EGITTO
(XIII, p. 537; App. I, p. 542; II, I, p. 819; III, I, p. 511; IV, I, p. 645)
Territorio e popolazione. - Dopo gli accordi di pace sottoscritti a Camp David nel 1979, Israele ha gradualmente reso all'E. i territori del Sinai occupati nel 1967, mentre conserva ancora la striscia di Gaza. La sovranità egiziana si esercita così ora su 1.001.449 km2, di cui poco più del 4% si sottrae al deserto.
Nel 1986 la popolazione censita era di 48.205.049 ab., con un incremento del 26% rispetto al 1976; nel 1990 essa è salita a oltre 51 milioni di ab., secondo stime degli organismi internazionali. La densità sulle terre utili non di rado supera i 1300 ab./km2 e raggiunge punte assai più elevate nei governatorati urbani dell'area del Delta.
Circa metà della popolazione ha meno di venti anni, con gravi problemi formativi: nonostante gli sforzi in materia d'istruzione di base, il livello di analfabetismo resta al 49%. Seri anche i problemi occupazionali, che hanno indotto all'emigrazione molti Egiziani: mano d'opera qualificata è stata reclutata dai paesi arabi produttori di petrolio e anche molte famiglie contadine si sono installate nei perimetri di colonizzazione dei paesi limitrofi. Con la crisi delle rendite petrolifere e delle relazioni con la Libia e in seguito all'invasione irachena del Kuwait, molti lavoratori sono rientrati in patria, ma ne restano ancora circa due milioni fuori dei confini egiziani. La carenza di sbocchi ha indotto molti abitanti delle campagne a riversarsi nelle città alla ricerca di un qualsiasi lavoro, sicché la popolazione urbana ha ormai superato il 46% (1990) del totale e continua a crescere a ritmi assai sostenuti.
Impressionante è l'espansione del Cairo, che ospitava 6 milioni di persone nel 1986, ma che arrivava a contarne oltre 13 milioni con la miriade di sobborghi circostanti. Per decongestionare la capitale e consentire interventi edilizi sul suo centro storico sono in via di realizzazione alcune città satelliti. Anche Alessandria ha superato di gran lunga la soglia dei 2 milioni di persone, mentre sono una ventina i centri che annoverano più di 100.000 abitanti.
Condizioni economiche. - L'economia egiziana resta connotata da molti elementi di socialismo, ma nel 1974 il presidente A. al-Sādāt le impresse una decisa svolta, avviando una politica di porta aperta (infitāḥ) agli investimenti stranieri, affluiti poi soprattutto nel settore dei servizi. Dopo la guerra del 1967 l'E. si è avvalso di ingenti contributi di solidarietà dei paesi arabi più ricchi per fronteggiare le spese militari e per rimediare ai danni subiti. Dopo gli accordi stipulati con Israele, il posto degli aiuti arabi è stato assunto dai forti crediti erogati dagli Stati Uniti. La cooperazione occidentale è particolarmente necessaria nei rifornimenti alimentari, consentendo di praticare prezzi politici per alcuni generi altrimenti inaccessibili a molte fasce sociali. Gli ultimi piani quinquennali destinano rilevanti risorse pubbliche al rafforzamento della base energetica e dell'apparato di industrie e di dotazioni sociali, mentre gli investimenti privati sono convogliati in prevalenza verso l'edilizia.
L'agricoltura occupa ancora oltre un terzo dei 13 milioni di attivi, ma il suo ruolo è compromesso dall'esiguità di terre arabili. Alcuni progetti nell'area del Delta e nella ''Nuova Valle'' (attualmente governatorato di al-Wādī al-Ǧadīd tra Assuan e la depressione di alQaṭṭāra) mirano ad attrezzare ulteriori perimetri irrigui con le acque del Nilo o con quelle di falda; ma la disponibilità di terreni resta largamente inadeguata ai fabbisogni.
Agli sforzi governativi si oppongono il diffuso processo di desertificazione dei terreni e l'alto fabbisogno di suoli urbani; incideva negativamente anche la pratica di fabbricare mattoni con il materiale argilloso della Valle, prima che una legge del 1985 la bloccasse. L'opera della riforma agraria avviata nel 1952 è continuata, portando a quasi 450.000 ha le terre finora redistribuite ad altrettante famiglie; quasi metà dell'area coltivabile resta comunque nelle mani del 6% dei proprietari.
Una consistente parte dei 2,5 milioni di ha a coltura è destinata ai cereali; nondimeno il deficit in questo settore appare sempre più netto per il rapido incremento della popolazione e dei consumi pro capite. Sono dunque insufficienti i 31 milioni di q di frumento e i 37 di mais, mentre i 26 milioni di q di riso consentono un modesto flusso di esportazioni. Buone vendite all'estero sono alimentate dalle colture, in espansione, degli agrumi e degli ortofrutticoli (in particolare da patate novelle e cipolle). Ampiamente deficitario è invece il comparto zootecnico: con soli 4,6 milioni di capi tra bovini e bufali e 3 milioni tra ovini e caprini, il consumo di latte e carne permane assai ridotto. La coltura, un tempo dominante, del cotone si è contratta a 428.000 ha, ma consente ancora raccolti di 3,4 milioni di q di fibra e di 5,3 milioni di q di semi; benché la fibra lunga egiziana conservi il suo primato qualitativo, gli acquisti dell'Occidente sono in netto calo e solo quelli dei paesi dell'Europa orientale continuano a garantire discreti introiti.
Una nuova centrale idroelettrica (per 270 MW) è venuta ad accrescere il contributo di energia derivato dall'Alta Diga. Il lago da questa generato, però, subisce un rapido interramento, mentre le recenti annate siccitose e i prelievi avviati in territorio sudanese fanno diminuire il volume d'acqua disponibile; non mancano alcune conseguenze ecologiche negative.
Le risorse petrolifere sono in deciso aumento: Israele ha reso i pozzi del golfo di Suez e del Sinai e vari ritrovamenti sono in atto nel Deserto Occidentale: la produzione si è portata a 43 milioni di t l'anno (1988). Sei raffinerie trattano ora il greggio, che alimenta anche quattro grandi impianti per la fabbricazione di concimi azotati. La rete di oleodotti si è arricchita di una giunzione tra l'area di Suez e la capitale e di un'altra tra il Deserto Occidentale e le rive mediterranee. A integrare le capacità del Canale di Suez è poi venuto dal 1977 il Sumed, un oleodotto da Suez al terminale di Alessandria. Il bilancio energetico include cospicue quantità di gas, ritrovato nel Deserto Occidentale e al largo di Alessandria: parte della produzione (4,8 miliardi di m3 nel 1987) confluisce agli impianti industriali della capitale e del Delta. Le aziende manifatturiere impegnano (1985) il 13% degli attivi; la prevalenza compete ancora ai comparti alimentare e tessile (dal ramo cotoniero viene anche qualche contributo all'esportazione).
