ELEONORA de Toledo (Alvarez de Toledo), duchessa di Firenze
Nacque in Spagna nel 1522 da don Pedro e da Maria Osorio Pimentel, marchesa di Villafranca.
La madre era l'ultima erede della sua casata, tanto che all'atto del matrimonio trasmise al marito il feudo ed il titolo di marchese di Villafranca. Il padre era figlio cadetto di Fadrique, secondo duca d'Alba e cugino di Ferdinando il Cattolico; dopo la morte di quest'ultimo don Pedro si era distinto soprattutto nel domare la ribellione della Navarra e nel riportarla all'obbedienza del legittimo crede del Cattolico, l'imperatore Carlo V. Proprio il valore militare e la lealtà verso l'imperatore dimostrati in questa occasione valsero a don Pedro la nomina a viceré di Napoli, carica di cui entrò in possesso il 4 sett. 1532.
A Napoli E. trascorse quindi gli anni dell'adolescenza, tra le feste sontuose, lo sfarzo delle vesti e la rigida etichetta "alla spagnola" della corte vicereale. Il fasto della corte, il rango della famiglia, ma soprattutto la consapevolezza di vivere in un ambiente ostile agli Spagnoli in generale ed a suo padre in particolare dovettero imprimere un segno indelebile sulla personalità di E., dettandole quegli atteggiamenti alteri e scostanti che le saranno poi rimproverati soprattutto dai suoi sudditi fiorentini. Poco si sa della sua educazione; si può solo dedurre dalle vicende posteriori della sua vita che ella dovette ricevere un'istruzione adeguata al ruolo sociale della famiglia: educazione che, sebbene fortemente improntata ai principi della religione cattolica. dovette rimanere del tutto estranea a qualsiasi forma di fanatismo ed intolleranza, dato che ella ebbe come amica e maestra una gentildonna ebrea sefardita, donna Benvenida Abrabanel, che con il marito Samuele costituiva forse la più influente e prestigiosa famiglia della comunità ebraica napoletana e con la quale i rapporti non si interruppero nemmeno dopo il trasferimento in Toscana di Eleonora.
Tale trasferimento avvenne nel 1539, in seguito al matrimonio con Cosimo de' Medici, da poco assurto al ducato di Firenze.
Per il giovane Cosimo (era nato nel 1519), che la tragica morte del cugino Alessandro aveva inopinatamente tratto da una condizione oscura e modesta sotto tutti i punti di vista, il matrimonio costituiva un'occasione irripetibile per allacciare utili alleanze politiche che gli avrebbero permesso di consolidare la sua posizione interna ed internazionale. Egli infatti mirava in primo luogo a stabilire un legame più saldo e più diretto con l'imperatore, da cui dipendeva tanto la sua permanenza al vertice dello Stato fiorentino (resa precaria dalle trame degli esuli, che trovavano benevolo ascolto alla corte di Francia, nonché dalla ingombrante tutela da parte del gruppo degli ottimati cui egli doveva la sua designazione a succedere al duca Alessandro), quanto l'esistenza stessa del Ducato di Firenze come Stato indipendente, continuamente minacciata dal lungo contrasto tra l'imperatore ed il re di Francia e dagli appetiti nepotistici, mascherati dietro ripetute dichiarazioni di neutralità, di papa Paolo III.
Cosimo, che soltanto due anni prima, quando era ancora un privato cittadino, aveva visto frustrati i propri progetti nuziali con Maddalena Cibo e poi con Elisabetta Guicciardini, poteva ora aspirare ad un matrimonio principesco e perfino alla stessa figlia naturale di Carlo V, Margherita d'Austria, vedova di Alessandro de' Medici. Tuttavia le avances avviate in questo senso tramite il suo inviato alla corte imperiale, Giovanni Bandini, fino dai primi giorni della sua successione al ducato, non avevano ricevuto una risposta favorevole da parte dell'imperatore. Sfumata questa possibilità e scartata anche la candidatura di Vittoria Farnese, nipote del papa, Cosimo fece chiedere all'imperatore attraverso i suoi inviati che fosse lo stesso Carlo V a scegliere per lui una sposa "bella, nobile, ricca" e di parte spagnola. Mentre si aspettava la decisione imperiale si fece avanti don Pedro de Toledo, offrendo una delle sue figlie.
Egli avrebbe preferito collocare alla corte di Firenze la maggiore, Isabella, per la quale chiedeva il pagamento di 80.000 scudi di dote da parte del promesso sposo. Ma Cosimo, avvertito da Agnolo Niccolini, suo agente a Roma, che costei era "bruttissima e di cervello il ludibrio di Napoli", pretese ed infine ottenne la seconda che, secondo A. Mannucci (Vita di Cosimo I, Pisa 1823, p. 97), egli aveva già conosciuto tre anni prima, quando si era recato a Napoli al seguito del duca Alessandro.
Per negoziare le condizioni del matrimonio Cosimo inviò alla corte di Napoli due emissari, Luigi Ridolfi e Iacopo de' Medici, accompagnati dal notaio Bernardo Gamberelli, che partirono da Firenze nel febbraio 1539. L'accordo fu raggiunto soltanto il 29 marzo successivo, giorno in cui avvenne anche il matrimonio per procura.
