GALBANI, Egidio
, Nacque nel 1858 da Davide (1821-1903) e da Angiola Zappelli a Ballabio Inferiore, in Valsassina, ove trascorse gli anni dell'infanzia e della giovinezza, affiancando il padre che alternava l'attività di fabbro a quella di produzione e commercializzazione di latticini esercitata durante il periodo estivo.
Negli anni intorno all'unificazione del Paese il caseificio italiano, come gran parte del settore alimentare, mostrava tratti di estrema varietà e differenziazione, sia in ambito nazionale sia all'interno dello stesso sistema regionale, nelle tipologie prodotte e nei mercati di sbocco che restavano, tranne rarissime eccezioni, fortemente circoscritti a realtà locali. In Lombardia, in un quadro generalizzato di arretratezza tecnica e di assoluta prevalenza della tradizione e dell'empirismo, la produzione di formaggi e latticini riproduceva la netta divisione geografica tra aree vallive e pianura irrigua. Mentre le aree meridionali della regione andavano sempre più orientandosi alla produzione e commercializzazione - soprattutto su scala extraregionale - del tradizionale formaggio di grana, dal caseificio della montagna provenivano formaggi sia molli sia cotti a pasta dura, venduti e consumati generalmente in ambito locale. Tramite fra questi due mondi caseari, quello della montagna e quello della pianura, era costituito dalla figura del "bergamino", che, proprietario di mandrie di una certa consistenza, trascorreva la stagione estiva sugli alpeggi montani trasferendosi, durante il periodo invernale, nei pascoli irrigui della pianura dove affiancava all'allevamento l'attività casearia svolta in locali presi in affitto, il cui proprietario fondiario, per parte sua, beneficiava del concime e dei cascami della lavorazione dei latticini per l'allevamento suino. I bergamini, nella stragrande maggioranza provenienti dalla Valsassina e dalle valli bergamasche e bresciane, affiancavano all'attività di allevamento, anche se in misura ridotta, quella casearia, limitatamente alla produzione di formaggi molli (stracchini), tra cui notevole rinomanza acquisì in breve tempo il gorgonzola.
Già negli anni dell'adolescenza il G. si familiarizzò con l'attività di raccolta e commercializzazione di latticini e formaggi sui mercati locali. La vicinanza del florido mercato cittadino di Lecco, vero e proprio punto di raccolta e interscambio delle variegate produzioni del territorio (seta, ferro, legname, carbone, bestiame, derrate agricole e formaggi), costituì senza alcun dubbio un fattore di estrema importanza, rilevante almeno quanto la presenza, in Valsassina, di un insostituibile vantaggio di localizzazione: grotte naturali che permettevano - data la temperatura costante tutto l'anno tra 5 e 7 gradi centigradi e un tasso d'umidità fisso intorno al 70% - una buona conservazione e maturazione del prodotto. A tutto ciò si aggiunse, a partire dai primissimi anni Sessanta dell'Ottocento l'inserimento della piazza di Lecco nelle maggiori correnti di traffico regionale con l'apertura delle linee ferroviarie di collegamento con Milano e Bergamo.
I migliori collegamenti e la maggiore rapidità dei trasporti favorirono, almeno in una prima fase, l'importazione di formaggi e latticini. Una volta completati i principali collegamenti con le regioni transalpine, sui maggiori mercati cittadini presero ad affluire, accanto ai più convenienti (e più facilmente conservabili) formaggi a pasta dura provenienti dalla Svizzera d'oltre Gottardo (ad esempio Gruyère ed Emmenthal), anche formaggi più ricercati a pasta molle che proprio grazie alla maggiore rapidità dei trasporti potevano giungere in buono stato di conservazione e a un prezzo conveniente su mercati lontani come quelli delle maggiori città della penisola: dalla Francia attraverso il Fréjus giungevano allo stesso modo, tra gli altri, Roquefort, Brie e Camembert. La bilancia commerciale del settore, dato anche il livello piuttosto contenuto di protezione doganale, si deteriorò assai rapidamente, raggiungendo punte assai elevate di deficit nel corso degli anni Settanta quando le importazioni fecero registrare valori quadrupli rispetto a quelli delle esportazioni. I formaggi italiani faticavano a imporsi per alcune ragioni fra le quali spiccava il basso e fluttuante livello qualitativo, risultato della persistente arretratezza tecnologica. Soltanto dai primissimi anni Settanta, con l'apertura a Lodi di una stazione sperimentale di caseificio, è possibile registrare un incremento di consapevolezza e di attenzione verso i processi chimico-organolettici, le tecniche di fabbricazione, trasporto e conservazione, le condizioni igieniche di fabbricazione dei latticini.
