Elemento soggettivo nella responsabilità della Pubblica Amministrazione
La necessità o meno della colpa nell’accertamento della responsabilità per danni della pubblica amministrazione continua a dividere la giurisprudenza. Nel confronto giurisprudenziale dell’ultimo anno, insorto dopo una pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha escluso in modo radicale che nell’attribuire il risarcimento potessero rilevare profili soggettivi, si segnala una pronuncia del Consiglio di Stato che ha cercato di armonizzare il sistema interno della responsabilità con quello imposto dalla giurisprudenza comunitaria, aprendo anche alla possibilità di costruire il sistema della responsabilità nel settore dell’affidamento degli appalti pubblici secondo regole completamente diverse da quelle della responsabilità civile, ma lasciando scoperte alcune questioni problematiche che continuano a essere irrisolte.
Nel corso dell’anno 2012 il Consiglio di Stato ha risistematizzato la materia dell’imputazione soggettiva della responsabilità per danni della pubblica amministrazione tentando di trovare un punto di unità tra le differenti sistemazioni teoriche proposte dalle supreme giurisdizioni interne e sovranazionali.
In particolare, con la sentenza 31.1.2012, n. 482 la IV sezione ha dettato una regola sull’imputazione soggettiva della responsabilità per danni destinata ad essere punto di incontro tra l’impostazione della Corte di cassazione (che si esprime per la responsabilità colpevole in conformità alle regole generali), quella del Consiglio di Stato (che è per una responsabilità con onere della prova invertito), e quella della Corte di giustizia (che sostiene regole di responsabilità oggettiva).
All’attuale divaricazione tra le posizioni delle diverse giurisdizioni si è giunti con un percorso il cui punto di partenza è la nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione 22.7.1999, n. 500, che, nel riconoscere la responsabilità della pubblica amministrazione per danni alla posizione giuridica soggettiva che, nel diritto interno, è nota come interesse legittimo, ha sostenuto che, in conformità alle regole generali del sistema di responsabilità civile, essa poteva però essere imputata alla pubblica amministrazione soltanto a titolo di colpa, e non a titolo di responsabilità oggettiva.
Le Sezioni Unite avevano anche aggiunto che la colpa dell’amministrazione (che non era la colpa del singolo funzionario, ma quella dell’apparato) poteva essere ricavata induttivamente dalla violazione di regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, in questo modo oggettivizzando un requisito per definizione soggettivo quale quello della colpa, secondo un processo logico che non è estraneo, peraltro, neanche al diritto penale, e che risponde all’esigenza di tassativizzare le regole della responsabilità e sottrarle all’arbitrio del caso concreto.
Queste regole sono state, però, parzialmente riscritte quando il giudice amministrativo, appena divenuto titolare di una parte del contenzioso sulla responsabilità per danni della pubblica amministrazione con l’art. 35 d.lgs. 31.3.1998, n. 80 e l’art. 7 l. 21.7.2000, n. 205, ha dovuto applicare queste regole generali del sistema di responsabilità civile, che erano state create per il “fatto” illecito, alla responsabilità per danni che conseguivano ad un “atto” illegittimo.
Muovendo da una logica di responsabilità per l’atto anziché per il fatto, il giudice amministrativo aveva in un primo momento ancorato la responsabilità per danni ad un paradigma soltanto oggettivo: a) sostenendo che, una volta affermata la illegittimità dell’atto, la colpa era in re ipsa1; b) oppure sostenendo che la colpa era individuabile in caso di violazioni gravi2.
Le successive riflessioni avevano indotto la giurisprudenza amministrativa a cristallizzarsi in maggioranza su un orientamento ancora diverso, che è poi diventato assolutamente maggioritario, che considerava l’illegittimità dell’atto un indice presuntivo della colpevolezza che poteva, però, essere superato in presenza di un errore scusabile3.
L’errore scusabile doveva essere ricavato in forza di criteri oggettivi individuati dalla stessa giurisprudenza, quali il grado di maggiore o minore chiarezza della normativa applicabile, la maggiore o minore semplicità della situazione di fatto, il carattere vincolato o meno dell’azione amministrativa.
Questa interpretazione, che si accingeva ormai a consolidarsi, è stata rimessa in discussione dalla progressiva perdita di sovranità dell’ordinamento nazionale in favore delle istituzioni create dai Trattati comunitari, che nel sistema giurisdizionale si è risolta nell’attribuzione alla Corte di giustizia dell’Unione europea del ruolo di interprete del diritto comunitario (art. 234 TCE, ora art. 267 TFUE) e di giudice dell’inadempimento degli Stati membri (artt. 226-228 TCE, ora artt. 258-260 TFUE).
