GIULI (Giuli Mondi, De Iulis), Egidio Maria
Nacque a Genazzano, presso Roma, il 1° febbr. 1691, terzogenito di Nicola, originario di Genazzano, e di Anna Maria Posterula, romana. Il 9 genn. 1707 ricevette la prima tonsura e il 17 gennaio successivo fu ammesso al Collegio Capranica.
Il 20 giugno 1711 il G. vestì l'abito dei gesuiti, entrando a far parte della provincia romana (Roma, Arch. romano della Compagnia di Gesù, Ingressus novitiorum,Rom., 175, c. 38). Trascorse gli anni del noviziato (1711-13) presso la Domus probationis Romana di S. Andrea al Quirinale (ne era rettore T. Silotti) e ivi seguì, per un anno (1711-12) il corso di retorica tenuto da P. Vanni. Nel 1714, ricoprì gli incarichi di socius (collaboratore e compagno di uscita) di C. Castellini, minister e aiutante del rettore del Collegio germanico per l'amministrazione temporale. L'anno successivo, frequentò il quarto anno di teologia al Collegio romano e, completato il curriculum studiorum, nel 1716 fu inviato al collegio di Frascati (Mondragone), dove fu maestro di grammatica, aiutante del superiore e catechista. Nel biennio 1717-18 insegnò la stessa materia al collegio di Fermo, durante il rettorato di V. Provenzali, quindi di V. Cinghi. Valutato in precedenza dai superiori quale uomo di "buon ingegno", di "buon giudizio" e di complexio moderata, a Fermo il G. rivelò una riprovevole leggerezza nel trattare con i secolari ("desideratur in illo maior gravitas morum praestitim dum agit cum externis", Ibid., Secundus catalogus Collegii Firmani, Rom., 68, c. 109v, n. 10), nonostante eccellesse in "memoria et dicendi elegantia" (ibid.). Nel 1719 insegnò umanità al collegio di Macerata; negli anni 1720-22 tornò nuovamente a Fermo e vi tenne la cattedra di filosofia.
Si ha notizia di uno scritto del G., risalente al 1720 e riguardante i papi Marcellino e Onorio I, che suscitò una controversia con un religioso dell'Ordine dei minori conventuali. A essa mise fine un ordine del S. Uffizio, impartito al generale dei gesuiti M. Tamburini e da questo comunicato al G. con lettera in data 13 luglio 1720, nella quale si ingiunge: "a che voi in voto, né con scrittura varchi più simili materie; assuntomene ad ordine della sagra congregazione che si imponga rigoroso silenzio all'una, all'altra parte", e lo si obbliga a sopprimere la "scrittura" "che da' più credasi ancora ella pubblicata su lo stesso argomento, benché senza nome" (Roma, Arch. romano della Compagnia di Gesù, Epistolae generalium provinciae Romanae, Rom., 43, c. 305v). La "scrittura" sui papi Marcellino e Onorio I, oggi irreperibile, concerneva: la "caduta" del papa e martire Marcellino (296-304; l'accusa a lui mossa dai donatisti di aver ceduto alla persecuzione di Diocleziano, mentre, secondo altre fonti, egli fu riabilitato dal concilio di Sinuessa e dal martirio); la validità degli atti dello pseudoconcilio di Sinuessa (VI sec.) nonché le polemiche tra i monoteliti e papa Onorio I (625-638), sorte a causa di due lettere (rispettivamente datate al 633 e al 634) da questo inviate a Sergio, patriarca di Costantinopoli, e sfruttate poi in favore dell'eresia.
