ELEONORA d'Angiò, regina di Sicilia (Trinacria)
Nacque a Napoli nel 1289, ottogenita (e terza figlia femmina) di Carlo II d'Angiò, re di Sicilia, e di Maria d'Ungheria. Ben poco si sa dei suoi primi anni di vita, che presumibilmente trascorse nei castelli regi di Napoli. La prima concreta informazione è del 1300, quando E. si rivolse a papa Bonifacio VIII pregandolo di scioglierla dalla promessa di matrimonio contratta con Philippe de Toucy. In una lettera del 27 febbraio di quell'anno il papa incaricò Filippo Minutolo, arcivescovo di Napoli, di indagare al riguardo. Risultò che la principessa, all'età di dieci anni, aveva formulato una promessa di matrimonio di fronte a Bartolomeo da Capua e al camerlengo Jean de Montfort. Il pontefice ordinò quindi al Minutolo di sciogliere immediatamente E. da questa promessa.
Ai primi del 1302 si parlò di un matrimonio di E. con Sancio, secondogenito del re Giacomo I di Maiorca, un progetto caldeggiato soprattutto da Giacomo II d'Aragona che tuttavia non andò in porto. E. fu scelta per un matrimonio ben più importante.
La pace di Caltabellotta, stipulata il 29 ag. 1302 dopo il fallimento della campagna di Carlo di Valois e Roberto, duca di Calabria, contro la Sicilia, stabili che, per sigillare la pace, nella primavera successiva E. sarebbe andata in sposa a Federico III (II) d'Aragona, dal 1296 re dell'isola di Sicilia, riconosciuto re vita natural durante col titolo di re di Trinacria. La partenza di E. per la Sicilia, prevista per l'autunno del 1302, ritardò sino alla primavera del 1303, perché le precoci mareggiate invernali avevano danneggiato la flotta allestita per il viaggio. Le 610 once di spese necessarie per il viaggio della sposa furono reperite attraverso i Bardi e i Peruzzi e Federico III si impegnò a restituirne 140. Il 25 marzo 1303 E. parti finalmente alla volta di Reggio, dove giunse il 13 maggio. Il suo seguito era composto dal fratello Giovanni, futuro conte di Gravina, da Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, da Ruggero Sangineto, conte di Corigliano, dal vescovo Giovanni di Ravello e da tutta la corte di E., oltre che dagli emissari di Federico III, venuti ad accogliere la sposa. La futura regina di Sicilia recava con sé anche una ricca dote in gioielli. Alla metà di maggio del 1303, dopo una traversata senza incidenti, E. fu accolta con entusiasmo a Messina, dove in suo onore era stato costruito un nuovo molo. Fino alle nozze soggiornò nell'ospedale gerosolimitano di Messina.
Il 26 maggio 1303, giorno di Pentecoste, E., sontuosamente vestita, accompagnata dai conti di Catanzaro e di Ariano, fu condotta su un palafreno parato a festa alla cattedrale di Messina, dove l'arcivescovo celebrò le nozze. I festeggiamenti, il cui incredibile splendore contrastava singolarmente con la grave situazione economica dell'isola, si susseguirono per due giorni, al termine dei quali il seguito di E. fece ritorno a Napoli, per espresso ordine di Carlo II. Federico ed E. partirono per Palermo. Le fonti tacciono sui primi anni di matrimonio. Probabilmente E. accompagnava il re nei suoi viaggi per l'isola, dove sarebbe rimasta tutta la vita.
Nel 1304 nacque la primogenita, Costanza, futura regina di Cipro e d'Armenia. Il 14 luglio 1305, invece, vide la luce a Palermo il primo figlio maschio, che in onore del nonno paterno fu battezzato Pietro (il futuro Pietro II). Il 28 agosto, in segno di festa per la nascita dell'erede al trono, Federico diede a E., in appannaggio e patrimonio, il castello e la terra di Avola, con la relativa giurisdizione civile e penale. Questa donazione rappresenta una pietra miliare nella storia costituzionale siciliana, in quanto costitui il primo nucleo della Camera delle regine di Sicilia.
Negli anni successivi E. ricevette in appannaggio dal suo consorte anche le città di Siracusa (1314), Lentini, Mineo, Vizzini, Paternò, Castiglione, Francavilla e i casali della Val di Stefano di Briga. Per queste donazioni essa dovette rendere omaggio e prestare servizio feudale al re Federico. Ben presto intervenne direttamente nell'amministrazione della Camera, esercitando di fatto poteri sovrani su queste terre. Il 28 maggio 1308 nominò, con un diploma emanato a Palermo, un capitano e vicario per i suoi possedimenti di Avola, delegandogli esplicitamente la giurisdizione penale. In un altro atto, del 30 ag. 1315, nominò suo vicario per l'amministrazione della Camera Ludovico Starabba, cui successe, il 13 ag. 1321, Guglielmo Perno.