La siderurgia (155.000 t di ghisa e 1.600.000 di t di acciaio nel 1987) è in via di potenziamento con largo contributo di esperienze e capitali giapponesi: un nuovo impianto ad al-Diẖayla, presso Alessandria, si è aggiunto a quello poco efficiente di Ḥilwān. L'abbondanza di energia ha suggerito la realizzazione a Naǧ῾ Ḥammādī di una fabbrica per il trattamento della bauxite importata. Una risorsa notevole è data dai fosfati: le riserve scoperte ad Abū Ṭarṭūr (Deserto Occidentale) accrescono il potenziale produttivo (1.310.000 t nel 1987), ora alimentato soprattutto dai giacimenti della regione del Mar Rosso, che provvedono all'esportazione attraverso lo scalo di Safāǧa. Nonostante una forte espansione, la produzione di cemento (8,8 milioni di t) copre solo metà del fabbisogno, generato da una frenetica attività edilizia e dai lavori pubblici, che impegnano in complesso quasi un milione di addetti. Con il ritorno degli investimenti stranieri si avviano nuovi impianti per la costruzione e il montaggio di motori e di auto, fabbriche chimiche e farmaceutiche. Nel settore degli armamenti l'industria egiziana ha conseguito un grado di specializzazione che consente anche correnti di esportazione verso alcuni paesi del Terzo Mondo.
Altri introiti derivano da un'attività turistica in crescita (1,5 milioni di visitatori nel 1986), sostenuta da un'adeguata rete alberghiera. La riapertura del Canale di Suez, avvenuta nel 1975, ha comportato lavori di ammodernamento della via d'acqua, per la quale sono transitati nel 1986 oltre 18.000 navigli e 262 milioni di t di merci. Nonostante i pedaggi del Canale, le rimesse dei lavoratori e la rendita petrolifera (pari al 60% dell'export), la bilancia dei pagamenti è gravata dagli interessi del pesante debito estero e dagli esborsi necessari per coprire con le importazioni una buona metà dei bisogni alimentari. La svolta liberista degli anni Settanta ha depresso gli scambi con l'Europa orientale e ha accresciuto i rapporti con l'Occidente e con il Giappone: l'Italia è da qualche anno il maggior cliente dell'E. e il suo secondo fornitore (dopo gli USA). Vedi tav f.t.
Bibl.: R. Mabro, The Egyptian economy 1952-1972, Londra 1974; G. Meyer, Auswirkungen des Projektes ''Neues Tal'' auf die Entwicklung der ägyptischen Oasen, in Geographische Zeitschrift, 1979, pp. 240-62; M. Bakre e altri, L'Egypte et le HautBarrage d'Assouan, St. Etienne 1980; E. Manzi, Egitto rurale e urbano tra congestione insediativa e sottosviluppo, in Rivista geografica italiana, 1982, pp. 54-101; Valorizzazione delle risorse e controllo degli spazi. Osservazioni sul caso egiziano, a cura di P. Faggi, Padova 1984; M. Michel, L'espace économique de l'Egypte. Une analyse à trois échelles, Parigi 1988; A. Chevalier, V. Kessler, La transition démographique au Maghreb et en Egypte, ivi 1989.
Storia. − Gli sviluppi dell'iniziativa egiziana dopo il viaggio del presidente Anwār al-Sādāt a Gerusalemme (19-21 novembre 1977) si rivelarono presto clamorosi, tanto che nel giro di due anni di intensa attività diplomatica, e grazie pure all'intervento mediatore degli Stati Uniti, si arrivò alla firma della pace con Israele a Washington il 26 marzo 1979. Il trattato, pur non risolvendo il problema dell'occupazione israeliana della Cisgiordania e della striscia di Gaza, perché si limitava a delineare per i Palestinesi ipotesi transitorie di autonomia tutte da definire, permise all'E. il recupero a tappe del Sinai, gradualmente sgomberato dagli Israeliani.
Tuttavia, mentre i paesi arabi non vennero meno alla rigida critica per la scelta della pace separata (sospensione dell'E. dalla Lega araba, trasferita a Tunisi, e dall'Organizzazione della conferenza islamica), anche sul piano interno solo cerchie ristrette e legate economicamente all'Occidente seguivano con entusiasmo le direttive presidenziali.
Ai vantaggi del ritorno della sovranità sul Sinai e sui suoi pozzi petroliferi (novembre 1979) avrebbero dovuto aggiungersi l'inizio di utili scambi economici con Israele, l'incremento del turismo e specialmente un aumento consistente degli investimenti provenienti dai paesi altamente industrializzati. Invece, dalla preannunciata apertura economica (infitāṭ) non derivarono che scarsi risultati accompagnati da una crescita incontrollata di attività speculative e del costo della vita. Così, nonostante le iniziali concessioni liberalizzanti della gestione al-Sādāt, all'opposizione degli ambienti studenteschi e intellettuali, dell'integralismo islamico e della sinistra semilegale, si venne aggiungendo quella di taluni ambienti militari, della burocrazia statale e dell'imprenditorialità più seria. Di fatto, a causa dell'indisponibilità israeliana a venire incontro alla controparte nella trattativa sulle sorti dei Palestinesi e della tendenza degli Stati Uniti a fornire aiuti solo in cambio di precisi corrispettivi sul piano politicomilitare, l'azione presidenziale si ritrovò sempre più invischiata in un percorso obbligato di cedimenti via via più estesi.
Da ciò la necessità dei continui rimaneggiamenti nel governo, il referendum per garantire ad al-Sādāt la rielezione a tempo indeterminato (23 maggio 1980), il ricorso a reiterate misure repressive. Del pari divenne inevitabile per l'E. prendere le distanze in modo netto dall'orientamento neutralistico e di non-allineamento dell'epoca di Ǧamāl ῾Abd al-Nāṣir: al riguardo si ricordano, oltre allo scambio degli ambasciatori, il moltiplicarsi delle visite di personalità israeliane, l'accoglienza allo scià dell'Iran in fuga dal suo paese, l'intesa militare con Sudan e Stati Uniti (marzo 1981) con la concessione di basi militari e il corollario d'una intesa nucleare, la firma a Londra (17 luglio) dell'accordo per lo stanziamento nel Sinai, oltre ai previsti contingenti statunitensi, d'una forza multinazionale espressa dai paesi del Patto atlantico.
I segni d'insofferenza tra la popolazione si estesero, non frenati dagli arresti e coinvolgendo gruppi e strati cui lo stesso al-Sādāt aveva concesso libertà d'azione. L'attentato da parte di militari collegati con associazioni estremiste islamiche, nel quale al-Sādāt trovò la morte il 6 ottobre, durante la parata celebrativa della ''guerra d'ottobre'', non giunse dunque inaspettato, ma dimostrò l'isolamento in cui egli si era gradatamente rinchiuso nonostante l'indubbia genuinità dell'ispirazione che quattro anni prima lo aveva spinto a recarsi a Gerusalemme.
