Egitto
Stato dell’Africa nordorientale, che si estende anche in territorio tradizionalmente considerato asiatico, a E dell’istmo di Suez (penisola del Sinai). Seconda grande civiltà del Vicino Oriente, quella egiziana si sviluppò con caratteristiche per alcuni aspetti affini al modello mesopotamico, nell’economia (agricoltura basata sull’irrigazione, canalizzazione delle acque, intensi rapporti commerciali con i Paesi mediterranei e asiatici), nella divisione del lavoro e nella stratificazione sociale, nella struttura piramidale del potere al cui vertice era un re, nell’organizzazione urbana e nella monumentalità architettonica. Ebbe tuttavia alcuni aspetti propri, che originavano dalle tradizioni preistoriche del popolo del Nilo o derivavano dalla sua particolare posizione geografica. Paesi, città e villaggi si snodavano lungo il corso del Nilo. A E e a O si apriva il deserto che, se pur attraversato già in tempi preistorici da piccole carovane di mercanti, costituiva una barriera insuperabile per qualsiasi popolazione volesse passarlo in armi. Questa posizione di isolamento fisico rendeva l’E. un’unità a sé stante, difendibile da ogni penetrazione esterna, protetta da tre «porte» – verso la Libia a O, la Nubia a S, l’istmo di Suez e il massiccio del Sinai a E –, mentre le vie di comunicazione e di scambio si addensavano sul Nilo e sul mare. Da tale dimensione geografica derivano la continuità, la solidità e la durata del regno, e anche il suo conservatorismo culturale. La storia dell’E. faraonico si suddivide in grandi periodi di stabilità (Antico, Medio e Nuovo regno), corrispondenti alle 30 dinastie che si avvicendarono nel governo del Paese, alternati a periodi di crisi (intermedi), in cui il potere centrale si dissolse e si frammentò, a vantaggio di principi locali.
L’E. predinastico si componeva di una moltitudine di minuscoli regni, ciascuno sotto l’autorità di un dio locale, rappresentato da un principe che ne era anche il sommo sacerdote. In seguito, processi di annessione e di conquista portarono alla formazione di organismi politici sempre più vasti, fino alla costituzione di due Stati, l’Alto E. e il Basso E., corrispondenti alla Valle e al Delta del Nilo. Parallelamente, al vincolo dell’organizzazione tribale, fondato su legami parentali e sull’immediatezza dei rapporti di vita comunitari, si sostituivano interessi comuni tali da giustificare la dipendenza da un unico reggente. La riunione dei due organismi in un solo Stato nazionale fu compiuta dal re dell’Alto E. Menes, con il quale ha inizio la I dinastia (2850 a.C. ca.) e che spostò la residenza regale a Menfi, lungo la linea di separazione delle due terre prima indipendenti. ll nuovo Stato ebbe una legge, una burocrazia e una religione condivise. Pur consapevoli delle diversità, le due parti del regno si saldarono in virtù della comune dipendenza dal Nilo e della dottrina della natura ultraterrena del sovrano. L’Antico regno raggiunse il suo apice tra la III e la V dinastia (2682-2322 ca.). La III ebbe inizio con Nebka, cui seguì Gioser, la cui tomba a Saqqara fu il primo grande edificio d’E. costruito in pietra. Di Snefru, primo faraone della IV dinastia, i documenti contemporanei attestano spedizioni in Nubia, in Libia, nel Sinai, mentre i nomi di Cheope, Chefren e Micerino sono legati alle piramidi di Giza. Con la V dinastia il culto di Ra, dio del Sole, divinità suprema, assunse pieno valore dinastico, concludendosi così una tendenza manifestatasi già sotto Gioser e dovuta alla crescente importanza del sacerdozio eliopolitano. Il sovrano si dichiarò figlio del dio, codificando una sporadica iniziativa della precedente dinastia. L’amministrazione si articolò e un visir fu posto accanto al re, mentre numerosi funzionari, personalmente scelti dal sovrano, vennero a costituire una nobiltà che gravitava attorno alla corte, anche se per ragioni d’ufficio era dislocata in provincia. I tratti salienti della VI dinastia (2322-2191 ca.), originaria di Menfi e avente in Pepi I e Pepi II le due figure più rappresentative, furono un’intensa vita artistica e l’affermarsi dell’influenza egizia in Nubia. Tuttavia, nello stesso periodo esplose una crisi economica e politica che maturava da tempo. La monarchia divina si era appoggiata soprattutto alla casta sacerdotale, che ne aveva ricevuto beni e privilegi; nello stesso tempo il complicarsi dell’amministrazione aveva dato una crescente autorità a funzionari, mentre i nomarchi (i capi dei nòmi, i distretti amministrativi) e le autorità provinciali tendevano a fissarsi sul luogo in cui esercitavano la carica e a trasmetterla in eredità.
