El Anatsui
Il signore degli arazzi
Nato in Ghana da una famiglia di artigiani, realizza tessuti scintillanti con materiale di recupero.
La Biennale di Venezia gli ha dato il Leone d'oro.
Il Leone d'oro alla carriera della Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia quest'anno ruggisce in Africa (dove, ahinoi, dentisti americani uccidono i leoni veri e postano le foto dei loro misfatti su Facebook...).
Il prestigioso riconoscimento della 56ª edizione è stato assegnato infatti a El Anatsui, nato nel 1944 ad Anyako, in Ghana, e residente in Nigeria da moltissimo tempo. A proporlo per il premio è stato il curatore della rassegna Okwui Enwezor, nigeriano, direttore dal 2011 della Haus der Kunst di Monaco di Baviera e fondatore nel 1994 del "NKA. Journal of contemporary African art".
El Anatsui tesse arazzi rilucenti e sipari scintillanti utilizzando materiali di recupero: lattine, creta, tessuti, legno e soprattutto tappi di bottiglia, schiacciati e cuciti insieme con fili di rame. In questo modo coniuga la contemporaneità con le antiche tradizioni africane. Le sue gigantesche tessiture sono infatti ispirate ai tessuti kente, i più celebri dell'Africa occidentale, realizzati in Ghana su piccoli telai esclusivamente da uomini abituati a tessere all'aperto. La corrispondenza tra le stoffe della sua terra e le opere di El Anatsui appare evidente per esempio di fronte a un grande arazzo come Strips of earth's skin, eseguito dall'artista nel 2008, dove i colori vivaci, l'intensità dei toni e l'idea stessa delle strisce lunghe e strette (è in questa forma che si tesse la stoffa kente) rimanda senza ombra di dubbio alla secolare tradizione africana. Se i primi tessuti kente erano in cotone e dal 18° secolo sono stati arricchiti con filati di seta, El Anatsui li trasforma in trame sfolgoranti di rame e di alluminio.
Sculture scoperte dal mercato internazionale, sempre più interessato all'arte africana, che oggi valgono da 600.000 a oltre 1 milione di euro. Le sue Strisce di pelle della terra sono state presentate proprio ad Art Basel, la più importante fiera internazionale d'arte contemporanea.
Sono stati il padre e i fratelli a introdurre El Anatsui, ultimo di 32 figli, nel mondo colorato e simbolico delle stoffe kente. Viene infatti da una famiglia di artigiani che lavorano al telaio, ma anche di poeti e compositori. La sua formazione si compie con una laurea in scultura presso la Kwame Nkrumah University of science and technology di Kumasi, in Ghana. Inizialmente lavora soprattutto con il legno, intagliando altorilievi tondi ispirati ai vassoi utilizzati dai mercanti kumasi per esporre le loro merci. Su queste opere lignee incide i segni adinkra, motivi geometrici e figure stilizzate, stampate tradizionalmente su stoffe utilizzate per i funerali (adinkra significa "addio"). Nel 1975 El Anatsui diventa insegnante presso la facoltà di Belle arti e arti applicate dell'Università della Nigeria.
Qui si fa conoscere come uno dei più importanti esponenti della celebre Scuola Nsukka, che prende il nome dalla città in cui l'artista vive. Ma la vera rivoluzione avviene davanti a un sacchetto pieno di tappi di bottiglie usati e abbandonati, trovato per caso. L'incontro è folgorante: El Anatsui scopre che con questo materiale è possibile fare grandi cose. Nascono i suoi arazzi che conquistano il mondo. Sono sculture che crescono partendo da un'unità di misura unica: un quarto di metro quadro. "Spargo le unità sul pavimento - ha dichiarato - poi le metto insieme e le sposto fino a che la composizione non mi convince. A quel punto cucio". Tuttavia le sue opere non assumono mai una sola forma, subiscono continui cambiamenti, si possono posizionare, drappeggiare, sistemare in modi sempre diversi. Ora che conquista Venezia vale la pena di ricordare che era già stato alla Biennale con le sue vecchie sculture nel 1990. Nessuno se n'era accorto.
Ma quando, in occasione dell'edizione del 2007, ricopre la facciata di palazzo Fortuny di intrecci sfavillanti, espugna la laguna. Il suo universo brillante, così legato alla cultura africana, pare gareggiare con i mosaici della basilica di S. Marco, o con certi fondi dorati di Gustav Klimt, come quello che circonda il Ritratto di Adele Bloch-Bauer, del 1907. E se non è tutto oro quel che luccica, in questo caso è meglio così.