El verdugo
(Spagna/Italia 1963, La ballata del boia, bianco e nero, 111m); regia: Luis García Berlanga; produzione: Moris Ergas per Naga/Zebra; soggetto: Luis García Berlanga; sceneggiatura: Luis García Berlanga, Rafael Azcona, Ennio Flaiano; fotografia: Tonino Delli Colli; montaggio: Alfonso Santacana; scenografia: José Antonio de la Guerra; costumi: Maruja Arnaíz, Humberto Cornejo; musica: Miguel Asins Arbó.
José Luis, impiegato in un'agenzia di pompe funebri di Madrid, si accorge che il suo mestiere disgusta tutte le ragazze che conosce. Finalmente ne incontra una, Carmen, che non sembra particolarmente impressionata; si tratta infatti della figlia di un boia, Amadeo, il quale li coglie in flagrante. Visto che Carmen è rimasta incinta, non rimane altra soluzione che sposarsi in gran fretta. Per riuscire a ottenere l'assegnazione di uno degli alloggi che lo Stato riserva ai funzionari pubblici, Amadeo convince il povero genero a presentare domanda per subentrare al suo posto, sostenendo che i boia sono più numerosi dei condannati alla pena capitale ed è probabile che egli possa raggiungere l'età della pensione senza aver mai esercitato il mestiere. Ma purtroppo, mentre i due sposi sono in viaggio di nozze, la Guardia Civil rintraccia José Luis perché esegua una sentenza capitale. È il tormentato avvio d'un destino cui l'uomo non saprà sottrarsi.
Già all'epoca e ancora oggi il più perfetto e maturo dei film di Luis García Berlanga (nonostante la critica abbia talora mostrato di preferire Plácido, 1961, Calabuch ‒ Calabuig, 1956 o Bienvenido Mister Marshall ‒ Benvenuto, Mr. Marshall!, 1952), in Spagna El verdugo ebbe strenui difensori e acerrimi nemici per ragioni più politiche che cinematografiche: i suoi denigratori ne avevano infatti intuito e ne temevano la duratura efficacia. All'estero, nonostante la coproduzione italiana (con Nino Manfredi nella parte del protagonista e un Guido Alberti memorabile nella scena finale), il film non venne capito e "Positif" lo accusò addirittura di essere franchista e favorevole alla pena di morte, ovvero l'esatto contrario di ciò che palesemente era. Stupisce che un film così limpido ed esplicito possa essere stato tanto frainteso, facendo ricadere sul suo autore un sospetto del quale non riuscì mai a liberarsi completamente. Berlanga, per la critica europea, cessò dunque di esistere proprio all'apice della sua carriera.
A partire da Plácido, il regista ricevette da Rafael Azcona ‒ che aveva ispirato i due grandi film spagnoli di Marco Ferreri, El pisito (1958) e El cochecito (1960) ‒ un'iniezione di vitalità e raffinatezza. Non è certo che le reiterate e successive collaborazioni siano state sempre proficue, ma in Plácido e in El verdugo, insieme a un sensibile 'annerimento' del suo umorismo e a una crescente misantropia, Azcona garantì a Berlanga un rigore strutturale e una concezione dello spazio cinematografico privi di precedenti nella sua filmografia e che non trovano continuità nemmeno nel Ferreri italiano, per cui appare ragionevole sostenere che tali innovazioni stilistiche vadano attribuite in parte allo sceneggiatore. Non è che Azcona abbia fatto scoprire a Berlanga il piano-sequenza (senza dubbio il regista doveva aver visto i film di Welles), ma lo ha incoraggiato a servirsene, e con risultati magnifici. Se pure nel tempo si arriverà al ricorso sistematico, al cliché stilistico o al sintomo di pigrizia, nei primi film Berlanga impiega il piano-sequenza senza esibizionismo (si fa quasi fatica ad accorgersi che la scena non è cambiata), sia per accentuare la solitudine di un personaggio e il vuoto che lo circonda, sia per esprimere il senso di oppressione e mancanza di spazio e abbracciare la moltitudine di personaggi secondari, dotati di vita propria, che talora sottopongono la trama a un numero eccessivo di tensioni centrifughe.
Il soggetto di El verdugo possiede la logica schiacciante e fatale di un sillogismo e porta tutte le premesse fino alle loro estreme conseguenze: ogni scappatoia si trasforma in una nuova trappola, dalla quale alla fine non vi è più alcuna via di scampo. Il film inizia come commedia di costume dai toni un poco macabri, si trasforma in assurdo incubo del reale e termina in muta tragedia dell'irreversibile. Questa terribile parabola sui rischi del non saper dire 'no', continuando a fare piccole concessioni e sperando nella fortuna, costituisce anche un ritratto durissimo della Spagna progressista, che l'allora ambasciatore a Roma (sei anni più tardi ministro responsabile del cinema e della censura), dopo la proiezione alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1963, denunciò come "una delle più gravi diffamazioni mai concepite nei confronti della Spagna, [...] non nei confronti di un regime, ma in quelli di un'intera società". Segnalato molte volte da critici e cineasti come il migliore, o uno dei migliori film mai realizzati in Spagna, il film venne sempre capito perfettamente dal pubblico al quale si rivolgeva. Nonostante la censura sia intervenuta sulla sceneggiatura e abbia imposto ulteriori tagli dopo la première veneziana, è sorprendente ciò che Berlanga riesce a mostrare dietro l'involucro umoristico del film: anche per questo El verdugo rimane un'opera assolutamente viva, molto più di altri film coevi che dietro le ambizioni di denuncia, il carattere realista e il tono solenne tradivano una visione più limitata e meno audace. El verdugo è attuale come lo era quarant'anni fa, nonostante tutti i cambiamenti intervenuti nel frattempo: la sua analisi è ancora efficace e alcune caratteristiche tipiche della società spagnola sono rimaste identiche a quelle descritte da Berlanga. Ogni volta che il film passa in televisione, continua a inquietare, a commuovere e nello stesso tempo a far sorridere quanti hanno imparato a essere scettici rispetto a molti dei progressi degli ultimi decenni.
Interpreti e personaggi: Nino Manfredi (José Luis), Emma Penella (Carmen), José Isbert (Amadeo), José Luis López Vázquez (Antonio), Ángel Álvarez (Álvarez), Guido Alberti (direttore del carcere), María Luisa Ponte (Estefanía), María Isbert (Ignacia), Julia Caba Alba, Lola Gaos, Chus Lampreave (signore che visitano il cantiere), Xan Das Bolas (guardiano del cantiere), Santiago Ontañón (professore), José 'Saza' Sazatornil (amministratore), Erasmo Pascual (funzionario), Félix Fernández (sacrestano), Antonio Ferrandis (capo dei servizi), José Orjas (signore elegante), Alfredo Landa (sacrestano).
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