TOLA, Efisio Antonio Aloisio.
Nacque a Sassari il 15 giugno 1803, sesto e ultimo figlio di Maria Teresa Tealdi e di Gavino Tola Sussarello.
Il padre apparteneva a una facoltosa famiglia di antica tradizione, che rivendicava diplomi di nobiltà risalenti all’inizio del XVI secolo, al regno di Carlo I di Spagna e, ancor prima, la concessione della dignità equestre ereditaria da parte di Ferdinando il Cattolico al capostipite Leonardo, combattente di Granada nel 1492. Gavino era laureato in utroque iure e, anche se nei ricordi di uno dei figli «raramente e pe’ soli congiunti patrocinò nel foro» (Deledda, 1931, p. 62), assicurò una formazione analoga ai primi tre discendenti maschi: Giovanni Antonio (1793-1856), Francesco Maria (1799) e Pasquale (1800-1874). Tutti avviarono carriere di rilievo nelle magistrature isolane e nelle istituzioni del Regno di Sardegna: in particolare, Giovanni Antonio e Pasquale sedettero entrambi a più riprese alla Camera dei deputati nelle prime cinque legislature del Parlamento subalpino.
Efisio frequentò a Sassari la scuola di grammatica, retorica e umane lettere dei padri scolopi e, stando a un profilo commemorativo redatto a inizio anni Cinquanta dal fratello Pasquale, di soli tre anni più grande, fu avviato proprio da lui allo studio della filosofia, che proseguì poi fino a conseguire il titolo di maestro nelle arti liberali nella locale università. Era il 1821. Di lì a poco, non ancora ventenne, Efisio intraprese una strada che a prima vista divergeva sia dalla formazione avviata sia dall’esempio dei fratelli maggiori, e si orientò alla carriera militare.
In realtà, oltre che una professione per la quale il giovane si sentiva – ancora secondo il fratello – «potentemente inclinato» (ibid., p. 62), una tale prospettiva risultava ben inquadrata tanto nelle memorie quanto nelle strategie familiari. Profili biografici fortemente celebrativi nella seconda metà del XIX secolo attribuivano la scelta delle armi a un presunto orientamento patriottico maturato da Tola nelle vicende rivoluzionarie di quegli anni, ma i corpi in cui ce lo restituisce il suo stato di servizio suggeriscono piuttosto che la scelta vada letta, al pari delle carriere civili dei fratelli, in linea con le strategie di accreditamento della nobile famiglia sarda negli apparati statali sabaudi.
Anche se non ci sono prove per escludere l’eventualità di un interessamento del giovane al breve tentativo costituzionale del 1821 – la cui memoria, peraltro, associata al richiamo mobilitante dell’evocazione di una guerra contro l’Impero asburgico, non si disperse tra le file dell’esercito sabaudo neppure negli anni seguenti – il suo arruolamento volontario data però a un’epoca di conclamata reazione politica. È dell’aprile 1823 il suo assènto, a Cagliari, nelle Guardie del corpo reali: corpo che godeva di una peculiare prossimità alla Corona e di speciali benefici, quali paghe più alte rispetto ad altri reparti dell’esercito e il diritto al ricovero e alla cura gratuita nell’ospedale torinese dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Il mese seguente si registrò la prima guardia del giovane al re Carlo Felice, a Moncalieri, e nel gennaio 1824 ebbe un posto d’onore nel picchetto e nel corteo funebre dell’ex sovrano Vittorio Emanuele. Il «Cav. Tola» appartenne alla terza compagnia di Guardie del corpo, quella riservata ai sudditi di origine sarda, e in essa raggiunse il grado di sottotenente. Per cinque anni prestò il servizio ordinario presso la famiglia reale, e quasi sempre presso il re, nella capitale e nelle residenze reali di Moncalieri, Stupinigi, Govone, Agliè. Seguì più volte i sovrani in servizio straordinario di scorta e di guardia nei loro spostamenti per il Regno, dalla Savoia a Genova.