Nel 1723 il G. fu lettore di logica al collegio di Macerata. Sia a Fermo sia a Macerata i superiori furono abbastanza concordi nelle valutazioni sul suo carattere: uomo di giudizio e prudenza mediocri, ma di ottimo ingegno, con attitudini "ad omnia, cum aliqua excellentia" (Ibid., Secundus catalogus Collegii Maceratensis, Rom., 70, c. 117, n. 9). L'anno seguente, dopo aver fatto la professione dei quattro voti a Roma (2 febbraio), fu rimandato al Collegio germanico, dove fu prefetto degli studi; quindi, dal 1725 al 1727, fu incaricato di insegnare filosofia al Collegio romano. Negli anni 1728-29 il G. fu confessore e, nuovamente, prefetto degli studi del Collegio germanico-ungarico, destinato all'educazione di giovani provenienti da Germania, Polonia, Boemia e Ungheria. Da una lettera del generale M. Tamburini risulta che, in quegli anni, i convittori e i padri del collegio assumevano comportamenti indisciplinati e contrari alle regole dell'istituto (lettera del 5 marzo 1728 al rettore M. Imperiali: Ibid., Epistolae generalium provinciae Romanae, Rom., 44, c. 163v). A partire dal 1730, per i diciotto anni successivi, il G. vi tenne comunque, ininterrottamente, la cattedra di diritto canonico e vi espletò l'ufficio di consultor. Nel 1732 il generale Tamburini comunicò al rettore del collegio di essere pienamente appagato dell'andamento della cattedra sacrorum canonum e del professore che la teneva: le disputationes pubbliche relative alla materia, avevano riscosso "così universale il plauso" (lettera del 17 nov. 1732, ibid., c. 434v), da animare i convittori ad applicarsi con profitto allo studio della disciplina. Il G. era stimato ottimo professore dal pontefice Benedetto XIV, il quale, come risulta sia dalle lettere da questo inviate al cardinale P. Guérin de Tencin, sia dalla testimonianza dello storico gesuita G.C. Cordara (Commentarii…, p. 155), si valse delle competenze del G. in materia di diritto canonico, affidandogli diversi casi, e lo volle al suo fianco in occasione dei lavori per la riforma del Breviario romano (improntati alla critica maurino-muratoriana e alla cultura rigoristica), nonché nella stesura dei tredici libri De synodo dioecesana, che il G. rivide, distribuì in capitoli e redasse in latino, come egli stesso afferma in una lettera a D. Concina (1° giugno 1748).
Nel 1741 il G. pubblicò lo scritto In causa Iprensis visitationis sacrorum liminum, inserito nelle De matrimoniis inter haereticos, ac inter haereticos et catholicos initis in Foederatis Belgii Provinciis, dissertationes theologicae, et canonicae r.mi d. Cavalchini archiepiscopus Philippensis…, necnon quatuor insignium theologorum.
Nel 1744 si fece portavoce della causa del barone Giovanni Sigismondo di Quaedt e pubblicò lo scritto Sanctissimo domino nostro Benedicto XIV pontifici optimo maximo Trevirensis dispensationis pro Joanne Sigismundo barone de Quaedt canonico diacono metropolitanae Ecclesiae Trevirensis votum Aegidi Mariae Giulii Societatis Iesu (Romae 1744). Giovanni Sigismondo di Quaedt (Quedlinburg), canonico e diacono della chiesa di Treviri, si era rivolto al G. affinché il papa "apostolicae dispensationis ense illum rescindas, quo destringitur, voti nexum, eique liberum ad nuptias permittas transitum" (p. 1). Il G. si assunse il compito di sciogliere l'eventuale difficoltà che poteva essere mossa contro la dispensa dal celibato da concedere al barone e che consisteva nell'obbligo del celibato per l'ordine dei diaconi.
Il rapporto del G. con il domenicano D. Concina, che godeva di una buona reputazione presso Benedetto XIV e che era profondamente avverso alla morale gesuitica, e tuttavia estimatore del G., è documentato da una serie di lettere che questi, dichiarandoglisi "vero, e sincero amico", gli indirizzò negli anni 1745-48. Il G. vi esprime pareri favorevoli nei riguardi degli scritti del domenicano, pur consigliandolo di tenere a freno l'eccessivo zelo: "Il libro fu da me letto con tutto il piacere […]. Ella prende sempre a patrocinare cause ottime, […] le sostiene con sodezza, erudizione ed argomenti fortissimi; ma si lascia un poco trasportare dal zelo, ed esce qualche volta fuori di questione per dare qualche bottarella. Questa, mio padre Concina, è l'unica cosa a cui s'attaccano gli suoi avversari" (lettera del 1° giugno 1748: in Sandelli, parte II, p. 37). Le stesse lettere testimoniano i rapporti che il G. instaurò con importanti prelati della Curia pontificia, quali D. Giorgi, bibliofilo ed erudito, nominato prelato domestico dal pontefice, e i cardinali C.A. Cavalchini Guidoboni e F. Tamburini.
Risale al 16 febbr. 1746 una lettera di Benedetto XIV al cardinale di Tencin, nella quale si esprime l'intenzione del pontefice di investire il G. dell'incarico di consultore del S. Uffizio, ma di non poterlo fare sia a causa della cagionevole salute del G., sia per le invidie e i malcontenti che ciò susciterebbe presso i suoi confratelli, dato che precedentemente nessun gesuita era stato insignito di quella carica. Il pontefice considerava il G. il "miglior soggetto che abbiano i Gesuiti in Italia […] e solo ci dispiace che gode poca sanità, sembrando un morto in piedi, e tirando, come si suol dire, il fiato co' denti" (Le lettere di Benedetto XIV…, I, p. 316). Alla fine del 1746, il G. divenne esaminatore dei vescovi, ricoprendo il posto vacante per la morte del gesuita G.R. Volpi, e, alla fine dell'ottobre del 1748, fu nominato segretario della congregazione per l'Esame dei vescovi: primo gesuita adibito a simile incarico.
