Vedi EGINA dell'anno: 1960 - 1994
EGINA (Αἴγινα, Aegīna)
Isola della Grecia, posta nel Golfo Saronico, a metà strada fra l'Attica, Corinto e l'Argolide. Parzialmente di origine vulcanica, essa è - per lo più - montagnosa, con altezza massima sull'Oros (m 534), nella parte centro-meridionale dell'isola. Le coste - come ebbe ad osservare lo stesso Pausania (ii, 29, 6) - sono poco favorevoli all'approdo. I due porti principali erano presso la città di E.; un terzo porto - naturale - all' estremità meridionale, presso il Capo Perdicca, di fronte all'isoletta di Monì. Nella baia di Haghìa Marina, sulla costa orientale, si ha un altro porto naturale.
I più importanti stanziamenti antichi dell'isola sono: al Capo Colonna, presso la capitale; sull'Oros, o Monte S. Elia; nella zona del Mesàgro che ha dato la maggior quantità di materiali e di resti monumentali. Lo stanziamento al Capo Colonna si trova su una collina, presso la città attuale a N del porto militare, sul luogo del più notevole insediamento preistorico dell'isola, presso il mare. Il nome della località è venuto dall'unica colonna superstite del tempio, presunto di Apollo, che sorgeva sulla vetta.
Di tutto l'edificio restano, oltre alla colonna, parte dello stereobate e frammenti, mal conservati, della decorazione frontonale in marmo pario. Materiale da costruzione è una sorta di pòros giallastro conchiglifero. Quanto ci resta, è sufficiente per valutare le proporzioni dell'edificio. Esso poggiava su una sostruzione di m 19,20 × 34,40 ed aveva una peristasi di 6 × 12 colonne doriche: la cella era preceduta da un pronao e seguita da un opistodomo, al quale ultimo apparteneva la colonna superstite. Le proporzioni dell'edificio ed il profilo del capitello, oltre ad altri elementi, permettono di ascrivere la costruzione agli anni fra il 520 ed il 500 a. C. La parte occidentale del tempio poggia su una serie di muretti preistorici e saggi effettuati sotto il piano della costruzione della fine del VI sec. a. C., hanno rivelato l'esistenza di un precedente edificio, databile alla fine del VII-inizio del VI a. C., di cui la testimonianza maggiore è in una antefissa semicircolare di grandi dimensioni. Le più antiche tracce di una destinazione cultuale del sito risalgono fino ad età tardo-micenea. La prima attribuzione del tempio al culto di Afrodite si deve ai viaggiatori inglesi Spon e Wheler, che visitarono l'isola nel 1675 e, sulla traccia di Pausania, che ricorda (ii, 29, 6) un tempio di Afrodite presso il mare, credettero di identificarlo nel nostro. Gli studî più recenti, tendono a riferire il tempio del Capo Colonna al culto di Apollo (testimoniato da iscrizioni), od a Posidone, l'antica divinità di E.; osservandosi giustamente che il più importante tempio di una città dorica, non poteva essere dedicato ad Afrodite. La distruzione dovette avvenire in età romana tarda e sul posto fu eretto un grande edificio, simile ad una fortezza, con una cisterna, tra il tempio ed il mare, che si conserva ancora.
A S-E del tempio, si conservano i resti di un pròpylon arcaico di forma quadrangolare, con un altare al centro e rilievi sulle pareti (un frammento è nel museo di Egina). La datazione dell'edificio, nel quale si è voluto riconoscere l'Aiakeion, dovrebbe essere al VI sec. a. C.
A N-O del tempio, si hanno le tracce di due naìskoi e di una costruzione rotonda che, seguendo la descrizione di Pausania (ii, 29, 9), potrebbe essere la sostruzione della tomba di Phokos. I resti di una costruzione pergamena, forse dell'Attaleion, sono invece all'estremità occidentale, ai piedi della collina, presso il mare. Ai piedi della collina, dalla parte di E, si trovano il teatro e lo stadio.
Sono conservati sufficienti resti delle mura, tanto da poterne ricostruire il perimetro. Si iniziavano presso il porto commerciale, che includevano, e terminavano a N della collina di Capo Colonna.