Dal tentativo della monarchia, che aveva nella casta sacerdotale e nella nobiltà due forze rivali, di riprendere il controllo delle terre date in beneficio derivò una guerra civile da cui l’E. uscì frazionato e indebolito. Cominciò per il paese un periodo oscuro. Da Menfi i re della VII e VIII dinastia (secondo una tradizione si succedettero 70 faraoni nel giro di 70 giorni) continuarono a pretendere di esercitare un governo, puramente nominale, su tutto il Paese, di fatto ignorati dai principi delle varie province. In seguito, una famiglia di Eracleopoli nel Fayyum (IX e X dinastia) dominò per qualche decennio in una zona non ben definita del Delta e nel Medio E., soccombendo poi di fronte al prevalere dei potentati di Tebe.
Con la XI dinastia, a opera di Montuhotep II (2046-1995), si ricomposero le spinte centrifughe e fu ricostituita l’unità territoriale, ma a prezzo del crollo della monarchia di diritto divino. Mentre al faraone si opponevano i nomarchi e altri principi, nella vita economica l’artigianato assunse maggiore indipendenza e si formò una classe borghese e piccolo-borghese. Parallelamente vi fu un rinnovato sviluppo della scienza e dell’arte. Montuhotep e i suoi successori condussero con successo spedizioni in Nubia e viaggi commerciali a oriente e sul Mar Rosso. Il controllo, se non ancora l’occupazione e conquista, della zona costiera della Palestina era essenziale per impedire l’insediamento di potenze straniere ai confini del Paese e soprattutto per esercitare una forma di «imperialismo» mercantile, assicurando il monopolio dei terminali delle vie commerciali tra Mediterraneo ed entroterra orientale. Quello della XII dinastia (1976-1794/3) è uno dei periodi meglio noti della storia egiziana. Fondatore ne fu Amenemhat I, che portò Ammone, il dio di Tebe, al grado di divinità principale, verificò le frontiere dei nòmi, costruì nel Delta fortezze di difesa contro i beduini e combatté contro i libi. I suoi successori Sesostri III e Amenemhat III svolsero una politica altrettanto incisiva. Il primo realizzò la conquista della Nubia, il secondo la bonifica del Fayyum. In Nubia fu allestita una catena di fortificazioni e i confini dello Stato vennero spostati fino alla seconda cataratta; nel Fayyum si misero in opera grandiosi progetti di irrigazione, con la costruzione di una diga e il convogliamento delle acque alluvionali in numerosi canali. Fu questa l’età di più raffinata vita dell’E.: una monarchia solida accanto a funzionari efficienti, un popolo impegnato in opere civili, un attivismo bellico che dava sicurezza alle frontiere; e, insieme, il fiorire dell’attività artistica e la stesura delle opere classiche della letteratura egizia. La stabilità sociale e politica non durò a lungo e seguirono anni di confusione poco documentati.