In questa sua funzione la Corte di giustizia ha sostenuto che è incompatibile con il diritto dell’Unione sugli strumenti di tutela apprestati in materia di pubblici appalti una normativa nazionale che subordini il risarcimento alla dimostrazione da parte del danneggiato del dolo o della colpa della pubblica amministrazione4, così sposando un modello di responsabilità oggettiva, diverso sia da quello della responsabilità colpevole (ricavato dalla Cassazione dai principi generali sulla responsabilità civile), sia da quello della responsabilità presunta (enucleato dal Consiglio di Stato per la sola responsabilità da attività amministrativa illegittima).
Le elaborazioni successive del giudice amministrativo sono state volte a verificare la compatibilità del proprio orientamento sulla responsabilità presunta con quello della Corte di giustizia sulla responsabilità oggettiva.
E le conclusioni della giurisprudenza amministrativa sono state nel senso che l’indirizzo della Corte di giustizia non escludesse la possibilità di consentire comunque all’amministrazione di essere esonerata da responsabilità nel caso essa riuscisse a vincere la presunzione di colpa derivante dall’illegittimità del provvedimento emesso5.
Il giudice amministrativo, infatti, ha sostenuto che il diritto comunitario vietava soltanto di condizionare il risarcimento ad una prova della colpevolezza che si rivelasse difficoltosa per il danneggiato. Se, pertanto, il contenuto dell’indirizzo della Corte di giustizia si risolve nella mera impossibilità di imporre al danneggiato l’onere della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità della pubblica amministrazione, allora la giurisprudenza interna sulla responsabilità che è presunta, ma è superabile mediante il ricorso all’errore scusabile, non era in frizione con la giurisprudenza comunitaria, perché non addossava a carico del danneggiato alcun onere di dimostrare la colpa dell’apparato amministrativo.
Su questo sistema, ridelineato di nuovo secondo il paradigma della responsabilità colpevole ma presunta, e con il rifiuto del ricorso ad una responsabilità oggettiva tout court, ha inciso di nuovo la Corte di giustizia, che nella pronuncia 30.9.2010, C-314/09, ha precisato ulteriormente il proprio indirizzo interpretativo, sostenendo che il diritto europeo osta ad una normativa nazionale che limiti il risarcimento dei danni alla prova della colpa del soggetto agente, aggiungendo anche che non sono compatibili con il sistema né presunzioni di colpevolezza in capo all’Amministrazione né la possibilità di far valere in giudizio il difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (intesa come difetto di capacità individuali, secondo un criterio che era già adottato da tempo, peraltro, nella giurisprudenza interna).
La compatibilità comunitaria del sistema della responsabilità colpevole ma presunta, delineato dalla giurisprudenza amministrativa, veniva, pertanto, messo in discussione di nuovo dal pronunciamento della Corte di giustizia, che, infatti, induceva in un primo momento alcuna giurisprudenza a ritenere del tutto superata la necessità di fare riferimento al parametro della colpa, sia pure ad onere della prova invertito6.
Su questa nuova situazione, insorta dopo la decisione della Corte di giustizia 30.9.2010, si attendeva però il pronunciamento del Consiglio di Stato, che ha affrontato la questione della compatibilità comunitaria del sistema interno, di elaborazione pretoria, della responsabilità presunta nella pronuncia 31.1.2012, n. 482 sopra citata.
In questa decisione il supremo consesso della giustizia amministrativa ha ribadito la tesi della sovrapponibilità dello statuto della responsabilità per danni del diritto interno con quello dell’ordinamento comunitario, ed ha riproposto quindi ancora una volta la tesi della responsabilità presunta, superabile mediante il ricorso all’errore scusabile.