Sulle pendici del Monte S. Elia (Oros) gli scavi hanno rivelato l'esistenza di uno stanziamento di genti tessaliche, databile intorno al XIII sec. a. C. Insieme con queste popolazioni, dovette giungere in E. il culto di Zeus Hellànios, testimoniato in Tessaglia. Questo culto si manifesta legato alle acque, e Zeus è invocato soprattutto in qualità di pluvio. La località fu abbandonata improvvisamente in concomitanza con la distruzione dei centri tardo-micenei del resto del territorio; e l'abbandono dovette essere così improvviso che sono stati ritrovati pìthoi colmi ancora di granaglie, ornamenti aurei, materiale intatto. Una nuova occupazione del sito si ebbe in età geometrica, quando venne edificato un doppio recinto semicircolare avente al centro un basso altare. Ma la sistemazione monumentale del santuario avvenne solo in età pergamena. In quest'epoca tutto il monte fu considerato sacro e fu aperta, nella parte occidentale, una grande strada a gradini conducente ad una terrazza rettangolare sostenuta da muri in opera poligonale. Da questa terrazza, mediante una scala larga sette metri, si accedeva ad un secondo spiazzo, ove era un edificio ipostilo. Più in alto una cisterna scavata, per buona parte, nella roccia, collegata con una altra cisterna, posta ad un livello maggiore, più piccola della precedente, nella quale, probabilmente, si raccoglieva l'acqua sacra di Zeus. In età bizantina, fu costruito sul monte un monastero i cui resti sono ancora visibili.
Le prime tracce di una localizzazione del culto sul Mesàgro risalgono all'età micenea e ci restano numerosi ex voto. Verso la metà del VII sec. a. C., quando comincia a porsi una certa talassocrazia eginetica, si ha l'erezione del primitivo recinto (prima fase costruttiva del Furtwängler), che includeva, in un perimetro irregolare, un semplice altare (del quale si sono ritrovati resti), forse una edicoletta per lo xòanon di Aphaia (Paus., iii, 14, 2), il cui culto va sistemandosi, in questo periodo, con la creazione di una casta sacerdotale per le cui esigenze si costruiscono, fuori del recinto sacro, i primi edifici. Nel VI sec. a. C., quando E. è al culmine della sua potenza, il santuario si viene trasformando: si costruisce il primo tempio, distilo in antis, con cella tripartita da due file di tre colonne ed àdyton bipartito. Il peribolo del santuario non viene modificato, mentre l'altare è arretrato rispetto al precedente e l'ingresso, da S, viene reso monumentale con la creazione di un pròpylon con due coppie di colonne. Con questa fase costruttiva (seconda del Furtwängler), deve essere messa in relazione la grande iscrizione in calcare tenero, riferentesi alla fondazione dell'òikos di Aphaia, durante la hierèia, di un Cleoita (o Dreoita), che curò la costruzione del tempio, dell'altare e della statua eburnea di Aphaia.
Agli inizî del sec. V a. C., si ha la più importante fase edilizia del santuario (terza del Furtwàngler). Questa volta una esigenza di monumentalità è alla base della trasformazione. L'area del peribolo è quasi triplicata, il tempio, assai ingrandito e leggermente mutato di orientamento, ne occupa il centro ed è collegato da una lunga rampa all'altare, anch'esso ingrandito, con doppia gradinata di accesso e bomòs. I varî edifici fuori del recinto sono messi in asse con quelli all'interno ed aumentati di numero. Il tempio si innalza su un ampio krepìdoma di tre gradini, ha una peristasi di 6 × 12 colonne doriche, e consta di cella divisa in tre navate da due file di cinque colonne, preceduta da un pronao e seguita da un opistodomo con due colonne fra ante. Il materiale impiegato nella costruzione è un calcare locale giallastro, ricoperto da un sottile strato di finissimo stucco. I campi frontonali erano occupati da statue (vedi più innanzi) e la copertura era di tegoli di marmo nelle parti più esposte, di terracotta altrove. Il motivo acroteriale centrale si componeva di due statue femminili affiancate ai lati di un motivo architettonico a palmette. È ancora visibile traccia di un pavimento di stucco rosso. L'accesso al sacro recinto avveniva tramite un pròpylon composto da un pròdromos con due colonne e da un vestibolo più largo, anch'esso con due colonne. Un secondo pròpylon regolava l'accesso ad un altro recinto a S del precedente, avente la funzione di racchiudere tutti gli edifici del culto e le abitazioni dei sacerdoti, che erano fuori del recinto sacro.
Un problema assai dibattuto è quello relativo al nome della divinità onorata nel santuario. Infatti, se il soggetto dei frontoni fa chiaro riferimento ad Atena, la grande iscrizione, trovata presso il santuario dal Furtwängler, ricorda la erezione di un òikos di Aphaia. Altre iscrizioni, incise sulla roccia, fanno pure menzione di Aphaia. È molto probabile che il tempio sia stato eretto ad Atena, ma che la popolazione abbia continuato a dare alla dea il nome dell'antica divinità indigena.