Con la XII dinastia si concluse il Medio regno. Le dinastie XIII e XIV (1794/3-1670 ca.) furono rappresentate da re in gran parte noti solo di nome, la cui debolezza si manifestava nel rapido succedersi e nella frequenza delle usurpazioni. Se l’E. continuava a vivere come società, era in virtù della capacità di azione autonoma delle sue strutture amministrative. A E del Delta s’infiltrarono tribù asiatiche, gli hyksos («re dei Paesi stranieri» e, secondo una falsa etimologia, «re pastori»), che si costruirono una piazzaforte ad Avaris e di là mossero verso il resto del Paese. Non riuscirono tuttavia a ottenere il dominio su tutto l’E. se non per un breve periodo, durante il quale i principi locali probabilmente mantennero la loro autorità, benché limitati da un controllo e obbligati a un tributo. Fra le famiglie di dinasti emerse per importanza quella di Tebe, che riunì intorno a sé le altre dell’Alto E. e si pose a capo di un movimento di ribellione contro gli stranieri.
La XVIII dinastia (1550-1292) inaugurò la fase «imperiale» della storia egiziana. Finita la dominazione degli hyksos, era necessario rimettere in efficienza tutta la macchina dello Stato. Per molti decenni l’E. fu un Paese militare. La politica di ampliamento delle conquiste al Sud e di espansione in Asia, avviata da Thutmosi I, fu portata avanti da Thutmosi III, che con una serie di spedizioni raggiunse l’Eufrate. Al talento militare si univa l’intelligenza politica: i Paesi conquistati (Fenicia, Palestina) conservavano la loro struttura, limitandosi il re a stabilire in loco ispettori egizi e a imporre un tributo annuo e gravami per il mantenimento delle truppe. Grazie alla pratica di condurre i figli dei notabili locali a compiere la loro educazione in E. e all’intenso sviluppo dei traffici, la cultura egizia si diffuse anche per una via diversa da quella delle armi. Si apriva così un’età di grandi scambi, durante la quale le dottrine tradizionali si estesero ad altri territori, mentre l’internazionalismo politico, sociale ed economico e l’universalismo religioso producevano effetti di innovazione e ibridazione anche in Egitto. La nuova società cosmopolita legata ai centri urbani divenne più eterogenea e secolarizzata, rinunciando agli elementi classici e sociali che avevano regolato da sempre la vita degli egizi. Una parentesi fu rappresentata dal regno di Amenhotep IV (1351-1334), che abbandonò Tebe trasferendo la capitale in una città nuova, Akhetaton (oggi Tell el-Amarna), e cambiò nome assumendo quello di Akhenaton. Amenhotep varò una radicale riforma religiosa, volta all’adorazione esclusiva di Aton (il disco solare), che fu anteposto ad Ammone, protettore fino ad allora della dinastia e dell’Egitto. Oltre che religioso, l’atonismo aveva anche un significato politico, mirando da un lato al ridimensionamento economico e politico dei sacerdoti di Ammone e dall’altro alla fondazione di un culto del Sole creatore provvidenziale, nel cui sistema al sovrano era data una funzione demiurgica, e perciò una più assoluta autorità. Nessuno dei due scopi fu raggiunto: Akhenaton fu incompreso anche dal popolo che rimaneva legato alle vecchie tradizioni, e alla sua morte furono ripristinati gli antichi culti, la nuova città fu rasa al suolo e, con Tutankhamon, la capitale tornò a Tebe. Intanto, dietro la pressione della nuova potenza degli ittiti, l’impero in Asia si andava sgretolando. Il primo regno importante della XIX dinastia fu quello di Sethi I (1290-1279/8), che avviò una politica di riconquista in Asia, affrontò con un qualche successo gli ittiti