TRASPONIBILI, ELEMENTI
In genetica si dicono elementi trasponibili quegli elementi genetici che sono in grado di ''saltare'' (jumping genes) da una localizzazione cromosomica a un'altra. Fino ai primi anni Cinquanta era convinzione unanime che ogni sequenza genetica avesse una localizzazione cromosomica fissa, che poteva essere modificata solo a seguito di rari eventi di riarrangiamento cromosomico. In conseguenza dei pionieristici esperimenti sulle piante di mais condotti sin dagli anni Quaranta da B. McClintock (v. in questa Appendice), l'esistenza di elementi mobili fu dedotta dalla proprietà, tipica di questi elementi genetici, di indurre mutazioni in corrispondenza dei nuovi siti di inserzione.
La capacità di trasporre da un sito a un altro porta infatti spesso all'inattivazione del gene in cui l'elemento si inserisce: una classe di mutazioni che vengono comunemente definite mutazioni da inserzione. Infatti l'inserzione di un e.t. all'interno della sequenza codificante di un gene ne provoca l'interruzione, portando spesso all'insorgere di un fenotipo mutante. Per molti anni, la generalità del fenomeno descritto dalla McClintock nel mais non fu affatto compresa; solo oltre venti anni dopo, grazie alle tecniche di ingegneria genetica, fu dimostrato che numerose mutazioni spontanee del batterio Escherichia coli erano dovute all'inserimento di sequenze mobili all'interno dei geni mutati. L'estensione dell'uso della tecnologia del DNA ricombinante ha portato successivamente a stabilire che non solo nei batteri, ma in tutti gli organismi studiati, una larga percentuale delle mutazioni spontanee è rappresentata da mutazioni da inserzione. L'identificazione e la caratterizzazione di e.t. da organismi diversi, sia procarioti sia eucarioti, ha portato a stabilire che, indipendentemente dalla loro provenienza, gli e.t. noti condividono alcune caratteristiche generali comuni.
Tutti gli elementi mobili sono infatti in grado di trasporre autonomamente, e quindi di codificare per attività enzimatiche, chiamate trasposasi, che catalizzano il loro inserimento in nuovi siti ''bersaglio''; sono in grado di controllare, seppure con meccanismi diversi, la propria frequenza di trasposizione; richiedono l'integrità delle sequenze terminali come requisito indispensabile per la trasposizione, che è un evento preciso, mediato dal riconoscimento delle estremità da parte della trasposasi. Ulteriore caratteristica comune è che ogni e.t. è fiancheggiato da corte sequenze ripetute in maniera diretta la cui lunghezza è costante per uno stesso elemento, ma differente se si considerano elementi diversi. La formazione di queste ripetizioni è una conseguenza dell'attività endonucleolitica della trasposasi, che taglia i due filamenti del DNA in punti sfalsati. La riparazione del taglio ai lati del sito di inserzione porta alla duplicazione di una sequenza originariamente presente in singola copia nel sito bersaglio; la sequenza del tratto ripetuto risulta quindi diversa per ogni sito di inserzione. Il sito bersaglio può essere potenzialmente fornito da qualunque tratto di DNA; tuttavia, molti elementi traspongono con frequenza maggiore in corrispondenza di particolari sequenze, che costituiscono così bersagli preferenziali. La frequenza di trasposizione è caratteristica di ogni elemento; per es., per gli elementi mobili procariotici varia mediamente fra 10−3 e 10−5 per elemento per generazione; in molti casi la frequenza può variare in funzione della topologia del DNA e in risposta a precisi stimoli ambientali.
I meccanismi di trasposizione sono essenzialmente distinguibili in due tipi: trasposizione conservativa, mediante la quale un elemento si muove per escissione dal sito precedentemente occupato e simultanea integrazione in un nuovo sito, e trasposizione replicativa, mediante la quale la trasposizione di un elemento è collegata alla sua duplicazione. In quest'ultimo caso è la copia duplicata dell'elemento a inserirsi in un nuovo sito, mentre l'elemento che si è duplicato rimane inserito nel suo sito originario; la trasposizione replicativa comporta quindi un aumento del numero di copie dell'elemento per ogni evento di trasposizione, mentre la trasposizione conservativa non implica un aumento del numero delle copie.
