ELBUNGO (Elbunco)
Non è nota la data di nascita di questo vescovo di Parma e nulla si sa della sua giovinezza. Il nome lo collega comunque, senza il minimo dubbio, al mondo franco. A documentato per la prima volta il 27 maggio 889 come cancelliere di Guido di Spoleto. E. doveva probabilmente questo incarico all'appoggio del vescovo di Parma, Wibod, uno degli uomini chiave a corte degli ultimi anni del regno di Ludovico II, personaggio importante per la continuità nel funzionamento dell'amministrazione centrale e nominato da Guido suo arcicappellano. Quando diventò imperatore nel febbraio 891, Guido uniformò la sua amministrazione ai modelli carolingi più tradizionali, e fu in questo contesto che E. divenne arcicancelliere. Con questo titolo intervenne, ad esempio, il 28 luglio 891, a favore delle monache di S. Maria Teodata a Pavia. Conservò l'incarico anche nei primi anni del regno di Lamberto. Citato come summus cancellarius ancora in un diploma del 4 maggio 896, a Pavia, a partire dal luglio successivo il suo nome non compare più negli atti ufficiali. In quel torno di tempo successe a Wibod sulla cattedra vescovile di Parma, senza dubbio per designazione dello stesso Wibod e non perse il favore di Lamberto.
Wibod fece testamento nell'895; secondo un obituario di Piacenza mori un 28 novembre. E. invece è attestato per la prima volta come vescovo di Parma il 4 marzo 897. La data del suo abbandono della Cancelleria lascia pensare che Wibod sia morto effettivamente nell'895, nel qual caso E. avrebbe cumulato le due cariche durante qualche mese, oppure sarebbe stato nominato dopo un breve periodo di vacanza della sede vescovile.
La nomina alla diocesi di Parma (di certo non fu eletto) non significò per E. l'effettivo ritiro dalla corte. Nel marzo 897, durante un placito presieduto a Firenze dal conte di palazzo e dal marchese Adalberto di Toscana. E. fu posto a capo dei vescovi toscani presenti alla seduta. Quando Ludovico III sali al potere, E. si legò prontamente a lui e nel febbraio goi si trovava a Roma, con vari vescovi dell'Italia settentrionale, per l'incoronazione dell'imperatore. Allo stesso modo, sembra aver accettato senza difficoltà - non sappiamo se nel 903 o dopo la crisi del 905 - il dominio di Berengario I allorché questi riusci a imporsi definitivamente: fu questa forse l'origine del regalo che E. ricevette dal re e che poi lasciò in eredità alla sua cattedrale.
Un placito del maggio 906 mostra per la prima volta E. impegnato personalmente negli affari del suo vescovato: contro le pretese del marchese Adalberto e di sua moglie Berta, difese con successo, aiutato da tre suoi vassalli (franchi, da quanto si ricava dai nomi), il diritto di proprietà della Chiesa di Parma sul locellum di Lugolo.
Lugolo, proprietà dell'abbazia di Berceto (sottoposta all'autorità del vescovo di Parma dall'879), era uno dei punti che permettevano di controllare il passo della Cisa a sud della contea. Si comprende perciò la sua importanza per il marchese di Toscana che si servi appunto dei suoi domini nella regione per bloccare il passaggio delle truppe di Berengario al momento della discesa in Italia di Ugo di Provenza nel 907.
Il documento più importante che possediamo su E. è il suo testamento, scritto nell'aprile 914 in una libraria curata da uno scrivano della cancelleria episcopale - che E., forte della precedente esperienza, sviluppò senza dubbio notevolmente - reclutato al di fuori della cerchia consueta dei notai di Parma. Il vescovo donò alla Chiesa di Parma una grandissima quantità di oggetti preziosi raccolti nimio labore et sudore.
L'elenco costituisce un interessante inventario del tesoro che poteva mettere insieme un ecclesiastico di alto rango con i suoi acquisti personali o grazie ai doni ricevuti da sovrani, vassalli e fedeli. Sono menzionati un evangelario con la rilegatura ornata in oro e avorio, una serie impressionante di paramenti sacri e di pezzi d'oreficeria (tra l'altro otto croci, due filatteri, sette pianete, un'ampolla di cristallo, un calice d'onice) ma anche un filattero ornato di pietre preziose, dono di re Berengario, e degli speroni d'oro provenienti da Lamberto. Il testamento è inoltre indicativo delle nuove tendenze spirituali a cavallo del IX e del X secolo, quali la scelta della sepoltura e l'importanza conferita all'illuminazione. E. destina io lire d'argento per decorare l'altare dedicato a tutti i santi posto davanti alla sua sepoltura nella cattedrale di Parma, aggiunge un nappo scozzese da fondere per farne una lampada, un ciborio d'argento ornato da una pietra preziosa (un acquisto del vescovo a Pavia), un altare portatile con due colonnette d'argento. La rendita di una delle proprietà personali del prelato è destinata a mantenere i preti che officeranno la messa. Infine, si stabilisce di fare quattro copie del documento, una delle quali sarà depositata nel palazzo di Pavia e le altre negli archivi episcopali di Piacenza, Reggio e Modena.
Si ignora la data esatta della morte di E.; il suo successore, il vescovo Aicardo, è attestato la prima volta il 26 sett. 920.
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