GENNARI, Egidio
Nacque ad Albano Laziale il 20 apr. 1876 da Mosè e da Candida Carnevali in una famiglia di contadini. A Roma, dove seguì gli studi fino al conseguimento della laurea in matematica, il G. iniziò a interessarsi di politica. Nel 1896 prese parte allo sciopero studentesco di protesta contro la soppressione del corso universitario di Antonio Labriola e l'anno successivo aderì al Partito socialista italiano (PSI). Intraprese quindi la professione di insegnante presso licei e scuole tecniche che lo portò a Pesaro, Cremona e Ascoli.
Nel 1911 si stabilì a Firenze, dove ebbe modo di riversare la sua passione politica nel forte e vivace e movimento socialista locale. Il G. non tardò a emergere contribuendo all'affermazione della corrente intransigente, che nel 1912 assunse la guida della sezione fiorentina del PSI. Redattore del settimanale socialista locale La Difesa e membro del comitato esecutivo provinciale del PSI, il G., in vista delle elezioni amministrative del gennaio 1915, concorse alla elaborazione della piattaforma politica del partito, tutta incentrata sulla decisa opposizione alla guerra.
Proprio sull'atteggiamento nei confronti della partecipazione dell'Italia al conflitto si consumò una grave lacerazione in seno alla sezione fiorentina, allorché Michele Terzaghi e altri esponenti socialisti legati alla massoneria aderirono alle posizioni interventiste di B. Mussolini. Anche per questo i socialisti subirono una pesante sconfitta alle elezioni, tale da rendere necessaria una vasta riorganizzazione interna.
Toccò allora al G., insieme con Arturo Caroti, Ferdinando Garosi e Spartaco Lavagnini, assumere le redini della sezione con esiti più che soddisfacenti. Nel corso della guerra questo gruppo riuscì infatti a rilanciare il partito, raddoppiando il numero degli iscritti e facendo di Firenze la capitale dell'intransigentismo.
Tra gli intransigenti il G. - che dall'ottobre 1915 al gennaio 1918 fu direttore de La Difesa - mantenne una collocazione originale, caratterizzata da una grande cautela nei confronti di ipotesi di rottura con i riformisti e dal rifiuto di qualsiasi confusione tra socialisti, sindacalisti rivoluzionari e anarchici. Consapevole del radicamento dei riformisti nel sindacato e nelle cooperative, il G., pur avversando la loro politica, riteneva opportuno scendere a patti con essi.
Oltre a queste motivazioni di ordine tattico l'atteggiamento del G. scaturiva da una concezione "pura" del socialismo che lo portava a considerare prevalenti le affinità con i riformisti rispetto a quelle con i movimenti rivoluzionari di diversa ispirazione. Su questo terreno il G. entrò in aperto conflitto con gli altri esponenti della corrente intransigente, come Lavagnini, fautore di un fronte comune rivoluzionario per scalzare i riformisti della direzione del movimento sindacale. Il G. riuscì a imporre il suo punto di vista, ma a prezzo di una grave incrinatura del rapporto con i suoi compagni di corrente.
Nel 1917, allorché la rivoluzione russa e la protesta contro la guerra fecero saltare la fragile tregua che le correnti avevano raggiunto all'ombra della formula "né aderire, né sabotare", il G. mise da parte le proprie cautele e mostrò di condividere le posizioni di rottura con i riformisti. Recuperato in tal modo il pieno sostegno della sinistra intransigente fiorentina, il G. rafforzò considerevolmente la propria posizione candidandosi ad assumere nel partito un ruolo di rilievo nazionale. Dopo la direzione del PSI, riunitasi a Firenze nel luglio 1917, il G. concorse alla stesura della circolare del 23 agosto, in cui era contenuta la piattaforma per la organizzazione su scala nazionale di una frazione "intransigente-rivoluzionaria". Sempre a Firenze, il 17 novembre si ritrovarono i rappresentanti delle sezioni che avevano aderito alla circolare, nonché alcuni dirigenti socialisti - da Costantino Lazzari a Giacinto Menotti Serrati, da Antonio Gramsci a Amadeo Bordiga - per dare concreto avvio alla costituzione della frazione; di questa il G. era ormai uno degli esponenti di spicco, tanto che nel gennaio 1918, in seguito all'arresto del segretario socialista Lazzari, egli fu chiamato a far parte della segreteria nazionale e, in pratica, svolse le funzioni di segretario del partito. Al XV congresso socialista (Roma, 1°-5 sett. 1918) il G. fu tra i più decisi nel chiedere l'espulsione dei riformisti e lo scioglimento del gruppo parlamentare.