e rese più sicura e funzionale la strada militare attraverso il deserto del Sinai, valendosi di posti di guardia e della sorveglianza dei luoghi di rifornimento d’acqua: ogni fonte lungo la strada era vigilata da una torre, migdol, con un presidio permanente. Il successore Ramses II (1279-1213) si trovò a dover affrontare nuovamente gli ittiti. La battaglia, a Qadesh, fu di esito incerto, ma la minaccia della potenza assira indusse i rivali a concludere un trattato che pose i due imperi su un piano di assoluta parità, stringendo un accordo che assicurò quasi 50 anni di pace in Oriente. In questo periodo assunse particolare importanza Tanis, nel Delta del Nilo: non lontano dall’Asia e dal Mediterraneo, il sito della nuova capitale amministrativa appariva preferibile per gli interessi internazionali dell’E. e per la riconquista dell’impero. Tebe rimase il centro religioso e la residenza di vacanza del sovrano. Intanto imponenti migrazioni, iniziate verso il 1400, avevano portato popoli di varia origine dalle contrade nordorientali indoeuropee verso le regioni costiere del Mediterraneo: erano questi i «popoli del mare» che distrussero l’equilibrio esistente nell’Oriente antico, dando inizio a nuove civiltà, tra cui la micenea. Anche se, durante la XX dinastia, Ramses III (1183/2-1152/1) riuscì a evitare il pericolo di un’invasione dell’E., consolidandosi anche in Palestina e in Siria, il dilagare dei popoli del mare in Anatolia, Cilicia e Siria settentrionale, con l’annientamento dell’impero ittita, costituì per l’E. una grave minaccia, in quanto entrarono in crisi l’antica e sicura procedura dello scambio di grano e oro egizi contro l’argento anatolico, come pure il commercio di ferro che proveniva dal Paese degli ittiti. In una condizione di generale debolezza, sotto gli altri faraoni della dinastia, da Ramses IV a Ramses XI, l’E. perse autorità fuori delle frontiere e benessere all’interno. Alla morte di Ramses XI lo Stato si divise in due regni e solo un compromesso permise la riunificazione. Tra la XXI e la XXV dinastia (1070-655/3) il processo di decadenza si accentuò. Bande di mercenari libici s’installarono in E., che si andò configurando non più come uno Stato efficiente, ma come un insieme di piccoli Stati legati da rapporti commerciali. Il dominio si riduceva al governo esercitato nel Delta dai principi-mercanti di Tanis e a quello esercitato a Tebe dai principi-sacerdoti di Ammone, mentre emergeva un nuovo fattore di potenza con l’influsso crescente di principi libici originari del Fayyum. L’E. fu assalito dagli assiri che per due volte saccheggiarono Tebe (nel 666 e 664 a.C.). Alla crisi seguì ancora un periodo di rinascenza con l’epoca saita (XXVI dinastia, 664-525), di cui fu fondatore Psammetico I, che profittò della ribellione della Lidia contro gli assiri per liberarsi del loro dominio e con iniziative accorte favorì i traffici commerciali nell’attivissima zona del Delta. Forte all’interno, l’E. tornò a intervenire nell’area asiatica con l’obiettivo di occupare la Fenicia. Nel secolo successivo, tuttavia, i faraoni non furono in grado di resistere alla nuova potenza affermatasi in Asia, quella dei persiani. Psammetico III fu sconfitto a Pelusio e Menfi (525) e l’E. divenne una provincia dell’impero persiano. Nell’invasione persiana storicamente si individua l’evento che pose fine alla civiltà egizia. I nuovi regnanti, inizialmente attenti agli usi e culti locali, con il tempo manifestarono intenzioni più consone a una potenza coloniale, facendo esplodere ribellioni a vantaggio di dinastie locali.