Nel 1323 un commerciante di nome Antonio Maniscalea si rivolse alla regina per chiedere una riduzione del dazio: aveva dovuto pagare 65 once di dazio per l'esportazione di gallette attraverso il porto di Siracusa, ma durante il trasporto la merce era stata danneggiata. Con un diploma del 28 luglio 1323 E. dispose una verifica dei danni, concedendo al Maniscalea, qualora avesse dichiarato il vero, una riduzione di 1 oncia e 15 tari su un terzo della merce perduta. L'anno successivo E. ricevette le rimostranze della città di Siracusa sulla validità dell'elezione di Perillo Arezzo a konsul maris e di Rogerio Aprile a iudex. D'intesa con Federico III, E. confermò l'elezione, ordinando tuttavia che le elezioni e le estrazioni a sorte per la nomina a cariche cittadine avvenissero alla presenza di un commissario regio che, immediatamente dopo, avrebbe dovuto recarsi personalmente dalla regina a prestare giuramento sul Vangelo e ricevere nelle proprie mani i documenti regi di conferma degli eletti. Tutti questi esempi indicano la tendenza, da parte di E., a prendere direttamente in mano l'amministrazione dei suoi feudi. Tuttavia Federico preservava attentamente i suoi diritti, soprattutto per quanto riguardava l'importante città di Siracusa; solo col suo consenso, nel 1335, E. poté nominare Niccolò Grillo castellano di Siracusa.
Dopo la ripresa della guerra tra Roberto d'Angiò e Federico III, nel 1312, E. iniziò a svolgere un ruolo importante anche in politica estera. Essa si offri formalmente come elemento di mediazione tra la monarchia angioina e quella aragonese. Fin dal giugno del 1312 suo cognato Giacomo II, re d'Aragona, inviò ad E., tramite il cavaliere Bertrando da Canelli, una lettera in cui la pregava di dissuadere Federico dall'allearsi con l'imperatore Arrigo VII, poiché una simile decisione avrebbe potuto provocare una frattura con la Chiesa e ostacolare l'occupazione aragonese della Sardegna. Fallito questo primo tentativo di mediazione, allo scoppio del conflitto aperto tra Federico III e la Chiesa, fu il papa a prendere l'iniziativa, chiedendo a E., in una lettera del 1º ag. 1314, che essa cercasse di indurre Federico a riconciliarsi con Roberto. Ma neanche questi tentativi pare sortissero effetto, visto che il conflitto prosegui in grande stile.
Nel frattempo E. aveva dato alla luce un altro figlio maschio, che fu battezzato Manfredi, in onore del suo antenato svevo, che però mori quasi subito. Nacque poi Guglielmo, futuro conte di Randazzo. All'inizio dell'estate del 1317 si aggiunse un altro figlio maschio: Giovanni, futuro duca d'Atene e di Neopatria. Infine, l'8 maggio 1318 nacque a Mazara del Vallo un quinto bambino, che fu battezzato Ruggero, a richiamo della tradizione normanna; anch'egli, tuttavia, dovette avere vita breve, visto che non ha lasciato altre tracce. Federico ed E. ebbero anche tre figlie femmine, oltre alla già citata Costanza: Margherita, deceduta in tenera età; Isabella, futura consorte di Stefano, il secondogenito di Ludovico il Bavaro; Caterina, che entrò nel convento di S. Chiara a Messina.
Nel 1319 E. ebbe contatti con il papa Giovanni XXII, che il 10 e l'11 novembre, con varie lettere, in deroga all'interdetto comminato a tutta la Sicilia le accordò il permesso di assistere alle funzioni religiose, di scegliere liberamente il proprio confessore, di ricevere l'estrema unzione e infine - a cagione della sua debolezza fisica - di mangiare carne, dopo l'imbrunire, nei giorni di digiuno. Queste scarse notizie giustificano l'ipotesi che E. all'epoca soffrisse di qualche grave malattia.
Sul suo destino negli anni seguenti non abbiamo informazioni. Certo è soltanto che il 19 apr. 1322, a Palermo, presenziò all'incoronazione di suo figlio Pietro, associato dal padre Federico al trono di Sicilia. Nel 1325, in occasione dell'attacco sferrato contro la Sicilia da suo nipote, Carlo di Calabria, che saccheggiò e incendiò il circondario di Messina, E. intraprese un nuovo tentativo di mediazione, ma anche stavolta senza risultati: Carlo di Calabria, influenzato dal padre, si rifiutò di riceverla e di accettare un armistizio. Nel 1329 papa Giovanni XXII prese l'iniziativa di trattare con E. la pace con Federico, ma anche queste trattative rimasero senza esito.
