CUGIA, Efisio
Nacque a Cagliari il 27 apr. 1818 da Diego e da Speranza Palliaccio. Il padre, proprietario di vasti possedimenti terrieri nell'isola, discendeva dalla famiglia che nel 1716 aveva ricevuto dall'imperatore Carlo VI il marchesato di Sant'Orsola: da allora molti Cugia avevano scelto la carriera delle armi, e nel rispetto di quella che era una tradizione di famiglia, anche il C., compiuti i primi studi, fu iscritto all'Accademia militare di Torino. Ne uscì nel 1837 con i gradi di luogotenente d'artiglieria. Undici anni dopo, promosso capitano, aveva modo di dimostrare il proprio valore nella guerra all'Austria guadagnando due medaglie d'argento per il brillante comportamento della batteria da lui comandata a Goito (30maggio 1848) e a Novara (23 marzo 1849).
Il fatto di eccellere in un organismo per molti versi stremato come l'esercito piemontese d'allora, oltre a rivestire carattere d'eccezionalità, testimoniava la presenza nel C. di qualità che forse non erano solo quelle professionali se, pochi mesi dopo, il Cavour lo presentava a G. Torelli come "un giovane ufficiale che rappresenta la parte eletta dell'esercito, quella cioè che accoppia ai sentimenti d'onore e di valore militare, opinioni larghe e saviamente liberali" (Chiala, I, p. 420). Era il riconoscimento di un'apertura mentale, della capacità di superare l'ottica limitata dell'ufficiale per guardare a problemi più vasti; e, a quanto risulta, era il primo che veniva dall'uomo di Stato all'ombra del quale si sarebbe svolta tutta la prima parte dell'attività politica del Cugia.
Tale attività politica ebbe inizio il iS genn. 1855 con l'elezione alla V legislatura del Parlamento subalpino in rappresentanza del collegio di Lanusei e proseguì ininterrottamente fino all'XI legislatura, ai cui lavori il C. fu designato dal collegio di Macomer (27 nov. 1870). Fino all'VIII legislatura il C. assolse degnamente alle funzioni di collaboratore assegnategli da Cavour operando su più livelli e sempre in maniera discreta: nel luglio del '56, ad esempio, partecipò come addetto militare alla missione dell'inviato straordinario M. Broglia conte di Casalborgone in Russia per rappresentare lo Stato sabaudo all'incoronazione dello zar Alessandro II e riprendere così le relazioni interrotte nel '48: nella sosta a Pietroburgo il C., dal 19 genn. 1855 promosso maggiore, poté studiare la situazione e gli orientamenti di quell'esercito da poco sconfitto in Crimea. Si trattò, comunque, di una parentesi, perché il lavoro più assiduo ed efficace il C. lo svolse in Parlamento, dando prova di un equilibrio e di una misura che, se da un lato gli permettevano di stare in contatto con l'agguerrita opposizione sarda a Cavour nel tentativo di smussarne le asperità in un confronto che gli stessi avversari giudicavano leale, dall'altro, su un piano ufficiale, lo destinavano a compiti di indubbia responsabilità.
Fu infatti proprio a lui che toccò nella primavera del '57fare il relatore di uno dei progetti di legge più qualificanti della politica economica cavouriana, quello sul trasferimento della marina militare da Genova a La Spezia, un progetto che fu approvato anche grazie alla ferma difesa che il C. oppose agli attacchi dei democratici liguri cui dimostrò come il provvedimento, ineccepibile sotto il profilo tecnico-finanziario, fosse anche "assolutamente necessario nell'interesse del commercio della città di Genova" (Atti del Parlamento subalpino, Camera, Discussioni, V legislatura, sessione del 1857, II, p. 1761).
