ELEONORA d'Aragona, regina d'Aragona
Primogenita di Pietro Il d'Aragona, re di Sicilia (o Trinacria), e di Elisabetta di Carinzia, nacque forse nel 1325. Ebbe tre fratelli, Ludovico, Giovanni, morto prematuramente, Federico, e sei sorelle: Costanza, Eufemia, Bianca, Violante, Beatrice e Margherita. Di statura alta, dal colorito bianco e roseo, molto magra e gradevole d'aspetto la descrissero i contemporanei; la più dotata di carattere, ambizione e volontà politica tra i figli di Pietro, la giudicarono numerosi biografi, forse perché ebbe disposizione per gli affari del Regno.
Per E. furono avanzate diverse proposte di matrimonio, la prima delle quali nel 1337 da Ramon Berenguer, allora conte di Prades, che non ebbe il consenso del pontefice; a lei aspirò inutilmente anche l'infante Ferrari, marchese di Tortosa; ed, infine, il re d'Aragona Pietro IV, il Cerimonioso, detto anche il Punyalet. Quest'ultimo, dopo la morte della prima moglie Maria di Navarra (1347), si era posto, il problema di una scelta matrimoniale fra una donna della corte siciliana, che avrebbe rivitalizzato il vincolo dal quale era scaturito il Vespro, e l'infante di Portogallo, Eleonora. Per la prima soluzione era d'impedimento il pretesto che avrebbe messo in campo la S. Sede, quello della consanguineità, risalente all'unione fra Costanza di Sicilia e Pietro d'Aragona, dai quali discendevano entrambi i rami d'Aragona; mentre a favore della seconda soluzione pesò l'amicizia tra il Portogallo e la Castiglia tanto utile alla politica continentale del Cerimonioso, che infine scelse Eleonora di Portogallo. Tuttavia, la morte di quest'ultima appena un anno dopo il matrimonio ed il consenso dato dalla S. Sede per un legame con il Regno insulare offrirono a Pietro IV l'opportunità di aspirare alla mano della primogenita di Sicilia, Eleonora. Le trattative avviate nel novembre del 1348, infatti, si conclusero felicemente entro il 1349.
Nell'isola intanto era succeduto a Pietro II, morto nel 1342, il figlio minorenne Ludovico, sotto la reggenza dello zio Giovanni d'Aragona, duca d'Atene e Neopatria, che portava avanti un progetto di riavvicinamento della Sicilia al Regno di Napoli, al fine di superare la fase più aspra del conflitto che si svolgeva in quegli anni. Egli non trascurava però di coinvolgere la casa d'Aragona negli affari siciliani, tanto da chiedere a re Pietro IV la mano della figlia Costanza per Ludovico, unitamente agli aiuti militari per una spedizione contro i Turchi (1344). La morte di Giovanni d'Aragona (1348), tuttavia, lasciò libero il campo all'antica ostilità angioina e la sorella Costanza, divenuta tutrice del giovane re (1352), non riusci a sanare i contrasti tra la cosidetta parzialità latina, capeggiata dalla potente famiglia feudale dei Chiaramonte e quella detta catalana, guidata da Blasco Alagona. Tali condizioni di debolezza erano ben note al Cerimonioso che veniva costantemente informato degli sviluppi della situazione dai numerosi catalani residenti in Sicilia, tra cui il console a Messina: questi scriveva delle persecuzioni che infliggeva loro la regina madre Elisabetta, istigata dalle famiglie dei "latini". Perciò è sembrata convincente agli storici l'opinione avanzata più tardi da Zurita, lo storiografo ufficiale della Corona d'Aragona, che Palizzi e Chiaramonte abbiano preteso da E., prima della partenza dalla Sicilia, la rinuncia a ogni diritto di successione nel Regno. Tuttavia, un atto formale di rinunzia da parte della primogenita di Pietro non sembra molto probabile. E., infatti, non aveva niente da cedere, in quanto esisteva un testamento, quello del nonno Federico III, ancora vigente, nel quale egli aveva disposto della sua successione e di quella del figlio Pietro, in linea rigorosamente maschile. Non per nulla, sia lei sia il marito Pietro d'Aragona si adoperarono per escogitare nuove formule atte a superare questo ostacolo. In un documento di cancelleria piuttosto, E., narrando al conte Matteo de Palau della sua partenza da Messina e dell'accoglienza ricevuta dal re a Valencia, lo informava anche di avere giurato che non avrebbe mai prestato aiuto contro la Sicilia a favore dei Catalani e degli Aragonesi, promessa che escluderebbe un atto di rinuncia. Nonostante ciò nella nuova veste di regina d'Aragona, essa dichiarò di giustificare l'intervento armato di Pietro nel dicembre 1349, al fine di spezzare l'alleanza formata dai Genovesi con i ribelli siciliani Chiaramonte e Palizzi.
