Vedi EGINA dell'anno: 1960 - 1994
EGINA (v. vol. Ill, p. 238)
I nuovi scavi condotti nei principali siti archeologici dell'isola di E., cioè sulla collina formata dai resti della città omonima e presso il Tempio di Aphaia, hanno accresciuto considerevolmente le conoscenze sulla storia e sull'arte eginetica.
La collina ove sono i resti della città di E. ebbe continuità di vita dal periodo eneolitico fino all'età bizantina. Gli scavi, ripresi nel 1966, non sono stati ancora completamente pubblicati e la situazione stratigrafica appare molto ingarbugliata. A giudicare soltanto dalla quantità e dalla qualità dei ritrovamenti, si può dedurre che l'antica E. rientrasse tra i più importanti siti archeologici preistorici dell'intero Egeo. Per quanto riguarda la potenza del sistema difensivo nel suo complesso, essa fu superata nell'Antico e Medio Bronzo soltanto da Troia. Si pensa di poter distinguere dieci livelli di insediamento succedutisi uno dopo l'altro ed è sorprendente che essi siano di eguali dimensioni e che la loro superficie dall'Antico al Medio Bronzo non si sia ampliata nemmeno di un metro quadro. La più significativa costruzione è la c.d. Casa Bianca, inclusa nella città III (2400-2300 a.C.), con una pianta di 9 x 18,30 m, costruzione che trova un facile raffronto con la «Casa delle Tegole» di Lerna.
Attorno al 2200 si può datare un forno di fusione per metalli la cui attestazione è molto rara per l'Antico Bronzo in ambito egeo.
Tra l'Elladico Antico II e l'Elladico Antico III a E., diversamente da quanto avviene sul continente greco, non si riscontra alcuna cesura culturale: durante l'Elladico Antico III l'insediamento venne distrutto da un incendio; segue uno sviluppo continuo fino all'Elladico Medio. Già all'inizio di questo periodo sono attestate importazioni dalle Cicladi seguite, più tardi, da importazioni minoiche: insieme all'abbondante ceramica di fine qualità esse testimoniano che E. in quest'epoca fu un centro trainante per il commercio. All'inizio dell'Elladico Tardo, per il quale non si hanno resti di insediamento contestualmente coerenti, sembra che a E. si siano stabiliti ceramisti originari di Creta. È possibile trovare anche vasi di «stile marino» e dello «stile di Palazzo» di pregevole fattura. Alla fine del XIII sec. insieme a un'evidente diminuzione della popolazione si può constatare anche un calo della produzione ceramica. E. diviene ora una parte della koinè micenea. Delle epoche successive, fino a questo momento, non sono stati riportati alla luce resti di alcun insediamento che non fosse stato precedentemente sconvolto.
Le indagini condotte presso gli scarsi resti del Tempio di Apollo (si conservano soltanto alcuni impianti delle fondazioni, una colonna e alcune parti dell'edificio) non hanno consentito di determinare con precisione il numero delle colonne del tempio. Alla decorazione architettonica appartengono molto probabilmente una metopa e frammenti assai pregevoli di sculture frontonali (520-510 a.C.) in cui si è potuta riconoscere la rappresentazione della lotta di Eracle e Telamone contro le Amazzoni. Se il disegno ricostruttivo coglie nel vero, la composizione di questa Amazzonomachia risulterebbe del tutto simile a quella del gruppo del frontone occidentale del Tempio di Aphaia. Al frontone O del Tempio di Apollo possono essere assegnati i frammenti di una coppia di cavalli. Della precedente costruzione di questo tempio non si conservano tracce delle fondazioni né si hanno elementi architettonici a esso attribuibili con certezza. Nonostante ciò si è cercato di identificare una figura di Eracle con la clava, i frammenti della parte inferiore di un torso e di un braccio come resti di una Gigantomachia e di attribuirli al frontone di questo tempio.
