ELEFANTE (dal gr. ἐλέεας "elefante"; lat. scient. Elephas L.)
Genere di Mammiferi terrestri che comprende le forme più grandi attualmente viventi. Gli elefanti raggiungono tre metri di altezza ed un peso fra i quaranta e i cinquanta quintali. I Mastodonti fossili e i Mammut giunti fino all'era attuale erano anche più colossali.
Gli elefanti costituiscono, tra gli Ungulati, il sottordine dei Proboscidati, diverso da tutti gli altri per caratteri tali che alcuni autori ne fanno un ordine a parte. Innanzi tutto il muso si prolunga in una proboscide mobile, lunga fino a due metri, all'estremità della quale stanno le narici e un'appendice digitoforme sensibilissima; la proboscide ha funzione molto importante nella vita dell'animale perché serve come organo di tatto e di prensione degli alimenti e dell'acqua, cosa altrimenti impossibile data la brevità del collo. Ai lati della proboscide stanno due enormi difese d'avorio senza smalto, che possono raggiungere il peso di oltre un quintale, leggermente curvate in alto e costituite dai due incisivi superiori, portati dagl'intermascellari. Tutti i canini e gl'incisivi inferiori mancano. I molari sono molto grandi e di struttura complicata, essendo composti di un gran numero di lamine trasversali di avorio, che sono rivestite ciascuna di smalto e riunite da cemento: di tali molari uno funziona in ogni mezza mascella, fintanto che, logorato, viene sostituito da un altro che si è formato dietro al primo. Il cranio è molto grande e sporgente, perché le ossa frontali e parietali, di eccezionale spessore, sono scavate da numerose cavità, dette seni frontali. I membri, cilindrici, simili a piloni massicci, terminano con piedi plantigradi, a cinque dita, delle quali sporgono soltanto le unghie che hanno forma di piccoli zoccoli. Le ossa del carpo sono disposte in serie non alternate. La pelle è spessa, con numerose pieghe, ed è sparsa di rade e grosse setole, che si accumulano all'estremità della coda, ove formano un ciuffo.
Esistono due specie viventi di elefanti, una in Asia e l'altra in Africa, che taluni autori assegnano a due generi distinti. L'elefante indiano o asiatico (Elephas indicus Cuv.) ha fronte leggermente biloba a cagione di un solco mediano, ha orecchie relativamente piccole e molari con spazî trasversali a forma di strette fasce, a bordi paralleli e finemente piegate; le sue difese sono poco sviluppate. L'elefante africano (Loxodonta africana Blum.) ha fronte convessa lungo la linea mediana, orecchie molto grandi, molari con spazî trasversali rombici poco numerosi e grandi difese. È la specie che fornisce l'avorio più pregiato.
Il primo abita l'India e l'Indocina, dal Himālaya e dall'Assam ed è stato importato a Borneo. A Sumatra e a Ceylon si trova una razza locale (E. ind. sumatranus Temm.). Il secondo è proprio dell'Africa a sud del Sahara: i sistematici moderni ne hanno distinto parecchie razze locali specialmente in base a differenze nella forma delle orecchie. Di una forma nana (L. africanapumilio Noack) del Congo francese esiste un esemplare nel Giardino zoologico di Berlino.
Gli elefanti vivono in famiglie o in branchi di anche cento individui, nelle foreste di pianura e di montagna, dove si trovi acqua. Si cibano preferibilmente di ramoscelli d'albero e di erbe che strappano e portano alla bocca con la proboscide. La loro vita è lunga e oltrepassa il secolo, la riproduzione ha inizio dopo una quindicina d'anni: la gestazione è di circa venti mesi. Sono di un'estrema timidezza e non attaccano altri animali e l'uomo, se non per difendersi. Danneggiano fortemente le coltivazioni e perciò sono oggetto di cacce distruttive ovunque la colonizzazione agricola avanza. Data la loro grande forza, docilità e capacità di essere ammaestrati, in India sono da tempo addomesticati e usati nei lavori più varî. L'elefante africano puo essere ammaestrato, ma gl'indigeni non lo sanno né catturare, né domare, né servirsene. Gli elementi usati in guerra dai Cartaginesi provenivano da una razza locale, ora estinta, che viveva nell'Atlante.
