elefanti e mammuth
Giganti in estinzione
Gli elefanti viventi sono gli ultimi sopravvissuti di una stirpe di mammiferi che ha iniziato a evolversi 50 milioni di anni fa dando origine a diverse famiglie e numerose specie, ormai estinte, in quasi tutti i continenti. Le grandi dimensioni, la proboscide, l'enorme sviluppo degli incisivi, l'intelligenza e la poderosa voce hanno reso questi animali inconfondibili e affascinanti. Ma il loro declino sembra inarrestabile a causa del bracconaggio e dell'estrema riduzione degli habitat naturali, specialmente in Oriente
La proboscide è la più evidente caratteristica degli elefanti, l'organo su cui si basa tutta la loro evoluzione. Non a caso, questi grandi Mammiferi erbivori vengono inquadrati nell'ordine dei Proboscidati, la cui caratteristica principale è proprio l'enorme sviluppo del naso e del labbro superiore che si sono fusi insieme formando un organo prensile e robusto. Con la proboscide, gli elefanti sentono gli odori e toccano, strappano le foglie o la corteccia di cui si nutrono, bevono, si fanno la doccia e si accarezzano reciprocamente.
Gli incisivi superiori sono allungati a formare le cosiddette zanne che, insieme alla proboscide, formano una morsa di grande potenza con cui l'animale può sradicare un albero per nutrirsi delle sue radici o delle fronde più alte. Le zanne sono più sviluppate nei maschi, e possono essere usate sia per definire chi ha più potere all'interno dei gruppi sociali sia come strumento di difesa. Le grandi orecchie vengono agitate per inviare messaggi visivi, per regolare la temperatura del corpo (una sorta di ventaglio) o per tenere lontane le mosche. Le zampe sono cilindriche e massicce con 4÷5 piccoli zoccoli, in modo da sostenere l'enorme peso del corpo (fino a 7 t nei grandi maschi).
La grande taglia e la vita in branco proteggono questi animali dagli attacchi dei predatori; tuttavia le loro popolazioni non aumentano di numero perché gli elefanti fanno pochi piccoli. Infatti la femmina rimane gravida per la prima volta a circa 10 anni di età e nel corso della sua vita partorisce circa 7 figli; fra un parto e l'altro possono passare da 3 a 5 anni, durante i quali il piccolo rimane prima sotto la protezione della madre e poi del gruppo fino al raggiungimento della maturità sessuale. In questo modo, il giovane elefante può contare su un lungo periodo di educazione, durante il quale impara a orientarsi, a trovare cibo e acqua, a evitare i pericoli, e così via. Queste forme di apprendimento sono assai importanti per gli elefanti, proprio come nella specie umana. L'intelligenza e la socialità di questi animali sono stati ampiamente documentati da studi sul comportamento in natura e in cattività. Molto si è scritto sulla longevità degli elefanti, che è di poco inferiore a quella umana: circa 40 anni in natura (come quella di un indigeno cacciatore-raccoglitore) e fino a 70 anni in cattività (come quella media di un abitante di una città).
La pelle degli elefanti è molto spessa, fino a 4 cm, ma dotata di grande sensibilità tattile. La cute è provvista di peli eretti e sparsi con funzione sensitiva. Pelle spessa e assenza di pelliccia sono due caratteristiche in comune con altri grandi erbivori tropicali come i rinoceronti (ordine Perissodattili) e gli ippopotami (ordine Artiodattili). La grande taglia aumenta la protezione dai predatori, ma rende difficile la dispersione del calore: ecco perché questi animali hanno la pelle quasi nuda e debbono bagnarsi con frequenza. D'altra parte, la pelle nuda deve proteggersi (e proteggere i tessuti sottostanti) dai parassiti e dai raggi solari: ecco perché è diventata così spessa e relativamente scura. Anche così, però, la pelle necessita di cure continue e di frequenti bagni di sabbia e fango per eliminare i pericolosi parassiti. La cura della pelle è un problema ben conosciuto dai proprietari di elefanti da lavoro in India e in altri paesi orientali, i quali dedicano molto tempo e pazienza a questa attività. L'elefante mostra una grande gratitudine per queste attenzioni che rappresentano la base del rapporto di fiducia e fedeltà fra l'animale e il suo padrone.