Il 1859 riportò il C., che il 16 marzo di quell'anno era stato promosso al grado di luogotenente colonnello, sui campi di battaglia: assegnato allo Stato Maggiore della divisione Cialdini, egli combatté a Palestro (30 maggio) e conseguì la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia, ma soprattutto, a contatto con i volontari di Garibaldi che il Cialdini aveva avuto l'incarico di organizzare, maturò in proposito una visione di parziale apertura che ancora una volta coincideva con quella del Cavour nel momento in cui auspicava una sia pur strumentale istituzionalizzazione del fenomeno volontaristico (G. Massari, 1959, p. 182). Cavour dovette apprezzare molto questa sua capacità di valutare le situazioni se, a dicembre del '59, lo convinceva ad abbandonare la direzione del Collegio militare di Milano. che dopo Villafranca il C. era stato incaricato di allestire, per seguire in Toscana C. Bon Compagni, designato al ruolo di governatore della lega dell'Italia centrale. Il C. avrebbe dovuto fungere da segretario generale, ma il vero ruolo era quello di osservatore e di informatore prezioso sul sentimento unitario dei Toscani per un Cavour che, pur fuori del governo, teneva sempre in mano le redini della politica piemontese e preparava le annessioni.
Terminata anche questa missione, il C. tornò in seno all'esercito ancora col Cialdini, come capo di Stato Maggiore del Gran Comando di Bologna, da dove prese le mosse la spedizione che nel settembre del '60 invase lo Stato pontificio e sconfisse Lamoricière a Castelfidardo: quel giorno il C., alla testa della brigata Como, attuò un'importante mossa tattica occupando Osimo e Camerano - quest'ultima di propria iniziativa - e bloccando la marcia del nemico verso Ancona, tanto da essere considerato "l'uomo cui militarmente, dopo il Cialdini, va dato il maggior merito del successo" (De Cesare, p. 375). Un mese dopo era maggiore generale e a Napoli, nominato dal luogotenente Farini direttore degli affari della guerra, era coinvolto tra la fine del '60 e l'inizio del '61 nella spinosa questione dello scioglimento dell'esercito meridionale: lo stesso paese a suo dire "valeva meglio perdere che conservare" (Sclopis, p. 290). Di li a poco era di nuovo a Torino, responsabile della Direzione generale delle armi speciali al ministero della Guerra: la sua competenza in materia era tale che, morto Cavour, il nuovo primo ministro Ricasoli gli affidò la direzione generale del ministero della Guerra, di cui egli stesso assunse l'interim ma che in pratica per due mesi restò in mano al C., il quale forse così raccoglieva un premio per non avere esitato il 19 apr. 1861 a intervenire alla Camera contro l'ordine del giorno Garibaldi sul riconoscimento dei gradi agli ufficiali dell'esercito meridionale. E proprio a Garibaldi lo contrappose la missione che ricevette da Rattazzi quando, nel luglio del '62, si profilò il pericolo di una spedizione contro lo Stato pontificio.
In un rapporto al Fanti e nella discussione parlamentare del 25 nov. 1862 il C. rifece la storia del suo intervento in Sicilia, iniziato il 3 agosto con l'arrivo a Palermo nelle vesti di prefetto e terminato il 26 agosto dopo che, nonostante il conferimento di ampi poteri e la dichiarazione dello stato d'assedio, non era riuscito ad impedire il passaggio del corpo garibaldino sul continente. Il suo convincimento iniziale di poter controllare facilmente la situazione era svanito di fronte alla risposta popolare all'appello di Garibaldi e, più ancora, all'atteggiamento poco chiaro del governo: anche alla Camera il C. non dissociò le proprie responsabilità da quelle del governo, al quale attribuì il fallimento della tattica temporeggiatrice da lui adottata perché - come egli spiegava al Fanti - "non avesse a deplorarsi uno scoppio di guerra civile" (Roma, Museo centrale del Risorgimento, b. 554/12/3): un timore fondato, il suo, e tale da giustificare un comportamento che alla Camera sarebbe stato elogiato dal siciliano V. D'Ondes Reggio (seduta del 30 novembre 1862).