Gli succedette Muḥammad Ḥusnī Mubārak, vicepresidente della Repubblica dal 1975, già comandante dell'aviazione, che subito predispose una politica più conciliante liberando numerosi prigionieri politici e correggendo sbandamenti e speculazioni, anche se sempre nel quadro dell'intesa con gli USA. Con Israele si confermarono gli impegni stipulati e si ottenne (aprile 1982) la conclusione dell'evacuazione del Sinai, ma si evitarono gesti controproducenti, quali una ventilata visita di Mubārak a Gerusalemme per discutere sulle modalità dell'autonomia palestinese rimasta in sospeso, e sulla località di Taba che gli Israeliani rifiutavano di sgomberare. Questa prudenza permise − allorché Tel Aviv iniziò inopinatamente l'invasione del Libano − di congelare i rapporti, ritirando l'ambasciatore, e di assumere un atteggiamento consono con il resto del mondo arabo. Comunque, anche per intervenire sulla complessa situazione interna (arresto di ῾Iṣmat al-Sādāt, fratello del defunto presidente, per illeciti arricchimenti, e destituzione di alcuni ministri coinvolti nello scandalo) fu attuato nell'agosto 1982 un rimpasto che a fianco di Fu'ād Muḥī al-Dīn, primo ministro confermato, vide l'ascesa del gen. ῾Abd al-Ḥalīm Abū Ġazāla, ministro della Difesa, che sarà però allontanato nel 1989.
Il processo di ricomposizione tra E. e Lega araba, cautamente avviato, in ogni caso proseguì: segni evidenti al riguardo furono la visita di riconciliazione del leader dell'OLP, Y. ῾Arāfāt, al Cairo il 22 dicembre 1983 e la riammissione nell'Organizzazione della conferenza islamica (2 aprile 1984). Ma questi eventi, per il persistente dissesto economico (nel giugno 1984 sul sistema egiziano gravava un debito estero di 32,5 miliardi di dollari), non riuscirono a evitare il riproporsi delle proteste alle quali stentò a far fronte il gen. Kamāl Ḥasan ῾Alī, per circa un anno alla guida del ministero, dopo la morte per malattia di Muḥī al-Dīn, e sostituito il 4 settembre 1985 dall'economista ῾Alī Luṭfī Maḥmūd Luṭfī, già ministro delle Finanze sotto al-Sādāt. Questi, appena nominato, dovette far fronte a una serie di episodi di malcontento, violenza e terrorismo che misero a dura prova l'ordine interno.
Il 5 ottobre, un poliziotto, Sulayman H̱āṭir, di guardia alla frontiera del Sinai, aprì il fuoco contro un gruppo di turisti israeliani uccidendone sette: fu arrestato, condannato e trovato morto in carcere il 7 gennaio 1986. La vicenda determinò veementi manifestazioni antigovernative. Il 10 ottobre 1985, quattro aerei americani dirottarono sull'aeroporto italiano di Sigonella il velivolo egiziano che trasportava a Tunisi i terroristi palestinesi che si erano impadroniti della nave Achille Lauro e che si erano arresi alle autorità egiziane. Ne derivarono un incidente diplomatico tra Il Cairo e Washington e altre manifestazioni contro Israele e Stati Uniti. Il 24 novembre il dirottamento su Malta di un Boeing 737 dell'Egyptair si concluse con l'invio dal Cairo di reparti speciali e con l'uccisione di 60 persone fra cui 4 dei dirottatori. Dal 25 febbraio 1986 al 1° marzo, per motivi economici e contro il rischio d'un prolungamento della leva, si ammutinarono migliaia di poliziotti della capitale e di altre città ai quali si unirono i sottoproletari delle baraccopoli: la rivolta fu stroncata con 300 morti dalle truppe del ministro della Difesa, Ġazāla, cui andò il merito d'aver imposto un certo riassestamento al paese.
Proseguì peraltro, superata la fase acuta della crisi libanese, il tentativo di migliorare i rapporti con Israele e di risolvere la vertenza di Taba attraverso due incontri tra Mubārak e S. Peres nel settembre 1986 ad Alessandria e nel febbraio 1987 al Cairo: non si pervenne a un effettivo superamento delle divergenze, ma fu deciso di affidare il giudizio su Taba a una Commissione internazionale di arbitrato. Questa emise un parere favorevole alle tesi egiziane il 29 novembre 1988 e Israele si dispose al ritiro entro il 15 marzo 1989, previo indennizzo per le opere turistiche costruite.
Sul piano interno, formatosi il 9 novembre 1986, dopo le dimissioni di Luṭfī, un ministero guidato da ῾Āṭif Ṣidqī, fu possibile indire per il 6 aprile 1987 le elezioni per il rinnovo dell'Assemblea nazionale. La consultazione confermò la maggioranza al Partito nazionale democratico con 346 seggi (30 in meno), vide una buona affermazione del Partito socialista laburista (sorretto dai Fratelli musulmani) che, presentatosi per la prima volta, ottenne 60 deputati, e registrò un calo del Nuovo Wafd (da 58 a 35 deputati); 7 seggi vennero guadagnati da indipendenti. Altra votazione popolare si ebbe il 5 ottobre con la rielezione di Mubārak, con l'88% dei voti, alla presidenza della Repubblica per un secondo mandato di 6 anni. L'anno si concluse con la firma (29 dicembre 1987) d'un accordo di commercio con l'URSS per il biennio 1988-90, a testimonianza dell'evoluzione positiva dei rapporti con Mosca.
A partire dal 1988, in coincidenza, per un verso, con la rivolta non violenta dei Palestinesi dei territori occupati in atto dal dicembre 1987, e per un altro con l'instaurarsi della cessazione del fuoco tra Iran ed 'Irāq (agosto 1988), l'E. accentuò il proprio dinamismo per recuperare una posizione di guida. Punti fermi di tale impegno possono considerarsi gli incontri per una concertazione degli orientamenti sul contrasto tra Israele e Palestinesi, avvenuti il 23 ottobre ad ῾Aqaba, tra Mubārak, re Ḥusayn di Giordania e ῾Arāfāt e, il giorno successivo, a Baghdād tra Mubārak, ῾Arāfāt ed il presidente iracheno Ṣaddām Ḥusayn. Proseguimento di tale proposito fu la proclamazione avvenuta ad ῾Ammān il 16 febbraio 1989 del ''Consiglio di cooperazione araba'' tra Egitto, Giordania, 'Irāq e Yemen del Nord che avrebbe dovuto costituire uno strumento per la difesa, l'armonizzazione e il progresso dei rispettivi sistemi economici.
Il 20 febbraio giunse al Cairo il ministro degli Esteri sovietico E. Shevarnadze non soltanto per incontrare Mubārak, con una ripresa in grande stile della collaborazione sovietico-egiziana, ma per parlare sia con il ministro degli Esteri israeliano, M. Arens, sia con ῾Arāfāt: questi contatti per un giorno trasformarono la capitale egiziana in un ambiente propizio per avviare i più difficili confronti e confermavano (insieme alla riapertura con la Libia: incontro del 17 ottobre a Marsa Maṭrūḥ tra Mubārak e Gheddafi) l'intenzione dell'E. di volersi inserire, nonostante il persistere delle difficoltà economiche, nella congiuntura internazionale, contrassegnata dal dialogo tra le superpotenze.