La sua relazione sul quinto punto all'ordine del giorno - Atteggiamento del partito socialista nella presente situazione politica nazionale e internazionale e mezzi morali e materiali per affrettare la conclusione della pace - non diede però luogo a un approfondito dibattito, poiché il contenzioso interno era già stato risolto con l'approvazione della mozione presentata dalla corrente di sinistra (che assunse la denominazione di massimalista), che si limitava a richiamare il gruppo parlamentare socialista al rispetto delle direttive del partito.
Le posizioni della sinistra estrema risultarono pertanto isolate, ma il G. le volle riproporre in una mozione che affrontava le questioni della guerra, del concetto di patria, dell'internazionalismo e del ruolo di coordinamento e di direzione in senso rivoluzionario che il PSI avrebbe dovuto assumere nei confronti della manifestazione di malcontento popolare.
Nel dopoguerra, superate alcune riserve di ordine tattico sulla opportunità di partecipare alle elezioni, il G. si schierò risolutamente con la corrente massimalista elezionista di G.M. Serrati e s'impegnò per allineare il PSI ai nuovi orientamenti di Mosca. Alla direzione del partito (Milano, 18-22 marzo 1919) il G. presentò un ordine del giorno favorevole all'adesione alla III Internazionale, costituitasi qualche giorno prima a Mosca, che venne approvato con il voto contrario del segretario Lazzari. Il G. fu quindi incaricato, insieme con Serrati e Bordiga, di redigere il nuovo programma del partito, ma nel corso dei lavori Bordiga entrò in contrasto con i suoi due compagni e abbandonò la commissione. Il programma (noto come "programma Gennari") venne poi approvato dal XVI congresso socialista, tenutosi a Bologna dal 5 all'8 ott. 1919.
In quella occasione il G. espose le posizioni dei massimalisti elezionisti, polemizzando aspramente con Bordiga per le argomentazioni astratte, frutto di una "logica feroce, cieca […] pericolosissima", che egli portava a sostegno dell'astensione elettorale (Cortesi, 1969, pp. 744-752). Il G. tornò a chiedere anche l'espulsione dei riformisti, ma questa volta in modo meno categorico, riaffiorando in lui la preoccupazione di non pregiudicare con una scissione il carattere di massa del partito e l'unità del proletariato. In sostanza il G. auspicava il semplice allontanamento, magari spontaneo, dei dirigenti più a destra: "Le forze convergenti - affermò a conclusione del suo intervento - rimangano tutte nel partito, le forze divergenti si distacchino" (ibid., p. 752).
Riconfermato nella direzione, il 25 febbr. 1920 il G. venne eletto segretario del partito e si trovò subito a dover fronteggiare le aspre polemiche interne in occasione dello "sciopero delle lancette", che si svolse a Torino in aprile. Al consiglio nazionale del PSI (Milano, 19-21 aprile) il G., che pure presentò insieme con Nicola Bombacci un progetto di statuto per la costituzione dei soviet in Italia, respinse gli attacchi del gruppo torinese dell'Ordine nuovo alla direzione per il mancato sostegno all'agitazione e la passiva accettazione della strategia riformista della Confederazione generale del lavoro (CGdL). Il G. invitò tutti i massimalisti a serrare le fila nella prospettiva di una rivoluzione, che andava tuttavia preparata "senza impazienze" (ibid., p. 819), mostrando così di non ritenere ancora matura la resa dei conti con i riformisti. Pochi giorni dopo, alla conferenza nazionale della frazione comunista astensionista (Firenze, 8-9 maggio), alla quale intervenne in qualità di segretario del partito, ribadì la sua convinzione che la presenza nel PSI di "elementi deleteri" non bastava a giustificare una scissione.
