Vedi Salvador, El dell'anno: 2012 - 2016
El Salvador è una repubblica presidenziale dell’America Centrale. Nel suo recente passato, il paese è stato travagliato da una guerra civile (1979-92) tra gli insorti comunisti del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln) e un alternarsi di giunte militari e governi conservatori. La guerra civile ha visto l’aperto coinvolgimento statunitense, sia militare sia economico, a favore dei governi in carica, in un periodo della Guerra fredda in cui Washington assumeva una posizione di fermezza contro tutte le guerriglie comuniste nel proprio emisfero.
Al termine di un efficace processo di riconciliazione nazionale, nel 1992 il Fmln ha acconsentito al disarmo e l’esercito ha accettato il suo nuovo ruolo di attore subordinato al governo civile. La Costituzione dal 1983, che ha resistito alla guerra, stabilisce che il presidente del paese sia eletto ogni cinque anni, senza possibilità di rielezione, e che i componenti dell’assemblea legislativa restino in carica tre anni: le due tornate elettorali vengono dunque a coincidere soltanto ogni quindici anni.
Nel 2001 due terremoti gemelli hanno provocato quasi un migliaio di morti, accelerando l’emigrazione verso gli Stati Uniti e provocando gravi danni all’economia nazionale. Sul piano dell’equilibrio tra le forze partitiche, nel 2009 e dopo diciassette anni di governo liberal-conservatore la conventio ad excludendum nei confronti del Fmln è stata spezzata dall’elezione alla presidenza di Mauricio Funes, esponente pragmatico e moderato del partito un tempo marxista.
Funes governa grazie a un governo di coalizione sostenuto dal Fmln e da un partito di nuova formazione, la Gran Alianza por la Unidad Nacional (Gana), costituito nel 2009 da dissidenti dell’Alianza Republicana Nacionalista (Arena, il maggior partito conservatore). La convergenza tra le due ali dello schieramento è un elemento di novità per un sistema politico caratterizzato per quasi un ventennio da uno scenario di forte polarizzazione ideologica.
Sul piano delle relazioni internazionali, l’esecutivo di Funes ha deciso di non sacrificare all’ideologia gli stretti rapporti con gli Usa. Dopo la guerra civile, gli Stati Uniti hanno peraltro adottato un profilo più basso, restando tuttavia il più importante partner politico e commerciale del paese e la prima destinazione della sua emigrazione, e questa relazione non sembra essere in discussione. L’elezione di Funes ha tuttavia contribuito al ristabilimento nel 2009 delle relazioni diplomatiche con Cuba, paese con il quale i rapporti erano interrotti dal 1961 e che negli anni Ottanta aveva sostenuto la guerriglia del Fmln.
Venendo infine all’integrazione regionale, El Salvador mantiene in vigore dal 2006 un accordo di libera circolazione con Guatemala, Honduras e Nicaragua, che prevede l’apertura delle frontiere interne tra i quattro paesi caraibici. Le frontiere sono state chiuse una sola volta, per 48 ore, durante il colpo di stato in Honduras del giugno 2009.
La grande maggioranza della popolazione salvadoregna (90%) è meticcia, mentre un 9% è di origine caucasica. Il paese ha conosciuto e conosce tutt’oggi un alto tasso di emigrazione, accelerato dai due terremoti del 2001, che ha come destinazione preferenziale gli Stati Uniti. Negli Usa vivono più di un milione e mezzo di salvadoregni: un numero equivalente a quasi il 20% dell’intera popolazione residente in Salvador.
Il grado di alfabetizzazione della popolazione è molto basso e questo, assieme all’alto livello di corruzione, diminuisce l’efficacia dell’amministrazione pubblica e delle istituzioni politiche. Lo stigma più grave, che affligge il Salvador dal termine della guerra civile, rimane l’alto tasso di violenza criminale. Sebbene il numero di omicidi sia calato dai 140 per 100.000 abitanti della metà degli anni Novanta a 31 nel 2002, nel 2009 esso è tornato a toccare i 71 decessi. Questa nuova impennata di violenza, sostenuta dalla ricerca di rifugi sicuri da parte dei cartelli criminali messicani in fuga dall’offensiva antinarcotici del governo, ha riportato El Salvador in vetta alla classifica mondiale per densità di morti violente, numero praticamente identico a quello fatto registrare nello stesso anno dalla regione più pericolosa del Messico, Chihuahua (74 morti ogni 100.000 abitanti).