Effetti della trasposizione. - La trasposizione svolge un ruolo rilevante nell'evoluzione del genoma sia nei procarioti sia negli eucarioti. L'effetto principale consiste essenzialmente nell'aumentare la variabilità genetica, provocando una larga serie di mutazioni e di riarrangiamenti. Le mutazioni provocate dagli e.t. sono spesso caratterizzate da instabilità, dovuta alla proprietà tipica di molti elementi di essere escissi dal sito originariamente occupato. Un'escissione precisa è un evento raro ed è accompagnata dal recupero del fenotipo selvatico, mentre un'escissione imprecisa porta spesso all'origine di un nuovo allele mutante. Oltre a provocare l'inattivazione di un gene, l'inserimento di un e.t. può essere alla base di interazioni regolative complesse, dovute al riarrangiamento delle sequenze che controllano l'espressione di un gene e/o all'effetto esercitato dai segnali di trascrizione portati dall'elemento mobile sull'espressione di geni adiacenti. Le sequenze regolative presenti nell'e.t. possono infatti alterare l'espressione delle sequenze adiacenti al sito di inserimento, provocando sia l'attivazione di promotori criptici normalmente silenti sia l'inattivazione o l'alterata espressione di promotori attivi. Numerosi sono gli esempi di geni eucariotici in cui l'inserimento o l'escissione imprecisa di un e.t. provoca un nuovo profilo di espressione temporale e/o spaziale del gene stesso, mentre nei procarioti uno degli effetti più comuni è l'insorgere di uno spiccato effetto polare legato all'inserimento di un elemento mobile all'interno di un operone.
Gli e.t. promuovono anche il verificarsi di estesi riarrangiamenti del genoma. Infatti, copie di un elemento inserite in siti diversi forniscono regioni di omologia al cui interno possono verificarsi eventi di ricombinazione; tali scambi possono provocare delezioni, inserzioni, inversioni o traslocazioni. Per es., un evento di ricombinazione fra due copie di un elemento che fiancheggiano un segmento cromosomico può provocare l'originarsi di una delezione se le due copie sono ripetute in maniera diretta o di un'inversione se le due copie sono ripetute con polarità invertita. Inoltre, le due copie possono mediare un evento di crossing-over ineguale intercromatidico, provocando contemporaneamente una delezione su un cromatide e una duplicazione sull'altro. Nei batteri, il verificarsi di eventi di ricombinazione omologa fra due copie di un elemento inserite in cromosomi diversi (per es. cromosoma batterico e plasmidico) può provocare la fusione dei due repliconi. È interessante notare che la mobilità di alcuni e.t. può essere indotta in appropriate condizioni, come nel caso degli elementi P, I e hobo di Drosophila. Opportuni incroci provocano un'attivazione della trasposizione di questi elementi nelle cellule germinali della progenie, provocando l'insorgere di una sindrome genetica nota come disgenesi degli ibridi, che consiste in un elevato tasso di mutazione, riarrangiamenti cromosomici e sterilità.
Applicazioni. - Gli e.t. sono variamente e largamente utilizzati nelle tecniche di manipolazione genetica. Sonde derivate da e.t. vengono comunemente utilizzate per il clonaggio delle sequenze che fiancheggiano il sito di inserzione. Seguendo quest'approccio, il clonaggio di un gene di interesse può essere facilmente effettuato in seguito all'isolamento di opportune mutazioni da inserzione. Tale approccio, di largo impiego in una varietà di organismi, prende il nome di Trasposon tagging. Alcuni elementi, quali l'elemento P di Drosophila, si prestano poi a utilizzazioni più varie e sofisticate. È possibile per es. utilizzare questo elemento in esperimenti di mutagenesi, essendo la sua mobilità inducibile ad alta frequenza in condizioni opportune. Vettori derivati dall'elemento P sono poi utilizzati correntemente nella tecnica di trasformazione in vivo di embrioni di Drosophila, che ha permesso di ottenere facilmente ceppi trasgenici e di accumulare in breve tempo un'enorme mole di dati sull'organizzazione e il funzionamento del genoma di quest'insetto.
Classificazione degli elementi trasponibili. - Elementi trasponibili procariotici. Le più semplici sequenze trasponibili presenti nel genoma batterico sono definite sequenze IS (Insertion Sequences), per la loro capacità di inserirsi all'interno di geni bersaglio, provocandone l'inattivazione. Sono distinguibili vari tipi di elementi IS, in base alla lunghezza e alla sequenza dell'elemento stesso; tuttavia la lunghezza di questi elementi è sempre molto ridotta (all'incirca variabile fra 800 e 1500 coppie di basi), dal momento che essi non codificano per nessuna funzione genetica al di là di quelle necessarie per la trasposizione. Pur essendo differenti tra loro per la lunghezza dell'elemento e per la sua sequenza nucleotidica, i vari tipi di sequenze IS mostrano un'organizzazione comune, dal momento che tutti presentano corte estremità ripetute-invertite di lunghezza variabile tra 15-25 coppie di basi, la cui sequenza nucleotidica è generalmente altamente omologa piuttosto che identica; ciascun tipo viene indicato dalla sigla IS, seguita da un numero.
