ARROYO, Eduardo
Pittore spagnolo, nato a Madrid il 26 febbraio 1937. Frequentato il liceo francese di Madrid e assolto in anticipo l'obbligo militare per lasciare al più presto la Spagna, si stabilisce a Parigi nel 1958. Abbandonato il giornalismo per la pittura, nel 1960 partecipa al Salon de la Jeune Peinture che lo vedrà anche in seguito tra i suoi protagonisti. Alla Biennale di Parigi del 1963, dopo alcune personali, presenta, congiuntamente ad altri artisti, L'Abattoir, un lavoro polemico di gruppo costituito da un insieme di pitture e sculture: A. raffigura causticamente, ma con concessioni alla censura, Franco, Salazar, Hitler e Mussolini. Con una sua autonoma posizione all'interno della nuova figurazione è invitato alla mostra Mythologies quotidiennes del 1964 a Parigi, curata da G. Gassiot-Talabot. Nel 1965 all'insegna de La figuration narrative, proseguendo nell'esperienza dell'opera collettiva, espone con gli amici G. Aillaud e A. Recalcati Vivre et laisser mourir ou l'assassinat de Marcel Duchamp alla Galerie Creuze: la serie di otto tele costituisce un drastico atto d'accusa della cultura borghese di cui Duchamp sarebbe esponente esemplare, tanto più pericoloso in quanto mascherato. Vive attivamente gli avvenimenti del maggio parigino del 1968 e organizza l'Atelier populaire des Beaux Arts non senza una successiva esigenza di rimeditare tale esperienza e ritrovare una più definita identità politica. Più assidua diventa la permanenza in Italia e dal 1969 collabora con K. M. Grüber alla scenografia di opere di A. Adamov, A. Berg, R. Wagner, F. Arrabal, ecc. Dopo la morte di Franco torna nel 1976 in Spagna e l'anno seguente espone a Barcellona, Madrid e Valencia; nel 1982 riceve il premio nazionale per le arti plastiche e a Madrid allestisce una retrospettiva, come anche al Centre Georges Pompidou a Parigi. Il Guggenheim Museum di New York gli dedica una personale nel 1984.
Nel rifiutare le forme contemporanee della pittura astratta, giudicate soggette a vieti compromessi e a vacuità uniforme, A. sostiene e scrive negli anni Sessanta che il pittore deve sottomettere l'arte del dipingere alla sua aderenza ideologica ai fatti. L'indifferenza allo stile e alla coerenza dei mezzi pittorici costituisce il presupposto per uscire dall'arte come estetica e concepirla, invece, come storia di fatti concreti, esibiti con la forza dell'immagine. Criticando la pittura militante per quanto essa ha di enfasi retorica o di ufficialità programmatica, A. con la sua figurazione narrativa tra autobiografia e storia, parodie di dipinti di maestri e ritratti, realizzazioni plastiche, oggetti paradossali, sperimentazioni tecniche e materiche, vuole compiere una denuncia politica e culturale che più di recente si ripiega in una riflessiva solitudine con ripensamenti meno dogmatici sulla questione dell'arte. Vedi tav. f. t.
Bibl.: G. Gassiot-Talabot, Arroyo ou la subversion picturale, in Opus International, 1967; J. Clair, Art en France, une nouvelle génération, Parigi 1972; V. Fagone, E. Arroyo. Opere e operette, Galleria Arte Borgogna a Milano, Firenze 1973; P. Astier, Les ma^itres de la peinture moderne, Eduardo Arroyo, Parigi 1982; Eduardo Arroyo, 20 años de pintura 1962-1982, Sale Pablo Ruiz Picasso, Madrid 1982; Eduardo Arroyo, Musée National d'Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi 1982; Eduardo Arroyo, Guggenheim Museum, New York 1984. Scritti di E. Arroyo: España, il poi viene prima, Milano 1973; Panama Al Brown 1902-1951, Parigi 1982.