Abile nel tenere a freno le spinte divaricatrici in seno al partito, il G. vide i suoi spazi di manovra assottigliarsi nel settembre 1920, durante l'occupazione delle fabbriche. In un primo tempo egli pareva intenzionato a valersi delle prerogative concesse al PSI dal patto di alleanza con la CGdL, assumendo la direzione politica del movimento, ma quando la CGdL si dichiarò contraria a perseguire uno sbocco rivoluzionario, egli ne prese atto e affermò che il PSI si sarebbe limitato a "fiancheggiare il movimento, riservandosi in prosieguo di tempo il diritto di avocarne a sé la direzione per mutata situazione politica" (Ragionieri, p. 125). Non si trattava ovviamente di una presa di posizione individuale, bensì della conferma dell'incapacità del PSI di gestire una fase tanto delicata e gravida di conseguenze per il movimento dei lavoratori.
Nondimeno si evidenziava al massimo la contraddizione personale del G., le cui profonde convinzioni rivoluzionarie erano scopertamente in conflitto con l'azione mediatrice impostagli dall'essere segretario del partito e con la realtà di un sindacato riformista. "Tale contraddizione", rileva L. Tommasini, "che si esprimeva da una parte nell'adozione di formulazioni politiche estremamente avanzate, e dall'altra nella conduzione di una prassi rivendicativa assai meno radicale, assolutamente legalitaria, e sostanzialmente attesista, fu certo caratteristica dello stesso Gennari, il quale abbinò con una certa frequenza dichiarazioni verbali assai veementi e decise a una prassi assolutamente non corrispondente" (Il movim. operaio italiano. Diz. biogr., II, p. 462).
Una netta e decisiva virata nell'atteggiamento del G. si verificò proprio all'indomani dell'occupazione delle fabbriche, quando egli mostrò di condividere le critiche che i dirigenti bolscevichi rivolsero al PSI per non aver saputo cogliere l'occasione rivoluzionaria offerta dall'agitazione dei metallurgici. Il G. aderì all'ordine del giorno presentato da Umberto Terracini alla direzione del partito (28 settembre - 1° ott. 1920), nel quale si accettavano i 21 punti stabiliti dall'Internazionale comunista. D'accordo sull'espulsione dei riformisti, il G. e altri esponenti della "terza componente" - cioè di quella parte della frazione comunista distinta dai gruppi organizzati attorno al Soviet e all'Ordine nuovo - lo erano assai di meno nel sostenere un percorso verso una scissione che tagliava i ponti anche con i comunisti unitari di Serrati. Scaturiva da qui un profondo contrasto con Bordiga, che esplose in modo clamoroso al convegno della frazione comunista (Imola, 28-29 novembre), allorché il capo degli astensionisti si scagliò contro il G., che presiedeva la seduta, battendo con un bastone un forte colpo sul tavolo della presidenza.
Al XVII congresso socialista (Livorno, 15-21 genn. 1921) il G. parlò quale segretario uscente a nome della maggioranza della direzione, svolgendo un'analisi dei contrasti politici con i riformisti, ma, a dimostrazione che non aveva più alcuna remora unitaria, non risparmiò le accuse ai serratiani.
Tra i fondatori del Partito comunista d'Italia (PCd'I) il G. fu eletto nel primo comitato centrale e da allora fu sempre confermato in questo organismo. Mostrò un notevole grado di autonomia rispetto agli orientamenti della maggioranza, come quando esaltò "la nuova formazione di combattimento degli Arditi del popolo", venendo subito sconfessato da Terracini (Spriano, Storia del partito comunista…, I, p. 149 n.).