In particolare, i principali passaggi logici della pronuncia n. 482/2012 sono i seguenti:
• fra gli elementi costitutivi della responsabilità dello Stato da violazione del diritto comunitario, per come costantemente individuati dalla Corte europea, non vi è un elemento di natura soggettiva afferente alla natura dolosa o colposa della condotta illecita posta in essere dagli organi statuali;
• al contrario, fin da quando nel nostro ordinamento interno è stata per la prima volta affermata la responsabilità delle amministrazioni pubbliche per lesione di interessi legittimi da attività provvedimentale, tale responsabilità è stata prevalentemente inquadrata nello schema della responsabilità aquiliana con la conseguente necessità di individuare tutti gli elementi dell’illecito extracontrattuale ex art. 2043 c.c., ivi compreso quello soggettivo;
• tuttavia, una più approfondita analisi dei presupposti in base ai quali si giunge ad affermare, nei due diversi ordinamenti, la responsabilità dello Stato induce a escludere che possa pervenirsi a una dicotomia tra il sistema comunitario, nel quale detta responsabilità avrebbe carattere oggettivo, e il sistema italiano, nel quale invece sarebbe sempre essenziale l’elemento psicologico dell’illecito;
• nell’ordinamento interno, facendo ricorso al meccanismo delle presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., si afferma, infatti, che l’illegittimità del provvedimento amministrativo, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri (quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità del fatto, il carattere pacifico della questione esaminata, il carattere vincolato o a bassa discrezionalità dell’azione amministrativa);
• in questo modo, se non a una vera e propria sua inversione, si è pervenuti a un sostanziale alleggerimento dell’onere probatorio incombente al privato in forza del quale – e ciò sostanzia l’elemento di atipicità di tale regime rispetto a quello generale ex art. 2043 c.c. – una volta accertata l’illegittimità dell’azione della p.a., è a quest’ultima che spetta di provare l’assenza di colpa, attraverso la deduzione di circostanze integranti gli estremi del c.d. errore scusabile;
• questi orientamenti, in realtà, convergono con gli approdi della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di accertamento degli elementi costitutivi della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario;
• ben rare sono le ipotesi nelle quali la Corte di giustizia ha affermato la responsabilità di uno Stato considerandola in re ipsa sulla scorta della mera violazione di una norma o di un principio comunitario; queste ipotesi, inoltre, sono sempre relative a fattispecie nelle quali la normativa comunitaria di riferimento, oltre che immediatamente applicabile all’interno degli Stati membri, era anche estremamente analitica e dettagliata, in modo da lasciare poco o nessun margine di discrezionalità agli Stati membri (ciò è avvenuto, ad esempio, nel settore degli appalti pubblici);
• laddove si è posto il problema di individuare indici rivelatori del carattere «grave e manifesto» della violazione del diritto comunitario, e quindi di quella natura particolarmente qualificata della violazione che costituisce presupposto dell’affermazione della responsabilità dello Stato, la Corte ha fatto costantemente riferimento a elementi relativi al grado di chiarezza e precisione della norma violata, all’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle Autorità nazionali o comunitarie, al carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, alla scusabilità o inescusabilità di un eventuale errore di diritto;
• non v’è chi non veda come i concetti così enunciati dalla Corte europea in tema di «violazione grave e manifesta» si pongano in linea, in alcuni casi addirittura coincidendo letteralmente, con i parametri e i criteri individuati dalla nostra giurisprudenza interna al fine della definizione dei contorni della colpa;
• se la giurisprudenza interna continua ad ancorare l’accertamento della responsabilità anche al requisito della colpa, ciò non comporta necessariamente una violazione dei principi del diritto europeo, essendo soltanto la conseguenza dell’applicazione delle coordinate entro le quali la predetta responsabilità è inquadrata nell’ordinamento interno;
• le conclusioni sopra raggiunte non mutano per effetto della sentenza della Corte di giustizia 30.9.2010, C-314/09, in cui effettivamente la Corte ha configurato in modo molto più marcatamente oggettivo la responsabilità dello Stato da violazione del diritto comunitario, ma il cui pronunciamento deve restare circoscritto al settore degli appalti pubblici, in quanto in essa il risarcimento del danno viene qualificato come «alternativa procedurale» al conseguimento del «bene della vita» auspicato, ossia l’aggiudicazione, che non poteva essere accordato all’esito del giudizio: a conferma di come in questo caso la Corte assegni al risarcimento una funzione «riparatorio-compensativa» più che «retributiva», ossia di ristoro patrimoniale di un pregiudizio patito.
Quest’ultimo passaggio è molto importante in funzione degli ulteriori possibili sviluppi giurisprudenziali nella ricostruzione del sistema. Con esso, infatti, il Consiglio di Stato sposa una tesi, apertamente sostenuta da una parte della dottrina7, che punta a sottrarre del tutto il risarcimento del danno per equivalente nel settore degli appalti pubblici al sistema della responsabilità civile, assegnando ad esso la funzione di mero succedaneo in fatto di un’azione di adempimento che non può giungere a condanna per l’impossibilità materiale di disporre il subentro.
Questa dottrina evidenzia che, per come è scritto l’art. 124 c.p.a., il risarcimento dei danni derivanti da illegittima aggiudicazione a terzi di un appalto è un mero succedaneo dell’impossibilità di disporre il subentro. Se, però, la decisione di disporre il subentro (che è oggetto di un’azione ripristinatoria, e non risarcitoria) è priva di colorazioni soggettive dell’operato della pubblica amministrazione, a fortiori anche il risarcimento del danno per equivalente, che ne costituisce succedaneo, deve essere privo di colorazioni soggettive.
