EGIDIO
Di umile famiglia, nacque nel territorio di Piacenza negli ultimi decenni del sec. XII. A queste poche notizie fornite dal vescovo umanista Fabrizio Marliani, che scriveva nel tardo Quattrocento, il Campi, due secoli più tardi, ne aggiunse altre, affermando che E. era nato a Stralevata nel Piacentino "da un Bongiovanni, persona di basso stato, ma timorosa di Dio". Entrato nell'Ordine cisterciense presso il cenobio di Chiaravalle della Colomba, E. fu in seguito destinato al priorato di Quartazzola vicino a Ponte Trebbia, ove ricopri verosimilmente la carica di priore.
Alla morte del vescovo di Piacenza Vicedomino, avvenuta il 14 febbraio 1235, ebbe inizio tra i chierici una lunga controversia per stabilire a chi spettasse il diritto di eleggere il vescovo. Tale prerogativa fu infatti allora rivendicata, da una parte, da tutto il clero diocesano, guidato dai canonici di S. Antonino, e, dall'altra, dal preposito e dai canonici della cattedrale. Nessuna delle due parti riuscendo a prevalere, si determinò una situazione di stallo, che fu sbloccata, secondo il Campi, il quale si fonda sulla documentazione pontificia, da un intervento di Gregorio IX. Il pontefice aveva inviato il 7 maggio 1235 in Toscana Giacomo da Pecorara, vescovo cardinale di Preneste, anch'egli piacentino e cisterciense. Al termine della legazione toscana il cardinale si recò a Piacenza con il compito di eleggere al più presto il nuovo vescovo della città. Solo l'11 ott. 1236, tuttavia, si giunse ad un accordo: nel coro della cattedrale i maggiori rappresentanti del clero affidarono al cardinale di Preneste l'incarico di eleggere il nuovo presule, promettendo che avrebbe accettato la sua decisione. Giacomo da Pecorara elesse allora vescovo il confratello E., che fu consacrato il 12 ottobre.
La prima preoccupazione del nuovo vescovo fu di ottenere il riconoscimento papale della sua elezione; avuto il quale, il 16 nov. 1236, secondo la testimonianza del Liber censuum, giurò fedeltà al papa secondo la formula specifica, non di persona, ma certamente per il tramité di un procuratore, poiché sei giorni più tardi, il 22 novembre, era in Piacenza a fianco del cardinale di Preneste durante la cerimonia di dedicazione della chiesa di S. Antonino, dal prelato fatta ricostruire a proprie spese. Terminata la cerimonia, E. ed il cardinale dettarono gli statuti che avrebbero regolato la vita dei clero piacentino.
Presso S. Antonino veniva istituita, a spese del prelato, una terza prebenda sacerdotale, il cui titolare avrebbe anche ricoperto la carica di arciprete dei cappellani cittadini; questi ultimi avrebbero'costituito una congregazione sottoposta al vescovo. Vennero allora definiti, inoltre, i compiti pastorali dei sacerdoti cappellani cui si richiese di compiere opere di pietà, di visitare gli infermi, di avere attenzione maggiore verso i poveri e di curare la sepoltura dei morti. Infine venne istituito per il medesimo clero l'obbligo di incontrarsi nel primo giorno di ogni mese per cantare una messa in suffragio delle anime dei vescovi defunti, di quelle degli appartenenti alla congregazione e di quelle di tutti i fedeli piacentini. Sempre nel medesimo novembre del 1236, su pressione di E., il cardinale decise di rinviare all'anno successivo la proclamazione della sentenza relativa alla questione dell'elezione dei vescovi di Piacenza.