Il rilancio della vocazione egemonica è stato confermato − nonostante lo sfaldarsi del Consiglio di cooperazione − anche durante la gravissima crisi determinata tra l'agosto 1990 e il febbraio 1991 dall'occupazione del Kuwait da parte dell'῾Irāq e dalla successiva guerra contro Baghdād mossa dagli Stati Uniti insieme a una coalizione di stati alleati sotto l'egida dell'ONU. L'E., schieratosi a fianco degli USA, ha partecipato alle operazioni belliche con l'invio di un contingente militare. L'intervento ha portato a un'attenuazione della pressione finanziaria internazionale, attraverso una drastica riduzione del debito estero. Nonostante ciò, durante la guerra il governo ha dovuto affrontare il problema del forzato rientro in patria dall'῾Irāq, dal Kuwait e dalla Giordania di circa 600.000 lavoratori. Inoltre l'intervento ha incontrato notevoli resistenze popolari duramente represse. Queste tensioni si erano già manifestate nelle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea nazionale (29 novembre 1990), che avevano registrato una bassa partecipazione al voto anche per il boicottaggio deciso da vari partiti (Nuovo Wafd, socialisti, Fratellanza musulmana) e quindi erano state vinte senza difficoltà dal Partito nazionale democratico al potere. Nonostante la divergenza di posizioni e comportamenti emersi durante la guerra del Golfo, nella riunione del 30 marzo 1991 del Consiglio della Lega araba, tenutosi nuovamente nella capitale egiziana (dopo che il vertice della Lega, svoltosi a Casablanca il 22 maggio 1989, aveva calorosamente accolto Mubārak), il ministro degli Esteri, ῾Iṣmat ῾Abd al-Maǧīd, candidato alla segreteria, ha rilanciato, per la prima volta dalla fine del conflitto, la visione pragmatica del Cairo.
Nel maggio 1991 l'E. annunciava il ritiro, entro tre mesi, delle proprie forze dall'Arabia Saudita. Nello stesse mese il governo ha prorogato per altri tre anni le leggi sull'emergenza. Nei mesi successivi, e soprattutto nella primavera e agli inizi dell'estate del 1992, si sono verificati numerosi episodi di violenza provocati dai fondamentalisti islamici, culminati nell'attacco a villaggi copti e nell'uccisione del pubblicista Faraǧ Fudāḥ, critico del fondamentalismo (giugno 1992).
Bibl.: A. al-Sādāt, In cerca di una identità, trad. it., Milano 1978; G. Shoukri, L'Egypte la controrévolution, Parigi 1979; O. Carré, G. Michaud, Les frères musulmans (1928-1982), ivi 1983; C. Daniels, Egypt in the 1980s. The challenge, Londra 1983; M. Heykal, L'automne de la colère. L'assassinat de Sadat, Parigi 1983; R.D. Hinnebusch jr., Egyptian politics under Sadat, Londra 1988; A. McDermott, Egypt from Nasser to Mubarak: a flawed revolution, ivi 1988; B. Rubin, Islamic fundamentalism in Egyptian politics, New York 1990; R.W. Baker, Sadat & after: struggles for Egypt's political soul, Cambridge (Mass.) 1990.
Letteratura. − La guerra del giugno 1967 ha segnato una svolta anche nella vita culturale del paese: lo scoraggiamento ha portato a un riesame della propria storia e a un estraniamento dalla realtà. Nella narrativa il racconto, con la sua brevità, è diventato la forma più idonea alle nuove esigenze, mentre il romanzo perde il primato che aveva avuto negli anni precedenti. Accanto ad autori affermati come Naǧīb Maḥfūẓ (n. 1912), 'Abd al-Raḥmān al-Šarqāwī (n. 1920), Yūsuf Idrīs (n. 1927), che pur mutarono totalmente i loro temi fino ad allora desunti dall'ambito sociale e politico, si afferma una nuova leva di scrittori: Ibrāhīm Aṣlān (n. 1939), Yaḥyā al-Ṭāhir 'Abd Allāh (n. 1942), Muḥammad al-Busāṭī (n. 1937), Ǧamāl al-Ġīṭānī (n. 1945), Aḥmad Hāšim al-Šarīf (n. 1940) e Maǧīd al-Ṭubiyyā (n. 1938).
Sul piano contenutistico l'attenzione si concentra, in genere, su un mondo reale dominato dalla violenza e su uno onirico in cui gli avvenimenti si avvicendano senza logica nel tentativo di rappresentare il subconscio e le sue angosce attraverso immagini simboliche.
Negli anni Settanta il romanzo ritorna a essere il genere narrativo più diffuso, anche perché ritenuto il più adatto ed efficace strumento di denuncia della corruzione e del disordine imperanti nel paese. In questi anni, tuttavia, il controllo del potere politico sugli intellettuali diviene sempre più stretto, sicché mentre Yūsuf al-Sibā'ī si allinea sempre più sulle posizioni ufficiali (tanto da venire ucciso il 18 febbraio 1978 da due estremisti palestinesi), Maḥfūẓ, Yaḥyā al-Ṭāhir, Maǧīd al-Ṭubiyyā, Šarīf Ḥitāta (n. 1923), Idwārd al-H̱arrāṭ (n. 1926), Fatḥī Ġānim (n. 1924) e Badr al-Dīb (n. 1926) cercano di mantenere le loro opere nel solco della denuncia e della protesta. Parallelamente appare una tendenza a cercare ispirazione nella propria tradizione storica e narrativa, come per es. fa Ǧamāl al-Ġīṭānī.
La firma degli accordi di Camp David (1978) e la conseguente normalizzazione dei rapporti fra E. e Israele introduce nella letteratura egiziana nuove problematiche. La presenza israeliana per le vie del Cairo e i difficili rapporti con gli altri paesi arabi determinano negli intellettuali, ancora una volta, insoddisfazione e scoraggiamento cosicché il pessimismo continua a essere la nota dominante le opere sia di scrittori gi'a affermati sia delle nuove leve, fra cui ricordiamo 'Abd al-Ḥakīm Qāsim (n. 1935).
Anche il teatro attraversa un periodo di crisi determinata sia dalla censura sia dalla diffusione sempre maggiore degli spettacoli televisivi; continuano comunque a essere presentate opere teatrali di vario contenuto: commedie ispirate a piena fiducia nel futuro, farse, rappresentazioni di una realtà violenta e angosciosa, rielaborazioni di temi e fatti attinti al proprio passato.
Gli autori più noti sono 'Alī Sālim (n. 1936), 'Abd al-Mun'im Sālim, Muṣṭafā Bahǧat Muṣṭafā, Rašād Rušdī (1912-1983). I racconti popolari sono utilizzati nella composizione di opere teatrali da Šawqī 'Abd al-Ḥakīm e Naǧīb Surūr; quest'ultimo è anche poeta, come Ṣalāẖ 'Abd al-Ṣabūr (1931-1981) e 'Abd al-Raḥmān al-Šarqāwī. A. Faraǧ (n. 1929), il drammaturgo più fecondo e più amato di questo periodo, utilizza l'arabo classico nel desiderio che la sua opera sia recepita in tutto il mondo arabo e rifiuta l'uso sempre più frequente dell'arabo colloquiale.
La poesia continua a rivestire una posizione secondaria rispetto alle altre espressioni letterarie. Un gruppo, a cui appartengono Rāmī (1892-1981) e Sāliḥ Ǧawdat, sviluppa temi sociali e nazionalistici permeati da un diffuso ottimismo. Ṣalāḥ 'Abd al-Ṣabūr e Aḥmad 'Abd al-Mu'ṭī Ḥiǧāzī (n. 1935), sostenitori di una poesia libera, rappresentano nei loro componimenti una visione irrazionale del mondo attraverso l'esplorazione del subconscio e degli aspetti mistici della vita umana.
