ELENA Petrovic njegoš, regina d'Italia
Nacque a Cettigne (Cetinje), nel Montenegro, l'8 genn. 1873 da Nicola I Petrović Njegoš e da Milena Vukotić, sovrani del piccolo Stato balcanico. Il Montenegro gravitava nell'orbita russa e assai cordiali erano i rapporti tra i Petrovié Njegoš e i Romanov. La stessa E. ebbe come padrino di battesimo lo zar Alessandro II e, all'età di dodici anni, fu avviata all'istituto Smol´ńyj di Pietroburgo, fondato da Caterina Il per le ragazze della nobiltà. Qui, come già le sorelle maggiori Militza, Anastasia e Maria, ricevette un'educazione secondo i canoni della tradizione orientale e della religione ortodossa. Presso la corte russa E. fece il suo debutto in società e cominciarono allora a prendere corpo varie ipotesi circa il suo destino matrimoniale. Nel 1890 interruppe gli studi e fu richiamata in Montenegro dal padre, forse a causa del clamore suscitato in Russia per un duello originato da un'offesa che le era stata rivolta. Nel medesimo periodo in Italia gli ambienti politici più vicini a casa Savoia manifestavano crescenti preoccupazioni per il fatto che non s'intravedevano prospettive matrimoniali per l'erede al trono, Vittorio Emanuele. Fu soprattutto il presidente del Consiglio F. Crispi ad assumere allora concrete iniziative, attivando la diplomazia italiana affinché attingesse presso le varie corti europee informazioni al fine di trovare la consorte ideale per Vittorio Emanuele. Al termine di questo vasto e discreto sondaggio "Crispi aveva raccolto in un album i ritratti delle maggiori principesse europee e li aveva mandati al giovane Vittorio Emanuele aggiungendo che di tutte la più adatta, secondo lui, era quella del Montenegro" (Romano, Crispi, p. 232).
Dopo che considerazioni, soprattutto di ordine politico e religioso, avevano fatto cadere altre candidature, la scelta di E. sembrò a Crispi particolarmente indicata per motivi di ordine eugenetico. In proposito D. Farini riferi nel suo diario questa sua eloquente affermazione: "Ci vuole una bella donna, bruna, forte, per rinvigorire la razza e la montenegrina lo è" (Farini, Diario di fine secolo, II, p. 1024). Seppure non dichiarati, erano poi evidenti gli scopi politici che Crispi si proponeva di raggiungere attraverso il matrimonio dell'erede al trono con la principessa del Montenegro. Se il progetto fosse andato a buon fine, l'Italia avrebbe stabilito una certa influenza nella regione balcanica, arginando la crescente pressione dell'Austria. Qualche vantaggio sarebbe inoltre derivato dal miglioramento dei rapporti con la corte russa, protettrice della famiglia di Elena.
Le indicazioni di Crispi furono accolte in pieno dal re Umberto e dalla regina Margherita. Alla fine dell'aprile 1895 i sovrani italiani, recatisi a Venezia per inaugurare l'Esposizione intemazionale di belle arti, s'incontrarono con la principessa Milena di Montenegro, ivi giunta in compagnia delle figlie Anna ed Elena. In quella occasione Vittorio Emanuele incontrò E., che altri avevano destinato ad essere la sua consorte. Un anno dopo, nella primavera del 1896, recatisi entrambi a Mosca per assistere all'incoronazione dello zar Nicola II, E. e Vittorio Emanuele s'incontrarono nuovamente. Tra il giugno e il luglio 1896 Costantino Nigra, ambasciatore d'Italia a Vienna, su incarico di re Umberto svolse la delicata trattativa matrimoniale con il principe di Montenegro, anch'egli in Austria. Non era in discussione il consenso del padre di E. alle nozze, da cui i Petrović Njegoš avrebbero ricavato lustro, bensi il modo in cui doveva avvenire la conversione di E. al cattolicesimo. Nicola di Montenegro avrebbe voluto che prima fosse celebrato il matrimonio e poi proclamata la conversione di E. alla stessa religione del marito. Di diverso avviso era casa Savoia, che insisteva perché E. giungesse al matrimonio dopo una pubblica abiura della fede ortodossa. Del resto, sin dal primo momento la regina Margherita si era mostrata nettamente contraria a un eventuale matrimonio del figlio con una principessa non cattolica, a meno che questa non si fosse prima convertita. Nicola di Montenegro accettò infine che l'abiura di E. avvenisse prima delle nozze ed anche che queste fossero celebrate in Italia.