Fin dall'inizio del suo governo episcopale, dunque, E. si impegnò attivamente nell'opera di riforma e di ricostruzione morale e religiosa della vita del clero e del popolo che gli erano stati affidati. Tale opera non si limitò alla sola Piacenza, ma si rivolse al territorio dell'intera diocesi, come dimostra la visita pastorale da lui compiuta, durante il suo episcopato, alle diverse chiese e alle diverse cappelle rurali sottoposte alla sua giurisdizione. Degli atti relativi a tale visita, purtroppo andati in gran parte perduti, ci rimangono fortunatamente quelli dedicati alla visita pastorale che E. compi l'8 febbr. 1237 alla pieve di Olubra, presso l'attuale Castel San Giovanni. Essi rivestono per noi un particolare interesse, perché ci mostrano, a grandi linee, quali fossero gli ideali che animavano il vescovo e quali fossero le difficoltà e gli errori che egli intendeva rimuovere.
E., vi si afferma, agiva "causa reformationis et correctionis plebis et canonicorum". Richiedeva pertanto al clero di quella pieve un totale impegno nella celebrazione dell'ufficio divino, celebrazione che imponeva venisse compiuta, sia per la liturgia delle ore diurne, sia per la liturgia delle ore notturne, secondo il rituale in uso presso la cattedrale. Ai cappellani - i quali, a differenza dei canonici, vivevano lontani dalla pieve - E. prescriveva una vita integerrima: il rigore di essa doveva venire periodicamente controllato dall'arciprete della pieve mediante una visita alle diverse cappelle, da compiersi ogni quattro mesi. Durante tale visita l'arciprete doveva, inoltre, con l'aiuto di un canonico della cattedrale, farsi un'idea del tenore della vita spirituale di ciascuna comunità e valutare le condizioni finanziarie di ciascuna cappella; quando ne avesse ravvisato la necessità, doveva intervenire e procedere ad un'opera di riforma. Il vescovo esigeva poi che ogni tre mesi l'arciprete presentasse i conti al capitolo e, se necessario, al vescovo, e gli faceva divieto di dare in pegno ai creditori arredi sacri o vasellame per gli usi liturgici. Ma soprattutto E. proibiva che si accendessero nuovi mutui o prestiti su pegno ipotecario, ed imponeva all'arciprete di saldare entro quattro anni, con rate annue di 25 lire, un debito di 90 lire in precedenza assunto da quella pieve. Infine E. ribadiva le norme canoniche che proibivano al clero di frequentare donne e le disposizioni che imponevano ai chierici della pieve di accettare l'abito e la tonsura ecclesiastica.
Nel giugno del 1237 E. era a Piacenza, come si trae da un atto del notaio Rufino di Rizardo. Da questo documento veniamo anche a sapere che il vescovo aveva il diritto e l'obbligo di nominare i tutori per i minorenni a cui fosse morto il padre, in quanto egli era anche "comes Placentiae". Successivamente E. presenziò alla riunione in cui i canonici di S. Antonino, nel chiostro della loro chiesa, nominarono Bonifacio a rappresentare loro stessi e i cappellani piacentini alla solenne cerimonia del 1º novembre nel corso della quale il cardinale di Preneste avrebbe definito la questione relativa al diritto di eleggere i vescovi di Piacenza sorta tra i due capitoli cittadini. Sempre nel 1237 E. acconsenti che sorgesse fuori le mura di Piacenza, ma non lontano da San Siro, il monastero femminile di S. Maria di Gerusalemme, soggetto alla regola di s. Benedetto.
In questo fervore di attività pastorali giunse improvvisa la notizia che i Milanesi e i Piacentini erano stati sconfitti a Cortenova da Federico II; il podestà di Piacenza, Rainerio Zeno, avuta dal priore dei domenicani l'informazione che i Milanesi avevano iniziato a trattare una pace separata con l'imperatore, convocò il 19 dicembre il Consiglio generale per decidere sul da farsi. Prevalse il partito della pace e i consiglieri elessero come rappresentanti del Comune a trattare con l'imperatore il vescovo E. ed il priore dei domenicani, Giacomo. Il 20 dic. essi si recarono a Lodi, allora sede della Curia imperiale, per iniziare i colloqui, ma non furono ricevuti da Federico II, che preferi affidare i due piacentini al giudice imperiale Pietro Della Vigna. Nel frattempo ambasciatori milanesi informarono i Piacentini che le notizie relative alle loro trattative di pace con l'imperatore non rispondevano a verità. Il podestà di Piacenza avvisò subito E. ed il priore dei domenicani, che il 21 dicembre abbandonarono il campo imperiale. Rientrati in Piacenza riferirono ai concittadini che il sovrano non avrebbe fatto pace con loro se prima non si fossero arresi senza condizioni.