Una seconda classe di elementi mobili presenti negli organismi procariotici è composta dai trasposoni, elementi più complessi, caratterizzati dalla capacità di codificare per funzioni addizionali a quelle necessarie per la trasposizione. La funzione più frequente è quella di conferire resistenza agli antibiotici; questi trasposoni, indicati con la sigla Tn seguita da un numero, trasportano quindi marcatori facilmente selezionabili, il cui fenotipo può essere sfruttato per seguire la mobilità del trasposone stesso. Sono distinguibili due classi di trasposoni: quelli a struttura semplice e quelli a struttura modulare (v. trasposone, in questa Appendice).
Elementi trasponibili eucariotici. Gli elementi eucariotici vengono generalmente raggruppati in due classi, distinte in base al meccanismo di trasposizione utilizzato. Gli elementi di classe I traspongono mediante un particolare tipo di meccanismo replicativo che prevede la formazione di un intermedio a RNA sintetizzato a opera della trascrittasi inversa, un'attività enzimatica codificata dall'elemento stesso. La maggioranza di questi elementi mostra preferenzialità nella scelta dei siti di integrazione, che corrispondono in genere a sequenze attivamente trascritte e ricche in A-T. Gli elementi di classe I vengono anche indicati come retrotrasposoni o retroposoni per la loro correlazione ai retrovirus endogeni. Gli elementi di classe II traspongono invece tramite DNA, secondo un meccanismo che per alcuni elementi è di tipo conservativo mentre per altri è di tipo replicativo. Gli elementi di classe II sono caratterizzati dall'avere estremità costituite da corte sequenze ripetute in maniera invertita che fiancheggiano una regione centrale, codificante per una o più funzioni collegate alla trasposizione. Per ogni famiglia sono presenti elementi completi, capaci di codificare per la trasposasi e quindi di trasporre in maniera autonoma, ed elementi incompleti, di lunghezza variabile, resi incapaci di trasporre in maniera autonoma dalla presenza di delezioni interne; la trasposizione di questi elementi difettivi dipende dalla trasposasi codificata dagli elementi completi.
Elementi invertibili. Sono particolari elementi, la cui mobilità è limitata alla capacità di invertire la propria polarità in seguito a eventi di ricombinazione sito-specifici che si verificano all'interno delle sequenze ripetute-invertite che fiancheggiano l'elemento stesso. Tali eventi di ricombinazione avvengono con elevata frequenza.
Introni mobili. A questa categoria appartengono gli introni di tipo I, presenti sia nei procarioti (per es. i batteriofagi T pari), sia in alcuni eucarioti semplici, quali il lievito. Una loro caratteristica è quella di essere presenti in maniera facoltativa, mostrando quindi una distribuzione variabile anche in ceppi differenti della stessa specie.
Plasmidi. Sono molecole circolari di DNA capaci di replicazione autonoma, presenti quali cromosomi extranumerari in una varietà di specie batteriche, ma anche in alcuni eucarioti (per es. i lieviti). Alcuni tipi di plasmidi possono sia essere presenti come cromosomi addizionali autonomi sia essere inseriti nel cromosoma batterico principale e sono quindi classificati come episomi. Sono noti plasmidi a copia singola (come il fattore di fertilità F), che sono mantenuti nella cellula in un rapporto 1:1 con il cromosoma batterico e plasmidi multicopia (per es. Co1E1), che possono invece accumulare 20÷50 copie per cellula. In particolari condizioni, che bloccano la replicazione del cromosoma batterico ma non quella del plasmide, i plasmidi multicopia possono però accumulare un numero molto più alto di copie (fino a 2000-3000 per cellula).
In una cellula batterica possono coesistere stabilmente diversi tipi di plasmidi. I plasmidi codificano per una varietà di caratteri genetici non essenziali per la cellula, ma che conferiscono spesso un vantaggio selettivo in condizioni opportune. Infatti, fra i plasmidi batterici, di particolare rilevanza epidemiologica sono i plasmidi RTF (Resistance Transfer Factors), che codificano sia per le funzioni di coniugabilità sia per quelle di resistenza a diversi antibiotici. Le funzioni di resistenza sono correlate alla presenza di uno o più trasposoni di tipo Tn nella molecola del plasmide stesso. Le funzioni di coniugabilità mediano il trasferimento del plasmide tra cellule non soltanto di una stessa specie batterica, ma anche di specie diverse, rendendo in tal modo i plasmidi RTF capaci di diffondere rapidamente la resistenza ad antibiotici diversi all'interno delle differenti specie batteriche che colonizzano la stessa nicchia ecologica.