Elefanti fossili. - I rappresentanti fossili più antichi del gruppo degli elefanti, inteso nel suo più stretto significato, risalgono al Pliocenico e si collegano ai Proboscidati miocenici del gruppo dei Mastodonti per mezzo del genere Stegodon. Allo stato attuale delle nostre conoscenze deve ritenersi l'Asia la patria d'origine degli elefanti, che in forme svariate e numerose si dispersero durante il Pliocenico e il Pleistocenico in tutta l'Eurasia, in Africa e nell'America Settentrionale. Di queste forme, che vennero raggruppate in diverse suddivisioni del genere comprensivo Elephas (Loxodonta, Euelephas, ecc.), si possono citare fra le più rappresentative per il Pliocenico, l'E. planifrons Falc., caratteristico specialmente dei giacimenti indiani e l'E. meridionalis Nesti, il cui tipo proviene dalla valle dell'Arno. Con queste due specie plioceniche si ricollega il gruppo pleistocenico dei Mammut, ch'ebbero rappresentanti nordici, quale il notissimo Elephas primigenius Blum. (Eurasia) e l'E. Jeffersoni Osb. (America Sett.), e meridionali, come l'E. imperator Leidy (Neuraska, Messico, ecc.). Nel Pleistocenico assume grande importanza anche un altro gruppo, che fa capo all'E. antiquus Falc., specie diffusa in Europa e Asia dal più alto Pliocenico al Pleistocenico medio. All'E. antiquus, che si ritiene il più colossale fra gli elefanti finora conosciuti, si collegano numerose sottospecie o razze nane vissute principalmente nelle isole del bacino del Mediterraneo (Sicilia, Malta, Cipro) durante il Quaternario antico: tali sono l'E. mnaidriensis Leith. Ad., l'E. melitensis Falc. e, la più minuscola di tutte, l'E. Falconeri Busk.
Bibl.: G. Tournier, Les éléphants, Parigi 1909; per i fossili v.: R. S. Lull, Organic evolution, New-York 1922; K. Zittel, Grundzüge d. Paläontologie, Vertebrata, rielaborato da F. Broili e M. Schlosser, Monaco e Berlino 1923; H. F. Osborn, The Elephants and Mastodonts in America, in Natural Hist., XXV (1925); G. de Lorenzo e G. D'Erasmo, L'Elephas antiquus nell'Italia meridionale, in Atti R. Accad. Sc. fis. e mat., XVII, Napoli 1927 (ricca bibl. sugli Elefanti fossili); R. Vaufrey, Les Élephants nains des îles Méditerranéennes, in Arch. de l'Inst. de paléont. humaine, mem. 6ª Parigi 1929.
Gli elefanti da guerra. - L'uso degli elefanti in guerra è originario dell'India; i Greci solo alla battaglia sull'Idaspe (326 a. C.) si trovarono di fronte ai numerosi (200) elefanti del re indiano Poro. Alessandro ne condusse seco dall'India circa 200 ed ebbe così inizio nella storia della guerra antica l'epoca degli elefanti, che va sino alla battaglia di Tapso nel 47 a. C. Tutti i successori di Alessandro li impiegarono nelle loro guerre, e Antipatro ne condusse per primo 70 in Grecia nel 321; Seleuco se ne fece inviare dall'India 500, che ebbero gran parte nella battaglia di Ipso, e in seguito i Seleucidi, il cui impero confinava con l'India, ebbero il monopolio degli elefanti indiani da guerra. I Tolomei e Cartagine ricorsero allora agli elefanti africani. I Romani conobbero la prima volta gli elefanti alla battaglia di Eraclea contro Pirro, e lottarono in seguito molte volte contro gli elefanti cartaginesi; per loro conto non li usarono che in numero limitato, e solo durante il sec. II a. C. Dopo Tapso ove per l'ultima volta gli elefanti del re numida Giuba furono impiegati contro Cesare, si ebbe una ripresa dell'uso degli elefanti nel sec. III d. C. nelle guerre tra i Romani e i Persiani sassanidi.
Gli elefanti, guidati da un uomo seduto sul loro collo, bardati e spesso con piccole torri sul dorso che contenevano alcuni soldati, venivano usati o per proteggersi contro la cavalleria nemica (i cavalli non abituati fuggivano terrorizzati alla vista e all'odore delle belve) o per rompere l'ordinanza della fanteria avversaria; ma, spaventati, spesso ripiegavano seminando il disordine fra le proprie truppe: il guidatore aveva allora l'ordine di ucciderli piantando loro un chiodo sulla cervice.
Bibl.: P. Armandi, Histoire militaire des éléphants, Parigi 1843; H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst, I, 3ª ed., Berlino 1920, p. 608; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., IV, Berlino 1925, p. 355; W. W. Tarn, Hellenistic Military and Naval Developments, Cambridge 1930, p. 92.