Nel maggio del 1238 E. fu di nuovo alla corte di Federico II, questa volta a Pavia. Li sottoscrisse come testimone un privilegio per il conte Guido di Biandrate. Dovette anche perorare in favore del priorato cisterciense di Quartazzola, ove forse era stato superiore, poiché nel medesimo mese di maggio la fondazione ottenne un diploma da Federico II, che la poneva sotto il suo patrocinio. Dopo tale soggiorno E. si ammalò gravemente, tanto da dover nominare come suo vicario generale il canonico Guglielmo dei Bonifaci. Ritrovata la salute, riassunse il governo della diocesi ed il 10 dic. 1239, assistito da due "domini" della sua curia feudale, Agadio Advocato e Omodeo Maltraverso, concluse un accordo con il cenobio piacentino di S. Savino, stabilendo le modalità di uso e di proprietà della bocca del fiume Nura. La parte terminale del corso d'acqua fu suddivisa in quattro canali, due dei quali furono attribuiti al cenobio e due all'episcopato, che li avrebbe a sua volta spartiti con entrambi i "domini".
Durante la lunga lotta tra Federico II e la Chiesa, E. si schierò, insieme con il cardinale di Preneste, al fianco del pontefice Gregorio IX. Nella primavera del 1241 raggiunse Genova per imbarcarsi per Roma, dove avrebbe partecipato al concilio allora indetto dal papa. Il 3 maggio, tuttavia, le navi genovesi furono attaccate e in parte catturate dalle flotte dei Siciliani e dei Pisani che combattevano per Federico Il. E. dovette comunque scampare alla cattura e alla prigionia perché il suo nome non compare in una lettera a Gregorio IX, in cui il podestà di Genova informava il pontefice del disastro navale e segnalava i prelati catturati dagli Imperiali. L'anno successivo, tra il 27 febbraio ed il 2 marzo, E. visitò il cenobio di S. Savino di Piacenza e promulgò nella chiesa abbaziale, alla presenza dell'abate Arduino, del priore Bonifacio, di numerosi altri superiori dei priorati dipendenti da quel monastero, alcune costituzioni di riforma, con le quali si ordinava a tutti i monaci la completa obbedienza all'abate e si imponeva a tutti i priori della congregazione di non alienare i beni immobili e soprattutto di non darli in pegno in cambio di crediti in denaro.
Quindici giorni più tardi fu colto da una malattia che si rivelò subito gravissima: ne siamo informati da una lettera del 22 aprile di Gregorio da Montelongo al preposito e al capitolo della cattedrale di Piacenza. In essa Gregorio, dopo aver preso atto che E. era "tanta infirmitate gravatus quod de vita disperatur ipsius", ordinava ai chierici che, qualora il presule fosse morto, non procedessero alla elezione di un nuovo vescovo senza prima averlo consultato.
E. morì a Piacenza il 3 maggio 1242. Il suo corpo fu deposto in un'arca di granito, accanto all'altar maggiore della chiesa del priorato di Quartazzola, presso Ponte Trebbia. Alla sacristia della cattedrale di Piacenza legò 20 lire per l'acquisto di un calice: tale munificenza gli assicurò il ricordo nel Calendario della cattedrale in cui viene indicato come "vir eximie doctus, innocentissime ac optime vite".
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