Rientrato dal servizio militare, svolto in Sicilia presumibilmente nel corso della seconda metà degli anni Settanta, il G. incrementò la propria attività di intermediazione, non più solamente limitata al commercio a corto raggio e alla sola stagione estiva delle produzioni degli alpeggi valsassinesi, ma comprendente ormai anche la preparazione, la maturazione e stagionatura, il confezionamento e la commercializzazione di robiole, taleggi, quartiroli e altri prodotti tipici del caseificio vallivo.
È peraltro proprio in questi stessi anni che si afferma, in Valsassina, l'attività di stagionatura e commercializzazione degli stracchini, e in particolare del gorgonzola (un formaggio per certi versi assai somigliante a quelli francesi che incontravano favore crescente), col contestuale avvio di iniziative imprenditoriali di un certo rilievo, quale quella di Mattia Locatelli, che insieme con il figlio Giovanni già dal 1860 aveva avviato un fiorente commercio di stracchini acquistati dai bergamini durante la stagione estiva e fatti maturare nelle grotte di Ballabio Inferiore, dove si insediò il primo nucleo della Locatelli e dove ha inizio l'attività della stessa Davide Galbani, al cui avvio non fu probabilmente estraneo lo stretto rapporto di parentela che legava le due famiglie (Angiola, madre del G., era la sorella di Alma Caterina, moglie di Giovanni Locatelli).
Il modello di sviluppo seguito inizialmente dalla Galbani non dovette essere molto dissimile da quello della Locatelli - che accanto all'attività commerciale svolta dapprima in ambito locale, aveva avviato forme di integrazione acquistando casere per la stagionatura e stringendo rapporti duraturi con i bergamini - o di un altro storico mercante imprenditore caseario valsassinese d'adozione, Eugenio Cademartori, che, a partire dal 1882, intraprese un'attività di raccolta, stagionatura e commercializzazione su vasto raggio di un altro tipico prodotto locale, il taleggio. Trascorso un breve periodo in cui si dedicò prevalentemente all'attività di commercializzazione di formaggi, dal 1882 il G. cominciò a produrre in proprio e vendere la robiola Galbani. Si trattava di un passo significativo e importante, in quanto esigeva, da parte dell'imprenditore, una buona conoscenza del mercato, l'individuazione degli sbocchi per la propria produzione e soprattutto la capacità di selezionare e stagionare accuratamente i latticini in modo da ottenere un prodotto dalla qualità costante. A tale fine, da un lato, al perfezionamento del prodotto vennero dedicati, nelle parole dello stesso G., studi "pazienti" e il "sacrificio di non insignificanti spese"; dall'altro per avviare l'attività su di una scala minimamente consistente fu necessario da subito saldare produzione e distribuzione. In concomitanza con il lancio sul mercato della robiola Galbani, il G. aprì un magazzino di smistamento e di spedizione a Maggianico, non lontano dalla stazione ferroviaria di Lecco e da quella di Calolziocorte. Nel corso degli anni Ottanta il G. consolidò la propria attività affiancando alla produzione di robiole quella di altri formaggi a pasta molle, concorrenziali con le affermate produzioni francesi, allargando il proprio raggio di attività oltre l'ambito locale e regionale. Il forte legame con la Valsassina si dimostrò assai presto come un potenziale freno allo sviluppo, dato che la produzione lattiera locale, limitata ai soli mesi estivi, si rivelò sempre più insufficiente per soddisfare le accresciute necessità di approvvigionamento dell'azienda. In breve tempo, l'aumento dei volumi di vendita e la necessità di distribuire la fabbricazione e la stagionatura dei formaggi lungo tutto il corso dell'anno portarono il G. a individuare nuove localizzazioni per la propria attività.