La crisi di Aspromonte fu superata con l'intervento del Cialdini, ma sul C. restò per qualche tempo l'impronta del capro espiatorio; e la "sua condotta debole a Palermo" forniva il pretesto, ancora nel marzo del '63, per una sua mancata chiamata al governo (Carteggio tra M. Minghetti e G. Pasolini, III, p. 276). Il C. comunque non dovette aspettare molto, e il 21 apr. 1863 assunse nel governo Minghetti il dicastero della Marina.
"L'opera del generale Cugia al Ministero della Marina fu intensa e produttiva... molti problemi furono avviati a soluzione e finalmente nella Marina si ebbe la sensazione che una linea direttiva chiara guidasse la politica navale del paese" questo il bilancio tracciato da uno storico (Gabriele, p. 238) a conclusione di un dettagliato esame del lavoro svolto dal C. nei quindici mesi della sua amministrazione: alla caduta del governo Minghetti (27 sett. 1864) la flotta italiana si era rinnovata senza che il bilancio ne risentisse e con un ricorso preferenziale all'industria navale nazionale; ma soprattutto, nella prospettiva di un conflitto con l'Austria, si era cominciato a superare, con l'addestramento continuo di uomini e mezzi, quella mancanza di coesione che derivava alla marina italiana dalla diversa origine delle sue componenti. Il C. non poté ovviare a tutti i difetti, anche per certe resistenze degli ambienti più tradizionalisti, ma, come dimostrò l'intervento a fianco dei Francesi e degli Inglesi nella crisi tunisina del '64, la flotta italiana era sulla buona strada; e, se il progetto di piano organico preparato dal C. fosse stato approvato, a Lissa, due anni dopo, la flotta si sarebbe battuta forse con miglior fortuna.
Nella guerra del '66 il C., dal '64 luogotenente generale, comandò l'VIII divisione del 3° corpo d'armata, una delle più impegnate nella giornata di Custoza; un suo vigoroso contrattacco parve preludere ad un rovesciamento delle sorti della battaglia, ma il successo del C. fu effimero e la sua divisione non riuscì ad opporsi agli assalti austriaci; tuttavia se è vero che, come è stato scritto, "a sua azione avrebbe potuto essere più energica" (Pollio, p. 238), difficilmente il valore individuale avrebbe potuto a Custoza cancellare gli errori degli alti comandi. Nella crisi che seguì alla sconfitta, il Cialdini, al momento di prendere il posto dei La Marmora alla testa dell'esercito, pretese da Vittorio Emanuele II che il dicastero della Guerra passasse dal generale Pettinengo al C.; questi accettò l'incarico dal Ricasoli con qualche esitazione, consapevole del ridimensionamento che avrebbe dovuto imporre all'esercito. Tra l'altro la rivolta scoppiata in Sicilia ed una epidemia di colera non gli facilitarono un compito che, prevedendo forti riduzioni d'organico e di spese e il collocamento in congedo anticipato di quarantatré ufficiali superiori, non poteva non suscitare polemiche. Il C. si attirò molte critiche per essersi autodesignato alla presidenza della commissione tecnica che doveva studiare la riforma dell'esercito e per i ritardi con cui procedevano i lavori; e quando alcuni giornali attaccarono il suo operato durante la crisi siciliana, trovò forse il pretesto per presentare le dimissioni (27dic. 1866): da tale proposito il C. fu subito distolto, ma nell'aprile del '67la caduta del secondo ministero Ricasoli fermava anche il progetto di ristrutturazione delle forze armate.
Stanco e in precarie condizioni di salute per una insufficienza cardiaca, il 20apr. 1867il C. accettò con piacere la nomina a primo aiutante di campo del principe di Piemonte, il futuro Umberto I, un ruolo che il C. spogliò di ogni carattere passivo o decorativo: il problema principale fu per lui quello di distaccare il principe, che nel '68aveva sposato la principessa Margherita, da una vecchia relazione sentimentale che la ragion di Stato non poteva tollerare. Preoccupato anche della popolarità di Umberto, il C. badò particolarmente che tutti i suoi viaggi, gli impegni ufficiali, gli incontri formali provassero il suo interesse per la vita dei paese. E dopo il 20sett. 1870, quando la coppia si trasferì a Roma, il C. fu colui che elaborò una vera e propria "strategia del ricevimento", per far sì che, attraverso le feste, il gelo con cui la nobiltà romana aveva accolto l'arrivo dei Savoia si sciogliesse per portare ad un riconoscimento di fatto della fine del potere temporale. Su questo terreno il C. si spinse fino ad auspicare, conversando con il cardinale Luigi Amat, suo lontano parente, un ammorbidimento del Vaticano (vedi i Documenti dipl. ital., 2, II, p. 384) che naturalmente era del tutto prematuro.