Il 27 ag. 1349, a Valencia, la ventiquattrenne E. divenne regina d'Aragona e subito dopo il matrimonio il sovrano le firmò un atto debitorio per 10.000 once d'oro che sarebbe servito per pagare i cavalieri e tutti coloro che prestavano servizio in Sardegna. In cambio E. venne autorizzata ad acquistare per il valore di quella somma castelli e località del demanio regio ove desiderava, si che poté aggiungere, all'appannaggio consueto delle regine d'Aragona, un patrimonio ulteriore che poi verra amministrato con molta cura. A tal fine essa si circondò di uno stuolo di funzionari, suoi familiares (tesoriere, maniscalco, camerlengo, segretari e altri), che rappresentavano il suo seguito, la corte reginale, che a lei faceva capo per trattare gli affari suoi e del Regno e che aveva sede in un palazzo a Barcellona, costruito nel "barrio de Simò Oller", a lato del convento dei templari. Spesso i suoi ufficiali fungevano da ambasciatori, come quel famoso Berengario Carbonell, che trattò più volte con la Sicilia, Berenguer Morey, che svolgerà un ruolo importante anche nel futuro, oppure Giacomo Alafranco, Gilet Alaman, ed altri.
Gli anni di E. in Aragona si contraddistinguono per la piena partecipazione alla vita ed alle attività svolte dal marito, accanto al quale essa si trovava quasi costantemente. Nel 1350 gli generò l'erede al trono, Guglielmo, nominato subito duca di Girona; successivamente nascevano Martino ed Alfonso. La sua biografia non si esauriva però in questo ruolo e il raggio delle incombenze di cui si fece carico era così ampio, da meritare una trattazione più vasta.
Si individuano facilmente gli elementi chiave per la lettura dei suoi cinquant'anni di vita, dei quali più della metà trascorsi come regina d'Aragona: forte rilevanza della sua personalità ed influenza esercitata sia nell'ambito della corte aragonese sia di quella siciliana, sulla quale intervenne d'accordo con le sorelle, costante riferimento e vigile sorveglianza sul Regno d'origine; rapporti intessuti con il mondo esterno alla ricerca di collegamenti ed alleanze con altre potenze; progressivo avvaloramento delle sue pretese sulla corona siciliana, fino a che non sarebbero state travalicate dagli eventi.
Le prove del suo carattere E. le diede, influenzando l'azione del marito. Lasciò trasparire, per esempio, tutto il suo malanimo verso il nobile Bernardo Cabrera, curatore ed istruttore del figlio Guglielmo, personaggio chiave dell'indirizzo di quegli anni, avanti di cadere in disgrazia ed essere processato; favorì pure l'allontanamento dalla corte dell'infante Pietro, conte di Prades, zio del Cerimonioso.
Il primo viaggio condusse i reali d'Aragona nel 1354 in Sardegna per pacificare Alghero e ripopolarla; lì ricevettero una serie di visite ed ebbero frequenti scambi epistolari con il re di Sicilia o meglio con la tutrice del re che chiedeva aiuti militari per l'isola minacciata dagli Angioini e dalla feudalità ribellata. Tuttavia, l'interesse di Pietro verso la Sicilia, rinnovato dal legame matrimoniale, non poteva spingersi fino ad affrontare un conflitto armato con Napoli. Egli infatti, negli anni precedenti (1344), si era impegnato a restare neutrale, e dopo il 1349 aveva tentato la via dell'accordo matrimoniale per il figlio Giovanni (1351). I suoi obiettivi erano peraltro chiari: innanzitutto assicurare alla Corona d'Aragona un posto di rilievo fra i paesi della penisola iberica; in secondo luogo, raggiungere il pieno possesso della Sardegna, reprimendo tutte le rivolte ed allontanando le interferenze delle città italiane; in ultimo, verificare le amicizie e controllare le inimicizie, onde dirimere la possibilità di alleanze minacciose per il suo programma di espansione nel Mediterraneo. Un'istintiva prudenza gli suggeriva perciò di mantenersi sempre sul piano delle trattative diplomatiche e di estenderle, oltre che ai reali di Napoli, al papa e all'imperatore Carlo di Boemia, affinché si giungesse ad una soluzione onorevole del conflitto siculo-angioino, che salvaguardasse i suoi interessi.