Proprio seguendo i tradizionali percorsi migratori dei bergamini, all'inizio degli anni Novanta il G. trasferì larga parte dell'attività produttiva a Melzo, attirato sicuramente dall'abbondanza e dalla elevata qualità della materia prima (la cui disponibilità in quantità costanti cominciava a divenire un fattore strategico) e dalla presenza di buoni collegamenti e vie di trasporto (la linea ferroviaria Milano-Venezia). Almeno in una fase iniziale la nuova localizzazione è da vedersi come logica conseguenza della necessità di superare la stagionalità delle produzioni vallive, e la sua stessa modalità di attuazione (l'affitto di una cascina - la Triulza - con annessi locali per il caseificio, nei quali veniva con ogni probabilità svolta la prima lavorazione del latte acquistato in loco) come prosecuzione dei sistemi tradizionali di rapporto valli-pianura nella produzione casearia. Con ogni probabilità in un primo periodo la stagionatura dei formaggi prodotti alla Triulza avveniva previo trasferimento nelle casere di Ballabio. A partire dal 1898, però, l'azienda del G. venne dotata di una caldaia a vapore e di un impianto frigorifero, il che permise di svincolarsi, in parte, da tale dipendenza. La capacità di lavorazione del piccolo stabilimento toccava intanto i 5000 litri giornalieri di latte. Il trasferimento a Melzo coincise anche con un'accresciuta attenzione da parte del G. a cogliere le occasioni per far conoscere pubblicamente i propri formaggi. Dal 1892 si susseguirono infatti sempre più numerosi premi e diplomi ottenuti a esposizioni in Italia e all'estero. È del 1906 la creazione di un nuovo formaggio a pasta molle, che il G. battezzò col nome di "Bel paese", ispirato dal petrarchistico titolo di un'opera di carattere divulgativo del geologo e geografo lecchese Antonio Stoppani: con un'intelligente operazione di carattere pubblicitario, il G. volle raffigurata sull'etichetta il ritratto dello scienziato insieme con l'immagine del "Bel paese", l'Italia, con in bella evidenza, tra le altre, le località più importanti per la storia dell'azienda: da Ballabio, a Maggianico, a Melzo, alle varie sedi di stabilimento. Sull'onda del successo del Bel paese l'attività della Galbani aumentò ulteriormente sino a richiedere, intorno al primo decennio del Novecento, un ingrandimento degli impianti con la costruzione di un vero e proprio stabilimento su base industriale. La nuova unità produttiva di Melzo (realizzata ricorrendo sia al credito bancario sia, in misura maggiore, all'autofinanziamento) si distaccava anche visivamente dalle precedenti esperienze produttive del G.: non si trattava più di un magazzino di raccolta e di stagionatura, come nel caso di Ballabio e di Maggianico, né di una bottega, pur dotata sotto il profilo tecnologico, come la cascina Triulza. Era, invece, uno stabilimento dotato di tecnologie d'avanguardia, integrato, dove all'attività di produzione vera e propria svolta in locali a temperatura controllata si affiancavano magazzini e ricoveri per carri e cavalli che assicuravano il continuo flusso della materia prima necessaria per le lavorazioni. La Galbani si occupava di tutte le fasi del processo produttivo, dall'acquisto del latte alla produzione di formaggi di prima e seconda scelta, i cui cascami erano impiegati nell'allevamento di suini. Rilievo ugualmente importante ricopriva, a valle, la struttura della rete di vendita imperniata su depositi e rappresentanze incaricate della capillare distribuzione del prodotto su tutto il territorio di vendita.
Alla vigilia del primo conflitto mondiale la Galbani, pur non ancor entrata a regime nei nuovi impianti di Melzo, era un'azienda di primaria importanza che a buon diritto rientrava nel novero degli stabilimenti mobilitati per la fornitura di derrate alle truppe e che aveva con ogni probabilità già avviate esportazioni di una certa consistenza verso l'estero.