Terminato il complesso negoziato, il 16 ag. 1896 Vittorio Emanuele giunse a Cettigne, dove, due giorni dopo, fu dato l'annuncio ufficiale del fidanzamento. Lasciato il Montenegro, il 21 ottobre E. e Vittorio Emanuele sbarcarono a Bari, dove nella basilica di S. Nicola E., dopo l'abiura del credo ortodosso, compi l'atto di conversione alla fede cattolica. Il 24 ottobre a Roma, presso il Quirinale, fu celebrato il matrimonio secondo il rito civile e poi, presso la basilica di S. Maria degli Angeli, ebbe luogo la cerimonia religiosa. Dopo il matrimonio E. e Vittorio Emanuele soggiornarono a Firenze e quindi a Napoli. In seguito all'uccisione di Umberto I, il 29 luglio 1900, E. divenne regina d'Italia, essendo il marito divenuto, per successione dinastica, Vittorio Emanuele III, re d'Italia. I sovrani ebbero cinque figli: Jolanda (1901), Mafalda (1902), Umberto (1904), Giovanna (1907) e Maria (1913).
E. esercitò il suo ruolo di regina in una dimensione quasi esclusivamente familiare, non intervenendo mai, salvo rare eccezioni, sul terreno della politica. Né ebbe eccessivo peso nella politica italiana l'attenzione verso la sua patria di origine. Giolitti riteneva assurdo porsi contro l'Austria-Ungheria per tutelare un piccolo Stato come il Montenegro, che riteneva destinato a sparire e che fu infatti cancellato dalla carta politica dell'Europa all'indomani della guerra mondiale. La questione montenegrina tornerà a porsi incidentalmente nel 1941 con l'occupazione italiana della Iugoslavia, allorché si vagheggiò la restaurazione dei Petrović nel loro vecchio regno. Il progetto, peraltro avversato da G. Ciano. non ebbe seguito anche per il divampare in Montenegro della guerriglia partigiana.
L'immagine di E. rimane legata alle sue iniziative - alcune pubbliche, altre riservate - in campo assistenziale. In occasione del terremoto calabro-siculo del 1908, recatasi insieme con il re nelle zone colpite, si prodigò nelle operazioni di soccorso. Nelle sale del Quirinale vennero poi allestiti, ad iniziativa di E., un laboratorio per la confezione di indumenti ed un centro per la raccolta degli aiuti alle popolazioni colpite dal sisma. Questo suo comportamento, oltre a meritarle una serie di riconoscimenti internazionali, contribui notevolmente ad accrescerne la popolarità in Italia. Poco dopo l'intervento italiano in guerra, nel luglio 1915 venne costituito presso il Quirinale un ospedale territoriale. Era stata E. a volere questa struttura ospedaliera di 250 letti, riservata ai militari di truppa e presso la quale essa assicurò una costante e attiva presenza. L'ospedale del Quirinale cessò di funzionare nell'aprile del 1919, ma E. continuò ad interessarsi della sorte dei mutilati e dei familiari dei caduti in guerra, promuovendo iniziative benefiche in loro favore.