Vaste necropoli sono state rinvenute nell'isola, soprattutto nella pianura intorno alla città. Si tratta prevalentemente di tombe micenee a tumulo, con piccolo corridoio di accesso e gradini. In alcuni casi si hanno delle vere costruzioni a camera, a più vani concorrenti in un vestibolo collegato con l'esterno per mezzo di una rampa in salita o da gradini. Da una tomba della necropoli proviene, con ogni probabilità, il "Tesoro di E." (acquistato sul mercato antiquario per il British Museum) composto da un ricco insieme di oggetti d'oro di arte dedalica. Tombe a camera sepolcrale sono costruite anche in età pergamena; si tratta sovente di edifici monumentali arricchiti di decorazioni e di pitture.
La posizione di E., chiave del Saronico, al centro del golfo, distante solo 14 miglia da Nauplia e 17 dal Pireo, contribuì a fare assumere all'isola, fin da età preistorica, e poi nella prima epoca classica, una posizione dominante nel commercio interellenico e mediterraneo e, con ciò, una influenza politica che, nel V sec. a. C., sarà causa della sua rovina, quando Atene, trovandola di ostacolo alla propria politica espansionistica, la soggiogherà (457 a. C.).
Prima ancora di Corinto, E. entrò in contatto con il commercio cicladico ed istitui relazioni con l'Egitto e con le città della costa anatolica. Sembra che i materiali archeologici testimonino la provenienza vicino-orientale delle popolazioni che per prime si stanziarono in Egina. Per le Età Eneolitica e del Bronzo, gli studiosi hanno adottato la cronologia elladica, che A. J. B. Wace e C. W. Blegen elaborarono per il materiale peloponnesiaco, sul modello della cronologia minoica dello Evans. L'isola, prima di dipendere da Atene, gravitava nell'area peloponnesiaca. Una prima frattura culturale dovette aversi intorno al 2000 a. C., con l'arrivo dei popoli che recavano la ceramica minia, ed una seconda, intorno al 1400 a. C., con la scomparsa di questa ceramica e l'apparire di quella micenea portata dalle invasioni di genti achee.
Età Neolitica. - I primi stanziamenti nell'isola ebbero luogo verso la fine del IV millennio a. C., ad opera di popolazioni giunte dal Peloponneso; fu occupato il sito della posteriore città di E., la baia di Haghìa Manna, il Mesàgro. Lo scavo ha restituito una tipica ceramica a decorazione impressa, con motivi di meandro e di fasce parallele ed incrociate, ad imitazione degli intrecci dei vimini, riempiti di colore. È comune anche una ceramica a superficie nera, levigata alla stecca, più tarda, forse. Forma prevalente è la ciotola tronco-conica senza labbro o con labbro ripiegato verso l'interno. Dallo scavo del Mesàgro è venuto in luce un idoletto femminile steatopigio, di tipo assai diffuso in Età Neolitica ed oltre.
Età Eneolitica e del Bronzo. - L'esame del materiale permette di stabilire la continuità di occupazione del sito, l'unità etnico-culturale con l'àrea peloponnesiaca, gli stretti rapporti con le Cicladi e con la Grecia meridionale.
Verso il 2000 a. C., compare la cosiddetta ceramica minia, e si ha un radicale mutamento nella decorazione dei vasi; verso la metà del II millennio a. C. si ha un notevole incremento delle importazioni di ceramica cretese; e, intorno al 1400 a. C., compare la ceramica micenea e muta la decorazione dei vasi.
Nella fase proto-elladica (eneolitica), l'isola è abitata da genti di razza mediterranea, originarie, probabilmente, dalla Anatolia e parlanti un dialetto affine al licio, relitti del quale sarebbero rintracciabili nei toponimi in -ssos ed in -nthos. Queste genti avrebbero tributato culto ad una divinità marina di nome (nella forma ellenizzata) Aigàios. Da essa, piuttosto che dalla voce αἴγα (capra) o dalla ninfa Aigina, figlia di Asopos, dovette venire il nome all'isola. La tipica produzione proto-elladica di E. è rappresentata da una ceramica piuttosto fine, rossastra, o brunastra, con sovrapposizione totale o parziale di una vernice translucida (cosiddetta Urfirnis-Keramik), che si diffonde a tutto il continente. Ad essa si affianca la comune produzione peloponnesiaca, rappresentata da una ceramica ad ingubbiatura rossa o bruna, decorata spesso con incisioni di motivi semplici, e dalla cosiddetta Mottled Ware, una ceramica cui l'imperfetta cottura fa assumere a chiazze un colore rossastro. È presente anche una debole importazione dall'Attica e dalla Beozia ed una più forte dalle Cicladi. Le abitazioni sono del tipo rettangolare ed ellittico, simili a quelle rinvenute (dal Blegen) negli scavi di Zigourìes.