Il G. morì, prima di poter prendere possesso del nuovo ufficio, il 16 nov. 1748 nel Collegio germanico e fu sepolto nella chiesa di S. Apollinare.
Benedetto XIV ordinò di rintracciare i suoi manoscritti per darli alle stampe, ma, secondo quanto è documentato dallo Zaccaria, i confratelli "li trovarono imperfetti" (p. 307; anche Nuovo dizionario storico…, VII, p. 340). Nel 1750, a nome del G., fu pubblicata a Lucca una Lettera postuma critico apologetica degli studi di sua religione. La lettera è considerata autentica dallo Zaccaria (II, p. 420), ma interpolata in un secondo tempo da qualche avversario dei gesuiti. R.G. Villoslada (p. 251), al contrario, la ritiene apocrifa, pur considerandola opera di qualche gesuita insegnante del Collegio romano. Lo scritto, in forma di risposta alla lettera di un anonimo "amico", è una critica irriverente e sarcastica nei confronti dei metodi e programmi di insegnamento adottati nei collegi della Compagnia, in particolare al Collegio romano e al collegio Massimo di Napoli. Essa muove da alcuni passi della IV parte delle Costituzioni ignaziane e della Ratio studiorum e si sviluppa rispondendo alle varie obiezioni mosse dall'"amico" verso i programmi del curriculum studiorum gesuitico. L'autore, dopo essersi dichiarato del parere di dovere "seriamente ripigliare i metodi antichi" nell'insegnamento (p. 3), estrapola alcuni passi dalla Ratio, i quali, avulsi dall'originario contesto in cui erano collocati, assumono un diverso significato, e li usa a sostegno delle proprie tesi. Egli si esprime a favore di un rinnovamento dei programmi, dell'abolizione dell'uso dei compendi e dell'introduzione di problematiche contemporanee, soprattutto inerenti alla filosofia e alla teologia. Riguardo l'abbandono del tomismo e della filosofia naturale aristotelica, secondo l'autore esso è previsto dalle stesse Costituzioni e dalla Ratio, le quali prescrivono che i professori insegnino "in quavis facultate securiorem, et magis approbatam doctrinam" (p. 6), sia essa atomistica, "elementare", cartesiana o newtoniana. Non ci si deve discostare da Aristotele nell'insegnamento della filosofia naturale, qualora la fondatezza delle opinioni dello Stagirita non sia stata scardinata dai progressi della scienza, ma aggiungeva l'autore: "Se dunque l'Accademie si accordino di dar un calcio alla fisica d'Aristotele, ed alla sua vera, o falsa barbarie, ancor da' loro Collegi debbano discacciarnela i Gesuiti" (p. 7). Secondo le idee dell'autore, i trattati di base aristotelico-tomistica adottati per l'insegnamento della filosofia naturale avrebbero dovuto essere sostituiti con Les entretiens physiques di N. Regnault (p. 64), gesuita francese che insegnò la fisica cartesiana. Al fine di migliorare gli obsoleti programmi di studio dei gesuiti, i collegi italiani sono esortati a seguire l'esempio dell'insegnamento impartito nei due collegi senesi (S. Vigilio e Tolomei), nei collegi dei nobili di Napoli e Palermo, e, soprattutto, "emulando gli ottimi usi de' gesuiti di Francia nelle scuole, e nei collegi, che vi sono di tanta riputazione" (p. 69) e dove, a partire dalla fine del Seicento e per buona parte del Settecento, si insegnò il cartesianesimo, contravvenendo alle normative istituzionali concernenti l'interdizione di quella filosofia dai collegi gesuitici.