Santuario di Aphaia. - Nel corso degli scavi del Santuario di Aphaia (a partire dal 1962) furono rinvenuti nel terrapieno di contenimento della terrazza del tempio numerosi elementi architettonici e blocchi di pietra squadrati, appartenenti a un edificio templare più antico, a cui si sovrappose successivamente il Tempio di Aphaia. La pianta di questa costruzione precedente rimane incerta, ma è possibile farsi un'idea dell'aspetto dell'edificio attraverso l'analisi dei frammenti architettonici ritrovati che permettono di ipotizzare un tempio prostilo tetrastilo (dimensioni della pianta c.a 7,50 x 15 m), con cella a doppia fila di colonne all'interno, àdyton e pronao con fregio dorico all'interno. Le basse colonne monolitiche (c.a 3,40 m di altezza) e il robusto architrave, che misura un terzo dell'altezza delle colonne, conferivano un aspetto schiacciato alla facciata del tempio. Questo non aveva di certo crepidoma: la muratura era isodoma, con i giunti verticali coperti da stuccatura e quelli orizzontali sicuramente in vista. Dell'edificio, costruito in pòros, si sono conservati frammenti del rivestimento in stucco bianco con tracce di pittura; le colonne, bianche, hanno collarini neri e rossi; sono rossi i cancelli di legno tra gli intercolumni; sul fregio dell'ordine esterno i triglifi e le cornici delle metope sono di colore nero, la taenia è rossa, la regula nera con le guttae bianche. All'interno del tempio sono utilizzati spesso anche i colori blu e verde.
Eretto attorno al 575-570 a.C., il tempio fu distrutto, verso il 510, da un incendio, le cui tracce sono ancora visibili sulle pietre. È possibile che dalla distruzione si sia salvata un'immagine cultuale in avorio che in seguito fu ricollocata in un angolo della cella del ricostruito Tempio di Aphaia (si conserva la base). Per il resto il santuario, dopo l'incendio, venne ricostruito secondo un nuovo progetto. Numerose offerte votive, sculture in marmo, tra cui un kouros che probabilmente fu danneggiato nella stessa circostanza, vennero accantonate e riutilizzate come materiale di riempimento del terrazzamento. Soltanto la monumentale colonna con la sfinge rimase al suo posto.
Sembra che il Santuario di Aphaia non sia mai stato un luogo pubblico rappresentativo dello stato nel VI e nel V secolo. Mancano decreti e soprattutto basi da porre in relazione alle numerose offerte votive rimaste. Si è cercato di spiegare il fenomeno considerando l'edificio sacro come un santuario extra-urbano delle Phỳlai, nel quale Aphaia era venerata come kourotròphos. Un certo Aristophantos donò vasellame cultuale del quale sono stati trovati i resti; la sua offerta più importante, una statua, va probabilmente riferita al santuario presente in città. Con la semplicità delle offerte contrastano il nuovo impianto del santuario eseguito in grande stile, con i suoi dispendiosi terrazzamenti, il nuovo pròpylon, e gli edifici per banchetti, così come il tempio sfarzoso con la nuova immagine di culto. Secondo le più recenti indagini questo tempio, oltre alle sculture frontonali, ebbe anche nuove metope marmoree che furono sottratte già nell'antichità. Tra i molti raffinati dettagli dell'architettura del tempio, le cui colonne mostrano una leggera èntasis di 1/500 dell'altezza complessiva, si deve notare anche una curvatura minima dei lati lunghi, da 1/800 a 1/1100, che non compare invece nei lati brevi. Anche la struttura dei due frontoni è uguale, a parte una lieve differenza nei blocchi della parete di fondo del timpano nel frontone occidentale, più massicci che in quello orientale. Si è potuto anche stabilire con certezza, accanto a un terzo acroterio eretto sul lato E, l'esistenza di una serie di frammenti eccedenti di elementi architettonici: tra essi blocchi della parete di fondo di un timpano che non possono essere collocati nel frontone orientale. Questi frammenti ripropongono, più in generale, il problema, già da molto tempo dibattuto, delle sculture eginetiche nel loro complesso.