La nuova generazione rifiuta invece la poesia araba precedente, sia classica che moderna, nel tentativo di costruire un nuovo linguaggio che in taluni casi diventa l'elemento fondamentale della composizione, mentre in altri, come in Ḥusayn Ḥammūda (n. 1955), alla ricerca linguistica si affianca una certa novità di contenuti: così Amal Dunqul (n. 1940), Muḥammad Ibrāhīm Abū Šāna (n. 1947) e Muḥammad 'Afīfī Maṭar (n. 1935) sostengono l'introspezione, anche se talvolta affrontano la storia e la società contemporanee. Anche in questo ambito nuovo impeto ha preso la questione riguardante l'utilizzazione del dialetto per esprimere temi universali; vanno a tale proposito ricordati Fu'ād Ḥaddād, Ṣalāḥ Ǧāhīn e 'Abd al-Dāym al-Šāḏilī.
Bibl.: N. Tomiche, Histoire de la littérature romanesque de l'Egypte moderne, Parigi 1981; J. Brugman, An introduction to the history of modern Arabic literature in Egypt, Leida 1984.
Archeologia. − L'attività archeologica in E. durante l'ultimo decennio ha visto continuare alcuni grandi lavori in zone ormai tradizionali, come gli scavi polacchi ad Alessandria e ad Athribis, o quelli svizzeri e francesi all'immenso complesso costituito dai Kellia nel Delta, o quelli austriaci a Tell Dab'a o francesi a Tanis, o quelli italiani ad al-Fayyūm e ad Antinoe, o, al capo opposto dell'E., i recuperi e le restituzioni di materiali e di complessi del Centro franco-egiziano di Karnak. C'è stato in più, in questo decennio, un infittirsi di missioni straniere che affiancano o che sono inquadrate dalla Egyptian Antiquities Organisation (EAO), che allo scavo tradizionale hanno aggiunto indagini affidate a moderne tecnologie (computer, laser, ecc.). Più che sui risultati di queste consolidate imprese s'informa qui su alcune nuove fruttuose esplorazioni.
Nel Basso Egitto l'università ''La Sapienza'' di Roma ha scavato l'insediamento predinastico di Ma῾adi.
Nel Delta orientale, il Museo di Monaco ha esplorato a Menshiet Abu Omar un cimitero protodinastico (Dinastia O) che ha fornito materiale analogo a quello noto per la Vallata, e testimonianza perciò di una cultura comune. La situazione è confermata da recenti scavi italiani. Nella regione delle necropoli dell'antica Menfi, a Saqqara, oltre ai grandi lavori francesi di restauro dei complessi delle piramidi, scavi inglesi hanno innovato sul consueto panorama archeologico (incentrato sul regno antico e sull'età tarda), ponendo in luce la necropoli del regno nuovo, dove hanno ritrovato la tomba di colui che sarebbe diventato il faraone Horemheb e i cui rilievi erano da tempo andati dispersi fra vari musei. Ancora nella necropoli menfita, scavi tedeschi a Dahshur hanno dato importanti risultati per la storia della piramide che ora può essere attribuita con sicurezza a Snefru; date iscritte sui blocchi permettono di farsi un'idea dei tempi della sua costruzione.
In Medio E., l'avvenimento forse più notevole è la ripresa dell'indagine archeologica nella zona di Tell al-῾Amarna da parte degli Inglesi. Essa rivela particolari minuti ma significativi dell'organizzazione urbana di una città egiziana. Case di modesta importanza, recinti per l'allevamento del bestiame, oggetti quotidiani di piccola gente per un'età definita (fine 18ª dinastia) e per zone sufficientemente ampie − come non si dà per altre città egiziane − sono qui recuperabili grazie al precoce e totale abbandono della località da parte dei suoi abitanti.
In Alto E. la regione tebana continua a essere protagonista delle attività archeologiche. Nel complesso di Karnak il nono pilone ha continuato a fornire materiali di reimpiego, fra i quali particolarmente importanti i blocchi provenienti dal distrutto tempio all'Aten di Amenofi iv. Importanti per la storia del santuario anche le scoperte di materiale connesso con la prima impostazione del tempio fra il Regno Medio e l'inizio della 18ª dinastia, che hanno avuto luogo nel cortile dietro l'attuale sacrario. Questi vari materiali, che non possono essere ricollocati in una posizione originaria, sono stati opportunamente messi in mostra in uno speciale ambiente museale all'aperto nello stesso tempio di Karnak. Questo interesse per una migliore interpretazione di situazioni già note appare anche in molti lavori della necropoli tebana, come nella metodica sistemazione della Valle delle Regine da parte dei Francesi, che ha portato a una revisione di monumenti fin qui appena esplorati, o in quella compiuta dai Tedeschi nel tempio funerario di Seti i a Qurna, che ha messo in evidenza la pianta e la storia del monumento. In questo spirito vanno visti anche i lavori polacchi di ricostruzione del tempio di Hatshepsut ad al-Dayr al-Baḥarī e i restauri intrapresi per conto dell'EAO della tomba della regina Nefertari: un primo cantiere sperimentale da cui iniziare una più generale opera di salvataggio delle pitture delle tombe tebane.
In questa prospettiva va visto anche il trasferimento del complesso architettonico di File dalla sede originaria alla vicina isoletta di Agilkia nel lago fra le due dighe di Assuan. Esso è stato così sottratto all'inondazione, e, se è divenuto un po' pezzo da museo da realtà archeologica qual era, è stato per questa via salvato dal deperimento. La novità più interessante di questo periodo, a fianco di questi arricchimenti nel territorio e nei termini tradizionali, è l'importanza archeologica che è venuta assumendo la regione delle oasi occidentali, al-H̱ārğa e al-Daẖla. Sono stati chiariti i rapporti di questa regione periferica con la struttura statale egiziana a partire dall'età menfita fino a quella romana, con una documentazione che ha relativamente poco sofferto da successivi insediamenti. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Degli avvenimenti e delle pubblicazioni di scavo in E. è data regolarmente notizia in un bollettino di J. Leclant, Fouilles et travaux en Egypte et au Soudan, in Orientalia. Vedi le annate 49 (1980), pp. 347 ss.; 51 (1982), pp. 49 ss., 411 ss.; 52 (1983), pp. 461 ss.; 53 (1984), pp. 350 ss.; 55 (1986), pp. 236 ss.; 57 (1988), pp. 307 ss.
Insediamenti romani, copti e islamici. − Di notevole interesse sono anche gli scavi relativi a epoche più recenti (periodo tardoclassico e islamico).