Delle maras, le gang di strada che costituiscono il maggior problema di ordine pubblico nazionale, si stima facciano parte circa 10.000 persone. Con il tempo le gang, cui aderiscono soprattutto giovani deportati dagli Stati Uniti per immigrazione clandestina, hanno aumentato i livelli di violenza e sono oggi sospettate di essere collegate ai cartelli messicani del narcotraffico.
Si stima che per il 2010 i decessi imputabili alle gang ammontino a quasi 4000. Nel settembre di quell’anno il governo ha approvato una legge che rende illegale l’appartenenza a una gang (prevedendo fino a sei anni di carcere) e ha inasprito le pene per chi finanzia o è a capo di questi gruppi. A seguito dell’approvazione della normativa anticrimine, le maras hanno minacciato di attaccare il sistema dei trasporti pubblici, generando il caos nelle maggiori città del paese per quasi tre giorni.
L’efficacia della legislazione anticrimine sconta tuttavia i limiti imposti da alcuni gravi problemi strutturali: le carceri sono sovraffollate, la polizia e il sistema giudiziario sono inefficienti e l’applicazione delle nuove disposizioni procede con lentezza, a causa di uno scontro tra governo e Parlamento su questioni ad esse attinenti.
Il Salvador, tradizionalmente grande produttore di caffè, nell’ultimo trentennio ha lentamente convertito la propria economia per indirizzarla verso l’offerta di servizi commerciali e finanziari. A seguito della crisi economica del 2008 il settore della maquila (importazione e lavorazione di materie prima in vista della loro riesportazione) ha visto accrescere la propria importanza, che resta tuttavia limitata. Rilevante resta l’entità delle rimesse dall’estero (prevalentemente dagli Stati Uniti), che nel 2009 hanno raggiunto un valore equivalente al 15% del pil nazionale e che contribuiscono ad appianare il forte deficit della bilancia dei pagamenti, derivante da una cronica dipendenza dalle importazioni.
Il Salvador ha perseguito per un ventennio una politica di privatizzazioni e liberalizzazioni commerciali. Appena eletto alla presidenza, Mauricio Funes ha lasciato inalterata l’impostazione liberista dell’economia, elaborando un piano quinquennale per aumentare le spese sociali. La crisi e la susseguente carenza di risorse finanziarie, assieme alle richieste di moderazione da parte delle altre forze di governo, hanno tuttavia ostacolato i piani di rilancio del welfare.
A dimostrazione della scelta di liberismo economico, oltre all’adozione nel 2001 del dollaro americano come moneta ufficiale per porre un freno all’inflazione, il Salvador è sede del Sistema per l’integrazione centramericana (Sica, Sistema de la Integración Centroamericana) ed è stato il primo paese latinoamericano a ratificare l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti (Cafta, ora Dr-Cafta) nel 2006. A metà 2011, inoltre, è entrato in vigore l’accordo di associazione con l’Unione Europea.
Il Salvador non dispone di alcuna significativa riserva energetica, di idrocarburi o carbonifera. Per questo motivo non consuma gas o carbone, e importa petrolio. L’esigenza di non dipendere in maniera eccessiva dall’estero ha spinto il paese a diversificare la propria produzione di energia rinnovabile: nel 2010 il Salvador è stato infatti il maggiore utilizzatore di energia geotermica dell’intera America centrale, e il primo al mondo se si considera la quota di energia elettrica nazionale prodotta attraverso il geotermico (26%).
Con la fine della guerra civile, l’esercito è divenuto una forza professionale e ha acconsentito a lasciare al governo civile la gestione esclusiva degli affari politici ed economici. In vent’anni il numero dei militari ha inoltre subito un forte ridimensionamento: si è passati da un picco di 63.000 durante la guerra civile ai 15.500 attuali, e le spese per la difesa restano a tutt’oggi molto basse.
L’impegno del precedente governo al fianco della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti in Iraq è stato tra i più consistenti della regione, raggiungendo un picco di 380 soldati schierati; il ritiro del contingente è stato completato nel gennaio 2009, poco prima delle elezioni che avrebbero decretato la vittoria del Fmln. Gli Stati Uniti mirano a utilizzare alcune infrastrutture aeree del paese per aumentare l’efficacia del monitoraggio del traffico illegale di droga che attraversa la regione, ma fino ad oggi le trattative hanno fatto registrare pochi progressi.