La dominazione persiana si concluse con l’occupazione dell’E. da parte di Alessandro Magno (332 a.C.) che, sebbene salutato come un liberatore, non ricostituì però il vecchio E., ma fondò un nuovo regno, connotato da elementi di tipo ellenistico, i cui protagonisti erano ormai greci e non egizi. L’E. fu governato in un primo tempo da Cleomene di Naucrati, poi, dopo la morte di Alessandro e le spartizioni avvenute tra i suoi generali, fu assegnato a Tolomeo di Lago, il capostipite della dinastia che resse l’E. per circa tre secoli (321-30 a.C.). Come tutti i macedoni, i Tolomei erano largamente permeati di grecità e avviarono un processo di ellenizzazione del Paese. L’elemento indigeno però non fu asservito; i sovrani, i generali e i funzionari erano macedoni o greci, ma elementi nativi si mantennero a capo dei nòmi e nei ruoli inferiori. La storia politico-militare del regno tolemaico fu inizialmente tesa ad affermare, contro gli altri diadochi ed epigoni, l’autorità dei Tolomei. Vi fu poi la secolare contesa con la Siria per il possesso della Celesiria, che ebbe alterne vicende e talvolta parve chiudersi con il successo tolemaico, altre volte mise in pericolo l’esistenza stessa del regno (presa di Menfi a opera di Antioco IV di Siria, 169 a.C.). Le lotte dinastiche si fecero più accese e continue a partire dalla prima metà del 2° sec. a.C. e contribuirono a indebolire le capacità di resistenza dell’E. alle pressioni esterne, tra le quali stava emergendo quella di Roma. Il dominio effettivo dei romani s’istituì in E. dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), che vanificò il progetto dell’ultima regina, Cleopatra VII, di ricostituire un grande impero orientale. La dinastia tolemaica favorì in ogni modo l’incivilimento del Paese. L’agricoltura ebbe notevole impulso da opere di bonifica (Delta, Fayyum) e dall’introduzione di nuove colture e specie zootecniche; le attività industriali furono potenziate e protette, il commercio favorito dalla creazione di nuove carovaniere e dallo sviluppo di istituzioni di tipo finanziario. Si ampliò a dismisura il mercato sul quale collocare i prodotti artigianali. L’impero commerciale tolemaico si estendeva fino a Tripoli, al Libano, a Cipro, all’intera costa della Libia e alle isole dell’Egeo, a eccezione di Creta e Rodi. Agli aspetti positivi della politica mercantile promossa dai Tolomei si contrapponevano tuttavia l’oneroso fiscalismo e l’eccessiva burocratizzazione del paese. Il maggiore ricorso a manodopera servile e la concorrenza delle imprese schiavistiche andarono a svantaggio dei contadini liberi e favorirono la formazione del latifondo, con conseguenze che a lungo andare si sarebbero rivelate rovinose. Per legittimare il loro potere e ottenere il favore popolare, i Tolomei vollero collegarsi all’antica storia egizia assumendo le prerogative tipiche dei faraoni. Il sovrano era assoluto e da lui dipendevano direttamente tutti i rami dell’amministrazione, compreso l’esercito che, costituito inizialmente di greco-macedoni, verso la fine del 3° sec. accolse anche indigeni che a poco a poco pervennero agli alti gradi.
Dopo la vittoria di Azio e la morte di Cleopatra, Augusto riordinò l’E. come territorio alle dipendenze dell’imperatore, sotto l’amministrazione di un governatore di rango equestre, il praefectus Aegypti, che godeva di onori quasi regi. Lingua ufficiale rimase la greca, e l’amministrazione non subì sostanziali mutamenti: accanto al prefetto erano lo iuridicus per gli affari giudiziari e l’idiologus per gli affari finanziari. Le città greche ebbero una limitata autonomia; a capo dei nòmi furono messi strateghi di nomina prefettizia. Nel periodo romano l’E. non ebbe vita prospera e pacifica, malgrado gli interventi presi a suo favore da alcuni imperatori come Adriano o Settimio Severo. La regione si depauperò notevolmente, soprattutto nelle campagne: gran parte delle ricchezze affluivano a Roma e i magistrati locali esercitavano un pesante fiscalismo, in quanto personalmente responsabili delle somme che dovevano raccogliere dalle rispettive zone o città. Alle difficoltà economiche si aggiungevano altri fattori: i contrasti razziali esplosi più volte in sommosse contro gli ebrei, le ribellioni degli indigeni, le invasioni esterne, le insurrezioni di pretendenti all’impero. Nella riforma di Diocleziano, l’E. fu diviso in quattro province e incorporato nella diocesi di Oriente. Alla stessa epoca risale il confronto conclusivo fra il cristianesimo in espansione e lo Stato romano politeistico: l’ultima persecuzione (iniziata sotto Diocleziano e conclusa sotto Massimino nel 311) fu più cruenta qui che altrove. Alla caduta dell’impero d’Occidente (476) l’E. divenne possedimento bizantino, rimanendo politicamente diviso nelle quattro province dioclezianee, ora rette da duchi di origine egiziana. Furono imposte tasse gravose consistenti in una parte rilevante del raccolto del grano, l’attività industriale si andò limitando alle cave di marmo, il commercio con l’Oriente, prima intenso, diminuì quando Costantinopoli si servì di linee più dirette e si rivolse maggiormente verso l’Etiopia. Con la crisi economica declinò rapidamente anche la vita sociale: i piccoli proprietari diventarono man mano locatari e poi servi dei latifondisti.