La cultura e gli insediamenti romani e copti sono riscontrabili in buona parte del territorio egiziano, anche se la maggior concentrazione è attestata nel Delta: uno scavo esemplare è stato effettuato dai Polacchi a Kom ad-Dikka, ove sono stati portati alla luce una struttura termale utilizzata dal 4° al 7° secolo e numerosi resti di abitazioni, utili a identificare la topografia originaria della città di Alessandria. Fortemente minacciato da un progetto di sviluppo agricolo è il sito di Kellya, reso oggetto di un'indagine dettagliata sia di superficie che con trincee di scavo da parte di un gruppo svizzero dell'università di Ginevra; lo studio dell'agglomerato urbano di Qusūr al-'Izeyla e delle molteplici strutture monastiche limitrofe offre un'ottima immagine dell'evoluzione architettonica locale dal 5° all'8° secolo. Non distante è Qusūr alRubayyat, ove uno tra i primi monasteri egiziani viene studiato dall'Istituto francese di archeologia orientale del Cairo. Per completare il sommario quadro delle attività archeologiche che operano nei vari ambiti culturali del paese, è necessario soffermarsi anche sul periodo islamico spesso non privilegiato dalle autorità locali: al Cairo vengono restaurate moschee di epoca fatimide, tra le quali quella di al-Aqmar del 1125 ormai quasi completamente ricostruita all'interno. Un importante lavoro è stato effettuato dagli americani a Fusṭāṭ, primo insediamento musulmano in E., situato nell'attuale periferia della capitale. G. Fanfoni prosegue i lavori di restauro della takiyya dei dervisci Mevlevi al Cairo, interessante monumento di una confraternita mistica islamica.
Non sono da dimenticare infine gli sforzi del governo egiziano tesi a garantire una maggiore disponibilità al pubblico delle opere d'arte: nel 1984 è stato riaperto dopo un lungo periodo di ristrutturazioni il museo greco-romano di Alessandria; un museo all'aperto contenente numerosi elementi architettonici è stato inaugurato nel 1986 all'interno della cinta del grande tempio di Karnak (v. sopra); è in fase di progetto l'ampliamento del museo di al-Uqṣur (Luqsor) − che vede anche la partecipazione italiana − per custodire le sculture della 18ª dinastia recentemente rinvenute sotto l'omonimo tempio. Sembra imminente inoltre al museo egizio del Cairo la riapertura della sala delle mummie reali, tra le quali quella di Ramesse ii, chiusa già da dieci anni per volontà di al-Sādāt. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Orientalia, 1966-89; Bollettino dell'Istituto Italiano di Cultura del Cairo, 1980-90; L'uomo egiziano, a cura di S. Donadoni, Bari 1990.
Arte. − Assai complesso è il panorama dell'arte egiziana contemporanea, oggi più che mai ricca di linguaggi nuovi e di tendenze stilistiche divergenti, ove la ricerca espressiva del singolo artista si muove in diversi ambiti sia culturali che storici, ma traducibili da una parte nell'acquisizione di metodologie artistiche straniere e dall'altra nella rielaborazione di temi egiziani o tradizionali, a loro volta suddivisibili nelle forme neoclassiche dell'arte faraonica e in quelle più recenti dell'arte musulmana.
Chiave dell'arte egiziana dell'ultimo periodo è proprio il tentativo di equilibrare le molteplici sollecitazioni e di individuare espressioni stilistiche personali. I diversi tipi d'ispirazione si possono leggere nell'opera di Ḥāmid Nadā (n. 1924), un artista che fonde i temi propriamente tradizionali dell'espressionismo folklorico e del retaggio artistico classico con tecniche modernissime, e le cui pitture fanno pensare a una sapiente ed esoterica combinazione della miniatura musulmana con la decorazione faraonica. Uno dei pittori più fortemente ancorati alla iconografia classica è 'Abd al-Wahhāb Sayyid Mursī (n. 1931) che, affascinato dagli affreschi dei templi nubiani, ne ripropone i temi inserendoli in scene di vita popolare. Un profondo rispetto delle tradizioni del paese si legge nelle opere di Tahya Ḥalīm, spesso invitato a manifestazioni internazionali, tra le quali la Biennale di Venezia, che realizza pitture fortemente ispirate a modelli arcaici ma sapientemente aggiornate ed elaborate in un'ottica espressionistica.
Non più stilemi propriamente classici, ma motivi assunti direttamente dalla vita di ogni giorno emergono dalle realizzazioni artistiche di un gruppo che in parte affonda le sue radici culturali in quel movimento d'avanguardia definito Arte e Libertà che, attivo dagli anni Quaranta, considerava proprio ideale il rinnovo delle forme nel rispetto delle tradizioni nazionali. Tra le figure più rappresentative sono Rifa'at Aḥmad (n. 1931), pittore di fama internazionale che con tecnica raffinata dipinge gli aspetti più consueti del deserto, delle oasi e dei villaggi egiziani, e Inǧī Ifflāṭūn, che con ancora maggiore schiettezza espressiva inserisce a spatolate rapide e precise i personaggi nel loro ambiente, evitando ogni effetto manierato. Artista pienamente consapevole della necessità di rivivificazione degli elementi popolari è Sa'ad Kāmil (n. 1924), il quale, dopo aver studiato arte tessile in Italia e in Francia, si è dedicato al disegno e alla realizzazione di originali arazzi, rielaborando con modernità elementi esornativi faraonici, copti e islamici. Un'interessante polemica contro l'efficienza tecnologica industriale e meccanica si percepisce chiaramente nelle opere dei due scultori 'Umar al-Naǧdī (n. 1931) e 'Abd al-Ḥamīd al-Dawākilī (n. 1940): specialmente quest'ultimo, che ha partecipato a mostre in Italia, Francia, Spagna e in altri paesi, riesce a infrangere ogni canone plastico classico utilizzando e assemblando materiali ''poveri'' delle più diverse qualità; l'avversione ai materiali nobili è costante anche nelle sculture dense di drammaticità del grande maestro Ṣalāḥ 'Abd al-Karīm (n. 1925), artista versatile che ha ricevuto il maggior numero di riconoscimenti internazionali.
In sostanza il panorama artistico contemporaneo dell'E. è ricco e vivace, anche se non si è sviluppato uno stile in grado di superare l'eterna alternativa fra tradizione (e conseguente via nazionale alla realizzazione artistica) e futuro, ove l'arte è concepita senza frontiere costituendo uno dei segni della comunità globale. Vedi tav. f.t.
Bibl.: H. Fatḥī, Gurna: A tale of two villages, Cairo 1968; G. R. Carrot, The Egyptian revival: its sources and meanings, Berkeley 1974; N. Atiyya, Al-'ayn alashiqqa, Cairo 1976; L. Karnouk, Modern Egyptian art, ivi 1988.
Architettura. − Dalla proclamazione della Repubblica (1952) in poi sono stati predisposti numerosi progetti per la pianificazione di una ventina di città con una popolazione complessiva di 7 milioni di abitanti. Sono questi i piani per le città del Cairo, di Alessandria, di Porto Said; inoltre nella zona della grande diga sono stati realizzati 120 nuovi villaggi. Dal 1965 ogni quartiere popolare del Cairo è dotato della propria zona lavorativa, in modo che gli abitanti possano svolgere il loro lavoro nel settore in cui risiedono; ciò permette di evitare emigrazioni e rendere il nucleo residenziale autosufficiente. Nel contempo per la classe media sono stati approntati quartieri di tipo diverso come quello di madīna al-Nāṣir, sulla via di Heliopolis. Nelle facoltà di Architettura del Cairo e di Alessandria, saldamente ancorate al linguaggio internazionale dell'architettura occidentale, alle riforme sociali e urbanistiche del 1952 segue una precisa impostazione di tendenza. Contro questo panorama d'internazionalismo si pongono tre importanti figure di architetti, Ḥasan Fatḥī, Ramsīs Wiṣṣā Wāsif, e ῾Abd al-Wahīd al-Wakīl, che sono i maggiori esponenti dell'architettura egiziana contemporanea. Le loro opere si caratterizzano per la comune tendenza a ritrovare l'ispirazione nei valori dell'architettura egiziana tradizionale.