Il campionario dei prodotti dell'azienda si presentava ormai assai variegato: a formaggi di prima se ne affiancavano altri di seconda e terza scelta, venduti a prezzo molto contenuto. La precoce attenzione alla comunicazione (attuata attraverso l'uso di cataloghi aziendali, rivolti principalmente ai negozianti e ai dettaglianti) traspare dalla cura degli involucri, raffiguranti scene di vita pastorale valsassinese, con in primo piano una fanciulla vestita col tradizionale costume locale (la guarnitura di spadini ai capelli, il grembiule, le pianelle o le zoccole), con un esplicito richiamo alla Lucia Mondella dei Promessi sposi. Alle robiole si erano intanto aggiunti cremini, quartiroli, formaggi a pasta dura di vario tipo, oltre, naturalmente, al Bel paese, ormai incontrastato al primo posto tra i formaggi nazionali.
L'accumulazione di consistenti profitti portò all'ulteriore incremento nelle dotazioni infrastrutturali e nella capacità produttiva. Alla fine della guerra lo stabilimento principale di Melzo poteva contare su di una capacità giornaliera di 300 quintali di latte lavorato, con l'impianto di soluzioni tecniche avanzate sia per la forza motrice sia per gli impianti di refrigerazione. L'espansione incessante obbligò il G. ad accettare l'apporto di capitale esterno: nel 1920 venne creata la Società anonima Egidio Galbani, con 2 milioni di capitale, sede a Milano e uffici amministrativi a Melzo. Presidenza e vicepresidenza erano appannaggio del G. e del fratello minore Giuseppe (1864-1931), mentre il ruolo di consigliere delegato fu affidato a Rinaldo Invernizzi, principale esponente di un'altra famiglia valsassinese di casari trasferitasi in pianura, probabilmente già da qualche tempo in rapporti d'affari con la stessa Galbani. Gli Invernizzi (insieme con Rinaldo operavano Achille ed Ermenegildo) esercitavano anche un'attività imprenditoriale autonoma nell'ambito dell'azienda paterna, la Antonio Invernizzi s.a., che a Corteolona si occupava della prima lavorazione del latte per conto principalmente della stessa Galbani. Nonostante ciò il controllo dell'azienda restò saldamente nelle mani del G. che, con il fratello Giuseppe, possedeva i 2/3 delle azioni e che continuava a condurla in prima persona, coadiuvato direttamente dai soci e dai familiari.
Nel 1922, ad esempio, l'azienda aveva raggiunto dimensioni ragguardevoli, con 11.500 quintali di formaggio prodotti, di cui 800 esportati e 95.000 quintali di latte lavorato nei tre stabilimenti di Melzo, Scaldasole e Villareggio; ma, di fronte a tensioni con la forza lavoro culminate nella sospensione dell'attività lavorativa, il consiglio d'amministrazione si appellava "all'abnegazione dei consiglieri stessi affinché nel loro interesse ed in quello dei soci tutti, coll'aiuto di qualche famigliare cerchino di sostituire coll'opera loro quella del personale scioperante" (Consiglio d'amministrazione, n. 2, 11 giugno 1920). E ancora, a testimoniare una rudimentale struttura organizzativa, nel 1922 il G. fu inviato dal consiglio d'amministrazione a visitare clienti e rappresentanti nel Veneto "con sicuro esito di ottenere maggior lavoro a venire" (ibid., n. 15, 27 ag. 1922). Nonostante ciò, a fronte di una domanda in continua crescita, ancora una volta fu giocoforza scegliere la strada dell'espansione produttiva, anche perché la stagionatura, e non tanto la produzione in sé, andava sempre più rivelandosi una vera e propria strozzatura in grado di rallentare seriamente la connessione tra l'impresa e il mercato.