Le nuove occupazioni lo allontanarono alquanto dal Parlamento dove fece una delle sue ultime apparizioni il 15 e il 16 giugno 1871 per criticare in un lungo discorso quella riforma dell'esercito che il ministro Ricotti voleva impostare sul modello prussiano: ma nel difendere istituti ormai sorpassati come la surrogazione e l'affrancamento, il C. dimostrava di essersi attestato su posizioni decisamente conservatrici all'interno delle quali la preferenza per il vecchio esercito di tipo francese, funzionale ad un preciso modello di orgaruzzazione civile, tradiva una concezione troppo chiusa della società italiana.
La stanchezza fisica che caratterizzò questi ultimi interventi era il preludio al malore che lo colpì il 13febbr. 1872mentre a Roma assisteva ai festeggiamenti di fine carnevale. Trasportato in Quirinale, il C. vi decedeva la sera stessa. Fu seppellito nella cappella di famiglia nel cimitero di Bonaria; commemorata in Parlamento dal presidente G. Biancheri, la sua figura ricevette il miglior riconoscimento da un avversario politico suo conterraneo, G. Asproni, che prese spontaneamente la parola il 28febbr. 1872per ricordarne lo "ingegno pronto, sagace", la "coltura varia", l'amore "all'Italia ed alla sua terra natia", il bene fatto a molti e "il male a nessuno" (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislatura XI, sessione 1871-72, I, p. 876).
Fonti e Bibl.: Nel suo lavoro su Roma e lo Stato del papa. Dal ritorno di Pio IX al XX settembre (1550-1870), Roma 1975, pp. 370 s., 376 ss., R. De Cesare pubblica documenti provenienti da un archivio Cugia rimasto agli eredi del generale. Per il resto, poche le lettere inedite conservate nell'archivio dei Museo centrale del Risorg. di Roma: notevoli soprattutto le sei lettere a G. Massari (busta 811/38), in due delle quali, del marzo '71, sono riferite le prime, favorevoli impressioni su Roma e la sua popolazione. Numerose le fonti edite: gli interventi del C. alla Camera in Atti del Parl. subalpino, Camera, Discussioni, V legislatura, sessione del 1857, III, ad Indicem; VIlegislatura, sessione 1857-58, III, ad Indicem; Atti Parlamentari, Camera, Discussioni, VIII legislatura, sessione del 1861, II, ad nomen; sessione 1861-63, XI, Indice alfabetico ed analitico, ad nomen; sessione 1863-65, XII, ad Indicem; IXlegislatura, sessione 1865-66, IV, ad Indicem; e sessione 1866-67, volume unico, ad Indicem; Xlegislatura, sessione 1867-68, XI, Indice alfabetico analitico delle materie, ad nomen; XI legislatura, sessione 1870-71, III, ad Indicem. Molte le raccolte di fonti in cui sono inseriti dispacci e lettere del C. o a lui dirette: L. Chiala, Lettere edite e ined. di Camillo Cavour, Torino 1884-87, VI, ad Indicem; E. Mayor, Nuove lettere ined. del conte Camillo di Cavour, Torino 1895, ad Indicem; A. Luzio, Aspromonte e Mentana, Firenze 1935, pp. 45-53, 190-266; C. M. De Vecchi di Val Cismon, Le Carte di Giovanni Lanza, VI, Torino 1938, pp. 19 s., 28 s., e VII, ibid. 1939, pp. 43 s., 70, 140 s., 204; Carteggi di B. Ricasoli, XI, a