In definitiva, secondo questa ricostruzione, ciò che comunemente viene chiamato risarcimento del danno, in realtà, nella materia degli appalti pubblici è un’obbligazione priva dei caratteri risarcitori, ed avente contenuto ripristinatorio, che in quanto tale dovrebbe essere sganciata sia dalle regole della responsabilità contrattuale che da quelle della responsabilità extracontrattuale.
La pronuncia del Consiglio di Stato n. 482/2012, sostenendo che nel settore degli appalti pubblici il risarcimento del danno è una alternativa procedurale al conseguimento del bene della vita auspicato non accordabile all’esito del giudizio per motivi di fatto ed avente una funzione “riparatorio-compensativa” più che “retributiva”, sposa questa ricostruzione dottrinale ed apre il campo ad una possibile risistemazione generale non solo dell’elemento soggettivo, ma dell’intero statuto di tale tipo di condanna.
La decisione n. 482/2012 lascia aperti, peraltro, alcuni nodi problematici sui profili soggettivi di responsabilità della pubblica amministrazione che preesistevano alla sua emanazione.
Già stando al tenore letterale della pronuncia n. 482/2012, infatti, si ricava che allo stato coesisterebbero nel sistema due statuti della responsabilità della pubblica amministrazione:
• uno statuto generale, fondato sulla responsabilità colposa con onere della prova invertito, o alleggerito (per usare le parole della stessa sentenza), in cui all’amministrazione è dato di provare l’errore scusabile;
• uno statuto particolare, esistente solo nel settore degli appalti pubblici, e non esportabile fuori da esso, fondato sulla responsabilità oggettiva (che la si voglia costruire secondo il modello risarcitorio, oppure secondo quello ripristinatorio).
A ciò va anche aggiunto che, come precisato da altra pronuncia del Consiglio di Stato di poco precedente, la decisione della VI sezione, 15.11.2011, n. 6027, lo statuto particolare degli appalti pubblici fondato sulla responsabilità oggettiva si applica soltanto alle controversie aventi ad oggetto la fase di affidamento dell’appalto, perché soltanto quella è coperta dal diritto comunitario, e non a quelle insorte nella fase di esecuzione dell’appalto, che torna ad essere retta dalle regole comuni.
In realtà, peraltro, a ricostruire compiutamente il sistema dell’elemento soggettivo della responsabilità per danni della pubblica amministrazione, si noterà che gli statuti della responsabilità non sono soltanto due, come si ricaverebbe dalla pronuncia n. 482/2012, ma sono invece almeno quattro.
Nello stesso anno 2012, infatti, la Corte di cassazione è tornata sulla ricostruzione dell’elemento soggettivo della responsabilità per danni della pubblica amministrazione ed ha confermato alcuni propri orientamenti precedenti. In particolare:
• nella pronuncia della III sezione, 15.3.2012, n. 4172, la Cassazione ha ribadito l’applicazione anche alla materia della responsabilità della pubblica amministrazione delle regole ordinarie del modello di responsabilità civile dell’art. 2043 c.c., senza accettare il modello atipico della responsabilità ad onere probatorio invertito o alleggerito introdotto in via pretoria dalla giurisprudenza amministrativa, sostenendo che la responsabilità è configurabile qualora si verifichi un evento dannoso eziologicamente connesso ad un comportamento della p.a. caratterizzato da dolo o colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimità dell’atto a determinarne automaticamente l’illiceità. Ne consegue che l’annullamento dell’atto lesivo non è sufficiente ad integrare il fondamento di una domanda risarcitoria, dovendosi indagare anche sull’elemento soggettivo (dolo o colpa) nella condotta della pubblica amministrazione;
• nelle decisioni della III sezione, 27.1.2012, n. 1182 e della sezione lavoro, 8.2.2012, n. 1850, la Cassazione ha confermato la propria ricostruzione della responsabilità della pubblica amministrazione derivante dal mancato o tardivo recepimento nell’ordinamento interno del diritto comunitario come obbligazione da atto lecito, ed ha conseguentemente stabilito che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa.
Quest’ultimo gruppo di sentenze, che si adegua al pronunciamento, di poco precedente, di Cass., S.U., 17.4. 2009, n. 9147, è particolarmente importante ai nostri fini, perché la responsabilità dello Stato per mancato recepimento del diritto comunitario, pur avendo presupposti di fatto differenti (perché nel primo caso il presupposto è che la normativa comunitaria non sia direttamente applicabile, nel secondo caso il presupposto è che invece lo sia), oggettivamente si sfiora con quella della responsabilità della pubblica amministrazione per violazione del diritto comunitario.