Candidato alle elezioni del 15 maggio 1921, il G. concorse alla brillante affermazione dei comunisti fiorentini - tanto più rimarchevole se confrontata al magro risultato nazionale del PCd'I - ed entrò alla Camera dei deputati (ma, di lì a poco, cedette il posto al suo compagno di partito F. Garosi).
Il G. fece parte della delegazione del PCd'I al III congresso dell'Internazionale comunista, apertosi a Mosca il 22 giugno, e divenne quindi rappresentante ufficiale del partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale. Stabilitosi a Trieste, il G. fu dal 26 gennaio al 7 ag. 1922 direttore del quotidiano comunista locale Il Lavoratore.
Per aver accusato un generale di inumanità verso i soldati, il 5 ottobre il G. fu condannato a 15 mesi di reclusione e a 10.000 lire di ammenda. Pochi giorni dopo, il 20 ottobre, sempre a Trieste, venne aggredito dai fascisti e restò gravemente ferito.
Alla fine del 1922, dopo l'espulsione dei riformisti dal PSI, il G. fu, insieme con Palmiro Togliatti e Anselmo Marabini, tra i più convinti fautori della fusione tra il PCd'I e il PSI. Dal 5 novembre al 5 dicembre partecipò a Mosca al IV congresso dell'Internazionale comunista, del cui presidium fu chiamato a far parte. Il suo ingresso nel nuovo esecutivo del PCd'I coincise con l'uscita polemica da questo organismo di Bordiga e altri, tra i quali Bruno Fortichiari, che proprio il G. andò a sostituire alla direzione dell'ufficio illegale. Il 21 sett. 1923 il G. venne arrestato a Milano unitamente ad altri dirigenti comunisti, che al termine di un processo svoltosi presso il tribunale di Roma dal 18 al 25 ottobre furono tutti assolti. Svanita la fusione con il PSI, il G. fu con Angelo Tasca il più sensibile alle sollecitazioni dell'Internazionale per giungere in tempi ravvicinati alla fusione con la frazione terzinternazionalista del PSI, che si realizzerà nel luglio 1924. Alle elezioni del 6 apr. 1924 il G. risultò eletto per la circoscrizione del Friuli e alla Camera svolse un'intensa attività nel corso della crisi Matteotti. Membro, insieme con Gramsci e Fabrizio Maffi, del direttivo del gruppo parlamentare comunista e poi segretario dello stesso, il G. sollecitò invano il comitato delle opposizioni a promuovere un'assemblea parlamentare antifascista.
Il 9 giugno 1925 il G. scrisse una lettera "ai partiti che afferma[va]no di richiamarsi alle classi lavoratrici" affinché, almeno con questi, fosse possibile stabilire una tattica comune. La ricerca di intese rifletteva il nuovo orientamento del partito comunista scaturito dal comitato centrale del 18 apr. 1924. In quella sede era toccato al G. il compito di rimarcare, a nome della maggioranza di centro, i motivi di divergenza con la destra di Tasca e la sinistra di Bordiga.
Dopo il III congresso del PCd'I (Lione, 20-26 genn. 1926), che sancì la schiacciante vittoria delle tesi gramsciane e l'emarginazione della sinistra bordighiana, il G. tornò in URSS e qui appunto si trovava quando, nel novembre di quell'anno, furono arrestati in Italia numerosi esponenti comunisti, tra i quali Gramsci. Processato in contumacia, il G. venne condannato il 18 novembre a 5 anni di confino e 6 mesi di reclusione e quindi, il 3 ott. 1927, a 12 anni e 6 mesi di reclusione. Da Mosca, dove insegnava alla scuola leninista di partito, il G. si adoperò attivamente per la liberazione di Gramsci e Terracini attraverso una complessa trattativa che coinvolgeva il Vaticano e contemplava lo scambio tra i due dirigenti comunisti e due sacerdoti detenuti in URSS.
