EJMIACIN
EJ̌MIACIN (gr. ΚαινέπολιϚ)
Città dell'Armenia, sita in una zona pianeggiante a km. 20 ca. a O di Erevan, nota in età tardoantica e medievale prima come Nor Kałak, poi come Vał 'aršapat.Il nome E. significa 'discesa dell'Unigenito': in origine costituiva la dedica di un martyrium teofanico, presso il quale si stabilì anche la sede del kat ῾ołikos fondato, agli inizi del sec. 4°, dall'evangelizzatore dell'Armenia, s. Gregorio l'Illuminatore. Lo si trova usato per individuare la località nel suo insieme a partire dal 1441, quando vi venne nuovamente e definitivamente trasferito da Sīs, in Cilicia, il patriarcato armeno; solo a partire da 1945 il nome di E. ha ufficialmente sostituito quello di Vał ῾aršapat. Secondo Mosè di Corene (Storia dell'Armenia, II, 65), la città sarebbe stata fondata agli inizi del sec. 1° a.C. da Vartkes, che aveva sposato una sorella del re arsacide Erowant, o forse, con più probabilità, da questo stesso sovrano. Una spinta al suo sviluppo, specie sul piano commerciale, il primo nucleo di E. la ricevette, alla fine dello stesso secolo, dal re Tigrane II, che, dopo un'incursione in Palestina, vi trasferì una colonia di ebrei. Nel 163 d.C. il generale romano Stazio Prisco, inviato dall'imperatore Marco Aurelio, dopo aver distrutto Artašat, che fino a quel momento era stata la capitale del regno arsacide, trasferì a E. la sede del governo. Fu agli inizi del sec. 3°, con il re Vałaršak, che la città, dotata di mura e fortificazioni, prese il nome di Vał ῾aršapat, segno di una elezione da parte della corte, alla quale dovette corrispondere la costruzione di quel palazzo reale presso il quale sorse in seguito la cattedrale; questa, sul finire dello stesso secolo, fu teatro dei principali avvenimenti che al tempo di Tiridate III portarono alla conversione dell'Armenia al cristianesimo. Da quel momento la città fu anche sede del potere religioso, prerogativa che conservò fino al 471, quando il patriarcato venne trasferito a Dvin, dove già era stata spostata la capitale politica, dopo la conquista sasanide del paese e la fine della dinastia arsacide nel 428. Nel riferire di tali avvenimenti, Lazzaro di Parp (Storia dell'Armenia, 15), indica, per la prima volta, l'esistenza di una residenza patriarcale, della quale, però, non è possibile confermare l'epoca di fondazione.Nulla sopravvive del tessuto viario e monumentale tardoantico; secondo Fausto di Bisanzio (Storia degli Armeni, IV, 55), l'invasione sasanide del 364 ebbe come conseguenza la deportazione in massa degli abitanti e la radicale distruzione dell'abitato originario. Solo pochi resti architettonici, riutilizzati come fondazioni e risalenti a un momento precedente a quell'avvenimento, sono stati trovati, nel corso di indagini archeologiche, nella cattedrale e nella chiesa di S. Hṛip῾simē. La distruzione dovette incidere in maniera indelebile sull'assetto urbano, favorendo la sua progressiva trasformazione in una desertica 'città santuario', punteggiata solo di edifici religiosi, ancora testimoniata, in maniera impressionante, dalle vedute ottocentesche (Cuneo, 1988, I, pp. 89, 92). Tale fenomeno si verificò perché, con il tempo, in virtù del loro alto valore simbolico, solo i monumenti sacri vennero ricostruiti, mentre l'incalzare traumatico delle vicende storiche successive rese impossibile il ricomporsi di un reticolo viario; quello odierno risale solo alla seconda metà del sec. 19°, quando prese avvio anche la costruzione dell'insieme degli attuali ambienti patriarcali. Infatti, quando, tra il 642 e il 662, il kat ῾ołikos Nersēs decise di riportare in zona la sede patriarcale, fissò la propria residenza nella non lontana Zvartnoc', creando dal nulla un palazzo e una cattedrale-martyrium teofanico, in una località individuata anch'essa da una celebre visione di s. Gregorio, così come era avvenuto per le costruzioni di Vał ῾aršapat, segno che queste non erano più agibili. La vicenda urbana finì con l'esaltare il valore sacrale di Vał ῾aršapat e con il farne il centro religioso per eccellenza del popolo armeno. Dato che il loro martirio aveva causato il pentimento e la conversione al cristianesimo del persecutore, il re Tiridate III, poli di riferimento per quella dimensione cristiana della città, che in nulla coincideva con l'assetto tardoantico, furono le costruzioni fondate, sul finire del sec. 3°, da s. Gregorio l'Illuminatore sulla base di un'iniziativa unitaria, tesa a commemorare le ss. Ripsima, Gaiana e le trentasei compagne