Attualmente esistono tre specie di Proboscidati, appartenenti alla stessa famiglia (Elefantidi) ma a due generi distinti: l'elefante africano (Loxodonta africana; v. fig.), l'elefante nano di foresta (Loxodonta cyclotis) e l'elefante indiano (Elephas maximus; v. fig.). Essi costituiscono una misera rappresentanza della grande diversità di forme che esisteva fra l'Eocene e il Pleistocene (v. fig.). I più antichi Proboscidati sono i Moeritherium, vissuti nell'Africa settentrionale circa 50 milioni di anni fa: grandi quanto un maiale, non avevano ancora una proboscide né grandi orecchie. Nel Miocene (circa 20 milioni di anni fa) e nel Pliocene, in Africa erano presenti elefanti veri e propri, forniti di proboscide e zanne, come i Mastodontidi e gli Stegodontidi; dall'Africa si dispersero verso l'Asia, l'Europa e l'America Settentrionale. Nel Pleistocene (circa 2 milioni di anni fa) alcuni passarono l'istmo di Panama arrivando fino in America Meridionale.
La famiglia degli Elefantidi è apparsa all'inizio del Pleistocene e ha prodotto sia i mammuth sia gli elefanti attuali. I mammuth (genere Mammonteus) erano elefanti provvisti di zanne lunghe e ricurve, orecchie relativamente piccole e una pelliccia folta. Si nutrivano principalmente di piante erbacee, come suggerito dalla forma dei molari, e vivevano nelle steppe dell'Asia e dell'America Settentrionale.
Conosciamo bene il loro aspetto grazie ai graffiti preistorici lasciati sulle pareti delle grotte dai nostri antenati. Mammuth congelati sono stati ritrovati sotto i ghiacciai perenni della Siberia e dell'Alaska. Le loro dimensioni erano simili a quelle dell'elefante indiano, con cui sono imparentati.
Nelle grandi isole del Mediterraneo (Creta, Cipro, Sicilia), durante il Pleistocene superiore, vissero Elefantidi di piccola taglia. Il più piccolo era Palaeoloxodon falconeri, vissuto in Sicilia fino a poche migliaia di anni fa, che raggiungeva l'altezza di 1 m al garrese (il tronco). Le antiche popolazioni italiche, quando trovarono i crani degli elefanti, rimasero colpite dal grande buco frontale che corrisponde all'inserzione della proboscide e pensarono ai resti di un gigante con un occhio solo: così nacque il mito dei Ciclopi e di Polifemo (v. fig.).
A prima vista l'elefante indiano si distingue da quello africano per l'assenza di zanne nella femmina, le orecchie relativamente piccole, la sommità del capo con due protuberanze, e una sola appendice all'estremità della proboscide. In effetti le due specie sono filogeneticamente assai distanti, poiché nel corso dell'evoluzione si sono separate da almeno 2 milioni di anni. Un tempo la specie indiana era diffusa in tutta l'Asia meridionale e si spingeva a Ovest fino in Mesopotamia; oggi si trova solo nelle aree protette dell'India e del Sud-Est asiatico. Nell'isola di Sri Lanka, esiste una sottospecie dove anche i maschi sono privi di zanne.
Attualmente, l'elefante indiano si trova a rischio di estinzione a causa dell'estrema riduzione degli habitat naturali con l'estendersi delle coltivazioni in tutta l'Asia meridionale. Esiste anche il fenomeno del bracconaggio per l'avorio e per la cattura di individui destinati ai lavori agricoli. Un numero elevato di esemplari si trova allo stato domestico, ossia viene impiegato dai contadini per arare, abbattere alberi e trasportare carichi, oppure come veicolo di lusso per le aristocrazie locali. Gli elefanti utilizzati dai Persiani come animali da guerra appartenevano sicuramente a questa specie; invece, quelli usati dai Cartaginesi (Cartagine) contro i Romani durante le guerre puniche erano africani.
L'uccisione continua degli esemplari con le zanne più grandi ha fatto sì che siano stati favoriti gli individui meno dotati, e oggi è sempre più difficile trovare maschi con zanne molto lunghe. Il ruolo degli elefanti negli ecosistemi è importantissimo. Per esempio, essi mangiano i frutti di certi alberi e poi disperdono i semi con le feci, concimando il terreno: in questo modo permettono la germinazione dei semi e la diffusione della pianta.