La fase meso-elladica (Età del Bronzo), si fa incominciare intorno al 2000 a. C., epoca in cui un primo iato nella continuità culturale dell'ambiente peloponnesiaco è testimoniato dalla contemporanea distruzione dei principali stanziamenti eneolitici e dalla comparsa di una ceramica nuova, realizzata con tecnica nuova ed in forme nuove. Si tratta delle cosiddette Grey Minyan e Yellow Minyan Ware (ceramica minia grigia oppure gialla). È presente anche una ceramica a superficie opaca di colore rossastro o giallastro, decorata con motivi semplici (Matt-painted Ware o Mattmalerei) nota anche col nome di ceramica di Egina. Forma peculiare il vaso a salsiera (sauce-por) con lungo becco. Per tale periodo è stata postulata una invasione del Peloponneso da parte di genti provenienti da N, probabilmente una avanguardia di popoli indoeuropei, parlanti un dialetto eolico (arcadico ?), tributanti culto a Posoidan, assimilato al primitivo Aigàios. Alla fine del periodo debbono ascriversi le primitive costruzioni a mègaron. Comincia, ora, a prevalere sugli altri lo stanziamento del Capo Colonna, la cui vita si prolunga fino al 1400 a. C., quando tutti i principali centri minî sono già stati distrutti dalle prime ondate di popoli achei.
La fase tardo-elladica (tarda Età del Bronzo, prima Età del Ferro), si inizia intorno alla metà del II millennio a. C., epoca in cui anche lo stanziamento del Capo Colonna è distrutto. Termina la ceramica minia, si affievolisce fino a scomparire la Mattmalerei, compare una rilevante quantità di ceramica d'importazione cretese. È stata attribuita a questo periodo la presunta colonizzazione cretese dell'isola, messa in rapporto con la diffusione del culto di Britomartis. È possibile invero postulare che le primitive invasioni achee siano avvenute dal S, dalle isole. Nuovi culti sono introdotti, ora, nell'isola. A Posoidan, divenuto Poseidon, si affiancano Aphaia, una divinità indigena identificata in parte con la Grande Madre Terra, in parte con Britomartis ed in seguito con Atena, il cui culto si accentra sul Mesàgro, e la coppia Damia-Auxesia, identificate in seguito con Afrodite e presiedenti alla procreazione ed alla fertilità del suolo. Il culto di Zeus Hellànios, assurto presto al primo posto e localizzato sull'Oros, va messo in rapporto con la figura di Eaco, mitico eroe eponimo o divinità, che la leggenda fece nascere da Zeus e dalla ninfa Aigina e divenire signore dell'isola e capo dei Mirmidoni. Questo Eaco è lo stesso che venne ascritto, con Minosse, fra i giudici infernali. Questo personaggio, il cui culto è testimoniato chiaramente in Tessaglia, dovette venire dal N con una delle prime invasioni doriche (o forse con l'ultima delle achee) intorno al XIII sec. a. C. ed apportò all'isola un periodo di notevole sviluppo economico. In questo momento, dovette avvenire anche la colonizzazione di Salamina, attribuita dalle fonti ad Egineti.
Epoca geometrica ed orientalizzante. - La vita pienamente storica dell'isola si inizia intorno al 950 a. C., dopo un periodo di probabile abbandono nei secoli XII-X a. C. I nuovi coloni vennero dal Peloponneso, come concordano nell'affermare gli autori classici. La città di provenienza fu, forse, Epidauro (Herod., viii, 46; Paus., ii, 29, 2), se ancora nel VI sec. a. C., E. è legata a questa città (Herod., v, 83) da vincoli giurisdizionali. L'ecista fu Deiphontes. Pindaro accenna genericamente ad una provenienza argolica (Olymp., viii, 30) al tempo del "ritorno degli Eraclidi" e Strabone (viii, 14 ss. = C. 374) unifica le varie opinioni parlando di coloni di Epidauro, Argo, Creta.