In esse la Cassazione ricostruisce il sistema in questo modo:
• in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni;
• tale diritto va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica;
• la condotta dello Stato inadempiente è suscettibile, infatti, di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno;
• il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa;
• il risarcimento deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile.
Ne consegue che allo stato attuale della giurisprudenza, in punto di responsabilità conseguente a violazioni del diritto comunitario, coesistono due statuti che partono da ricostruzioni diverse ma che sull’elemento soggettivo finiscono per toccarsi (prescindendo per un attimo dalle conseguenze che comunque derivano dall’aver adottato due ricostruzioni teoriche completamente differenti, come ad esempio quelle in punto di prescrizione del diritto, in quanto il diritto derivante da obbligazione risarcitoria si prescrive in cinque anni, mentre quello da obbligazione indennitaria da atto lecito si prescriveva in dieci anni fino a quando con norma derogatoria ad hoc, l’art. 4, co. 43, l. 12.11.2011, n. 183, ha previsto anche per tale obbligazione l’applicabilità del termine quinquennale, non estendibile peraltro ai rapporti pregressi, come specificato dalla pronuncia n. 1850/2012 citata):
• lo statuto della responsabilità per mancato recepimento del diritto comunitario, che è una responsabilità da atto lecito, e che prescinde da profili soggettivi;
• lo statuto della responsabilità per violazione del diritto comunitario, che è una responsabilità da fatto illecito, che, però, dopo la sentenza Cons. St. n. 482/2012 comincia ad assumere tratti riparatorio-compensativi, e prescinde anch’essa dall’accertamento di atteggiamenti soggettivi.
Occorre anche considerare che la responsabilità per danni della pubblica amministrazione non è materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma, in quanto non-materia bensì strumento complementare di tutela della posizione giuridica sostanziale sottostante (come sostenuto da C. cost., 5.7.2004, n. 204), essa è attribuita di volta in volta al giudice ordinario o al giudice amministrativo, a seconda del giudice titolare di giurisdizione sul rapporto sottostante.
Se a questo punto si prova a tirare le fila del discorso e, tornando all’origine, si cerca di enucleare da queste pronunce lo stato attuale all’anno 2012 del regime della responsabilità della pubblica amministrazione, con particolare riferimento all’elemento soggettivo, si dovrà concludere nel senso che nel nostro ordinamento coesistono vari regimi della responsabilità per danni della pubblica amministrazione:
• uno statuto generale della responsabilità della pubblica amministrazione, che è conforme al modello generale della responsabilità civile previsto dall’art. 2043 c.c., ed in cui la colpa è elemento costitutivo necessario dell’illecito e deve essere provata (per quanto in base a regole oggettive);
• uno statuto, generale, ma atipico della responsabilità della pubblica amministrazione, che parte dall’art. 2043 c.c. ma poi prescinde da tutti i suoi elementi costitutivi in favore di un sistema delineato in via pretoria in cui l’onere della prova della colpa è invertito o alleggerito;
• uno statuto particolare della responsabilità della pubblica amministrazione per violazione del diritto comunitario nella sola materia dell’affidamento degli appalti pubblici, che non è modellato sull’art. 2043 c.c., ma sull’art. 124 c.p.a., ed in cui il risarcimento non è la conseguenza di un illecito, ma un mero succedaneo del conseguimento del bene della vita auspicato, non accordabile all’esito del giudizio per motivi di fatto, e quindi un’attribuzione pecuniaria con funzione «riparatorio-compensativa», che prescinde da profili soggettivi;
• uno statuto particolare della responsabilità della pubblica amministrazione per mancato recepimento del diritto comunitario, che è una responsabilità da atto lecito, e che prescinde anch’esso da profili soggettivi.
1 TAR Lombardia, Milano, sez., III, 23.12.1999, n. 5049.
2 Cons. St., sez. IV, 14.6.2011, n. 3169.
3 Cons. St., sez. VI, 12.3. 2004, n. 1261.
4 Corte giust. 14.10.2004, C-275/2003 .
5 Cons. St., sez. VI, 9.3.2007, n. 1114; Cons. St., sez. IV, 9.11.2006, n. 6607.
6 TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 4.11. 2010, n. 4552.
7 Follieri, E., L’elemento soggettivo nella responsabilità della p.a. per lesione di interessi legittimi, in Urb. app., 2012, 689.