Nel 1922 venne perciò avviata la costruzione di un nuovo stabilimento alla Certosa di Pavia che - per evitare un eccessivo appesantimento finanziario - si decise ancora una volta di realizzare ricorrendo all'autofinanziamento e solo in minima parte all'indebitamento bancario, nel timore "con il largo concorso altrui [di] asservire o almeno minorare quella libertà d'azione che il Consiglio d'Amministrazione sente di aver completa per la buona esplicazione del suo mandato" (ibid., n. 28, 1º luglio 1923). Tale decisione si basò, tuttavia, anche sulla consapevolezza di un mercato in continua espansione e sulla solida posizione detenuta dall'azienda di Melzo. La crescita rapidamente coinvolse sia gli aspetti di carattere distributivo - si incrementò decisamente la presenza nei mercati esteri, affidati alla cura di Giacomo (1897-1983), figlio di Giuseppe - sia di innovazione di prodotto: il G., nonostante l'età avanzata, proseguì nelle proprie sperimentazioni, giungendo a introdurre nuove soluzioni nel packaging: nel 1924-25, ad esempio, si cominciano a realizzare "scatolette di porzioni senza crosta" (il formaggino) destinate a imporsi rapidamente sul mercato. L'espansione produttiva e commerciale impose alla fine il ricorso a mezzi alternativi all'autofinanziamento, tra cui inizialmente un maggiore ricorso al credito bancario, con l'ottenimento di prestiti sia da banche locali - come la Banca popolare di Lecco - da lungo tempo legate all'azienda, sia da istituti di livello nazionale (Credito italiano, Banca nazionale dell'agricoltura).
Il continuo aumento della produzione, e in particolare delle esportazioni (che via via giunsero a superare l'ammontare della produzione destinata al mercato interno), impose però, all'inizio del 1925, un radicale mutamento di rotta. Venne così deciso un forte aumento di capitale - garantito dall'appoggio di un consorzio di collocamento bancario guidato dalla Banca della Svizzera italiana di Lugano - da 2 a 10 milioni di lire, immediatamente impiegati nell'ammodernamento delle strutture produttive, come testimoniato dal parallelo aumento della voce impianti che passò da 2,7 a oltre 7,5 milioni. A questo punto la Galbani, con gli stabilimenti di Melzo e quello di Pavia Certosa, divenne uno fra i principali protagonisti del settore caseario italiano, preceduta solo dalla lodigiana Polenghi-Lombardo.
Gli stabilimenti impiegavano una forza motrice di circa 500 HP con una capacità giornaliera di lavorazione intorno ai 1500 quintali di latte, in linea con l'azienda rivale. La capacità di lavorazione complessiva passò dai 146 mila quintali del 1925 ai 450 mila del 1930. Le esportazioni, che vennero solo parzialmente colpite dalla politica deflazionistica di quota 90, si attestarono su percentuali variabili tra il 30 e il 50% della produzione totale, dirigendosi principalmente verso i mercati tedeschi, francesi e statunitensi, dove la penetrazione avvenne proprio tramite la rete di vendita della Mattia Locatelli, nel frattempo divenuta un'importante società commerciale in campo caseario attiva sui mercati d'esportazione, e principalmente negli Stati Uniti, in Sudamerica e in Inghilterra.
Sempre più stretti si fecero nel frattempo i legami con l'azienda "di famiglia" degli Invernizzi; mentre questi andavano assumendo posizioni di sempre maggior rilievo all'interno della Galbani, tanto che si ipotizzò anche una possibile acquisizione della Invernizzi. Il processo di rivoluzionamento negli assetti proprietari della Galbani culminò nel giugno del 1926 con l'abbandono della società da parte del G. stesso, mentre la presidenza venne affidata ad Achille Invernizzi.
Non del tutto chiari appaiono i motivi per cui il G., il quale insieme con i familiari deteneva complessivamente il 65% del capitale, avesse maturato tale decisione. Il disaccordo, anche parziale, sulle strategie di sviluppo intraprese non giustificherebbe l'accettazione della carica di presidente onorario a lui conferita dal consiglio d'amministrazione (Consiglio d'amministrazione, n. 50, 23 giugno 1926), né l'apertura di una linea di credito in conto corrente di un milione fatta personalmente dal G. a favore della società.
