BOSSI (Bosso), Egidio
Nacque a Milano nel 1488 da Francesco e Anastasia Carnaga. Dedicatosi alle discipline giuridiche per le quali aveva dimostrato fin dai primi studi grande attitudine, si addottorò brillantemente in giurisprudenza. Entrato a far parte nel 1518 del collegio dei giureconsulti milanesi, in breve tempo vi acquistò autorità, soprattutto nel campo del diritto penale, nel quale fu considerato tra i giuristi più esperti del suo tempo.
Il B., cui la vasta erudizione e le capacità personali valsero unanimi riconoscimenti, si mosse nell'ambito della nuova metodologia trattatistica in cui sfocia agli inizi del sec. XVI la scuola del commento. Ottenuto dapprima il grado di giureconsulto massimo, resse poi per sei anni quello di regio fiscale; eletto quindi decurione e podestà di Novara, la massima onorificenza gli venne dallo stesso imperatore Carlo V che lo chiamò tra i senatori milanesi. Coprì questo ufficio per diciassette anni, fino alla morte, risolvendo spesso dibattute controversie: destò tra le altre scalpore la sentenza con cui nel 1537 rendeva possibile alla plebe di Vigevano l'accesso al consiglio comunale, contro l'opposizione dei patrizi locali, citati davanti al Senato milanese dai rappresentanti popolari.
Formatasi intanto, sotto la presidenza di G. F. Sacco, la commissione incaricata di redigere le nuove costituzioni dello Stato di Milano, nate su disegno di Francesco Sforza, il B. ne entrò a far parte e, assieme con P. Crasso e F. Lampugnani, fu uno dei principali compilatori della raccolta, raggruppando organicamente e modificando in base alle nuove esigenze dei tempi editti e decreti dei principi milanesi. Le nuove costituzioni, dopo l'approvazione da parte del Senato e di Carlo V, furono promulgate il 5 ott. 1541 e costituirono il diritto provinciale di fronte agli statuti comunali.
Il B. morì nel 1546, come attesta la lapide sepolcrale fatta porre dalla moglie Angela de' Pieni nella chiesa milanese di S. Maria Coronata a porta Comasca; risultano quindi inesatte le notizie riportate dal Riccioli nella Chronol. Reform., c. 189, e dal Quenstedt nel De Patriis Illust. vir., c. 290, che collocano attorno al 1570 il periodo della sua massima attività (cfr. Mazzuchelli, p. 1849).
Opera fondamentale del B., punto di riferimento obbligato per ogni approccio alla dottrina giuridica milanese, sono i Tractatus varii editi a Venezia nel 1562, a Basilea nel 1574 e a Lione nel 1594. Sono più di cento "titoli" che, illustrando con l'ausilio di pareri illustri e di indubbie decisioni giudiziali le maggiori cause di controversia in tema di diritto penale, compendiano, in maniera solo apparentemente slegata nel suo insieme, la migliore dottrina criminale del tempo. Giudicando comunque ancora poco omogeneo il risultato del suo lavoro, il B. ne aveva rinviato la pubblicazione, ma la morte improvvisa gli aveva impedito di apportarvi quegli ultimi ritocchi che avrebbe desiderato; i Tractatus varii uscirono quindi postumi, a cura del figlio Francesco.
Svolgendo le questioni giuridiche, oggetto dei Tractatus, il B. a volte aderisce all'opinione "comune", in altre occasioni preferisce invece presentare soluzioni individuali: se nel titolo De monetis egli s'inserisce in quel largo filone dottrinale che risolve il problema del pagamento pecuniario nelle prestazioni annue facendo riferimento al valore monetario del "tempus solutionis", perviene invece a posizioni più personali nei titoli dedicati alla tortura. Cinque dei suoi tractatus si riferiscono direttamente a tale argomento: De iudiciis et considerationibus ante torturam; De tortura; De confessis per torturam ac effectu torturae; De tortura testium; De tortura accusatoris. Nel De tortura accusatoris affronta un tema abitualmente sorvolato dagli altri giuristi, circa la consuetudine di sottoporre a tortura l'accusatore; egli al contrario, per ragioni di completezza ("ut nihil pro viribus meis omittatur"), gli dedica un titolo apposito, breve e conciso, in cui mette in evidenza i punti giuridicamente più interessanti della questione. Nel De iudiciis et considerationibus ante torturam tratta della applicazione della tortura a consiglieri, priori, podestà e funzionari politici in genere, considerati immuni dalla dottrina comune; il B., in caso di consuetudine contraria, propende per il suo rispetto, ma vi apporta una limitazione, riconoscendo legittima la tortura dei consiglieri soltanto fuori del territorio in cui sono stati investiti della loro dignità.
Bibl.: C. Cartari, Advocatorum sacri consistorii syllabum, Romae 1656, p. 154; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 166; M. Lipenii Bibliotheca realis iuridica, Francofurti 1679, ad Indices; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1849; G. Verri, De ortu et progressu iuris mediolanensis, Milano 1747, pp. 122 s.; F. Fossati, La plebe vigevanese alla conquista dei poteri pubblici nel 1536, in Arch. stor. lomb., s. 4, IV (1905), pp. 333, 336, 338; C. Magni, Il tramonto del feudo lombardo, Milano 1937, p. 36; P. Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, Varese 1953, I, p. 160; Enc. Ital., VII, p. 557.