EDOARI DA ERBA, Angelo Mario
Nacque a Parma, ma non si conoscono, né la data di nascita (che va comunque posta nella prima metà del sec. XVI) né il nome del padre, mentre la madre era figlia di Giorgio dei Pallavicino di Varano, un ramo collaterale di questa illustre famiglia, la quale aveva subito tempo addietro la confisca dei propri beni.
Gli antenati dell'E. (Angelo, Pietroangelo, Melchiorre, Giovanni Giacomo e Giorgio senior Erba), come ci dice egli stesso (Compendio, c. 45v), furono architetti e ingegneri di professione (cfr. la voce Erba nel Diz. biogr. d. Italiani). Ma fu soprattutto lo zio paterno Giorgio che si distinse in modo particolare. Dopo aver acquistato fama di valente ingegnere presso Francesco Gonzaga, duca di Mantova, e Giovanni de' Medici, fu designato dal papa Clemente VII a sostituire, nel 1526, Antonio da Sangallo nella sovrintendenza ai lavori di costruzione delle mura di Parma (Adorni, p. 143).
L'E. non segui il mestiere dei suoi predecessori, ma si dedicò al commercio, conducendo un banco di merceria nella piazzetta della Pescheria (Pico, p. 213), vicinissima alla piazza principale di Parma. Per questa sua attività era entrato a far parte dell'arte dei merciai, certamente prima del 1546, quando il suo nome compare nell'albo contenuto nell'antico statuto della corporazione (Pezzana, p. 559). L'E. ebbe l'incarico di correggere lo statuto, ancora in latino e risalente a parecchio tempo addietro (ibid., p. 565), una prima volta nel 1555, assieme con Venturino Cavedagni, come lui anziano dell'arte, e una seconda volta, divenuto nel frattempo console, nel 1567. Il testo di questi nuovi Statuti dell'arte dei merzari, di mano dell'E., è conservato nel manoscritto Parm. 1193/2 della Biblioteca Palatina di Parma.
Ma l'attività principale dell'E. non fu di certo il commercio. Come testimoniano le numerose opere, rimaste tutte manoscritte e raccolte nelle due sezioni del manoscritto Parm. 1193, già ricordato, egli ebbe molteplici interessi culturali, tesi soprattutto ad illustrare la storia della propria città. Si mise cosi a raccogliere testi originali o in copia, anche anonimi, "con molta spesa et fatica et contrariettà grandissima d'alcuni invidiosi, o guasti o fradici la maggior parte per trascuragine et poca cura di chi gli ha" (Compendio, c. 44v). Ma anche l'E. non era certamente rispettoso dei testi, che andava via via trascrivendo, come testimoniano due zibaldoni, conservati nel Fondo parmense della Biblioteca Palatina di Parma, di mano dell'E., il manoscritto 419 e il manoscritto 1193/1. In essi si trovano numerosi testi, alcuni tradotti dal latino, spesso compendiati o comunque tagliati, modificati, corretti. Più che trascrivere integralmente la fonte, all'E. interessava soprattutto serbare ciò che stimava potergli servire, come dimostrano questi due esempi. L'anonimo Chronicon Parmense e la Cronacaparmense di Leone Smagliati ci sono conservati in due manoscritti di mano dell'Edoari da Erba. In entrambi i casi il copista intervenne pesantemente sugli originali: nel caso del Chronicon tradusse alcuni brani dal latino in volgare, in quello dell'opera dello Smagliati tagliò quasi certamente la prima parte, probabilmente perché per quel periodo disponeva di altre fonti e quindi giudicò non necessario accumulare altro materiale.
Per questo suo metodo di trascrizione delle fonti in suo possesso (spesso in un unico esemplare e oggi irreperibili) l'E. non ha avuto, nella storiografia recente, giudizi lusinghieri. Valga fra tutti quello di Giuliano Bonazzi, il quale nell'Introduzione al Chronicon, cosi si espresse: "fornito di mediocrissimo ingegno e più che mediocre cultura … il suo titolo di benemerenza se l'acquistò coll'amore che pose nel raccogliere tutte le cronache … Se non che, per disgrazia, invece di conservarci integralmente il ricco materiale storico che dovette venirgli a mano … ne storpiò ad orecchio il latino, scorciando e tagliando senza misericordia" (pp. Vs.).
Tuttavia, tra gli storici del tempo, Bonaventura Angeli, Vincenzo Carrari, Ranuccio Pico, l'E. godé di buona fama, soprattutto come esperto conoscitore di cose patrie. Per questo gli vennero commissionate numerose ricerche, per la maggior parte di carattere genealogico, tutte conservate nel manoscritto Parm. 1193/2.
