Averch-Johnson, effetto di
Tendenza alla sovracapitalizzazione, riscontrabile nelle imprese che operano in un regime di monopolio naturale e che tentano di aumentare i propri profitti, a fronte di una regolazione che fissa un netto massimo al loro tasso di rendimento unitario (al rapporto profitti/capitale). Furono H. Averch e L. Johnson, nel 1962, a rilevare questa tendenza. Partendo dal presupposto che commissioni pubbliche di controllo agiscano determinando il tasso di rendimento massimo consentito all’impresa, e che l’azienda, da un lato, operi in condizioni di rendimenti di scala crescenti e, dall’altro, abbia la possibilità di decidere l’entità e le quote di fattori utilizzati nonché il prezzo del bene/servizio offerto, essi dimostrarono come un siffatto sistema di regolamentazione possa generare distorsioni tecniche e inefficienze allocative. Le commissioni pubbliche di controllo, in altri termini, fissando il rendimento massimo consentito, provano a limitare i profitti dell’impresa, lasciandola però libera di scegliere la quantità di capitale e il rapporto capitale/lavoro impiegato. In tal modo l’impresa è spinta, da un lato, a selezionare i fattori da utilizzare in maniera antieconomica e, dall’altro, a espandersi verso altri settori regolamentati, anche se in questi ultimi potrebbe avere prospettive di perdita di lungo periodo. Ciò porta a investimenti eccessivi di capitale rispetto al livello efficiente e a una conseguente distorsione del prezzo di mercato.