D'altra parte le sue dimissioni non erano certo motivate dal desiderio di abbandonare l'attività imprenditoriale, in quanto, nello stesso anno, il G. fondò le Latterie industriali riunite (LIR) a Robbio Lomellina, in cui proseguì la sperimentazione e la creazione di nuovi prodotti, sino a porsi, probabilmente, in contrasto con la stessa Galbani per l'utilizzo del marchio e del proprio nome. Proprio per tali ragioni, nell'ottobre del 1928, "visto il nuovo stato di fatto che si è creato tra la società ed il sig. Egidio Galbani", all'unanimità gli venne revocata la carica di presidente onorario (ibid., n. 62, 7 ott. 1928), dopo che già nel giugno precedente anche l'ultimo rappresentante dei Galbani, Giacomo, aveva lasciato l'azienda. Da questo momento la storia della Galbani si distacca completamente da quella del suo fondatore.
L'attività della LIR nacque e si sviluppò tra mille difficoltà, legate principalmente proprio alla forte concorrenza della Galbani, ormai di gran lunga la maggiore fra le aziende casearie italiane (a metà del 1935 si avviarono persino trattative con il G. per la cessione della LIR alla Galbani). Dopo qualche anno di stentata attività, in coincidenza con la definitiva uscita di scena del G. la LIR si trasformò in società anonima sotto la guida di Ercole Locatelli, già presidente della Mattia Locatelli, mentre Giacomo Galbani divenne unico consigliere. Il destino delle due famiglie valsassinesi tornò dunque a intrecciarsi ancora una volta. La Mattia Locatelli, sino a quel momento azienda in larga prevalenza commerciale, colse l'occasione per integrarsi ulteriormente a monte nelle attività produttive (già possedeva caseifici sparsi un po' ovunque per la penisola); specularmente, la LIR poté sfruttare le conoscenze e le relazioni commerciali accumulate dalla stessa Locatelli. Le due aziende continueranno però a restare formalmente separate, sino alla metà degli anni Cinquanta.
Il G., che una descrizione del 1938 presenta ancora in pieno vigore ("la persona salda e diritta, il volto aperto al sorriso, l'occhio azzurro e vivo, i capelli bianchissimi, e quella stupefacente carnagione rosata": Sammarco, p. 8), si dedicò da allora ai viaggi e al riposo.
Il G. si spense a Ballabio Inferiore, dov'è sepolto, il 5 luglio 1950.
Fonti e Bibl.: Società anonima E. Galbani, Libri sociali. Consigli d'amministrazione, anni 1920-1938; C. Besana, I latticini di lusso di Davide Galbani, in L'Industria del latte, IV (1906), 12, pp. 20-24; Primo stabilimento ital. per la produzione di formaggi di lusso. Caseificio Davide Galbani, Melzo (Milano), Aarau-Lugano s.d. (ma 1914); Omaggio della ditta Locatelli Mattia ai suoi collaboratori e clienti, Lecco 1924; P. Sammarco, E. G. nel suo ottantesimo compleanno, Milano 1938; E. Savini, Ottantesimo compleanno di E. G., Milano 1938; A. Costa, Creatori del lavoro, Roma 1954, ad vocem; Centenario Cademartori 1882-1982, Lecco 1982; A. Galbani, Il caseificio lombardo e la stazione sperimentale di caseificio di Lodi (1860-1880), in Storia in Lombardia, 1995, n. 3, pp. 5-31; Diz. illustrato di Lecco e della sua provincia, Lecco 1996; A. Mantegazza, Locatelli: dalla famiglia alla grande impresa, in L'industria alimentare in Italia: una prospettiva storica, Convegno organizzato dalla Fondazione ASSI, Castellanza 17 giugno 1997 (inedito); F. Mandressi, La nascita del caseificio industriale in Lombardia. Il caso G., ibid.
Per un inquadramento della Galbani nella storia dell'industria italiana: G. Rosa, Del caseificio in Italia e fuori, Milano 1874; C. Besana, Esposizione industr. ital. del 1881 in Milano. Relaz. dei giurati, classi 22, 23, 24, Milano 1881; G. Brini Il circondario di Lecco, in Atti della Giunta per l'inchiesta agraria, Roma 1882; M. Romani, Un secolo di vita agricola in Lombardia (1861-1961), Milano 1963; V. Zamagni, Industrializzazione e squilibri regionali in Italia, Bologna 1978; M. Romani, Storia econ. d'Italia nel sec. XIX, Bologna 1982; V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell'Italia, Bologna 1990.
Si ringrazia Francesco Mandressi per la preziosa collaborazione.