CALVO, Edoardo Ignazio
Nato a Torino il 13 ott. 1773, da Carlo e da Giulia Antonia Bottacchio, trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Cinzano, dove il padre esercitava la professione di medico. Compì poi all'università di Torino gli studi di medicina, pare malvolentieri, spinto a tale scelta dalla insistenza paterna più che per spontanea inclinazione. Così almeno affermano Angelo Brofferio e alcuni altri autori sulla sua scia; questa voce potrebbe essere stata originata dallo stesso C., il quale giustificava la sua attività letteraria come un conforto, un sollievo alle amarezze provocategli da una progressione che lo poneva costantemente di fronte al dolore e alla morte. Ma questa affermazione potrebbe essere niente più che un vezzo, un motivo letterario. Certo è, comunque, che egli esercitò con coscienza e perizia la sua professione medica, quali che fossero le ragioni per cui l'aveva scelta.
Conseguita la laurea, il C. aveva maturato ormai anche delle convinzioni politiche che lo spingevano a simpatizzare per la Rivoluzione francese, di cui accoglieva soprattutto i motivi libertari e antireligiosi. Nel 1797, sospettando di essere coinvolto nei moti che in quell'anno erano scoppiati specialmente ad Asti, Alba e Moncalieri, fu costretto ad allontanarsi da Torino; già durante tale periodo, però, si era reso conto della reale natura della politica francese, tesa a soffocare ogni spirito di indipendenza nei territori conquistati e a favorire gli elementi più moderati. Al suo ritorno in patria, reso possibile peraltro proprio dall'occupazione francese del Piemonte, consolidò le sue convinzioni repubblicane e giacobine, trovandosi quindi in una situazione alquanto difficile.
È in questo periodo che inizia l'attività letteraria del C., il quale si valse della satira a scopo politico. Le prime composizioni del periodo tra il 1879 e il 1799 sono in parte ancora di contenuto genericamente antireligioso e illuministico, specie Il mondo in statu quo (suo primo tentativo poetico), poemetto eroicomico in ottave, scritto in lingua italiana, e le Folíe religiose.
Scopo di queste opere è quello di educare il popolo, rendendolo cosciente della sua credulità dovuta all'ignoranza e alla superstizione. Particolarmente chiaro quest'intento risulta nella seconda di esse, ispirata dalle sanguinose imprese delle bande armate sanfrediste (alla più famosa delle quali, quella del Brandaluccioni, il C., a quanto pare, era sfuggito a stento), in cui si sviluppa appunto la tesi che le religioni dominanti e il regime monarchico siano dannosi all'umanità in quanto fonte di fanatismo, guerre e massacri; conformemente al suo intento educativo, questa opera è scritta nel dialetto piemontese, che doveva renderla più accessibile al popolo e che anche in seguito il C. usò quasi esclusivamente nelle sue opere. Sempre in questo periodo egli compose anche le prime sei delle Favole morali scritte in terza rima piemontese, considerate la sua produzione migliore. Nel frattempo, dall'inizio del 1799, aveva avuto l'incarico di medico assistente all'ospedale di S. Giovanni Battista. Dopo la sconfitta delle truppe francesi ad opera delle forze austrorusse, il C. fu però costretto a salvarsi con l'esilio, dopo una fuga abbastanza avventurosa, pare in abiti sacerdotali. Egli tornò a Torino dopo Marengo, riprendendo l'incarico presso l'ospedale di S. Giovanni: intensificò anche la sua attività poetico-satirica portando a termine le Favole morali, che vennero date alle stampe (1802) senza indicazioni tipografiche, dato il loro contenuto antifrancese.
Questa presa di posizione politica gli procurò l'ostilità della Commissione esecutiva presieduta da C. Botta, C. Giulio e C. Bossi, cosicché il C., per evitare severi provvedimenti nel suoi confronti, ritenne opportuno ritirarsi per qualche tempo a Candiolo, ospite del conte Chiavarina, ove scrisse l'ode An sla vita d' campagna, pubblicata poi a Torino nel 1803. Tornato ben presto a Torino compose le Stanze a Mëssé Edoard e la Petision dij can a l'Ecelensa Ministr dla Poliss. Della produzione successiva è degna di ricordo A-i ven për tuit la soa, osía l'Artaban bastonà, comédia an ocasion che 'l Médich Giuli,un dij prim birbon dël pais, a l'é stait bastonà sota ij pòrti d'Pò da sior Sesca ai 7 mars 1804 con sodisfassion general, scritta in occasione della bastonatura subita da Carlo Giulio, uno dei tre membri della Commissione esecutiva. Frattanto, dall'ottobre 1801, era stato nominato segretario di una deputazione per lo studio del vaccino e in tale veste il 26 dic. 1803 lesse una interessante relazione intorno alle sue ricerche sui veleni animali. Colpito da tifo, contratto nell'esercizio della sua professione, il C. morì a Torino il 29 apr. 1804.