Costretto solo dall'azione unitaria turco-genovese ad intervenire in Sicilia, Pietro lasciò in genere che fosse E. ad avere l'esclusiva dei rapporti con l'isola, che mantenesse rapporti affettuosi con i fratelli, che scambiasse lettere di cortesia con i massimi rappresentanti politici e con le nobili donne di entrambi gli schieramenti, alle quali, per esempio, si rivolgeva quasi l'indomani stesso delle nozze. Più volte, inoltre, fu E. a farsi presente per dirimere i numerosi episodi di intolleranza tra Siciliani e Catalani. Intervenne per chiedere la liberazione di nobili iberici, presi spesso con le loro famiglie dall'avversa parte latina, e si raccomandava alla nobiltà isolana perché venissero esaudite le sue richieste. Prodiga di consigli verso tutti, giunse nel 1354 addirittura a proporre al fratello Ludovico di recarsi in Sardegna per unirsi in lega con l'Aragona ed ottenere per questo tramite gli aiuti di cui aveva bisogno.
Intanto le sollecitazioni che giungevano dall'isola s'intrecciavano con il progetto di matrimonio fra il re di Sicilia e Costanza d'Aragona, che, riproposto nel 1354 e portato avanti con una certa lentezza alla corte pontificia, fu seguito con grande partecipazione da E., la quale mediò l'impazienza del fratello con lettere di speranza e di informazione costante sullo stato delle trattative. Le cose procedettero al punto, anche riguardo alla dispensa papale, che alla morte di Ludovico non si abbandonò l'idea del legame di parentela, ma la si trasferì sul successore Federico IV e si stilò formalmente l'impegno a Perpignano nel 1356. Il fratello di E. era a quel tempo minorenne, sotto la luogotenenza della vicaria Eufemia d'Aragona, la quale contava sugli aiuti aragonesi per superare le difficoltà in cui si era venuta a trovare; inoltre, mentre proseguivano le trattative, E. rivolse alla sorella consigli di governo e le prospettò, con una missione inviata nel 1357, l'opportunità di indurre Federico a cedere l'isola alla stessa E., visto che il caso di morte prima della nascita di un erede non era raro nella famiglia reale. E. voleva lasciare intendere con ciò che l'Aragona era pronta ad esporsi solo di fronte a concrete possibilità di subentrare in Sicilia e sembra che Federico addivenisse in certo modo all'ipotesi di successione di Pietro ed Eleonora, ma solo in caso che egli fosse morto senza eredi di entrambi i sessi.
La situazione siciliana presentava ormai elementi di instabilità tali da fornire l'occasione ai reali d'Aragona di far pesare maggiormente la loro alta protezione: attraverso la documentazione ci si accorge che mutano i toni e le pretese, senza dire che in Sicilia si fa ardito qualche loro sostenitore, fra cui il protonotaro Perrone Gioeni, che nell'assemblea in cui si dibatteva il problema di una eventuale successione a Federico, infermo, sostenne il diritto alla corona della primogenita di Pietro, E., a preferenza della vicaria Eufemia, che di fatto esercitava già il governo. Il Gioeni, con il suo intervento, voleva dar voce all'idea, nata certamente alla corte catalana, della legittimità della trasmissione del Regno in linea femminile. Sembra infatti che il cronista Michele da Piazza interpreti bene l'opinione comune quando fa presente gli antichi diritti dell'Aragona sull'isola ed il loro rafforzamento attraverso l'unione tra Pietro ed Eleonora. È da collocare probabilmente in questi anni, nei quali si cominciava a parlare di priorità e di titoli pregressi, la copia eseguita del testamento di Federico III, ancora oggi conservata a Barcellona: ipotesi che è avvalorata dalla notizia secondo la quale nel 1356 quel documento - dopo essere stato oggetto di discussione tra dottori e giuristi - fu inviato da Pietro ad Avignone, per essere sottoposto all'esame della Curia pontificia.