I suoi incarichi di partito e presso l'Internazionale comunista lo condussero spesso in varie parti d'Europa e dell'America Latina: nell'aprile del 1931 partecipò a Colonia al congresso del PCd'I pronunciando il discorso inaugurale; poi, a partire dal 1933, si stabilì in Francia, dove lavorò per il centro estero del partito.
Nel luglio 1935 il G. scrisse su Lo Stato operaio un importante articolo, nel quale richiamava l'attenzione dei comunisti sui fenomeni di dissidenza interna al fascismo che coinvolgevano giovani intellettuali e lavoratori.
La critica di questi giovani, che ancora si esprimeva in forme confuse e contraddittorie all'interno del regime, avrebbe potuto approdare, a giudizio del G., a una ricerca di soluzioni collettivistiche, una volta scoperta la falsa socialità del fascismo. Ma allorché i tentativi di approfittare dell'impresa etiopica per trasformare lo scontento in opposizione al regime non diedero i risultati sperati, il G. - che il 12 e il 13 ott. 1935 a Bruxelles aveva presieduto con Luigi Campolonghi e Giuseppe Emanuele Modigliani il congresso degli "Italiani per la pace" - cercò di individuarne le ragioni. In un rapporto al comitato centrale, tenutosi a Parigi nel settembre 1936, il G. pose in rilievo gli errori e i limiti dell'iniziativa dei comunisti.
La "rapida soluzione favorevole al fascismo in Abissinia" aveva reso il compito difficile, ma secondo il G. il partito non era comunque "riuscito a dare alla sua posizione disfattista una forma largamente popolare, accessibile alle masse influenzate dalla propaganda fascista […] essendosi il suo lavoro limitato a qualche gruppo e a qualche località; non [era] riuscito così a rompere largamente e con la sua agitazione il cerchio dell'illegalità e a trovare la via di una larga azione politica in Italia" (Italia in cammino, pp. 5 s.).
Per uscire dall'isolamento i comunisti avrebbero dovuto ricercare un'intesa con le correnti revisioniste del sindacalismo fascista: "nella situazione attuale - affermò il G. - siamo anche disposti a sostenere qualsiasi riforma politica democratica anche parziale, anche se non esce dal quadro del regime attuale - come il programma del 1919 - purché sia voluta dal popolo italiano e corrisponda, nella situazione attuale, ai più vitali e urgenti interessi del popolo italiano" (ibid., pp. 62 s.).
La reiterata sottolineatura del carattere contingente di questa scelta tattica non ne sminuiva la sostanza e Togliatti - assente alla riunione del comitato centrale - fece sapere di essere contrario a una impostazione che, scegliendo come interlocutori i quadri fascisti, finiva per depotenziare la lotta al regime. La politica di riconciliazione - rettificò da Mosca Togliatti - andava rivolta non al fascismo, ma al popolo italiano allo scopo di abbattere il regime attraverso l'alleanza con le altre forze antifasciste.
Il G. recepì la critica e con un intervento su Lo Stato operaio (XI [1937], 3-4, pp. 251-258) mise in chiaro che il lavoro nei sindacati fascisti doveva essere condotto avendo ben presente la "rottura netta, precisa, insuperabile con l'ideologia del fascismo di sinistra". Superate le iniziali perplessità nei confronti del movimento di Giustizia e libertà, da lui ritenuto "confuso", il G. s'impegnò direttamente nella realizzazione della politica di unità antifascista. Il 28 e 29 marzo 1937 il G. partecipò a Lione al congresso costitutivo dell'Unione popolare italiana - alla quale aderivano comunisti, repubblicani e militanti di Giustizia e libertà - e l'11 luglio assunse insieme con Campolonghi la direzione del quotidiano La Voce degli italiani, espressione di un più vasto fronte unitario di sinistra. Fu questa l'ultima rilevante funzione politica svolta dal Gennari. Nell'estate del 1938 fece ritorno in URSS e nel 1940 venne colpito da paralisi.