Nel periodo che va dalla fine del sec. VIII agli inizî del V a. C., l'isola si afferma sempre più come potenza marinara, ed acquista uno straordinario sviluppo commerciale ed industriale. La scarsa feracità del suolo distolse assai presto gli Egineti dall'agricoltura (Arist., Pol., 1291; Eforo, in Hist. Graec. fragm., 176), e ciò impedì che si formasse nell'isola quella solida nobiltà terriera (ὄπλα παρεχόμενοι) che determinò nel continente il sorgere di torbidi sociali che condussero dapprima alla tirannide e poi alla democrazia. La posizione geografica favorì, invece, il volgersi alla navigazione delle migliori energie ed il formarsi di una aristocrazia commerciale (γένος ἐμπορικόν), politicamente assai stabile e socialmente evoluta. Dal commerciare in tutto proprio degli Egineti, venne il termine ἐμπολὴ Αἰγιναία (Schol. Pind., Olymp., viii, 29). Nella seconda metà del VII sec. a. C., la marineria eginetica occupava il primo posto fra le elleniche e, ancora al tempo della invasione persiana, essa manteneva il terzo posto. Grande importanza ebbero i cantieri navali dell'isola anche quando, intorno alla metà del sec. VI a. C., si affermarono le supremazie corinzia e ateniese. Notevole fama ebbero le ceramiche e l'arte di fondere il metallo. Specialmente in quest'ultimo campo, E. acquistò autorità grandissima per cui anche i celebri bronzisti sicioni o argivi ricorrevano per le loro opere alla formula eginetica, quella che Plinio (Nat. hist., xxxiv, 10 e 75) chiama aeginetica aeris temperatura. Lo sviluppo industriale dell'isola è attestato indirettamente da un passo di Aristotile (presso Athen., vi, 272 D) in cui si dice della presenza in E. di 470.000 schiavi; cifra, ovviamente, esagerata.
Verso la fine del sec. VIII a. C., l'isola partecipa, in condizioni di parità con Epidauro, Ermione, Prasia, Atene, Nauplia, Orchomeno, alla anfizionia di Calauria (Poros); ciò testimonia che - se mai una subordinazione di E; ad Epidauro si ebbe - essa era del tutto terminata a tale data. Alla metà poi del sec. VII a. C., si manifesta nel continente un movimento unitario che, parallelamente a movimenti affini nella Grecia settentrionale e centrale, porta al costituirsi di un regno dell'Akté argolica sotto la guida di Argo, retta da Fidone; tuttavia la supremazia argiva sull'isola può essere validamente posta in dubbio, sia in considerazione della potenza della flotta eginetica, sia perché, a partire dalla fine del sec. VIII a. C., non sono più documentate in E. importazioni di ceramica argiva.
È significativo, per il ruolo che l'isola dovette svolgere nella società greca arcaica, il fatto che il più antico sistema ponderale del mondo ellenico sia considerato l'eginetico, con bipartizione dello statere di gr 12,57 in dracme di gr 6,28. Le più antiche monete di E. presentano l'effigie di una tartaruga ed erano dette - perciò - χελῶναι. La data di introduzione del sistema va posta tra il 656 ed il 650 a. C., ed è collegata, dalla tradizione, con il presunto governo di Fidone nell'isola. È più verosimile, invece, che costui abbia introdotto nel continente un sistema già in uso in E. per i suoi commerci. L'espansione commerciale di E. nel VII e VI sec. a. C. è documentata sia dalla partecipazione di Egineti alla fondazione di Naukratis in Egitto (dove costoro innalzano un tempio a Zeus) sia dal supposto viaggio di un certo Sostrato, commerciante, in Ispagna (Herod., iv, 152), ma soprattutto dalla diffusione delle "tartarughe" di E., dal Mar Nero alla Magna Grecia, dall'Egitto alla Macedonia.
La ceramica eginetica non presenta peculiarità notevoli durante il periodo protogeometrico e geometrico; per la fase orientalizzante, invece, provengono dall'isola alcuni fra i più antichi esemplari (il che ha fatto postulare al Rumpf una origine eginetica di tale stile). Per ciò che concerne le importazioni, il Welter (Aigina), fornisce un prospetto dal quale risulta la precocità della importazione argiva, poi di quella corinzia e, infine, di quella attica che, iniziatasi al IX sec. a. C., si protrae poi quasi ininterrotta, mentre solo per i secoli VIII e VII si rileva un contatto con tutti i centri commerciali dell'Oriente mediterraneo ellenico.