Il motivo quasi esclusivo della fama letteraria del C. deriva dall'uso del dialetto, che, adoperato dall'autore come mezzo per conseguire più facilmente l'obiettivo di "educare" il popolo, gli valse, se non altro, il merito di essere considerato l'iniziatore di un filone della poesia dialettale piemontese, che raggiungerà il suo culmine con il Brofferio. Il valore poetico delle opere del C. è, invece, generalmente modesto. Tra le più riuscite sono da considerare le Favole morali, in cui egli riprende i consueti schemi favolistici di modello francese, adattandoli alle circostanze politiche del tempo: ma esse, dirette soprattutto a colpire l'ipocrita politica bonapartistica nei confronti dei "patrioti" italiani con temi storico- moraleggianti, interessano più sul piano propagandistico-politico che su quello estetico. L'opera, ritenuta comunemente, e non a torto, la migliore dal punto di vista dell'ispirazione è, invece, l'ode An sla vita d'campagna, lontana dai consueti temi prediletti dall'autore, in cui si manifesta con sincerità di toni, e senza la consunta retorica di tradizione bucolica, l'amore per la campagna e per le semplici gioie che essa può dare. Più riuscito dal punto di vista della comicità e dell'arguzia è, infine, l'Artaban bastonà, scritto per mettere ancora una volta in ridicolo la Commissione esecutiva; l'opera, nonostante il titolo di Comédia, non segue gli schemi dell'azione scenica ma, pur di genere narrativo, è divisa in atti e scene anziché in capitoli, al fine di conferire un tono di gustosa epicità e drammaticità agli avvenimenti narrati.
Opere: Le poesie del C. sono state raccolte in Poesie piemontesi di E. C., a cura di L. De Mauri, Torino 1901 e ancora in E. I. Calvo, Tutte le poesie piemont., con intr. di N. Costa, Torino 1930. Altre poesie inedite del C. sono state pubblicate a cura di G. Pacotto in Ël Tör. Rivista libera dij Piemontèis, I (1945), 9-10.
Fonti e Bibl.: M. Buniva, Discours historique sur l'utilité de la vaccination, in Bulletin du Conseil Subalpin de Santé, n. 12 (1804), pp. 38 s.; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, pp. 127, 339; B. Biondelli, Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano 1853, pp. 558, 612, 654; A. Manno, Componimenti satireschi in Piemonte, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, I (1874), pp. 730, 762; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio francese, I, Torino 1889, p. 68; T. Gantesi, E. C. ..., Torino 1894; R. Ebranci, E. C., Poeta dialettale piemontese, e l'opera sua: studio, Asti 1903; A. Brofferio, Imiei tempi, VII, Torino 1904, pp. 222-265; V. Armando - T. Agostinetti, Per il primo centen. della morte di E. C. …, Torino 1905; L. Collino, Storia della poesia dialett. piemontese..., Torino 1924, pp. 97-156; N. Costa, E. C., il poeta e i suoi tempi, Torino 1928; A. Brofferio, Vita e opere di E. C., primo poeta dialettale piemontese, a cura di G. Pacotto e A. Viglongo, Torino 1930 (si trova in appendice alla cit. ediz. delle poesie del C. curata da N. Costa e contiene anche un elenco delle varie edizioni delle opere); A. Bersano, L'abate F. Bonardi e i suoi tempi, Torino 1957, pp. 42 s.; G. Pacotto La letteratura in piemontese, in Storia del Piemonte, Torino 1960, pp. 1001-1008 e ad Indicem;M. Cerruti, Neoclassici e giacobini, Milano 1969, ad Ind.; G. P. Clivio, La stagione giacobina e il problema della religione nella poesia di E. I. C., in Studi piemontesi, II (1973), I, pp. 3-26.