Nei confronti del fascismo E. non ostento un particolare favore, in questo distinguendosi dalla regina madre, Margherita, che non aveva, fin dall'inizio, nascosto il suo appoggio a Mussolini. Nel corso del Ventennio non pare che i rapporti con Mussolini siano "mai andati più in là delle occasioni ufficiali e dei piccoli favori che Elena chiedeva per i suoi protetti e il capo del governo subito esaudiva" (Cesarini, E. la moglie del re, p. 186). L'unico atto pubblico veramente importante che E. compi in appoggio al regime fu l'adesione da lei data, nel 1935, alla campagna per la raccolta dell'oro. Il 2 dicembre di quell'anno con una lettera a Mussolini, a cui si rivolgeva chiamandolo "Signor Presidente", preannunciò l'intenzione di donare il proprio anello nuziale. Divenne cosi patronessa della "giornata della fede", che si tenne il 18 dicembre. Nell'occasione, davanti al monumento a Vittorio Emanuele II a Roma, ebbe luogo una cerimonia, enfatizzata dalla propaganda fascista, durante la quale E. pronunciò un breve discorso esortando gli Italiani a seguire il suo esempio per sostenere le ingenti spese della guerra d'Etiopia.
Il 1° febbr. 1937 il papa Pio XI la insigni della Rosa d'oro, un riconoscimento che, com'era scritto nella lettera inviatale dal pontefice, le veniva attribuito per "le virtù domestiche e pubbliche e le fulgide doti di mente e di cuore" (Ricordo di E. di Savoia [1966], p. 175).
Poco dopo l'inizio del secondo conflitto mondiale E. assunse un'iniziativa in favore della pace. Nel novembre 1939 preparò una lettera destinata alle regine di sei paesi europei ancora non coinvolti nel conflitto. Richiamandosi alla cosiddetta "pace delle dame" del 1529, si rivolgeva alle sovrane di Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Iugoslavia e Bulgaria in termini molto accorati, "al fine di ottenere che le ostilità siano sospese e che gli sforzi siano uniti affinché si raggiungano accordi e pace duratura" (Barneschi, E. di Savoia, p. 252).
Portata a conoscenza di Mussolini, l'iniziativa venne da questo ritenuta improponibile. "Le circostanze attuali - scriveva Mussolini a E. - e l'esperienza di tentativi recenti non consigliano di promuovere adesso l'iniziativa di un congresso internazionale di pace, e in queste circostanze l'appello di V. M. non avrebbe quello svolgimento pratico che solo potrebbe portare al raggiungimento degli alti fini che V. M. si propone" (ibid., p. 253).
Al veto opposto da Mussolini E. fece seguire un altro discreto sondaggio rivolto al re Leopoldo del Belgio, il quale rispose auspicando un'esplicita iniziativa dell'Italia in favore della pace. Chiamato in causa ancora una volta, Mussolini ribadi la improponibilità di un tale piano. Ancorché velleitaria ed ispirata ad una visione dei rapporti internazionali non più corrispondente alla realtà, ed anche per questo destinata all'insuccesso, l'iniziativa assunta da E. resta rivelatrice di un aspetto significativo della sua personalità. Rimane peraltro da stabilire quale fu nella circostanza il ruolo del re, se e in che misura egli incoraggiò e sostenne l'iniziativa. È da ritenersi assai probabile che l'appoggio di Vittorio Emanuele non sia mancato, poiché riesce difficile credere che E. abbia potuto godere in quell'occasione di un'autonomia d'intervento in campo politico quale mai ebbe e mai le venne riconosciuta. Significativo è in proposito l'episodio narrato da un funzionario del Quirinale: "Il 28 maggio 1941 Vittorio Emanuele deplorò che il generale Cavallero si fosse sentito in obbligo di informare Elena dell'imminente sbarco a Creta di un battaglione italiano. In tale circostanza si era espresso cosi: "Alle donne non bisogna dir nulla"" (Mureddu, IlQuirinale del re, p. 111).A differenza di Maria Josè, moglie del principe ereditario Umberto, che ebbe contatti con esponenti dell'antifascismo, E. rimase estranea alle vicende che precedettero la caduta del fascismo e che ebbero come scenario gli ambienti di corte. Alcune testimonianze riferiscono che protestò con il re per il modo in cui era avvenuto l'arresto di Mussolini a villa Savoia (Barneschi, p. 261). Dopo l'8 sett. 1943, insieme con gli altri componenti la famiglia reale, abbandonò Roma per trasferirsi prima a Brindisi, quindi a Ravello ed infine a Napoli. Iniziò allora per E. un periodo particolarmente travagliato: sua figlia Mafalda, fatta prigioniera dai Tedeschi, mori il 28 ag. 1944 nel campo di concentramento di Buchenwald. Anche le sue condizioni di salute peggiorarono e, nell'agosto 1945, per il distacco della retina E. perse l'uso dell'occhio destro.