In particolare, nella città ligure risiedé per molti mesi, nel 1825 e, più a lungo, nel 1827, ma non è provato che sia entrato in contatto con ambienti settari e di sicuro non vi fece la conoscenza del coetaneo avvocato Giuseppe Mazzini. Cinque anni dopo il primo ingaggio, nell’aprile 1828 proseguì la carriera di ufficiale nella brigata Pinerolo, prima come sottotenente d’ordinanza e dal 1831 come luogotenente provinciale in continuato servizio. Fino al 1833 la brigata fu di stanza a Torino, per spostarsi poi a Chambéry, secondo il piano di movimento periodico delle truppe in tempo di pace allora in uso.
Tola era assegnato alla quarta compagnia fucilieri del primo reggimento della brigata, recentemente installata nel capoluogo della Savoia, quando tra il maggio e il giugno 1833 fu implicato in uno dei processi celebrati nel Regno contro la Giovine Italia, organizzazione segreta attiva da appena due anni e di cui allarmavano il radicalismo degli ideali politici, unitari e repubblicani, la prospettiva di un’imminente insurrezione coordinata in vari punti dello Stato e collegata ad analoghi movimenti a Lione e, non da ultimo, le estese ramificazioni tra le file dell’esercito, specie nei bassi ranghi.
In questo contesto, la condanna e l’esecuzione di Tola trasformarono un oscuro e alquanto defilato militare in uno dei primi ‘martiri’ mazziniani (per la precisione il secondo, dopo la fucilazione poche settimane prima a Chambéry del caporale furiere Giuseppe Tamburelli, nel quadro dello stesso procedimento). Da allora la vicenda di Efisio Tola fu circondata da una spessa patina retorica e andò soggetta a duraturi, mutevoli e perfino contrastanti tentativi di appropriazione. Il che rende complesso valutare – in presenza delle sole fonti processuali e di rarissime corrispondenze di personaggi coinvolti nell’affaire – quale fosse il suo reale coinvolgimento nella propaganda e nella cospirazione mazziniana che gli fu imputato dai duri apparati repressivi dei primi anni di regno di Carlo Alberto e che la memoria pubblica successiva ha non solo certificato, ma ha decisamente amplificato. Il nome di Tola non compare nel Protocollo della Giovine Italia (Imola 1916-1922) e nell’epistolario e negli scritti politici di Mazzini figura, in verità assai sporadicamente, quasi solo all’interno di elenchi di caduti. Segno al massimo di generici e forse appena avviati contatti di Tola con membri e attività dell’associazione.
In effetti – e si trattò probabilmente di una delle principali ragioni di sospetto sul suo conto, ancor più delle contraddittorie presunzioni a suo carico ricavate dalle deposizioni di alcuni militari, talora in cambio di sconti di pena – il trentenne ufficiale era solito frequentare il collega Nicola Arduino, affiliato alla Giovine Italia dal 1832 e tra i capofila delle cospirazioni ordite in Savoia. E quando, nel maggio 1833, lo stesso Arduino, alle prime avvisaglie di istruttorie segrete tra le truppe – preludio alla creazione di una commissione d’inchiesta e, per gli imputati per cui questa accertasse i più gravi indizi di colpevolezza, del giudizio da parte di un Consiglio di guerra –, decise di fuggire mettendosi in salvo in Francia, lui e Tola occupavano da qualche giorno la stessa abitazione. Ma stando a una sua lettera indirizzata nell’autunno seguente agli ormai ex commilitoni della brigata Pinerolo, il «buon Tola» sarebbe stato una «vittima innocente della più ingiusta persecuzione [...]. Tola non poteva essere condannato, Tola era innocente. Egli non sapeva, che vagamente il malcontento, che stava per manifestarsi, ma non conosceva né punto né poco, che vi fosse una cospirazione, e tanto meno vi aveva parte» (Mastellone, 1960, p. 267). Da una lettera precedente, scritta ancora da Arduino a Tola subito dopo la fuga, intercettata e allegata agli atti del processo, si ricava l’impressione di una franca intimità e di una fiducia reciproca tra i due, nonché di una consuetudine al confronto su materie politiche. Tola sembra a conoscenza (cosa che negò durante l’interrogatorio) che fosse l’amico l’autore delle anonime Istruzioni alla gioventù in forma di Dialogo fra il capitano e il soldato, una delle prime opere a stampa cadute in mano agli inquirenti insieme a vari opuscoli della Giovine Italia e ad altri testi politicamente compromettenti, ma nella sua lettera Arduino lo ascriveva ancora ai sostenitori della monarchia: «siete voi, schiavi del dispotismo, che operate contro la volontà del Cielo, contro l’evidenza, e contro il vero e reale interesse della patria. [...] Non sei ancora capace di provarlo il bello e dolce amor di patria, troppo tieni ai tuoi comodi, ed all’abbagliante, e vano splendore delle spalline» (Trucco, 1929, p. 51).