Per quanto riguarda le sculture del Santuario di Aphaia, il contributo del Thorvaldsen al restauro va ridimensionato. Esso, come testimoniano fonti contemporanee, fu di gran lunga inferiore a quanto creduto finora: fu infatti Johann Martin Wagner a portare a termine la ricomposizione e l'integrazione delle figure mentre il Thorvaldsen fece completare solo le sculture di cui erano conservati i corpi (nove del frontone occidentale e cinque del frontone orientale). Vennero anche completate le kòrai di un acroterio centrale e le teste di entrambi gli acroterî angolari (non come sfingi, bensì, erroneamente, come grifi). Più precisamente il Thorvaldsen portò a termine i modelli per le integrazioni, mentre l'esecuzione in marmo fu assegnata ad artigiani di second'ordine. Egli non diede però alcun apporto concreto alla comprensione dell'insieme. A chi allora effettuò i restauri sembrò impossibile completare la composizione originale prendendo anche in considerazione i numerosi frammenti di figure i cui corpi non si erano conservati. Ogni scultura fu completata singolarmente, senza alcuna attenzione ai rapporti dell'una rispetto alle altre. Poco prima della conclusione del restauro, Cockerell abbozzò dei progetti riguardanti l'originaria sistemazione delle figure; il frontone occidentale fu ricostruito secondo il suo progetto, mentre per la ricomposizione di quello orientale fu determinante il giudizio di Ludovico I, re di Baviera. Questa ricostruzione classicistica fu oggetto di giustificate critiche. Nuove conoscenze sull'antica composizione delle sculture frontonali, una rinnovata comprensione per l'arte arcaica e la perdita, determinata dalle distruzioni belliche, degli allestimenti interni della Gliptoteca, di netta impostazione classicheggiante, indussero D. Ohly negli anni 1961-64 ad asportare i completamenti e a ricomporre le figure nella loro probabile posizione originaria. La nuova ricostruzione si fonda sulle seguenti considerazioni e ricerche: a) analisi dei dati di scavo; b) rinvenimento, attraverso nuovi scavi, di una parte del gèison del frontone, in cui erano allettate le sculture; c) determinazione della parte a vista delle figure e implicitamente, quindi, della direzione del movimento in base all'usura determinata dagli agenti atmosferici; d) esame dell'altezza e profondità del frontone triangolare per la determinazione dell'ordine di successione delle figure; e) verosimiglianza della composizione del frontone orientale, che venne confermata più tardi dal perfetto inserimento di alcuni nuovi ritrovamenti: la gamba della figura in atto di cadere e il torso del morente presso la metà destra. Poiché le sculture del frontone orientale sono più voluminose e persino i plinti delle statue sono più larghi di quelli delle figure dell'altro frontone è possibile escludere ogni equivoco. Rimane ancora da risolvere il problema dell'appartenenza di una testa barbata che, interpretata da Ohly come testa di un arciere, da altri (Furtwängler, Walter-Karydi) viene considerata completamente estranea al frontone. Ciò non impedisce una buona conoscenza della composizione di quest'ultimo: Atena posta tra due gruppi costituiti da tre figure, un combattente in prima linea contro il suo avversario in atto di cadere e un guerriero che lo soccorre; poi un arciere, che mira oltre l'intero spazio del frontone; negli angoli si trovano un guerriero colpito da una freccia e un moribondo. La chiave per interpretare la rappresentazione si fonda da sempre sull'arciere che porta un elmo in forma di testa leonina. Come da molto tempo è stato riconosciuto, si tratta di Eracle, per cui la scena dovrebbe rappresentare la