Il 9 maggio 1946, in seguito all'atto di abdicazione di Vittorio Emanuele III in favore del figlio Umberto, cessò di essere regina d'Italia. Gli ex sovrani, assunto il titolo di conti di Pollenzo, abbandonarono l'Italia per l'Egitto, dove giunsero, a bordo dell'incrociatore "Duca degli Abruzzi", il 12 maggio. Ospiti del re egiziano Faruk, E. e Vittorio Emanuele fissarono la loro residenza in Alessandria a villa Jela, cosi denominata dal nome di E. in lingua serba. Qui, il 28 dic. 1947, mori Vittorio Emanuele. Nel luglio 1949 E. andò a stabilirsi per un breve periodo in Francia, sulla Costa Azzurra. Alla fine di ottobre fece ritorno ad Alessandria, ma nel maggio 1950, gravemente ammalata, lasciò definitivamente l'Egitto per trasferirsi ancora in Francia, a Montpellier, dove le furono praticate le ultime cure mediche.
Mori a Montpellier il 28 nov. 1952.
Fonti e Bibl.: Si riportano anche alcune pubblicazioni di evidente agiografia: D. Ambruosi, E. P. ovvero l'astro del Montenegro, Bitonto 1896; A. Lumbroso, E. di Montenegro regina d'Italia, Firenze 1935; G. Vittori, E., seconda regina d'Italia e imperatrice d'Etiopia, Napoli 1937; T. Torella di Romagnano, Villa Iela, Milano 1948; G. Artieri, Il tempo della regina e appunti per una biografia di Vittorio Emanuele III, Roma 1950; P. Cesarini, E., la moglie del re, Firenze 1953; L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1956, ad Indicem; P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Milano 1958, passim; C. Nicovich [Conte d'Antivari], E. di Savoia, regina degli umili, Milano 1959; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, II, Roma 1961, pp. 1024, 1051; G. Papasogli, La regina E., Milano 1965; Ricordo di E. di Savoia, a cura di L. Lanzi, Milano 1966; E. Santarelli, Storia del movimento e delregime fascista, Roma 1967, ad Indicem; A. Consiglio, Vita di un re. Vittorio Emanuele III, Bologna 1970, pp. 49-63, 251; S. Romano, Crispi. Progettoper una dittatura, Milano 1973, p. 232; A. Guiccioli, Diario di un conservatore, Milano 1973, pp. 222, 271; M. Mureddu, Il Quirinale del re, Milano 1977, pp. 9 s., 13, 16-25, 54, 62, 64 ss., 70, 84, 87 s., 92, 108 s., 111 s., 226, 228; G. Artieri, Cronaca del Regno d'Italia, I, Da Porta Pia all'intervento, Milano 1977; II, Dalla Vittoria alla Repubblica, ibid. 1978, ad Indices; R. De Felice, Mussolini. Il duce, I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974; II, Lo Stato totalitario 1936-1940, ibid. 1981, ad Indices; R. Barneschi, E. di Savoia. Storia e segreti di un matrimonio reale, Milano 1986; Enc. Ital., XIII, ad vocem; Lessico univ. ital., VI, ad vocem.