Nel 641 gli arabi sotto il comando di ‛Amr ibn al-‛As batterono i bizantini e conquistarono la fortezza di Babilonia d’E.; da qui si sviluppò la città di Fustat, centro del governo e primo nucleo dell’attuale Cairo. Il Paese fu lentamente arabizzato, ma non del tutto islamizzato. Esso era amministrato da governatori dipendenti dal governo centrale. Ahmed ibn Tulun (868-884) estese il suo dominio su Palestina e Siria. Il governatore Mohammed ibn Tughj al-Ikhshid e i suoi discendenti regnarono da sovrani autonomi (935-969) ancorché non del tutto staccati dal califfato di Baghdad. Nel 969 la dinastia dei Fatimidi si impossessò dell’E. per mano di Giawhar, generale del califfo al-Mu‛izz che vi trasferì la sua capitale fondando Il Cairo. Sotto i Fatimidi, sciiti, l’E. divenne il Paese più importante dell’islam; essi furono però spodestati dal governo dai loro generali turchi o curdi. Nel 1171 Salah al-din (Saladino) si proclamò re dell’E.; con lui comincia la dinastia degli Ayyubidi che riprese la Siria, conquistò la Mesopotamia e l’Africa settentrionale fino a Tripoli e occupò gran parte della penisola araba. Presto però gli Ayyubidi perdettero quasi tutti i territori annessi e caddero sotto il potere dei capi delle loro milizie turche composte di schiavi (mamluk), da cui il nome di mamelucchi che assunsero le due dinastie dei Bahiriti e Burgiti. Questo periodo è ricco di sovrani di grande valore: Baibars, Qalawun, Barquq, Qa’it Bey. Nel 1517 i Turchi ottomani sconfissero nelle loro guerre d’espansione l’ultimo sultano mamelucco Tuman Bey e incorporarono l’E. al loro grande impero.
Nel 16°-18° sec. l’autorità turca sull’E. fu temperata da quella, di fatto perdurante, dei mamelucchi. La spedizione napoleonica (1798) e l’occupazione francese durata fino al 1801 misero in crisi questo antiquato regime politico-sociale. Qui emerse la grande personalità di Mohammed ‛Ali, un ufficiale albanese giunto in E. con l’esercito turco alla fine dell’occupazione francese; fattosi nominare governatore nel 1805, annientò i mamelucchi nel 1811 e iniziò una grandiosa opera di ammodernamento tecnico del Paese, di cui divenne l’effettivo padrone. Tra i suoi successori spicca suo nipote Isma‛il (1863-79), il primo a portare il titolo di khedivè, colui che promosse la realizzazione del Canale di Suez (1869), dando inizio a una sempre crescente ingerenza europea, che culminò nel 1882 nell’occupazione inglese (durata fino al 1914) in cui l’E. divenne un protettorato britannico. L’agitazione nazionalista condusse nel 1922 alla proclamazione del regno indipendente d’E., sotto Fu’ad. L’E. s’ispirò per la politica al modello parlamentare europeo, diviso fra la corona e i partiti politici (in primo luogo il WAFD, fondato da Zaghlul Pascià e rimasto a lungo in primo piano nella direzione della politica egiziana). I rapporti con la corona vissero alterne vicende, con atti di forza del sovrano, sospensioni della Costituzione, scioglimenti della Camera e resistenze parlamentari. Quelli con la Gran Bretagna compirono un’importante tappa con il trattato del 1936, che ridusse l’occupazione militare nella zona del Canale, ma legò l’E. in un’alleanza militare che lo coinvolse nella Seconda guerra mondiale. Con la fine della guerra si ripropose per l’E. il problema dell’acquisizione della piena indipendenza, a cui si sovrappose la questione della Palestina che rendeva incandescente il