Il primo importante appuntamento elettorale a cui gli Egiziani sono stati chiamati dall’inizio della transizione è stato il referendum per riformare la Costituzione del 1971; Costituzione che era stata formalmente sospesa proprio all’indomani delle dimissioni di Mubārak e che, in caso di esito negativo della consultazione, sarebbe stata annullata del tutto e sostituita con una nuova carta costituzionale da creare ex novo.
Approvato, invece, con il 77% dei voti favorevoli, il referendum ha rappresentato un passo concreto, sebbene alcune forze politiche egiziane lo abbiano ritenuto non sufficiente, sulla via della democratizzazione del paese, comportando la modifica di nove articoli costituzionali.
Gli emendamenti approvati si sono concentrati in primo luogo sulla carica del presidente: la sua durata è stata ridotta da sette a quattro anni, è stato introdotto il limite massimo di due mandati consecutivi e sono stati notevolmente facilitati, rispetto a prima, i requisiti per presentarne la candidatura.
Modifiche rilevanti sono state poi apportate alle procedure per la dichiarazione dello stato di emergenza (strumento di cui Mubārak aveva ampiamente abusato), che infatti, a seguito dell’esito referendario, dovrà essere approvata dal Parlamento e non potrà durare più di sei mesi, se non tramite una consultazione popolare ad hoc. Degne di menzione, infine, tra le modifiche apportate sono sia il passaggio della supervisione delle elezioni al potere giudiziario, sia l’abolizione della norma che prevedeva la possibilità che civili, accusati per il reato di terrorismo, fossero giudicati da tribunali militari.