; R. Bobba, Saggio intorno ad alcuni filosofi ital. meno noti, Benevento 1868, pp. 208-263 (espos. molto diffusa, ma criticamente, poco valida delle Institutiones);E. Micheli, Storia dell'univ. di Pisa dal 1737 al 1859, I, Pisa 1877, pp. 8 s., 15, 56 s., 60-62; P. Riccardi, Bibl. matematica ital., Modena 1893, I, p. 378; T. Viñas, Index bio-bibliogr. Scholarum piarum, I,Romae 1908, pp. 132 ss.; J.E. Sandys, A history of classical scholarship, Cambridge 1908, II, p. 379; III, p. 99; V. Viti, Lo scolopio O.C. del sec. XVIII socio della Colombaria, Firenze 1933; A. Mancini, Spirito e caratteri dello studio del greco in Italia, Firenze 1939 pp. 409-424; A. Curione, Sullo studio del greco in Italia, Roma 1941, pp. 76 s., 100 s., 104, 114 s., 122; G. Goldoni, L'attività matematica di O. C., in Rass. frignanese, XI (1966), 15, pp. 19-23; G. Sántha, P. Eduardus Corsini a S. Silvestro O.S.P. Praepositus Generalis XIX (1702-65), Romae 1971; P. Zambelli, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, Napoli 1972, pp. 151, 154 s., 728 s.; G. Piaia, E. C., in Storia delle storie generali della filosofia, II,Brescia 1979, pp. 321-326.