clima, aggravato da numerosi atti di terrorismo e azioni di guerriglia nella zona del Canale. In Palestina la Lega araba, della quale l’E. era stato uno dei principali promotori (1945), si dimostrò incapace di mobilitare la solidarietà araba per impedire l’instaurarsi dello Stato di Israele (1948). Al fallimento della politica estera e al generale decadimento della situazione interna reagì nel 1952 l’elemento militare con una rivolta incruenta; il re Faruq, dispotico e corrotto, fu deposto ed esiliato e il potere fu assunto da una giunta militare capeggiata dal generale M. Negib. Fu varata una riforma agraria (la terra fu in parte assegnata ai contadini e in parte organizzata in cooperative), la Costituzione vigente fu abrogata, i partiti furono soppressi e fu abolita la monarchia. Nel 1954 il vice di Negib, G. ‛Abd al-Nasir (Nasser), assunse i poteri del presidente e con lui lo sviluppo dell’E. subì una decisa accelerazione. Il populismo di Nasser promosse i ceti medi emergenti colpendo l’intreccio di interessi feudali e neocoloniali che aveva ritardato lo sviluppo e l’emancipazione del Paese. Con la Gran Bretagna venne raggiunta un’intesa (1954) per il definitivo ritiro delle truppe dalla zona del Canale. In politica estera Nasser aderì allo schieramento dei Paesi non allineati e del Terzo mondo. Nel 1956 si aprì una crisi nei rapporti con USA e Gran Bretagna, quando queste potenze e la Banca mondiale si rifiutarono di finanziare la diga di Assuan. La nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez, decisa allora da Nasser, suscitò una reazione particolarmente aspra da parte di Francia e Gran Bretagna, che, in concomitanza dell’invasione del Sinai da parte di Israele, diedero inizio a un’operazione militare nella zona di Suez (operazione interrotta dall’intervento ONU). Dopo il fallimento della fusione di E. e Siria nella Repubblica araba unita (1958; un colpo di Stato provocò la secessione della Siria nel 1961) e dell’accordo con lo Yemen per la costituzione degli Stati arabi uniti, anche il tentativo di unione interaraba del partito Ba‛th al potere sia in Iraq sia in Siria non ebbe fortuna (1963) e l’E. entrò in contrasto con l’Arabia Saudita in occasione della guerra nello Yemen. Nel 1967 le tensioni con Israele sfociarono nella fulminea occupazione israeliana del Sinai e della striscia di Gaza (guerra dei Sei giorni), ridimensionando le ambizioni di Nasser. Alla morte di Nasser (1970) il suo posto fu preso da Anwar as-Sadat. Nel 1971 fu approvata una nuova Costituzione che ripristinava il nome di E. al posto di RAU; nello stesso anno Sadat allontanò la «sinistra» nasseriana, pur firmando un trattato di amicizia e di cooperazione con l’URSS (in seguito denunciato). Al fine di riconquistare il Sinai, Sadat si avvicinò agli USA per sfruttare la loro influenza su Israele. Dopo l’attacco a sorpresa di E. e Siria (1973) contro Israele e il successivo contrattacco (➔ ), furono raggiunti accordi (1974-75) che restituirono all’E. una porzione del Sinai con i pozzi petroliferi. Sadat varò infine alcune riforme liberaleggianti: l’apertura ai capitali esteri e maggiore pluralismo politico (nel 1978 fu fondato il Partito nazionale democratico, in sostituzione dell’Unione socialista araba). Gli accordi di Camp David (1978) fra E. e Israele, raggiunti con la mediazione degli USA, si tradussero in trattato di pace (1979; Israele lasciò il