con le quali esse erano giunte da Occidente per sfuggire alla persecuzione dell'imperatore Diocleziano.Le costruzioni attuali nulla conservano delle fondazioni gregoriane, al di là dell'individuazione del sito. La chiesa cupolata di S. Hṛip῾simē, che sorge sul luogo in cui la santa venne martirizzata e sepolta, a E della zona un tempo occupata dal palazzo reale, è stata costruita nel 618 ca. per iniziativa del kat`ołikos Komitas. L'edificio ha forme complesse, determinate dal raccordarsi, sugli assi principali, di quattro absidi, grazie alla presenza di nicchie cilindriche intermedie che fungono da vestibolo agli ambienti angolari, da uno dei quali si accede a una piccola cripta contenente le spoglie della santa.Al 630, per iniziativa del kat`ołikos Ezr, risale la costruzione, a S rispetto alla zona del palazzo reale, della chiesa di S. Gayanē, anch'essa sul luogo del martirio e della sepoltura della santa. Si tratta di una basilica con cupola sulla intermedia delle tre campate determinate dalle due coppie di pilastri liberi che ne scandiscono l'interno in tre navate. Quanto al terzo dei martyria fondati da s. Gregorio, quello edificato in corrispondenza del frantoio dove le sante vergini si erano rifugiate al loro arrivo a Vał`aršapat e dove era stata uccisa e sepolta una delle loro compagne, solo in tempi relativamente recenti gli è stato dato il nome di Šołagat ('fiume di luce'), antico appellativo della cattedrale, derivato dalla visione che aveva rivelato allo stesso s. Gregorio il sito per la sua costruzione. Nella composizione attuale di sala cupolata, la chiesa risale al 1694, anche se si conserva notizia di una ricostruzione nel 1154.Di nessuno dei tre edifici si hanno indicazioni su quali fossero le forme precedenti il loro stato attuale. Le cappelle a navata unica rinvenute nel corso di scavi nei pressi delle chiese di S. Hṛip῾simē e di Šołagat risalgono a un periodo tra il sec. 5° e il 6° e hanno il carattere di costruzioni sepolcrali ad corpus; è del tutto arbitrario quindi pensare che si possa trattare degli antichi martyria.Il solo edificio che, grazie agli scavi, ha rivelato tracce della fondazione gregoriana è la cattedrale, che si eleva nei pressi del sito dove si trovava il palazzo reale, in posizione centrale rispetto ai tre martyria. Al di sotto dei quattro pilastri liberi della costruzione attuale, sono stati individuati i resti di basi a T, connesse a una versione basilicale dell'edificio, che, in virtù delle ragioni decorative, dovrebbe essere degli inizi del 4° secolo. Agli anni tra il 484 e il 486 risale, con le murature d'ambito, l'impianto a tetraconco con i quattro pilastri liberi della costruzione attuale, uno dei primi edifici cupolati nella storia dell'architettura armena, anche se il tamburo e la cupola odierni sono frutto di un rifacimento del 1627, epoca in cui fu posta in atto un'intensa campagna di restauro e di ricostruzione di tutte le antiche fondazioni.
Bibl.:
Fonti. - Mosè di Corene, Histoire d'Arménie, in V. Langlois, Collection des historiens anciens et modernes de l'Arménie, II, a cura di S. Ghésarian, Paris 1869, pp. 53-173: 113-114; Lazzaro di Parp, Histoire d'Arménie, ivi, pp. 253-368: 271; Fausto di Bisanzio, Bibliothèque historique, ivi, I, a cura di J.B. Emine, Paris 1880, pp. 201-310: 273-275.
Letteratura critica. - H.F.B. Lynch, Armenia. Travels and Studies, 2 voll., London 1901 (rist. anast. Beirut 1965); J. Strzygowski, Die Baukunst der Armenier und Europa, 2 voll., Wien 1918; A.B. Eremjan, Hram Ripsime [Il tempio di Hṛip῾simē], Erevan 1955; J. Mécérian, Histoire et institutions de l'église arménienne, XXX, Beirut 1965; A. Sahinian, Recherches scientifiques sous les voûtes de la cathédrale d'Etchmiadzine, Revue des études arméniennes, n.s., 3, 1966, pp. 39-71; A. Khatchatrian, L'architecture arménienne du IVe au VIe siècle (Bibliothèque des CahA, 7), Paris 1971; F. Gandolfo, Chiese e cappelle armene a navata semplice dal IV al VII secolo (Studi di architettura medioevale armena, 2), Roma 1973; S. Der Nersessian, L'art arménien, Paris 1977 (19892); G.A. Tiracjan, K voprosu gradostroitel'noj strukture i topografii drevnego Vałaršapata [La struttura urbana e la topografia dell'antica Vał^aršapat], Patma-banasirakan handes, 1977, 2, pp. 81-98; F. Gandolfo, Le basiliche armene. IV-VII secolo (Studi di architettura medioevale armena, 5), Roma 1982; J.M. Thierry, P. Donabédian, Les arts arméniens, Paris 1987; P. Cuneo, Architettura armena, 2 voll., Roma 1988.F. Gandolfo