guerra dell'Aiacide Telamone davanti a Troia, accompagnato dal suo amico Eracle. Accanto a questo dovrebbe essère il fido Iolao, che arriva in aiuto di un guerriero soccombente. Il suo avversario, poi, dovrebbe essere Priamo; l'altro combattente in prima linea (se ne conservano solo frammenti) probabilmente Telamone e il morente barbato nell'angolo frontonale Laomedonte. Si è obiettato che nell'arciere potrebbe anche non riconoscersi Eracle, bensì un Eraclide, p.es. Hyllos, figlio dello stesso. Il frontone potrebbe rappresentare dunque l'ingresso della stirpe dei Dori a E., tema però finora iconograficamente non attestato e perciò poco probabile. Non altrettanto sicura di quella del frontone orientale è la ricomposizione del frontone occidentale. Infatti molto difficilmente le figure di questo si possono distinguere stilisticamente dalle sculture che erano state erette presso l'altare nel piazzale a E del tempio. Tutti i torsi, che sono stati riuniti nell'odierna disposizione del frontone occidentale, sono stati trovati intatti nel luogo di caduta, in corrispondenza della fronte occidentale del tempio, mentre dei frammenti è per lo più sconosciuto il luogo di rinvenimento. Così l'inserimento dei resti superstiti del piano orizzontale del frontone, varí accorgimenti tecnici e la considerazione delle dimensioni in altezza e profondità del frontone hanno consentito a Ohly la ricostruzione del gruppo delle figure, nella maniera già proposta da E. Schmidt nel 1939. La composizione è quasi simmetrica. Atena compare tra due coppie di combattenti, cui fanno seguito due gruppi di quattro persone: arcieri e guerrieri armati di spada contro una figura in atto di cadere e una che si trova già a terra. La rappresentazione è stata per lo più interpretata come battaglia degli omerici Aiacidi (Aiace e i suoi compagni) di fronte a Troia (diversamente U. Sinn vi vuol vedere un episodio collegato a Eracle). Si tratta di un'equilibrata distribuzione di figure di Greci e Troiani. Secondo Ohly si possono anche dare i nomi ad alcuni singoli guerrieri: l'arciere a sinistra con abiti orientali è Paride, figlio di Priamo, di conseguenza l'altro arciere sarebbe Teucro, fratello di Aiace. Il guerriero che si trovava a sinistra, riconoscibile in questa posizione sulla base dell'erosione da agenti atmosferici, aveva un'aquila dipinta sullo scudo. Si tratta probabilmente di Aiace la cui nascita, secondo Pindaro, fu annunciata da un'aquila.
Ai gruppi del piazzale dell'altare appartengono, oltre alle braccia di un arciere, molte teste di guerriero elmate, trovate a E del tempio, piedi e mani e frammenti di vesti di almeno due figure femminili. Tutti questi elementi si differenziano per le dimensioni dai guerrieri del frontone orientale e sono vicini stilisticamente alle sculture del frontone occidentale. Ohly pensa di poter riconoscere in essi due diversi gruppi di figure: a) la battaglia di Telamone ed Eracle contro le Amazzoni, un episodio spesso rappresentato in questo periodo; b) Zeus che rapisce la ninfa Egina, tema alla cui rappresentazione si adattano bene i frammenti femminili di braccia, gambe e vesti, come si può vedere da una raffigurazione sul cratere del Pittore di Boreas a New York. In base all'usura determinata dagli agenti atmosferici si può arguire che questi gruppi erano protetti da una tettoia e da una parete posteriore, come le sculture dei frontoni. Resti attribuibili a basi dei gruppi sono stati trovati su entrambi i lati dell'altare. Tutte queste osservazioni, l'esistenza di frammenti di gèison in eccesso con tracce di allettamento delle figure e infine la presenza del terzo acroterio hanno portato Ohly