Sinai nel 1982). Dopo l’assassinio di Sadat (1981) divenne presidente M.H. Mubarak, che confermò le linee generali della politica di Sadat, avviando tuttavia un processo di graduale riavvicinamento ai Paesi arabi (nel 1998 l’E. fu riammesso nella Lega araba) e di distensione con l’URSS (ristabilimento nel 1984 delle relazioni diplomatiche interrotte nel 1981). Nel 1998 l’E. diede vita, insieme a Giordania, Iraq e Repubblica araba dello Yemen (dal 1990 Repubblica dello Yemen), al Consiglio di cooperazione arabo. Anche le relazioni con l’OLP migliorarono (riconoscimento dello Stato di Palestina, 1988) e l’E. assunse il ruolo di mediatore nel conflitto israeliano-palestinese. Con la crisi scaturita dall’invasione irachena del Kuwait (1990), Il Cairo assunse la leadership del fronte antiracheno. Le difficoltà economiche del Paese, fortemente indebitato, e l’aumento degli squilibri sociali favorirono però la crescita dei gruppi integralisti islamici. Il regime di Mubarak (riconfermato nel 1993 e nel 1999) accentuò la repressione contro l’intensificata azione terroristica dei gruppi integralisti islamici che, diretta in particolare contro i turisti e le banche di investimento straniere, minacciava di aggravare la già difficile situazione economica del Paese. La crescita del malcontento, oltre che per la grave situazione economica, per le misure illiberali attuate dal governo, convinse infine Mubarak a fare un tentativo di apertura alle forze di opposizione (con l’esclusione della Fratellanza musulmana, al-Ikhwan al-muslimun, Partito fondamentalista islamico ufficialmente non riconosciuto), che però si arenò, mentre la tensione sociale e gli attentati terroristici proseguirono. Dopo un grave attentato del 1997 a Luxor, alcuni leader dei movimenti integralisti Jihad («Guerra santa») e Jama‛a al-islamiyya («Gruppo islamico») annunciarono l’avvio di una strategia non violenta, cui si accompagnò una politica del governo più conciliante. La tensione fra E. e Sudan, scaturita in scontri armati ad Hala’ib, zona di confine contesa fra i due Paesi (1995-96), si allentò, mentre peggiorarono i rapporti con Israele, in seguito alla linea intransigente assunta da questo nei confronti dei palestinesi. L’E. riprese il ruolo di mediatore nella regione, ma i suoi sforzi per arrivare a una soluzione del problema palestinese furono compromessi dalla ripresa dell’intifada nel corso del 2000, cui fece seguito la condanna del Cairo nei confronti di Israele. Le elezioni legislative svoltesi nel 2000, intanto, ribadirono la vittoria dei candidati del Partito nazionale democratico, vicino al presidente. Dopo gli attentati di New York dell’11 sett. 2001, Mubarak offrì agli Stati Uniti il suo appoggio alla lotta contro il terrorismo, ma dovette fronteggiare il riacutizzarsi dell’opposizione integralista, soprattutto dopo i bombardamenti sull’Afghanistan e la recrudescenza degli scontri in Palestina. Rieletto nel 2005, Mubarak si è impegnato ad attuare riforme politiche liberali, che tuttavia non si sono realizzate per la recrudescenza del terrorismo fondamentalista (attentato di Sharm al-Shaikh, 2005). Al contrario, nel 2007 sono state trasformate in leggi costituzionali le norme speciali antiterrorismo introdotte dopo l’assassinio del presidente Sadat, oltre a restrizioni all’attività politica dei movimenti religiosi, mirate a indebolire l’opposizione dei Fratelli musulmani.