Epoche arcaica, classica, ellenistica. - All'inizio del sec. V a. C., comincia a profilarsi, per E., la minaccia ateniese. A Solone risalgono alcuni decreti attici sfavorevoli agli interessi eginetici; fra questi, uno che stabiliva il divieto di esportazione dei cereali dall'Attica (E. era soggetta alle importazioni di granaglie ed il non poterle trarre dal continente diveniva particolarmente oneroso), ed un altro, che sganciava la moneta ateniese dal sistema eginetico, per farla aderire a quello euboico. A questo periodo, deve risalire la "antica discordia" cui accenna Erodoto (iv, 85 ss.), la nostra maggiore fonte per la storia del tempo. La politica di E. diverrà quindi filo-spartana, filo-tebana, filo-persiana anche, sempre in funzione anti-ateniese. In seguito l'isola aderì alla lega peloponnesiaca dominata da Sparta. Alla fine del sec. VI a. C., cessata l'autonomia di Samo alla morte di Policrate, gli Egineti, per mantenere sgombra la via dei commerci con l'Egitto, si impadronirono di Cydonia nell'isola di Creta, già emporio dei Sami. Nel 488 a. C. la flotta ateniese venne completamente battuta da quella eginetica, ma nel 458 a. C., si combatté una battaglia navale dinanzi all'isola, che si concluse con la sconfitta della flotta corinzio-eginetica e con l'assedio dell'isola, che fu costretta a capitolare l'anno seguente. Gli Ateniesi vi sbarcarono un presidio ed imposero il pagamento del più alto tributo da loro mai richiesto: 30 talenti, oltre all'adesione alla lega delio-attica. Nel 431, al momento di intraprendere la guerra del Peloponneso, Atene perfeziona il suo potere sull'isola, cacciandone gli abitanti, costretti a rifugiarsi nella Tireatide, ed istallandovi una klerouchìa ateniese. Un nuovo periodo di prosperità attraversa l'isola dopo la conquista pergamena dell'estate 210 a. C., come testimoniato dal rinnovato fervore edilizio. E. sarà sempre, tuttavia, una provincia del regno, e tale posizione subordinata manterrà anche durante il periodo romano.
La tradizione ricollega a Dedalo i primitivi scultori egineti; dedalidi sono chiamati dalle fonti Smilis (Plin., Nat. hist., xxxvi, 90; Paus., vii, 4, 4) e Skelmis, che lavorano per i Sami. Dall'isola provengono, inoltre, alcune statuette di terracotta di stile così detto dedalico.
Il primo nome di artista eginetico ben documentato dalle fonti è quello di Kallon, allievo di Tektaios ed Angelion, due maestri della plastica crisoelefantina (Paus., ii, 32, 5; vii, 18, 10). Una iscrizione dall'acropoli di Atene ne documenta l'attività (Loewy, I. G. B., n. 27). Segue Glaukias, autore, in Olimpia, del carro bronzeo di Gelone, di cui ci è conservata la base (Paus., vi, 9, 9; vi, 10, 3). Le fonti ricordano anche i nomi di Anaxagoras (Paus., v, 23, 3), Simon (Paus., v, 27, 2), Ptolikos (Paus., vi, 9, 1), Serambos (Paus., vi, 10, 9), Theopropos (Paus., x, 9, 2). Di tutti il più famoso è Onatas, figlio di Mikon, contemporaneo dell'ateniese Hegias e di Hageladas, argivo. La sua attività è stata circoscritta fra l'epoca delle guerre persiane e gli anni immediatamente precedenti la fine dell'indipendenza dell'isola.
Sculture del tempio di Aphaia. - Il più importante complesso scultoreo che ci rimanga come proveniente da E. è costituito dalle statue che adornavano i frontoni del tempio di Aphaia, una divinità equivalente alla Diktynna cretese (Paus., ii, 30, 3) quindi identificata con Artemide e poi con Atena. Il Cockerell ed i suoi compagni Haller von Hallerstein, Foster e Linckh, rinvennero, nella campagna di scavo del 1811, diciassette statue, di cui quindici risultarono relative alla decorazione dei campi frontonali e due (per lungo tempo ritenute simulacri di Damia ed Auxesia) facevano parte dell'acroterio centrale di uno dei frontoni. Il complesso frontonale fu acquistato, nel 1812, dall'architetto Martin Wagner, per conto del Principe Luigi I di Baviera, che lo inviò a Roma, presso il Thorwaldsen per il restauro, e lo pose, poi, nelle collezioni della Gliptoteca di Monaco. Esso costituì il primo contatto diretto della cultura europea con opere dell'arcaismo greco.
