Egidio Romano Filosofo e teologo (Roma 1243 ca
Avignone 1316). È detto talora Egidio Colonna, ma sono oscure le sue relazioni con la famiglia romana. Entrato negli eremitani di s. Agostino, fu dal 1260 circa a Parigi. Nel 1278, avendo sostenuto alcune delle dottrine condannate dal vescovo Tempier nel 1277, fu costretto a lasciare Parigi; vi tornò nel 1285 e conseguì la licentia docendi dopo aver ritrattato alcune sue dottrine. Generale dell’ordine agostiniano (1282-95), nel 1295 ottenne l’arcivescovato di Bourges da Bonifacio VIII. Nel 1301, chiara espressione della tesi pontificia nella controversia con Filippo il Bello, scriveva il De ecclesiastica sive de Summi Pontificis potestate: tesi centrale del libro è la plenitudo potestatis del papa non solo nell’ambito spirituale ma anche in quello temporale; i principi sono, nell’esercizio delle loro funzioni sovrane, in tutto subordinati al papa, da cui l’autorità loro deriva. E. è autore di commenti ad Aristotele, al Liber de causis e alle Sentenze di P. Lombardo e di vari trattati: Theoremata de corpore Christi (prima del 1277), De gradibus formarum (1277-78), Theoremata de esse et essentia (1278-80), Quaestiones disputatae de esse et essentia (1285-86), De partibus philosophiae, De regimine principum. La posizione speculativa di E. è complessa: vicino in più punti a Tommaso d’Aquino, se ne discosta sotto altre influenze (agostiniane, neoplatoniche), dando svolgimenti originali al suo pensiero. Così, per l’esistenza di Dio, E. sostiene che essa è un «per sé noto», riconoscendo tuttavia valore alle prove a posteriori. E. insiste sulla distinzione tra essenza ed esistenza fino a intenderla come distinzione tra due cose (duae res): l’esistenza (esse simpliciter o esse existentiae) si aggiunge all’essenza (che è comprensiva di sostanza e accidenti); l’esistenza è poi concepita come una partecipazione (participatio) all’esse o esistenza di Dio (di qui l’assorbimento di immagini schiettamente neoplatoniche). Contro questa dottrina egidiana polemizzò poi Enrico di Gand. In psicologia, E. attribuisce all’intelletto agente non una capacità astrattiva, ma la funzione d’illuminare così l’immagine sensibile come l’intelletto in potenza che genera in sé la specie intelligibile e il concetto astratto.