I plasmidi multicopia costituiscono vettori ideali per amplificare (clonare) qualsiasi sequenza di DNA che sia stata opportunamente inserita nella loro molecola, sia per la capacità di essere accumulati nelle cellule batteriche in un alto numero di copie, sia perché portano marcatori facilmente selezionabili, quali la resistenza ad antibiotici. I vettori plasmidici attualmente utilizzati nelle tecniche di ingegneria genetica non corrispondono però a plasmidi naturali, bensì a loro derivati ottenuti in seguito a manipolazioni successive che hanno permesso di ottenere vettori sempre più efficienti. I moderni vettori plasmidici sono infatti di dimensioni molto più piccole di quelle dei plasmidi originari, da cui sono stati ottenuti per eliminazione di tutte le sequenze non essenziali per le funzioni di replicazione e di selezione. Le ridotte dimensioni rendono questi vettori capaci di accettare frammenti di DNA esogeno di dimensioni maggiori (fino a circa 15 kb).
Episomi. Vengono complessivamente indicati come episomi quegli elementi genetici che possono essere presenti nelle cellule batteriche in due stati alternativi, cioè in forma autonoma nel citoplasma o integrata nel cromosoma batterico. Questa proprietà è mostrata da alcuni plasmidi (F, plasmidi RTF, ecc.) e dai batteriofagi detti temperati (λ, P2, Mu, ecc.; v. virus, App. IV, iii, p. 834), i quali sono in grado di inserirsi nel cromosoma batterico e di replicarsi in sincronia con esso, svolgendo così un ciclo di infezione lisogenico in alternativa a quello litico.
Fra i plasmidi, il fattore di fertilità F di Escherichia coli è uno degli episomi più studiati, perché a esso è collegato il fenomeno della coniugazione, uno dei meccanismi che permettono la ricombinazione genetica nei batteri. L'integrazione del fattore F nel cromosoma batterico può avvenire in corrispondenza di siti diversi, ma è sempre mediata da eventi di ricombinazione omologa che si verificano fra due copie di sequenze IS presenti rispettivamente sul cromosoma di F e su quello batterico.
Un secondo tipo di episomi è costituito dai fagi lisogeni, per i quali in genere la forma autonoma è collegata allo svolgimento del ciclo litico, mentre la forma integrata, chiamata profago, all'instaurarsi della lisogenia. Fa eccezione il fago Mu, il cui ciclo infettivo si svolge secondo un meccanismo del tutto peculiare, che può essere paragonato al comportamento di un elemento trasponibile. Il primo evento dell'infezione di Mu consiste sempre nell'integrazione del genoma fagico all'interno del cromosoma batterico in corrispondenza di siti aspecifici; la casualità dell'inserzione provoca spesso l'insorgere di mutazioni, del tutto analoghe alle mutazioni provocate dagli elementi trasponibili, ed è questo fenomeno che ha portato a chiamare questo fago Mutatore (Mu). Questo primo evento di inserzione può essere seguito dall'instaurarsi di un ciclo lisogenico, oppure dalla replicazione del genoma fagico e quindi da un ciclo litico. La replicazione è seguita in un primo momento dall'inserimento casuale delle nuove copie in siti diversi del cromosoma batterico e successivamente dall'escissione e dall'incapsulamento delle copie del cromosoma fagico nelle particelle virali mature.
Derivati artificiali: fasmidi e cosmidi. I fasmidi sono vettori artificiali, ottenuti fondendo sequenze derivate dai cromosomi dei batteriofagi con altre di derivazione plasmidica. Particolarmente diffuso è l'uso dei cosiddetti fagemidi e dei cosmidi.
Bibl.: In generale: D.E. Berg, M. Howe, Mobile DNA, Washington 1989; B. Lewin, Il gene, Bologna 1990; S.M. Kingsman, A.J. Kingsman, Ingegneria genetica, Padova 1991. Per gli elementi trasponibili eucariotici: D.J. Finnegan, Eukaryotic transposable elements and genome evolution, in Trends in Genetics, 5 (1989), pp. 103-07; S. Sandmeyer, I.J. Hansen, D.L. Chalker, Integration specificity of retrotrasposons and retrovirus, in Annual Review of Genetics, 24 (1990), pp. 491-518. Per i segmenti invertibili: P. Van De Putte, N. Goosen, DNA inversions in phages and bacteria, in Trends in Genetics, 8 (1992), pp. 457-62. Per i plasmidi: A.I. Bukhari, J.A. Shapiro, S.L. Adhya, DNA insertion elements, plasmids and episomes, Cold Spring Harbor 1977.