alla conclusione che questi gruppi di sculture originariamente erano stati creati come ornamento architettonico del tempio; allorché il gruppo dell'Amazzonomachia era già stato collocato nel frontone orientale e quando la prevista rappresentazione del ratto di Egina per il frontone occidentale non era stata ancora portata a termine, gli Egineti decisero di rappresentare in entrambi i frontoni le gesta di Aiace dinanzi a Troia. Perciò l'intero frontone, compreso il gèison orizzontale, fu smontato e le figure nuovamente ricomposte presso l'altare (dei numerosi blocchi dei gèisa obliqui, anch'essi rimossi ma senza essere poi stati riutilizzati, non si è conservato alcun frammento), con un'operazione che è senza precedenti nella costruzione templare greca. Stupefacente risulta il fatto che una così costosa impresa costruttiva fosse portata a termine per rimpiazzare un tema aiacide (Amazzonomachia) con un altro episodio pure legato ad Aiace (presa di Troia). Inoltre la lunghezza della base presso l'altare non è sufficiente a ospitare l'insieme della decorazione frontonale smontata. Di conseguenza alcune figure devono essere lasciate fuori. Anche la cronologia delle singole teste di guerrieri di questo gruppo situato sul piazzale dell'altare non è di chiara determinazione. Esse sono state già cronologicamente avvicinate alle figure del frontone occidentale (Furtwängler, Karydi). Bisognerebbe tuttavia riflettere se i gruppi sul piazzale dell'altare - per lo meno il ratto di Egina - non fossero stati concepiti fin dall'inizio per questo luogo e innalzati su basi più alte, come sui gèisa nel frontone.
Tutte le sculture possono essere associate tra loro stilisticamente. Pare strano tuttavia come alcuni dettagli siano stati trattati in maniera diversa: p.es. la barba può essere rifinita nel marmo fino al più piccolo riccio (Laomedonte) oppure si possono notare rifiniture in piombo (guerriero dal piazzale dell'altare); le figure sono soltanto volumetricamente abbozzate o, al contrario, hanno la superficie levigata e le parti della capigliatura rese con colore o con sottili lamine di metallo (difensore orientale). Notevole è l'abilità tecnica con cui le armi (archi, spade) sono rese nel marmo. Tutte le figure erano dipinte nel modo più accurato: nella figura di Paride nel frontone occidentale si può riscontrare l'applicazione del colore su tutti i dettagli. Una ricostruzione fedele all'originale nei colori su una copia in resina e polvere di marmo si può vedere nella Gliptoteca di Monaco. Una restituzione parziale della struttura del frontone sulla base di parti architettoniche originali e calchi delle figure sono esposti nel museo degli scavi presso il Santuario di Aphaia, dove è stata ricostruita anche una parte della facciata del più antico tempio di Egina.
Bibl.: H. Walter (ed.), Alt Ägina: W. Wurster, I, 1. Der Apollontempel, Magonza 1974; S. Hiller, IV, 1. Mykenische Keramik, Magonza 1975; W. Wurster, F. Felten, I, 2. Die spätrömische Akropolismauer - Frühchristliche Siedlung, Magonza 1975; H. Walter, F. Felten, III, 1. Die vorgeschichtliche Stadt, Befestigungen, Häuser, Funde, Magonza 1981; E. Walter-Karydi, W. Felten, R. Smetana-Scherer, II, 1. Ostgriechische, lakonische, attische, hellenistische Keramik, Magonza 1982; E. Walter-Karydi, II, 2. Die äginetische Bildhauerschule. Werke und Quellen, Magonza 1987; I. Margreiter, II.3, Die Kleinfunde aus dem Apollontempel, Magonza 1988. - V. inoltre: R. Wünsche, Studien zur äginetischen Keramik der frühen und mittleren Bronzezeit, Monaco-Berlino 1977; id., Die Entwicklung der mittelhelladischen, mattbemalten Keramik, in Müjb, XXVI- II, 1977, p. 7 ss.