Nel tentativo di avvicinare sempre più l'isola all'Aragona, E. si prodigava per combinare matrimoni tra le sorelle e nobili di Francia o di Spagna: per Eufemia, che morirà anzitempo, propose le nozze con il conte d'Alençon o con il re di Navarra; per Bianca, che rischiò di essere unita alla parte latina sposando il conte Giovanni Chiaramonte, fece concludere l'unione con il conte d'Empuries. Ma la realizzazione del progettato matrimonio fra Costanza e Federico, che avrebbe comportato un impegno ed un aiuto militare immediati, risultò più laboriosa e difficile di quanto il re di Sicilia sperasse ed il disagio creatosi alla sua corte consentì ad E. di ottenere alcuni vantaggi. Tuttavia, mentre Messina cadeva in mano agli Angioini e altre parti dell'isola erano occupate dalla feudalità latina, passata all'obbedienza a Napoli, le due corti, invece di agire, dialogavano e si scambiavano messaggi che vertevano sempre intorno al matrimonio concordato ed alla possibilità d'intervento aragonese. Ciò può significare che Pietro, pur dopo il trattato di Montpellier, tardasse a bella posta l'invio dell'infante, ma è chiaro che per il suo interlocutore si sarebbe aperta la strada a nuove riflessioni.
Lo Zurita sostiene, interpretando un'opinione che doveva essere diffusa in quegli anni, che l'unica speranza per l'isola era riposta nell'aiuto che le poteva venire dall'Aragona e tale doveva essere la convinzione di Pietro ed E., che spiegherebbe l'atteggiamento tenuto in quei momenti. Alcuni storici moderni sostengono che sotto il ricatto della guerra, le invasioni, l'insubordinazione feudale, il sovrano e la vicaria di Sicilia abbiano consentito alla cessione dell'isola a favore di E. ed all'unione delle corone. Altre voci autorevoli, al contrario, lo escludono o lo ridimensionano notevolmente, come d'altra parte ci induce a fare la riflessione storica: c'è da considerare fra l'altro l'opinione di Michele da Piazza che assistette agli avvenimenti ma non parla di un passaggio della corona. Inoltre tutto lascia pensare che la presunta cessione fosse un'operazione tardiva di propaganda filoaragonese, che voleva giustificare gli avvenimenti che sarebbero seguiti; non è casuale infatti che ne sia convinto proprio Jeronimo Zurita. C'è chi ritiene - ed è questa la cosa più plausibile - che la novità nel 1357 consisteva solamente in un'estensione del diritto di successione alla discendenza femminile di Pietro II di Sicilia. D'altra parte, se il risultato ottenuto fosse stato quello desiderato da Pietro ed E., cioè la trasmissione all'Aragona dei diritti sulla corona isolana, non si comprenderebbe il raffreddamento dei rapporti tra il 1358 ed il 1359, né il disinteresse reciproco, che è dettato invece dalla ricerca di altre vie.
Quando perciò i fedeli Alagona sollecitarono dalla Sicilia E. e Pietro, prospettando il pericolo di nuove alleanze per l'isola, i reali d'Aragona uscirono finalmente dall'ambiguità ed inviarono al re di Sicilia, negli ultimi mesi del 1360, l'infante Costanza. Federico, da parte sua, sfuggendo al controllo dei suoi oppositori, latini e angioini, celebrò le nozze a Catania il 15 apr. 1361. Il matrimonio però non portò a miglioramenti sul piano militare e politico; anzi, E. fece leva proprio su questo problema per proporre esplicitamente al fratello Federico la cessione del titolo regio in cambio dell'appoggio incondizionato (1362). Tuttavia, non si compromise con l'invio di aiuti, d'accordo, a quanto sembra, con il marito, che in quello stesso periodo cercò di convincere il pontefice dell'idea di una reggenza a tempo definito.
L'atteggiamento dell'Aragona era stato, sino ad un certo punto, cauto nel proteggere l'elemento catalano residente in Sicilia ed aperto con la parzialità latina, con la quale E. scambiò numerose missioni, lettere, raccomandazioni, sempre preoccupata della situazione dell'isola, inviando anche frumento e sale oppure cavalli. Ciò non le aveva impedito, tuttavia, di accogliere i transfughi siciliani e di intavolare rapporti con gli oppositori, tanto che durante il tumultuoso periodo della minorità del fratello le fu agevole reclamare presunti diritti e porre innanzi le sue prerogative di primogenita di Sicilia.