A oggi è difficile stabilire se si trattasse di parole sincere, di uno scrivente che pure appare informato dei primi arresti, o di parole studiate per non compromettere un compagno: nel secondo caso, il gesto appare alquanto maldestro e arrischiato, al punto che il difensore di Tola dinanzi al Consiglio di guerra poté cercare di far passare quel documento per una vendetta personale. Inutilmente.
Tola fu accusato di aver avuto fra le mani e diffuso libri e scritti sediziosi, di essere stato a conoscenza di una cospirazione senza riferirne ai superiori o ad altre autorità per sventarla e di aver anzi cercato di fare proseliti nell’esercito. Condannato a morte ignominiosa il 10 giugno 1833 in base all’articolo 144 del Regio editto penale militare del 1822, fu degradato e fucilato nel Campo di Marte di Chambéry alle cinque della mattina del giorno 12 giugno 1833.
Delle sette condanne a morte comminate (oltre alle cinque contro disertori irreperibili), solo altre due furono eseguite: due dei condannati alla pena capitale, tra cui Arduino, erano infatti contumaci e due per le loro rivelazioni furono graziati. Notevole lo spazio e i dettagli che pochi giorni dopo la Gazzetta piemontese del 18 giugno 1833 dedicò all’esecuzione. Durante il processo Tola aveva negato ogni addebito e dignitosamente evitò di compromettere alcuno, tuttavia secondo il foglio governativo le sue ultime parole sarebbero state un’esortazione ai commilitoni «a non lasciarsi distrarre mai neppure per un momento dal sentiero della religione, del dovere e dell’onore che legge fanno unanime ed uguale di fedeltà al sovrano; ed invitolli a mirare in lui un terribile esempio dell’abisso in cui guida un primo passo falso inconsiderabilmente dato in opposta via, che dimostrata viene, in sul principio, da chi la addita come conciliabilissima coi sacri doveri suddetti; ma ben presto spingendo l’incauto che vi cammina, in tenebrosi e tortuosi giri, lo guida nella regione dei delitti anche li più atroci dai quali dato non gli è più di ritrarre il piede». La prima martirizzazione del personaggio iniziò su un foglio governativo e fu di segno reazionario: ispirato al modello agiografico non diversamente da quanto sarebbe accaduto di lì a poco nei principali martirologi patriottici italiani, che ne accolsero con intenti opposti il profilo, il sacrificio di un ufficiale descritto come traviato, ravveduto e sereno per la condanna subita era per il momento offerto dai partigiani dell’ordine alla meditazione dei militari e di quanti avessero giurato fedeltà all’esistente. In ambiente mazziniano si oscillò a lungo tra la celebrazione della figura di Efisio Tola come quella di un confratello (il suo nome compare nella nota medaglia in bronzo Ora e sempre. La Giovine Italia ai suoi martiri realizzata da Scipione Pistrucci a Londra nel 1844) e come quella di una mera vittima dell’assolutismo. Tensione che attraversò la stessa memoria di una famiglia già ben inserita negli apparati statali sabaudi e ferma nella fedeltà dinastica, con il conservatore Pasquale tormentato per decenni attorno al caso del fratello (come testimoniano i ricchi documenti raccolti in vita – tra cui copia ufficiale degli atti del processo ottenuta dall’Archivio di Stato di Torino – e conservati oggi tra le sue carte alla Biblioteca comunale di Sassari). La sua eredità fu raccolta dai nipoti, uno dei quali riuscì nei primi anni Settanta a procurarsi perfino un (presunto) frammento osseo del cranio dello zio – reliquia familiare più tardi ceduta al municipio della città natale – e apparentemente furono meno a disagio con le ripetute appropriazioni non solo nazional-patriottiche, ma di segno radicale, repubblicano o irredentista a cui la memoria dell’avo diede luogo in epoca postunitaria e in particolare in Sardegna al volgere del secolo.