Al principio del 1332 E. cercò di mediare sul conflitto tra Federico III e Giovanni Chiaramonte il Giovane, tornato da poco in Sicilia dopo essere stato al servizio di Ludovico il Bavaro. Ma neanche stavolta la sua mediazione ebbe fortuna: in una scaramuccia Giovanni feri gravemente Francesco Ventimiglia, suo nemico personale e fiduciario di Federico, e fu messo al bando dal re. E., che per tutta la vita dimostrò particolare attaccamento verso i Chiaramonte, non poté far altro che convincere Giovanni a lasciare la Sicilia al più presto, per non essere condannato a morte come traditore. Contemporaneamente, tuttavia, gli inviò dei messaggi assicurandogli che sarebbe potuto rientrare presto.
Nell'estate del 1333 E. fece un ultimo tentativo per indurre alla pace Federico III e il pontefice. Già nella primavera essa aveva inviato alla Curia avignonese una legazione, che fu accolta onorevolmente, come Giovanni XXII le assicurava in una lettera del 7 giugno. L'8 settembre il pontefice le scriveva di nuovo, spiegandole di non poter intavolare trattative dirette con lo scomunicato Federico, ma invitando E. a ricondurre il consorte sulla retta via e a fare tutto il possibile per consentire il suo rientro in grembo alla Chiesa e salvare la sua anima dalla dannazione. In cambio, il pontefice prometteva a Federico onori e favori. Questi sondaggi condussero a una breve sospensione dell'interdetto sulla Sicilia, ma per il resto rimasero infruttuosi, poiché E., madre di principi aragonesi, tendeva a difendere le loro posizioni anziché quelle della famiglia paterna.
Nulla si sa delle attività di E. negli ultimi anni di vita di Federico. L'unica informazione attendibile rivela che il 9 febbr. 1337 a Catania essa conferi il feudo di Morju ad un certo Tommaso de Turtoreto.
Il 25 giugno Federico III mori presso Paternò, presente E., che provvide poi a far portare la salma a Catania. Federico fu sepolto nel duomo catanese, poiché il caldo estivo impediva il trasporto fino a Palermo. Il testamento nominava E. esecutrice insieme col vescovo di Siracusa, con Francesco Ventimiglia, conte di Gerace, con Raimondo Peralta, gran cancelliere del Regno, e col maestro giustiziere Blasco Alagona.
Dopo la morte del consorte E. cercò di uscire dall'ombra e di acquisire maggiore influenza sulla politica siciliana, aiutata anche dal fatto che Pietro II non dimostrava interesse per gli affari di governo. Un primo successo le arrise quando riusci ad imporre il ritorno del suo più stretto confidente, Giovanni Chiaramonte. Sebbene egli si trovasse temporaneamente al servizio del nemico angioino, la magna curia, convocata a Nicosia, lo riabilitò e un diploma di Pietro II del 30 dic. 1337 gli restitui quasi tutto il suo patrimonio.
Ben presto, tuttavia, E. trovò una rivale nella consorte di Pietro II, Elisabetta di Carinzia, che cercava di acquisire crescente influenza sul marito e di spianare alla famiglia dei Palizzi, da lei favorita, la strada verso le cariche più elevate. Elisabetta riusci a prevalere: i Palizzi divennero i più stretti confidenti di Pietro e occuparono le posizioni chiave di gran cancelliere e maestro razionale.
Poco dopo il rientro del Chiaramonte riesplose l'antico contrasto tra il suo casato e i Ventimiglia. Cosi nel 1338 il castellano di Lentini, Ruggero Passaneio, fu accusato di voler rilasciare, dietro riscatto, Francesco (II) Ventimiglia, che era stato affidato alla sua sorveglianza. E. in persona si recò immediatamente a Lentini cercando di mediare, ma il Passaneto rifiutò di accoglierla nella roccaforte, che cercò addirittura di cedere agli Angioini. Falli cosi l'ultimo tentativo compiuto da E. per mediare tra i Chiaramonte e i Palizzi; la crisi fu risolta solo dall'intervento di Blasco Alagona, che intavolò trattative col castellano di Lentini.
Anche in politica estera E. cercò di giungere a un accordo con il papa Benedetto XII, successo a Giovanni XXII nel 1334, inviando nel 1340 il catanese Guido di Santa e Matteo di Marsala, di Noto, alla corte aragonese nella speranza che Pietro IV facesse da mediatore tra Pietro II e il pontefice. I due emissari si recarono poi alla corte di Avignone, per prestare il giuramento di vassallaggio per la Sicilia, a nome di Pietro II. Ma Benedetto XII respinse bruscamente questa manovra e dichiarò Roberto d'Angiò legittimo re di Sicilia, incitandolo alla guerra contro il ribelle Pietro.
Affranta da questi insuccessi politici, E. condusse negli ultimi anni una vita ritirata. Risiedette prima in una piccola villa ai piedi dell'Etna e poi nel villaggio La Guardia, presso Catania, da cui si recava spesso nel vicino monastero di S. Nicolò d'Arena, partecipando alla vita monastica e agli esercizi di penitenza.
Mori il 10 ag. 1341 in una piccola cella di questo monastero e fu sepolta nella chiesa di S. Maria dell'Immacolata, in piazza S. Francesco, a Catania.
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