Il primo che ricorse all'opera dell'E. fu Camillo Vico, per il quale egli scrisse nel 1563un Discorso de l'origine et nobilità di Vicchi di Parma. Seguirono i Sanvitale, per i quali l'E. compilò quattro memorie. La prima risale al 1570; la seconda, intitolata Discorso fatto sopra la casa Sanvitali e corredata di due tavole genealogiche, venne indirizzata al conte Paolo Sanvitale, abate di Badia Cavana (in provincia di Parma); la terza, richiestagli dal conte Roberto, verte Sopra la prima et seconda tavola et sopra l'arbore della famiglia illustre di Sanvitali di Parma, l'anno 1575; allo stesso conte Roberto era stata già indirizzata, nel 1574, la quarta memoria, che reca il titolo Sopra l'arbore, origine et geneologia della illustre famiglia di signori conti Sanvitali di Parma con la dechiaratione del medesimo di detta nobilissima famiglia. Già nel 1572Giacomo Ugolino Cornazzano aveva chiesto all'E. di raccogliere le memorie della sua famiglia, da inviare a Barnaba Cornazzano, che si stava addottorando presso l'università di Pavia. L'operetta dell'E., intitolata De l'antichità et nobilità di Cornazani di Parma, corrispose all'aspettativa di Barnaba, che giudicò l'autore "homo di giuditio e di bone littere" (lettera autografa del 10 giugno, conservata assieme alla memoria). Infine l'E. fu incaricato da Francesco Ramisini di trovare un legame tra questa famiglia e quella dei Ramesini, sterminata in parte da Azzo da Correggio nel 1337. Nonostante un accurato esame delle fonti, egli non riusci nell'intento. Tuttavia raccolse in un opuscolo, dal titolo Della famiglia di Ramisini, tutto quanto aveva scoperto. A una nuova richiesta del Ramisini, l'E. si rifiutò proprio per il silenzio delle fonti, di accettare l'incarico.
Anche Vincenzo Carrari per la sua Historia de' Rossi parmigiani (Ravenna 1583) dovette ricorrere, come riconosce nella premessa, all'E., il quale, oltre a riferirgli molti fatti a lui sconosciuti, riscontrò punto per punto, su testi privati e pubblici, ogni notizia raccolta. E non è escluso che anche Bonaventura Angeli abbia attinto, per la sua Storia della città di Parma (Parma 1591), alle opere dell'Edoari da Erba.
Certamente il proposito dell'E., nel raccogliere non solo queste notizie sulle famiglie parmigiane ma anche tutto quanto era stato scritto su Parma, andava oltre queste consulenze e queste commissioni. Egli si proponeva di scrivere una storia di questa città, mai tentata prima di allora, storia che, stando alla sua testimonianza ("l'autore … s'è dato a scrivere d'anno in anno dai primi habitatori … fino a questi tempi di successi particolari suoi un massimo et compendiosissimo raccolto": Compendio, cc. 44v-45r), corroborata da quelle dell'Angeli (p. 18) e del Pico (p. 213), portò effettivamente a compimento, ma della quale non c'è pervenuta alcuna copia. Da questa cronaca trasse un Compendio coppiosissimo de l'origine, antichità, successo et nobilità de la città di Parma, che arriva fino al 1572, terminato l'anno successivo, il cui originale è conservato nella Biblioteca Palatina di Parma (Parm. 1193/2). Le numerose copie rimasteci (sette nella stessa Biblioteca e una nell'Archivio di Stato di Parma) testimoniano come l'opera dovette godere di un discreto credito, soprattutto nell'ambiente colto del tempo.
L'opera maggiore dell'E. è divisa in quattro parti, precedute da un proemio. Nella prima si tratta dell'origine del nome di Parma, del modo col quale venne conquistata dai Romani, delle famiglie nobili e della prosperità del territorio. Nella seconda vengono ricordati gli eventi più importanti, assieme ai nomi di coloro che la dominarono e la reggono al presente. La terza è dedicata a quei personaggi che, venuti da fuori, lasciarono memoria di sé, ai vescovi e ai santi. Nella quarta, infine, vengono tracciati i profili dei cittadini più eminenti nei vari campi del sapere.
Oltre a questo Compendio, che, per la sua origine, è più una cronologia che una narrazione storica, e alle memorie prima ricordate, l'E. scrisse altre numerose opere, come risulta dall'elenco inserito nel Compendio (cc. 44v-45r). Se molte di esse, come annota lo stesso autore, al momento della stesura del Compendio erano "imperfette o smarrite" (c. 45r), ne sono rimaste alcune, tutte raccolte nel manoscritto Parm. 1193/2, minutamente descritte dal Pezzana (Continuazione, pp. 563-566).
L'E. mori attorno al 1590, quando l'Angeli, come dice egli stesso, stava scrivendo la sua Historia di Parma, che venne stampata nel 1591.
Fonti e Bibl.: Chronicon Parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, in Rerum Ital. Script., 2 ediz., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, pp. V-XV; L. Smagliati, Cronaca parmense (1494-1518), a cura di S. Di Noto, Parma 1970, pp. 20-25; V. Carrari, Historia de' Rossi parmigiani, Ravenna 1583, p. [9]; B. Angeli, La historia della città di Parma et la descrittione del fiume Parma, Parma 1591, p. 18; R. Pico, Appendice de' vari soggetti parmigiani, Parma 1642, pp. 212-213; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, IV, Parma 1793, pp. 168-174; A. Pezzana, Continuazione delle memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VI, 2, Parma 1827, pp. 559-567; U. Benassi, Il cronista parmigiano Leone Smagliati, Parma 1899, pp. 19-26; B. Adorni, L'architettura farnesiana a Parma, 1545-1630, Parma 1974, pp. 142-146; P. Conforti, Le mura di Parma, I, Parma 1979, pp. 136-146.