Sulla famiglia: V. Prunas-Tola, Storia della famiglia De Tola di Sardegna con albero geneaologico, Torino 1912. Per i dettagli sui primi anni della carriera militare: Biblioteca Reale di Torino, Manoscritti Militari, 49, Guardie del corpo di S.M., Registro del Servizio generale del corpo, 1818-1831; 52, Ruolo generale delle quattro Compagnie e Stato maggiore, Guardie del corpo di S.M. Sul loro contesto: F.A. Pinelli, Storia militare del Piemonte, III, Torino 1855, pp. 41, 48; Sunto storico della Brigata Pinerolo dal 1672 al 1904, Padova 1904, passim; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, pp. 136-138; B. Montale, L’esercito sardo e la congiura della Giovine Italia (1833-34), in Bollettino della Domus Mazziniana, XXXI (1985), 1, pp. 17-29; S. Ales, L’armata sarda della Restaurazione (1814-1831), Roma 1987, p. 35; Id., L’armata sarda e le riforme albertine, Roma 1987, p. 19. Per gli atti del processo, frammenti di carteggi e scritti del fratello Pasquale e per una collezione di trascrizioni di memorie e opere storiche, articoli di giornale in copia o in originale risalenti soprattutto alla seconda metà del XIX secolo e ai primi anni del XX, ulteriori carteggi familiari e altri documenti: Biblioteca comunale di Sassari, Fondo Pasquale Tola, b. 25; Ms. D.IV C.12. Per la memoria di segno patriottico durante il Risorgimento: A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, II, Torino 1850, p. 136, e (accresciuta) Firenze 1860, p. 280; E.T. (1803-1833) in Panteon dei martiri della libertà italiana, II, Torino 1851, pp. 526-533; G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, V, XXII, XLIV, LIX, LXIX, LXXVII, Imola 1909-1938, ad indices; E. Costa, Sassari, I, Sassari 1992, pp. 425 s., 621 s.; II, p. 1150. Ricostruzioni e analisi storiografiche: A.F. Trucco, Congiure e cospiratori in Piemonte nel 1831 e nel 1833, Casale Monferrato 1929, pp. 30-33 (antologia di documenti pp. 37-52); E. Passamonti, Nuova luce sui processi del 1833 in Piemonte, Firenze 1930, p. 95; S. Deledda, Una biografia inedita su E. T., in Mediterranea, V (1931), 8-10, pp. 59-67; Id., I processi di Chambéry nel 1833 ed E. T., ibid., IX (1935), 1, pp. 1-12; S. Mastellone, Mazzini e la ‘Giovine Italia’ (1831-1834), II, Pisa 1960, pp. 30, 267 s.; M.T. Ponti, E. T., Sassari 1959; T. Orrù, Echi e riflessi della fucilazione di E. T. a Chambéry nel 1833 secondo le carte della sua famiglia e nella letteratura contemporanea e successiva, in Archivio storico sardo, XXXV (1986), pp. 275-322; P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, Torino 1993, p. 203.