La fase interlocutoria giunse al suo termine con la nascita di Maria, figlia di Federico IV, il giuramento di fedeltà prestatole dai sudditi e la morte della madre Costanza (1363), che vanificavano le rivendicazioni di E. sulla corona siciliana. E. ne fu tanto consapevole da reagire chiedendo al pontefice Urbano V il governo dell'isola, sulla base della presunta incapacità del fratello, chiamato dai contemporanei - ed in questo si avverte fortemente l'opera denigratoria svolta da entrambi i sovrani d'Aragona -, il Semplice ("el Simple"), l'inetto. Allo stesso tempo incalzò i maggiorenti dell'isola esigendo il saldo di certe sue spettanze: la propria dote, valutata in 100.000 fiorini, e quella della sorella Bianca, ormai defunta, di 45.000 fiorini; chiese di riscuotere le due somme sull'imposta per l'esportazione del frumento e dinanzi ai comportamenti dilatori operò, con molto senso pratico e l'avallo di Pietro, l'esazione diretta nei porti di sbarco nel Regno.
Nel momento di maggiore forza E. dimostrò quindi di tenere per fermo il suo diritto alla corona di Sicilia e si impegnò tenacemente al fine di ottenere ciò che le spettava, cioè le due doti ed in genere tutto il debito che era maturato verso l'Aragona. Poiché tuttavia tale pagamento non avveniva per le difficoltà finanziarie del fratello, essa lo barattò abilmente con la cessione dei ducati di Atene e Neopatria, rimasti da poco senza titolare, approfittando, fra l'altro, dell'atteggiamento favorevole di quei sudditi lontani verso l'Aragona, dalla quale essi si aspettavano concretamente soccorso ed aiuti. Dal 1358 E. ostentò negli atti ufficiali il titolo di duchessa di Neopatria. Con l'aiuto di Pietro, inoltre, reclamò i diritti che le venivano dalla madre Elisabetta sui ducati di Carinzia e di Tirolo. La sua presenza fu quindi sempre vigile tra le parti ed il peso avuto nei giochi che si compivano nel Mediterraneo le procurò autorità e rispetto da parte di tutti, a tal punto da consentirle di trattare personalmente diversi affari, come la liberazione delle infanti sue sorelle, prigioniere dei sovrani di Napoli (1359); oppure, più significativamente, la di poco precedente richiesta al re del Marocco di aiuti per l'isola.
Come regina d'Aragona E., inoltre, assolse un importante ruolo di mediazione delle tensioni interne. L'intervento di E. fu richiesto anche dal giudice sardo Mariano d'Arborea, il quale, mentre dichiarava la propria fedeltà a Pietro, intesseva trame con Genova ed inviava suoi ambasciatori presso tutti i centri di opposizione antiaragonese. Contrastato fortemente dal governatore di Sardegna Bernardo de Cabrera, secondo lui ingiustamente, il giudice supplicò E. di intercedere in suo favore presso il re (dicembre 1353).
Nel 1365 Federico di Sicilia, rimasto vedovo da due anni, si staccò dall'Aragona, per intavolare trattative con gli Angiò ed il pontefice. Con le paci stipulate nel 1364 e nel 1372 la Chiesa consentì alla trasmissione del Regno anche in linea femminile (a cominciare dalla discendenza di Federico IV, fu successivamente specificato dal pontefice) e quindi alla successione di Maria, figlia di Costanza, avviando la composizione del conflitto siculo-angioino attraverso il matrimonio di Federico IV con Antonia Del Balzo. E. protestò con il fratello per avere accettato condizioni lesive dei suoi diritti e ancora nel testamento nominò il figlio Martino suo erede sia in Sicilia sia in Carinzia e in Tirolo. Ma non vedrà aprirsi la successione, visto che Federico le sopravviverà.
Ormai sofferente ed ammalata, probabilmente di nefrite, si recò con il marito in pellegrinaggio al monastero di S. Maria di Montserrat e morì a Lleida, il 20 apr.1375.
Un segno della risonanza della sua vita nell'animo dei contemporanei si può cogliere nella traduzione dei dialoghi di s. Gregorio, dedicatale da frate Giovanni, della famiglia Campolo di Messina, come dagli epiteti affettuosi che in Catalogna le sono stati attribuiti.
