Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Domenikos Theotokopulos, detto El Greco, incarna il tipo dell’artista-genio: originale, eccentrico e talvolta incompreso dagli stessi committenti. Sempre alla ricerca di nuovi impulsi, passa dalla Creta bizantina al clima manieristico di Venezia e di Roma. Quando infine si trasferisce in Spagna, media con successo il suo forte temperamento con il carattere religioso della Toledo controriformata.
Le matrici culturali. Creta, Venezia e Roma
Le origini cretesi di Domenikos Theotokopulos, nato a Candia nel 1541, suggeriscono la prima fonte della sua pittura, ovvero l’arte bizantina. La sua formazione artistica si compie presumibilmente nell’isola natale, dove è ben nota anche l’arte occidentale, filtrata attraverso le stampe. Alla matrice greca egli resta ancora fedele al suo esordio in Italia.
A Venezia, tradizionalmente legata a Bisanzio da secoli di dominio politico e di contatti commerciali, lavorano i cosiddetti "madonnari", cioè pittori di icone bizantineggianti. Queste pitture dai colori irreali, incuranti del sistema prospettico e con le figure sproporzionate, sono quanto mai attuali in questi ultimi decenni del Cinquecento. Infatti, con il superamento della sintesi prospettica di forma e colore, che è il vertice del Rinascimento, si è pienamente entrati in quella temperie culturale denominata manierismo. In questa definizione rientra anche l’estrema attività di Tiziano, presso il quale – secondo un’ipotesi non confermata dai documenti – El Greco avrebbe trascorso un periodo di apprendistato. Sicuramente l’artista è fortemente impressionato dai maestri che dominano a quel tempo la scena veneziana, da Jacopo Bassano a Tintoretto, primo fra tutti. Quello che, della maniera veneta, colpisce il giovane pittore è l’uso prepotente del chiaroscuro e il disfarsi del colore. A questo gusto giovanile corrisponde il cosiddetto Polittico di Modena, una sorta di altare composto da tre elementi dipinti su entrambi i lati.
L’abilità di Domenikos Theotokopulos consiste nel rielaborare in modo personale gli elementi dell’arte bizantina, fondendoli con gli stimoli della realtà italiana – con la quale certamente si misura – ovvero col manierismo romano. El Greco giunge a Roma con una raccomandazione di Giulio Clovio, noto miniaturista, diretta al cardinale Alessandro Farnese; qui egli si integra perfettamente, tanto che nel 1572 è iscritto all’Accademia di San Luca, l’istituto corporativo a cui fanno capo gli artisti. Nel fertile ambiente romano El Greco coglie l’eredità di Michelangelo, da poco morto, ma attinge anche al gusto di Taddeo e Federico Zuccari e di tutti quegli sperimentatori che risolvono la pittura nel trionfo della luce, in uno spazio indefinibile, irreale, astratto.
Le commissioni spagnole
Domenikos Theotokopulos raggiunge verosimilmente la penisola iberica sulla scia dei numerosi artisti chiamati a decorare il vasto complesso del monastero dell’Escorial, ma anche grazie alle conoscenze spagnole fatte a Roma: Pedro Chacón, canonico della cattedrale di Toledo, è una di queste.
In Spagna ritrova un immaginario collettivo religioso simile a quello che ha lasciato a Roma, dominata dalle norme controriformistiche. Secondo una parte della critica la scelta di lavorare a Toledo è indicativa di un’esigenza di autonomia rispetto alle regole imposte da Filippo II e dalla sua corte di Madrid. Il primo incarico toledano proviene dal convento di Santo Domingo el Antiguo e consiste nella decorazione della chiesa. Nel contratto vengono richiesti all’artista otto dipinti, oltre ai disegni per la parte architettonica e scultorea dell’altare maggiore e degli altari laterali. Sull’altare maggiore è collocata una grande tela con l’Assunzione, sormontata dalla Trinità (ora a Madrid), ispirata a una nota stampa di Dürer. L’insieme del ciclo pittorico risente del linguaggio coloristico acquisito da El Greco a Venezia che si fonde con il ricordo delle composizioni monumentali dei manieristi romani.