La Lettera suscitò una polemica documentata nella Storia letteraria dello Zaccaria, difensore degli studi dei gesuiti, dando adito a due ulteriori scritti: il primo, del gesuita P. Lazzeri, pubblicato nel 1750; l'altro, del gesuita E. de Azevedo, inedito. Nell'Avviso al pubblico sopra una lettera postuma che va sotto nome del p. E.M. G. della Compagnia di Gesù, datato 25 ag. 1750 e inserito in una miscellanea sul Collegio romano (Roma, Bibl. Casanatense, Miscellanea in folio, vol. 215), il Lazzeri attesta come la Lettera del G. fosse molto diffusa e, negando che lo schivo gesuita, insegnante di diritto, fosse autore di gran parte dello scritto, difende la situazione contemporanea degli studi al Collegio romano. La sua è, in apparenza, una posizione di conservazione nei confronti dei programmi di studio, ma in realtà accoglie alcune innovazioni operate nell'insegnamento di varie discipline presso il Collegio romano, in particolare nella filosofia naturale. La Lettera d'incognito autore intorno al libro del reverendissimo p. E.M. G. della Compagnia di Gesù di E. de Azevedo (l'attribuzione si evince facilmente dal testo, nonostante risulti adespota al catalogo del Fondo Gesuitico della Bibl. nazionale di Roma, in cui è conservata: 1162.6, c. 94), affermando l'impossibilità di attribuire lo scritto al G., suggerisce di censurarlo, perché irridente e sarcastico nei confronti di diversi padri della Compagnia, soprattutto verso il generale e i lettori e prefetti del Collegio romano. E così avvenne: la Lettera del G. fu messa all'Indice con decreto del 31 ag. 1750.
Del G., oltre alle opere a stampa citate, si conserva manoscritta una Physica particularis, cum summulis et metheoris nella Biblioteca comunale di Macerata (5.2.Aa.26).
Fonti e Bibl.: Genazzano, Arch. della Chiesa di S. Paolo, Battesimi 1669-1714, c. 110; Roma, Arch. del Collegio Capranica, Matricularum almi Collegii Capranicensis ab anno 1660 usque ad annum 1792, c. 90, n. 251; Ibid., Arch. del Vicariato, Liber ordinationum ab anno 1704 usque ad annum 1710, 29, c. 118; Ibid., Archivum Romanum Societatis Iesu, Catalogi triennales provinciae Romanae, Rom., 68, cc. 26v, 84, 190, 249; 69, cc. 45v, 109v, 220, 279; 70, cc. 55, 117, 186v, 247v; 71, cc. 29, 88, 201, 278; 72, cc. 31, 91, 208, 268; 73, cc. 26, 86, 202, 262; Catalogi breves provinciae Romanae, Rom., 98, cc. 59, 108v, 166v, 206; 99, cc. 9, 70, 122, 181, 223v; 100, cc. 74v, 110v, 159v, 196; 101, cc. 3, 51, 112, 162, 212; 102, cc. 15v, 63, 110, 159, 107v; 103, cc. 14v, 66, 116, 165v, 214v; 104, cc. 24v, 65, 114, 162v, 211v; 105, cc. 15, 64, 114v, 192; Epistolae generalium provinciae Romanae, Rom., 42, c. 338v; 43, cc. 164, 305v, 312; 44, cc. 163v-165, 364v, 434v; 45, cc. 214v, 393; Ingressus novitiorum, Rom., 175, c. 38; Professi quatuor votorum, Ital., 26, cc. 101-102; D. Sandelli, De Danielis Concinae vita et scriptis commentarius, II, Epistolae clarorum virorum ad p. Danielem Concinam, Brixiae 1767, pp. 28-36; G.C. Cordara, Opere latine ed italiane, IV, parte I, Venezia 1805, pp. 3-15; Le lettere di Benedetto XIV al cardinal de Tencin, a cura di E. Morelli, I (1740-1747), Roma 1955, pp. 276 s., 315 s.; II (1748-1752), ibid. 1965, pp. 21, 94-100; F.A. Zaccaria, Storia letteraria d'Italia, I, Venezia 1750, p. 307; III, ibid. 1751, pp. 419-435; Index librorum prohibitorum sanctissimi domini nostri Benedicti XIV, Romae 1758, p. 137; G.C. Cordara, Commentarii ad Franciscum fratrem comitem Calamandranae, a cura di G. Albertotti - A. Faggiotto, in Miscellanea di storia italiana, LIII (1932), pp. 62, 85, 155, 433; Nuovo dizionario storico ovvero Istoria in compendio…composto da una società di letterati in Francia… sulla settima edizione francese del 1789, VII, Bassano 1796, p. 340; R.G. Villoslada, Storia del Collegio romano dal suo inizio (1551) alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), Roma 1954, pp. 248, 251, 294, 328, 331, 333; S. Gangemi, La vita e l'attività del cardina-le Domenico Capranica, Casale Monferrato 1992, ad indicem; G. Moroni, Diz. d'erudizione storico-ecclesiastica, XVI, p. 26; Ch. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, coll. 1479 s.; Dict. d'histoire et de géographie ecclésiastiques, XXI, coll. 62 s.