Sono state ritenute pertinenti al frontone occidentale, il meglio conservato, dieci statue, ed all'orientale cinque e numerosi frammenti. In entrambi i frontoni, il soggetto è il medesimo: la lotta fra eroi indigeni egineti e troiani alla presenza di Atena. Secondo la ricostruzione del Brunn, nel frontone occidentale è raffigurato il combattimento fra Aiace e Teucro, da un lato, ed Enea e Paride dall'altro, per il corpo di Achille. Al centro della composizione sta Atena, con lancia e scudo e col petto coperto da una grande egida. La dea assiste impassibile e quindi invisibile ai combattenti. Ai due lati di essa, sono due gruppi ternari costituiti da due guerrieri opposti, muniti di lancia e scudo, in atto di disputarsi un guerriero ferito che punta a terra un braccio e si protegge con lo scudo. Verso gli angoli del campo, si hanno altri due gruppi simmetrici comprendenti un guerriero inginocchiato che tende l'arco, un altro pure inginocchiato con la lancia protesa e lo scudo, un terzo guerriero, disteso a terra ferito in atto di togliersi la freccia confitta in petto, mentre dal capo gli è caduto il cimiero. Nel frontone orientale, sarebbe, invece, raffigurata la lotta di Eracle e Telamone, eacide, contro Laomedonte, re dei Troiani, presso il corpo di Oikles ferito. La scarsezza degli elementi a disposizione per ricostruire la scena rende più arduo lo studio della composizione. Di figure più o meno equivalenti a quelle del frontone occidentale, si conservano un guerriero troiano ferito che si appoggia allo scudo, una figura (presunta di Eracle, per avere in testa un elmo a protome leonina), un arciere in atto di tendere l'arco, un combattente rannicchiato con lancia, un guerriero ferito ed Atena, che occupa, anche qui, il centro della composizione, reca lancia ed ampia egida, ma partecipa direttamente all'azione sollevando un braccio a protezione di un guerriero greco, verso il quale sta muovendo. La quinta figura non ha riscontro nel frontone occidentale; si tratta di un giovane ignudo, disarmato e chino, forse in atto di ammassare i cadaveri. In generale, possiamo osservare che nel frontone occidentale si manifesta un aggruppamento temano ed un'orientazione centrifuga, in quello orientale una disposizione continua ed una orientazione centripeta.
Per la prima volta appare, in questi frontoni, una composizione d'insieme ben connessa, realizzata con una serie di statue a tutto tondo. Ogni figura è concepita con una saldezza ed un equilibrio statico che era congeniale agli artisti egineti, abituati a lavorare il bronzo. L'esame stilistico delle sculture pone subito il problema del rapporto fra le due decorazioni frontonali, che appaiono notevolmente diverse. Le figure del frontone occidentale manifestano caratteri di maggiore arcaismo, oltre che nella composizione della scena, anche nella durezza ed angolosità residue e nel naturalismo più minuto della costruzione dei nudi. Nel frontone orientale, invece, la scena è compositivamente più libera, mentre la trattazione dei corpi palesa un diminuito interesse per la indagine anatomica, forme più piene ed un fare più a masse che prelude all'arte di stile severo. Il "sorriso" (che poco opportunamente è stato detto eginetico, mentre proprio ad E., questa caratteristica delle opere arcaiche tende a diminuire di intensità), che è ancora presente nelle sculture del frontone occidentale, è quasi del tutto scomparso in quelle del frontone orientale.
Queste diversità stilistiche conducono a due diverse datazioni: il gruppo O agli anni immediatamente precedenti la prima invasione persiana, quello E agli anni di poco successivi alla battaglia di Maratona. Nuova luce è stata recata al problema dal ritrovamento di numerosi frammenti di un terzo gruppo frontonale (conservati nel Museo Nazionale di Atene). Queste sculture sono stilisticamente più vicine a quelle del frontone occidentale; si può quindi postulare che in origine esse costituissero il frontone orientale, prima che un evento a noi non noto (cataclisma, rivoluzione democratica, invasione persiana), le facesse andare distrutte, costringendo gli Egineti a fare eseguire delle nuove sculture per il frontone orientale. Qualche studioso (Deonna), ha voluto avanzare l'ipotesi che le sculture del frontone orientale siano opera di Onatas; ma l'ipotesi non può essere sostenuta da nessuna prova concreta.
Arte eginetica. - Ricordiamo, fra le sculture di provenienza eginetica, una statua di Eracle degli inizi del VI sec. a. C.; la cosiddetta Sfinge di Egina, opera del terzo venticinquennio del V sec. a. C., rinvenuta dal Furtwängler negli scavi del Capo Colonna nel 1903 e messa in relazione con l'Apollo dell'omphalòs e con la cosiddetta Aspasia; e numerose stele funerarie del VI e V secolo. Alla corrente eginetica si sogliono ricollegare l'Apollo Strangford del British Museum stilisticamente di poco posteriore alle sculture del tempio di Aphaia; il busto virile bronzeo dall'atrio della Villa dei Pisoni in Ercolano, nel Museo Nazionale di Napoli; la testa di vecchio dall'acropoli ateniese, in quel museo, datata agli anni intorno al 490 a. C. ed assai vicina alla testa del guerriero ferito troiano del frontone occidentale del tempio di Aphaia; il bronzetto di corridore, del museo di Tubinga. Si è anche considerata in rapporto con la corrente eginetica la statua di dea seduta, da Taranto, nei Musei di Berlino. Particolarmente queste opere si inseriscono in quella corrente che cercava di rompere la rigidità arcaica col fermare la figura in atteggiamento istantaneo, in equilibrio instabile. Perciò è stato attribuito all'arte di E. anche il bronzetto dell'Aiace Telamonio suicida trovato a Populonia (v. vol. i, fig. 245).