Fonti e Bibl.: Fra le fonti documentarie inedite si ricordano, nella sezione separata di Cancilleria, dell'Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona, le seguenti serie di Registros dedicate ad E.: Curiae et Peccuniae, n. 1563 (comprendente gli anni 1349-52); Officialium, n. 1564, aa. 1349-68; Demandarum, n. 1565, aa. 1352-55; Speciale, nn. 1566-1569, 1571, 1573-1583, aa. 1353-75; Commune et Diversorum, n. 1570, aa. 1360-62; Pro infante Martino, n. 1572, aa. 1362-68; Real Audiencia. Procesos, n. 510/9. Tra le fonti documentarie edite si veda: G. Cosentino, Codice diplomatico di Federico III d'Aragona re di Sicilia, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. 1, IX, Palermo 1885, ad Indicem; A. Mango, Relazioni tra Federico III di Sicilia e Giovanna I di Napoli, Palermo 1895, ad Indicem; Clément VI (1342-1352). Lettres closes, patentes et curiales, a cura di E. Déprez-M. Mollat, I, Paris 1960, nn. 1460 p. 189, 1529 p. 201, 1573 p. 207, 1587 p. 209, 1670 p. 224, 1671 p. 224, 1753 p. 237; L. D'Arienzo, Carte reali diplomatiche di Pietro IV il Cerimonioso, re d'Aragona, riguardanti l'Italia, Padova 1970, ad Indicem.
Le cronache più ricche di notizie su E. sono: Crónica de Pere el Cerimoniòs, in J. I. Bernat Desclot-R. Muntaner. Pere III, Les quatre grans cròniques, a cura di F. Soldevila, Barcelona 1983; Michele da Piazza, Cronaca. 1336-1361, a cura di A. Giuffrida, Palermo 1980; ma cfr. anche J. Zurita, Anales de la Corona de Aragón, II, Zaragoza 1610, libri VII-X. Cfr. inoltre: G. Cosentino, Cessione del Regno di Sicilia alla Casa d'Aragona fatta da re Federico III, in Arch. stor. sicil., n. s., VII (1883), pp. 184-195, docc. I, p. 199, IV, p. 201; A. Rubiò i Lluch, Els governs de Matheu de Moncada y Roger de Llùria en la Grecia catalana, in Anuari de l'Institut de estudis catalans, V (1913-14), pp. 23, 28, 37, 54; F. Martinez Ferrando, El tercer casamento de Pedro el Cerimonioso, in III Congreso de historia de la Corona de Aragón, Valéncia 1923, pp. 5-21; L. Nicolau d'Olwer, L'expansió de Catalunya en la Mediterrània oriental, Barcelona 1974, pp. 88, 99, 101; U. Deibel, Elionor de Sicilia, sobiranes de Catalunya, Barcelona 1928; F. De Stefano, La soluzione della questione siciliana (1372), in Arch. stor. per la Sicilia orient., s. 2, IX (1933), p. 62; F. Soldevila, Història de Catalunya, I, Barcelona 1963, pp. 467, 477, 479, 482 ss., 488; E. G. Léonard, Histoire de Jeanne I reine de Naples, III, Paris-Monaco 1936, pp. 565 s., 68, 72, 204-207, 214-218, 221, 232, 242-245, 261, 263 s., 274 ss., 283, 289, 293, 324, 350 s., 402, 404, 468 ss., 491, 493, e docc. XXXVI p. 550, LXIII p. 600, LXXIII p. 612, LXXXVII p. 630, CXIV p. 662, CXVI p. 664; V. Epifanio, Riflessi di vita italiana … Trecento, in Arch. stor. per la Sicilia, VII (1941), pp. 168 ss., 180, 182; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo. Dal regno al viceregno in Sicilia, I, Palermo 1953, pp. 24, 60-63, 111-115, 117-121, 123-126, 164 s.; G. Fasoli, L'unione della Sicilia all'Aragona, in Riv. stor. ital., LXV (1953), pp. 300 s., 306; E. G. Léonard, Les Angevins de Naples, Paris 1954, pp. 131, 149; R. Tasis i Marca, La vida del rei en Pere III, in Historia de Catalunya. Biografies catalanes, VII, Barcelona 1957, pp. 39, 51 s., 61, 74, 92 ss.; S. Tramontana, Michele da Piazza e il potere baronale in Sicilia, Messina-Firenze 1963, pp. 172, 174 s., 218; I. Peri, Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne. 1282-1376, Roma-Bari 1982, pp. 188, 191, 202 s., 225, 253.