Santuario di Aphaia. - Relazioni e pubblicazioni di scavo: D. Ohly, E. L. Schwandner, Aegina. Aphaia-Tempef, I. Die südliche Stützmauer der Temenosterrasse, in AA, 1970, p. 49 ss.; iid., II. Untersuchungen in der spätarchaischen Temenosterrasse, ibid., 1971, p. 505 ss.; H. Bankel, III. Die Kurvatur des spatärchaischen Tempels, ibid., 1980, p. 171 ss.; D. Williams, IV. The Inscription Commemorating the Construction of the First Limestone Temple, ibid., 1982, p. 55 ss.; id., V. The Pottery from Chios, ibid., 1983, p. 155 ss.; M. Maas, VI. Neue Funde von Waffenweihungen, ibid., 1984, p. 263 ss.; H. Bankel, VII. Geraubte Metopen, ibid., 1985, ρ. 1 ss.; Ν. Β. Moore, VIII. The Attic BlackFigured Pottery, ibid., 1986, p. 51 ss.; H. R. Immerwahr, IX. An Archaic Abacus from the Sanctuary of Aphaia, ibid., 1986, pp. 195-204; I. Pini, X. Die Steinsiegel, ibid., 1987, p. 413 ss.; D. Williams, XI. The Pottery from the Second Limestone Temple and the Later History of the Sanctuary, ibid., 1988, p. 629 ss.; M. Ohly-Dumm, M. Robertson, XII. Archaic Marblé Sculptures, ibid., 1988, p. 405 ss.
Opere complessive: D. Williams, in LIMC, I, 1981, p. 876, s.v. Aphaia', E. Schwandner, Der ältere Porostempel der Aphaia auf Agina, Berlino 1985; U. Sinn, Aphaia und die «Ägineten«. Zur Rolle des Aphaiaheiligtums im religiösen und gesellschaftlichen Leben der Insel Agina, in AM, CII, 1987, p. 133 ss.; id., Der Kult der Aphaia auf Ägina, in R. Hägg (ed.), Early Greek Cult Practice. Proceedings of the 5th International Symposium at the Swedish Institute of Athens, Athens 1986, Stoccolma 1988, p. 149 ss.; Η. Bankel, Der spätarchaische Tempel der Aphaia auf Aegina, Berlino 1993.
Sulle sculture dei frontoni: L. Guerrini, Sculture di Egina, in ArchCl, XIV, 1962, p. 135 ss.; E. Paribeni, in EVA, X, 1963, p. 535 ss., s.v. Peloponnesiaci centri e tradizioni·, A. Invernizzi, I frontoni del tempio di Aphaia ad Egina, Torino 1965; D. Ohly, Die Neuaufstellung der Ägineten, in AA, 1966, p. 516 ss.; id., Die Ägineten, I, Monaco 1976; id., Tempel und Heiligtum der Äphaia auf Ägina, Monaco 19813; id., Glyptothek München. Ein Führer, Monaco 19866.
Sull'opera di restauro: L. O. Larsson, Thorvaldsens Restaurierung der ÄginaSkulpturen, in Konsthistorisk Tidskrift, XXXVIII, 1969, p. 23 ss.; C. Grunwald, Zu den Ägineten-Ergänzungen, in G. Bott (ed.), Bertel Thorvaldsen. Ein dänischer Bildhauer in Rom (cat.), Colonia 1977, p. 305 ss.; R. Wünsche, Ludwigs Skulpturenerwerbungen für die Glyptothek, in Glyptothek München 1830-1980 (cat.), Monaco 1980, p. 23 ss.; O. Rossi Pinelli, Chirurgia della memoria. Scultura antica e restauri storici, in Memoria dell'antico nell'arte italiana. Dalla tradizione all'archeologia, III, Torino 1986, p. 183 ss.; R. Wünsche, «Come nessuno, dai tempi fiorenti dell'Eliade.» Thorvaldsen, Ludovico di Baviera e il restauro dei marmi di Egina, in E. di Majo, Β. Jornaes, S. Susinno (ed.), 1770-1844. Bertel Thorvaldsen, scultore danese a Roma (cat.), Roma 1989, p. 80 ss.