cura di M. Nobili-S. Camerani. Roma 1960, pp. 177 s., 266s.; XVI, a Cura di S. Camerani-G. Arfé, Roma 1963, pp. 304s. (contiene un interessante giudizio del Cialdini sul C.); XXIII, a cura di S. Camerani-G. Arfé, Roma 1968, pp. 144 s., 147, 157, 161, 168, 181 s., 192, 195, 230, 240 s., 248, 323, 342, 356 ss., 381, 401, 415 s., 429 s., 434, 436, 480, 496s.; XXIV, a cura di S. Camerani-G. Arfè, Roma 1970, pp. 34, 42, 52, 58 s., 70 s., 130 s., 147 s., 386, 388, 564, 570 s., 589 s.; XXV, a cura di S. Camerani, Roma 1971, pp. 233, 249; Carteggi cavouriani. Indice gen. dei primi 15 voll. (1926-1954), a cura di C. Pischedda, Bologna 1961, ad nomen; I docc. diplomatici ital.. s. 1, (1861-1870), I, III-V, XIII, Roma 1952-1977, ad Indices; e s. 2, (1870-1896), II-III, Roma 1966-1969, ad Indices; Le lettere di Vittorio Emanuele II, a cura di F. Cognasso, Torino 1966, II, ad Indicem. Quanto alle testimonianze dei contemporanei, le più interessanti si trovano in: Carteggio tra Marco Minghetti e Giuseppe Pasolini, a cura di G. Pasolini, III-IV, Torino 1929-1930, ad Indicem; G. Massari, Diario delle cento voci, a cura di E. Morelli, Bologna 1959, ad Indicem; F. Sclopis, Diario segreto (1859-1878), a cura di P. Pirri, Torino 1959, ad Indicem; G. Asproni, Diario polit. 1855-1876, a cura di C. Sole-R. Orru, Milano 1974-1976, ad Indicem. Biografie e repertori bio-bibliografici: tra le prime, le più notevoli sono quelle di P. Fea, Il generale E. C., in Nuova Antologia, luglio 1873, pp. 636-672, e di A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, II, Napoli 1957, pp. 102-109; poco informato è M. Pintor, Tre patriotti sardi (Tola, C., Pes di Villamarina), in Sardegna e Risorgimento, Cagliari 1962, pp. 131s. Tra i repertori i più ricchi di notizie sono: T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, ad nomen; Indice generale degli Atti Parlamentari. Storia dei collegi elettorali, Roma 1898, II, pp. 240 s., 331 s., 356, 613; V. Spreti, Enciclopedia st.-nobiliare ital., II, ad nomen; Dizionario del Risorgimento naz., II, ad nomen; R. Ciasca, Bibliografia sarda, V, Roma 1934, ad Indicem; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti dei Regno d'Italia. Roma 1973, ad Indicem. Bibliografia critica: informazioni e giudizi sull'attività del C. oltre che in De Cesare, pp. 370 ss., 375-378, sono contenuti in: A. Pollio, Custoza (1866), Roma 1935, pp. 43, 73-77, 97, 112, 115 ss., 188, 196-248, 266, 270, 273, 276; G. Berti, Russia e Stati ital. nel Risorg., Torino 1957, ad Indicem; M. Gabriele, La polit. navale ital. dall'Unità alla vigilia di Lissa, Milano 1958 pp. 193-240, 242, 266, 305 s., 373 s., 379, 387: 390, 404 s., 412 ss., 435, 445, 448 s., 451 s., 462, 465, 469 s., 473; P. Pieri, Le Forze armate nell'età della Destra, Milano 1962, ad Indicem; Id., Storia milit. del Risorg.. Torino 1962, ad Indicem; U. Pesci, I primi anni di Roma capitale, Roma 1971, pp. 59, 72ss.; F. Minniti, Esercito e politica da Porta Pia alla Triplice Alleanza, in Storia contemporanea, III (1972), p. 468.