Il G. morì a Gor´kij, in Russia, l'8 apr. 1942.
Si segnalano alcune pubblicazioni che raccolgono prevalentemente interventi svolti dal G. in congressi e riunioni di partito oppure articoli già apparsi su giornali e riviste: I compiti attuali del partito socialista, Milano 1920; Relazione politica della direzione del partito al congresso di Livorno, Roma 1921; Per combattere il fascismo e il capitalismo: fronte unico! (lettera agli operai italiani), Parigi 1933; Italia in cammino, ibid. 1936; Chi siamo e cosa vogliamo, ibid. 1937.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2330, f. 27621; F. Pedone, Il partito socialista ital. nei suoi congressi, III, 1917-1926, Milano 1963, ad indicem; P. Spriano, L'occupazione delle fabbriche. Settembre 1920, Torino 1964, ad indicem; E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Roma 1967, ad indicem; L. Cortesi, Il socialismo ital. tra riforme e rivoluzione 1892-1921, Bari 1969, ad indicem; P. Secchia, L'azione svolta dal partito comunista in Italia durante il fascismo 1926-1932, in Annali dell'Istituto G. Feltrinelli, XI (1969), ad indicem; A. Lepre - S. Levrero, La formazione del Partito comunista d'Italia, Roma 1971, ad indicem; F. De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia, 1919-1920, Bari 1971, ad indicem; La frazione comunista al convegno di Imola, 28-29 nov. 1920, Roma 1971, pp. 7, 11, 14, 35 s., 60, 113; T. Detti, Serrati e la formazione del Partito comunista italiano, Roma 1972, ad indicem; L. Cortesi, Le origini del partito comunista italiano. Il PSI dalla guerra di Libia alla scissione di Livorno, Bari 1972, ad indicem; A. Landuyt, Le sinistre e l'Aventino, Milano 1973, ad indicem; S. Caretti, La rivoluzione russa e il socialismo italiano (1917-1921), Pisa 1974, ad indicem; G. Piemontese, Il movimento operaio a Trieste, Roma 1974, ad indicem; G. Maione, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità nel 1919-1920, Bologna 1975, ad indicem; P. Salvetti, La stampa comunista da Gramsci a Togliatti, Torino 1975, pp. 157, 164 s., 172, 186, 323; E. Ragionieri, Il movimento socialista in Italia, Milano 1976, ad indicem; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari 1976, ad indicem; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-III, Torino 1967-73, ad indices; P. Nenni, Storia di quattro anni 1919-1922, Milano 1976, ad indicem; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VIII, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, Milano 1978, ad indicem; G. Amendola, Storia del Partito comunista italiano 1921-1943, Roma 1978, ad indicem; S. Bertelli, Il gruppo. La formazione del gruppo dirigente del Pci 1936-48, Milano 1980, ad indicem; A. Dal Pont - S. Carolini, L'Italia dissidente e antifascista, I, 1927-1931, Milano 1980, ad indicem; Id., L'Italia al confino, IV, 1926-1943, Milano 1983, ad indicem; P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano 1923-1924, Roma 1984, pp. 13 s. e passim; G. Spini - A. Casali, Firenze, Bari 1986, ad indicem; N. Capitini Maccabruni, Liberali, socialisti e Camera del lavoro a Firenze nell'età giolittiana (1900-1914), Firenze 1990, ad indicem; G. Fiori, Gramsci Togliatti Stalin, Bari 1991, ad indicem; Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Bibliografia del socialismo e del movimento operaio italiano, I, Periodici, Roma-Torino 1956, ad indicem; II, Bibliografia, ibid. 1964, ad indicem; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, II, ad vocem; Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, II, Roma 1976, ad vocem.