Ḥasan Fatḥī (1900-1989) è stato uno dei maggiori architetti nordafricani e ha riportato l'interesse della progettazione sui valori della tradizione locale. Ha iniziato la sua attività nel 1940; si devono a lui la Said House (1942), la Nasr House (1945), la Stoppleare House (1952), che sviluppano un'architettura tanto importante, quanto rispondente ai richiami della cultura locale. Nel 1944 fu incaricato di progettare e costruire il villaggio di Nuova Gurna, che è stato descritto come un insieme di realismo sociale e di visione utopica.
Fatḥī ha riportato alla ribalta l'uso della volta, in particolare della volta nubica, creando un idioma vernacolare sia per le case dei fellaḥīn a Nuova Gurna, che per le ville private (Riad-House, 1973; Samy House, 1979; Mit Rehan, 1981; Greiss House, 1981) e per alberghi come il Presidential Rest House e il Garf Housein (1981).
La sua visione radicale si basa sull'affermazione che i paesi in via di sviluppo sarebbero avvantaggiati dalla possibilità di costruire le proprie case con materiali locali, subito reperibili. La sua tesi è che con appropriate direttive per insegnare l'uso dei materiali locali, si permetterà alla popolazione più povera di costruire abitazioni che soddisfino i suoi bisogni e siano anche economicamente convenienti. Nel 1945-46 Fatḥī condusse un esperimento basato sulla sua teoria, progettando e costruendo completamente un nuovo villaggio per un gruppo di fellaḥīn. Il suo libro Architecture of the poor (1973), che illustra non solo la tecnica di costruzione delle case, ma anche i ruoli di tutti coloro che sono coinvolti nel processo costruttivo, rappresenta un testo unico per chiunque operi in un paese in via di sviluppo e sia interessato ai problemi del Terzo Mondo.
Nel 1952 fu fondata a Herrania una comunità per continuare la tradizione artigiana locale. L'architetto Ramsīs Wiṣṣā Wāsif, colpito da quanto si può fare con un materiale come l'argilla, dimostrò che è possibile ottenere a basso costo risultati architettonici interessanti e anche rispondenti alle esigenze climatiche del paese. Il Wiṣṣā Wāsif Arts Centre e lo Habib Gorgi Museum per la scultura sono esempi dell'attività di Wāsif, che propone spazi per mostre articolati sotto cupole di argilla, alla moda nubica, caratterizzati da sorgenti di luce naturale proveniente dall'alto, raggiungendo effetti plastici e chiaroscurali di grande drammaticità.
La personalità del terzo protagonista s'identifica con quella di un regionalista autodidatta, anche se al-Wakīl è stato allievo di Ḥasan Fatḥī. Egli si ribellò all'educazione occidentalizzante e trovò la sua fonte d'ispirazione nei valori architettonici tradizionali egiziani e nell'esempio di Fatḥī. Quantunque nella maggior parte delle sue strutture siano state adoperate le stesse tecnologie di Fatḥī, i suoi edifici hanno un interesse diverso da quello rurale del suo maestro.
Si tratta di ville, moschee, residenze, edifici importanti e aulici, sia in E. che in Arabia Saudita, in cui l'autore è stato capace di dimostrare la straordinaria flessibilità di uso degli elementi dell'architettura islamica nel contesto contemporaneo. Nella sua Halaw House Agamy (1980) gli spazi sono orientati verso cortili e arricchiti da fontane. Altri motivi tradizionali includono la loggia (taktabash), la torre del vento (malgaf), i sedili (mastabas) e l'ingresso obliquo delle case. Il suo grande merito è quello di aver portato alla ribalta il linguaggio formale tradizionale egiziano, ma arricchendolo con sempre nuova libertà e invenzione.
In sostanza, l'importanza delle opere di Ḥasan Fatḥī, di Wiṣṣa Wāsif, di al-Wakīl, consiste nell'aver suscitato un revival d'interesse per le forme tradizionali, decorative, architettoniche egiziane, e nello stesso tempo nel risvegliare la ricerca e la diffusione di metodi tecnologici medi più idonei ai paesi in via di sviluppo.
Bibl.: U. Kulterman, New architecture in Africa, Londra 1963; M. Fry, J. Drew, Tropical architecture, New York 1964; Bollettini Ufficiali del ministero dell'Informazione egiziano, 1967, 1968; Hassan Fathy architecte, in Architecture d'aujourd'hui, Octobre-Novembre 1968; U. Kulterman, New directions in African architecture, Londra 1969; S. Abdullah, P. Pion, Maisons en Pays Islamiques. Architecture du soleil, in Architecture d'aujourd'hui, Mai-Juin 1973; R.W. July, A history of African people, New York 19803; U. Kulterman, Contemporary Arab architecture, in MIMAR, 9 (1983); B. Huet, The modernity in a tradition, ibid., 10 (1983); B.B. Taylor, Demythologising colonial architecture, ibid., 13 (1984); J.M. Richards, I. Serageldin, D. Rastorfer, Hassan Fathy, Londra 1985; Ali Mazrui, The Africans. A triple heritage, ivi 1986; Ch. Abel, Work of El- Wakil, in Architectural Review, November 1986; B. Fletcher, A history of architecture, Butterworths 198719.
Cinema. - La cinematografia in E. si sviluppò prima e più ampiamente che nei paesi arabi vicini. L'apparecchio dei fratelli Lumière arrivò ad Alessandria appena dieci giorni dopo la nota proiezione parigina; fin dall'inizio del 20° secolo si formò un discreto circuito di sale; nel 1911 vengono promulgate le prime leggi sull'esercizio.
Dopo la prima guerra mondiale, a causa del divieto d'importazione, gli stranieri promuovono una ridotta produzione locale di cortometraggi e un cinegiornale, "Per le strade di Alessandria". Ma è soltanto in seguito alla rivoluzione nazionalista del 1919 che vengono create le prime strutture e istituzioni cinematografiche (la Società egiziana di teatro e di cinema nasce nel 1925) e comincia ad avviarsi una produzione interamente egiziana. Nel 1923 Muḥammad Bayūmī realizza al-Bāš kātib ("L'impiegato anziano"), un cortometraggio basato sulle vicende di una ballerina che seduce e porta alla rovina un alto funzionario. Nel 1927 esce Layla, un melodramma interpretato da ῾Azīza Amīr e diretto da Istifān Rūstī cui segue, nello stesso anno, Qubla fī al-ṣaḥrā' ("Un bacio nel deserto"), un ''western beduino'' del libanese Ibrāhīm Lāmā. Ma il film più importante del periodo muto è Zaynab (1930), tratto da un romanzo di Muḥammad Ḥusayn Haykal e firmato da Muḥammad Karīm, autore anche del primo film sonoro, Awlād al-zawat ("I figli dei nobili", 1932).