Ai primi impegni a Toledo risalgono anche due opere volute da Filippo II: l’Allegoria della Lega Santa, che rappresenta la commemorazione dell’alleanza fra Spagna, papato e Venezia vincitrici sui turchi nella battaglia di Lepanto, e il Martirio di san Maurizio. Ma quest’ultimo dipinto non convince il sovrano, educato agli accademismi dei pittori impiegati all’Escorial, che non esita a farlo sostituire. La scelta iconograficamente inconsueta del dipinto, giustificata con la presenza delle reliquie del santo all’Escorial, riporta il discorso all’ambiente controriformato che intende richiamare l’attenzione sui primi martiri cristiani. Gli stilemi rinviano ancora una volta all’ambiente romano, con qualche apertura verso la maniera di Pontormo e di Parmigianino. Al tempo stesso il maestro spagnolo si allontana dalla visione della generazione che viene dopo Raffaello e Michelangelo, per enfatizzare ogni elemento: la luce diventa sinonimo di apparizione, è un’epifania in cui ogni tensione mira a esaltare il momento drammatico o, forse sarebbe meglio dire, melodrammatico.
In questo manierismo mistico rientra anche uno dei capolavori di El Greco, la Sepoltura del conte di Orgaz, della chiesa di San Tomé a Toledo. Una leggenda vuole che Gonzalo Ruiz, noto come conte e benefattore della chiesa, morto nel 1323, sia stato miracolosamente interrato a Tomé da due santi in celebrazione delle sue opere filantropiche. Il parroco di San Tomé ottiene la certificazione ufficiale di questo prodigio nel 1583 e due anni dopo, con il consenso per riprodurlo in immagine dipinta (sempre secondo le regole della Controriforma), stipula il contratto con Domenikos Theotokopulos.
La difficoltà che si presenta al pittore è proprio quella di conciliare l’aspetto concettuale dell’opera (le clausole dell’atto notarile sono in contraddizione con alcuni principi stabiliti dal concilio di Trento, uno su tutti quello per cui le pitture dovevano ricalcare i testi sacri) con l’ambiente modesto a cui è destinata. El Greco deve poi destreggiarsi tra i periti per la valutazione del compenso e, in proposito, le fonti testimoniano l’abilità dell’artista nel difendere i propri diritti, anche in relazione alla fama consolidata. Questa rivendicazione evidenzia il ruolo marginale di artigiani che ancora nel Cinquecento i pittori rivestono in Spagna, in contrasto con l’ambiente umanistico italiano dal quale il candiota proviene. Nella Sepoltura El Greco compie l’audace scelta di presentare una folta galleria di ritratti su due ordini separati, quello terreno e quello spirituale, in un’atmosfera che, specie per la parte inferiore, è quasi ieratica. Per questa netta divisione compositiva, il quadro è oggetto di biasimo da parte di coloro che attribuiscono tale idea a un’eccessiva stravaganza, per non parlare poi di quanti vi intravedono i segni di vere patologie.
È stato altresì osservato il raffinato equilibrio tra le teste appuntite e leggermente inclinate che si affermano come la sigla della sua pittura.
La bottega di El Greco
La Sepoltura del conte di Orgaz è il manifesto della tecnica pittorica di El Greco che è solito servirsi di un’imprimitura marrone, forse fatta di ocra e di terra d’ombra; nelle tele non si legge il disegno, egli abbozza direttamente con il colore a olio che sia bianco, cinabro o bruno. Alla stessa maniera lavora tutta la bottega, compreso il figlio Jorge Manuel e numerosi aiuti che rendono estremamente complessa la lettura attribuzionistica delle diverse "tirature" di uno stesso tema; si pensi che del cosiddetto San Francesco e fra’ Leone che meditano sulla morte si conoscono almeno diciotto versioni.
Al problema della produzione in serie, per così dire, di tavole che si configurano come ex voto popolari si aggiunge il problema del processo di falsificazione, riguardante specialmente i ritratti che, a differenza delle opere devozionali, non vengono replicati dalla bottega.
Conclusioni
Alla prospettiva che vede El Greco come un artista rivoluzionario, profondamente religioso e motivato da slanci mistici (a Toledo è da poco morta santa Teresa di Avila, grande riformista) se ne contrappone un’altra secondo cui nei bagliori di luce, nelle lumeggiature estremizzate e nelle visioni surreali dell’artista si intravede un sentimento non autentico, mirato a plagiare lo spettatore, a corteggiare il devoto più che a rivelare il divino.
In quella che si ritiene essere l’ultima opera del maestro, il Quinto sigillo dell’Apocalisse, taluni hanno intravisto un’anticipazione della pittura di Cézanne, ma altri hanno obiettato che a quest’ultimo va attribuita la rivoluzione del sistema di rappresentazione, a cui si giungerà attraverso un’altra via, quella della conoscenza.