Sulle caratteristiche della plastica eginetica sono state espresse molte opinioni dagli studiosi, per cui si è considerata ora come un movimento in margine all'atticismo, ora una delle voci dell'arte peloponnesiaca di età arcaica. In effetti, la particolare sensibilità anatomica, la costruzione equilibrata delle figure, che conduce alla preferenza per la lavorazione del bronzo, qualità che lo stesso Pausania ai suoi tempi (v, 25, 13; vii, 5, 5) riteneva peculiari degli Egineti, ci farebbero propendere per la tesi "peloponnesiaca", fermo restando che le sculture di E. hanno loro peculiari caratteristiche.
Museo. - Il museo di E., il più antico di tutta la Grecia, fu fondato dal Capodistria e, dopo varie vicende, definitivamente sistemato dal Pelekanos nel 1898. Il nucleo della raccolta è formato dai materiali provenienti dagli scavi condotti, in varie epoche, nell'isola. Nel 1829-30 si ebbero quelli del Mustoxìdi al santuario di Zeus sul S. Elia, ripresi recentemente dal Welter. Nel 1901-03 lo scavo maggiore, condotto dal Furtwängler al santuario di Aphaia. Lo scavo delle necropoli micenee fu opera del Keramopoullos nel 1910. Infine, nel 1924, si ebbe lo scavo del Welter al Capo Colonna. Attualmente è in corso, ad opera del direttore dell'anastylosis A. Orlandos, un lavoro di consolidamento delle strutture. Prescindiamo dagli scavi del 1811, opera della missione inglese guidata dal Cockarell, che condussero alla scoperta del complesso scultoreo frontonale di Aphaia, acquistato, nel 1812, dal Principe Luigi I per le collezioni del museo di Monaco.
Nel museo di E. è raccolto il materiale preistorico suddiviso per provenienze e secondo una chiara successione cronologica; nella prima sala la ceramica geometrica, orientalizzante, attica, la grande iscrizione di Aphaia, e due modelli in gesso dei frontoni, secondo la ricostruzione del Furtwängler, nella sala centrale. La sala delle sculture comprende numerosi materiali, fra cui ricordiamo la Sfinge, la statua di Eracle con leontè, numerosi frammenti delle sculture frontonali del cosiddetto tempio di Apollo, e numerose stele funerarie attiche del VI e V sec. a. C. Alcuni rilievi, omphalòi, frammenti architettonici di altari in pietra e marmo, numerose lucerne di varie epoche, dall'età classica alla cristiana. Il porticato esterno accoglie varie àncore a mezzaluna con iscritte frasi augurali per la navigazione (una reca il nome di Afrodite Epilimenia), e diverse iscrizioni sepolcrali.
Un piccolo museo è stato costituito presso il santuario di Aphaia, con frammenti ceramici provenienti dallo scavo, cippi funerarî romani, reperti di età cristiana.
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Langlotz, Frühgriechische Bildhauerschulen, Norimberga 1927, p. 33, n. 41, tav. 22 f; Ch. Picard, Manuel, La sculpture, I, p. 490, fig. 152. Bronzetto di corridore a Tubinga: H. Bulle, Schoener Mensch, p. 176 ss., tav. 89. Plastica eginetica: E. Langlotz, Bidhauerschulen, p. 99 ss.; Ch. Picard, Manuel, La Sculpture, I, p. 121 e passim. Santuario di Apollo: P. Wolters, Ausgrabungen am Aphroditetempel in Aigina: 1924, in Gnomon, I, 1925, p. 46 ss. Santuario di Aphaia: A. Furtwängler, Aigina, 1906. Culto di Aphaia: A. Schaeffer, Aphaia, der Weg der Götter, Völker und Zahlen, Potsdam 1937. Iscrizioni di Aphaia: M. Fraenkel, Inscriptiones Graecae, IV, Aigina, 1-191; suppl., 1580-1595; A. Majuri, L'iscrizione del tempio di Ahaia in Egina, in Röm. Mitt., XXV, 1910, p. 197 ss.; M. T. Marabini, Iscrizioni rupestri di Egina, in Annuario Atene, XXVII-XXIX, 1949-51, p. 138 ss.; P. Orlandini, Nuove considerazioni sulla grande iscrizione di Afaia in Egina, in Arch. Class., II, 1950, p. 50 ss.; G. Susini, Iscrizioni rupestri ad Egina, in Annuario Atene, XXX-XXXII, 1952-54, p. 477 ss. Necropoli: A. Keramopoullos, Μυκεναϊκοὶ Τὰϕοι ἐν Αἰγινῃ καὶ ἐν ϑῆβας, in ᾿Αρχ. Εϕ., 1910, p. 178 ss.