L'avvento del sonoro portò allo sviluppo di un genere molto popolare, ancora ampiamente diffuso in Egitto, il film ballato e cantato, in cui si segnalano i registi Muḥammad Karīm e Aḥmad Badr H̱ān. Predominano, negli anni Trenta, melodrammi e commedie, mentre teatro e letteratura forniscono la maggior parte dei soggetti. Dal 1936, con la fondazione dello Studio Miṣr, primo stabilimento cinematografico del mondo arabo, la produzione subì un notevole incremento.
Accanto ai filoni commerciali iniziano i primi tentativi di realismo sociale. Il film che segna l'avvio della tendenza realistica è al-῾Azīma ("La volontà", 1939), di Kamāl al-Sālim, cui seguono negli anni Quaranta al-Sūq al-sawdā' ("Il mercato nero", 1945) di Kamāl al-Tilmisānī e al-Nā' ib al-'ām ("Il procuratore generale", 1946) di Aḥmad Kāmil Mūrsī. Nel 1947, tuttavia, la nuova legge sulla censura pone fine a questa corrente e grande impulso viene dato al cinema di genere (ancora melodrammi, musical, western beduini e commedie) in cui si distingue Niyāzī Muṣṭafā, uno dei più prolifici registi egiziani, attivo dal 1937 fino agli anni Settanta.
Con la rivoluzione nasseriana del 1952 riprese vigore la tendenza del realismo sociale, per opera soprattutto di Ṣalāḥ Abū Sayf, che prosegue sulla linea di al-Sālim, di cui era stato aiuto regista, accogliendo anche le suggestioni del neorealismo italiano. Ai maggiori film di Abū Sayf (Lak yawm yā ẓālim, "Verrà il tuo giorno", 1951; al-Usṭa Ḥasan, "Hasan il capomastro", 1952; al-Futuwwa, "Il bullo", 1957) si affiancano quelli di Yūsuf Šāhīn (Ṣirā῾ fī al-wādī, "Lotta nella valle" 1954, e Bāb al-ḥadīd, "Stazione centrale", 1958), di Henri Barakāt (Du῾·ā al-karawān, "Il richiamo del chiurlo", 1959, e Fī baytina raǧul, "C'è un uomo a casa nostra", 1960) e di Tawfīq Ṣāliḥ (Darb al-mahābīl, "Vicolo dei pazzi", 1955), tutti di forte impegno sociale e politico, volti all'osservazione critica della realtà egiziana contemporanea. Ṣāliḥ, dal 1969 esule in Siria, dove gira nel 1971 il suo film più celebre "Le vittime", rientra in patria nel 1984.
Negli anni Sessanta lo stato sviluppò finalmente un indirizzo di politica cinematografica: mentre dal 1959 era in funzione l'Istituto superiore di cinema, nel 1961 vennero promulgate le leggi socialiste che prevedevano la costruzione di un organismo generale del cinema con facoltà di gestire produzione, distribuzione ed esercizio. Il settore pubblico, che non escludeva l'industria privata, cominciò a produrre dal 1963, facendo del realismo sociale una sorta di bandiera nazionale.
Accanto ai vecchi autori degli anni Cinquanta, che continuano sulla strada già tracciata, spingendosi talvolta fino a una radicale critica del nasserismo (al-qadiyya ṯamānya wa sittīn, "Processo 68", 1968, di Abū Sayf; al-Arḍ, "La terra", 1968, di Šāhīn; al-Mutamarridūn, "I ribelli", 1968, di Ṣāliḥ), emerge una nuova generazione di registi volta al superamento del realismo sociale verso un concetto più allargato e composito del realismo stesso: ne fanno parte Ḥusayn Kamāl, la personalità più rilevante, autore nel 1965 del film al-Mustaḥīl ("L'Impossibile") e nel 1967 di al-Būsṭaǧī ("Il postino"); Sayyid ῾Īssa, che nel 1967 firma "Le piogge si sono inaridite"; H̱alīl Šawqī e soprattutto Šaḏlī ῾Abd al-Salām, regista di al-mūmyā' ("La mummia", 1969), considerato uno dei capolavori indiscussi della cinematografia egiziana.
Il periodo del cosiddetto cinema di stato, iniziato nel 1963, terminò nel 1971, allorché il settore del finanziamento pubblico, fortemente deficitario, scomparve lasciando la produzione in mano alla sola industria privata. Al di là del film di genere, in cui si cimentano nuovi registi come Muḥammad ῾Abd al-Azīz, Muḥammad Rāḍī, Nādir Ǧalāl, Ašraf Fahmī e ῾Alī ῾Abd al H̱āliq, gli anni Settanta-Ottanta appaiono ancora in gran parte rappresentati dai cineasti della vecchia guardia, cui si devono alcune fra le opere più rilevanti del ventennio: al-Saqqā māt ("Il portatore d'acqua è morto", 1977) di Abū Sayf; al῾-Usfūr ("Il passero", 1973), ῾Awda al-ibn al-ḍāl ("Il ritorno del figliol prodigo", 1978) e al-wada῾a yā Bonaparte / Adieu Bonaparte, di Yūsuf Šāhīn, l'autore egiziano più noto in occidente.
Nessun sostanziale rinnovamento, soprattutto nel linguaggio, si deve alle nuove leve, quasi tutte uscite dall'Istituto superiore di cinema. Maḥmūd Šukrī e ῾Alī Badr H̱ān (che nel 1975 gira al-Karnak) sono autori di un cinema politico, impegnato in una violenta critica antinasseriana. Sayyid Marzūq firma nel 1974 il suo film più riuscito, Ḥayātī al-ẖāṣṣa ("La mia vita privata"), sulle vicende di una donna egiziana che vuole divorziare dal marito, mentre Samīr Sayf con al-Gūl ("Il mostro", 1978) fornisce un ritratto veritiero e impietoso dell'E. contemporaneo. A questi nomi si aggiungono negli anni Ottanta quelli di Ra'fat al-Mīhī, che esordisce con ῾Uyūn lā tanām ("Gli occhi aperti", 1981), un dramma familiare, e firma nel 1986 Lil-ḥub qiṣṣa aẖīra ("Immagini infrante"), un film sulla superstizione; di Ḥayrī Bišāra, autore di al-῾Awām saba῾·īn ("La casa galleggiante n. 70", 1981); di ῾Āṭif al-Ṭayyib, che con al-Sawwāq al-utūbūs ("Il conducente d'autobus", 1982) riflette sulla generazione della Guerra del Kippur di fronte ai problemi suscitati dal nuovo corso economico aperto da al-Sādāt; di Dawud ῾Abd al-Sayyid, che realizza il primo film, al-Sa῾ālīk ("Il vagabondo") nel 1985; di Muḥammad H̱ān, autore nel 1986 di "Ritratto di un cittadino" e nel 1988 di "La moglie di un uomo importante". Un sensibile contributo alle sceneggiature dei film egiziani è stato dato da Naǧīb Maḥfūẓ, premio Nobel per la letteratura del 1988.
Bibl.: AA.VV., Cinema dei paesi arabi, Pesaro, xii Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Quaderno informativo n. 68, 1976; A propos du cinéma égyptien, Les dossiers de la Cinémath'eque, 13, Montreal 1984; Les cinémas arabes, in CinémAction, 43, Condé-sur-Noireau 1987; R. Bassan, L'Egypte de Nefertiti 'a Mohamed Khan, in Revue du cinéma, maggio 1990, pp. 57-62.