I patti matrimoniali (in originale in Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico - Mediceo, 29 marzo 1539) prevedevano l'esborso da parte del Toledo di una dote di 20.000 scudi; Cosimo da parte sua prometteva alla sposa, tramite i suoi procuratori, due donativi, per complessivi 30.000 scudi.
Nonostante l'esito favorevole della trattativa e l'avvenuta celebrazione del matrimonio, la partenza di E. per la Toscana fu procastinata di quasi due mesi. Nel frattempo ella si dimostrava, a detta degli agenti medicei, molto impaziente di raggiungere lo sposo e di dare inizio alla sua nuova vita e si esercitava alla comprensione della lingua italiana, cercando di leggere senza alcun aiuto le lettere che Cosimo le inviava ed a cui ella però rispondeva in spagnolo.
Finalmente l'11 giugno E. salpò da Napoli accompagnata dal fratello don Garzia e da un numeroso seguito di cavalieri e dame per lo più spagnoli che richiesero, insieme col bagaglio, l'equipaggiamento di sette galere. La mattina del 22 giugno sbarcò a Livorno, accolta, in rappresentanza dello sposo, che l'attendeva a Pisa, da Onofrio de Bartolini, arcivescovo di Pisa.
Il giorno dopo la coppia ducale, accompagnata da un numeroso seguito (ai nobili spagnoli venuti da Napoli con E. si aggiunsero gli aristocratici fiorentini che avevano accompagnato Cosimo a Pisa), si diresse alla villa medicea di Poggio a Caiano, ove rimase alcuni giorni e da cui fece poi la domenica successiva, 29 giugno, il solenne ingresso in Firenze.
Intanto nel palazzo mediceo di via Larga, già residenza del duca Alessandro, fervevano i preparativi per i festeggiamenti nuziali, che contemplavano banchetti, musiche e rappresentazioni teatrali e che, iniziati dopo la solenne cerimonia religiosa nella basilica di S. Lorenzo, si protrassero per alcuni giorni. Il resoconto di questi festeggiamenti, descritti in una lettera dal letterato Pier Francesco Giambullari all'oratore fiorentino in corte imperiale, Giovanni Bandini, fu successivamente dato alle stampe (Moreni, p. 5).
Con questi sontuosi festeggiamenti, coronati da distribuzioni di elemosine, Cosimo si riprometteva, oltre che di ridare impulso alla attività artistica e culturale della città, del tutto spenta dopo il lungo assedio del 1530, di accattivarsi le simpatie del popolo fiorentino, ancora legato, specie negli strati intermedi, alle suggestioni palingenetiche ed agli ideali "democratici" che avevano sostanziato la predicazione di G. Savonarola; il secondo obiettivo fu però raggiunto soltanto in minima parte, dato che l'opinione pubblica rimase sfavorevolmente colpita dal fatto che il duca avesse sposato "una barbara spagnola nemica alla patria del suo marito" (A. Marucelli da San Gallo, Cronaca fiorentina, in Cantagalli, p. 111).
Il matrimonio fu invece un completo successo dal punto di vista politico per Cosimo: gli garantì infatti il permanente appoggio di una delle più potenti consorterie spagnole e lo mise sullo stesso piano dei governanti degli altri Stati che costituivano il composito Impero di Carlo V. In altre parole, la parentela con i Toledo trasformò il Medici da temporaneo protetto dell'imperatore a membro permanente della confederazione di Stati che avevano nell'imperatore il comune punto di riferimento. Questo fatto fu opportunamente sottolineato dallo stesso Carlo V nelle sue Istruzioni dirette al figlio Filippo II il 18 genn. 1548: "Il duca di Firenze", ebbe a scrivere, "si è sempre dimostrato molto devoto … Data la sua parentela con i Toledo … e la situazione del suo Stato … tu farai bene a benvolerlo e favorirlo in ogni sua faccenda" (Cochrane, pp. 38 s.).
Nonostante la logica squisitamente politica cui obbediva, il matrimonio di E. fu molto felice, cementato da un profondo legame di stima e di affetto tra i due coniugi (cosa affatto inusitata per i matrimoni principeschi dell'epoca) e dalla nascita di almeno otto figli (Maria nel 1540, Francesco nel 1541, Isabella nel 1542, Giovanni nel 1543, Lucrezia nel 1545, Garzia nel 1547, Ferdinando nel 1549, Pietro nel 1554). Per merito di E., la cui prolificità rese quanto mai indovinato il motto scelto per lei dal marito (Cum pudore laeto fecunditas) e che campeggia in molti dei suoi ritratti (se ne veda l'inventario in Langedijk, pp. 692-708), la famiglia Medici, continuamente minacciata fino ad allora dal pericolo dell'estinzione, si trasformò in una numerosa compagine, capace di assicurare alla Toscana la continuità dinastica per due secoli.
Oltre alla sua numerosa prole, E. si prese cura anche di una figlia naturale di Cosimo, nata prima del matrimonio.
L'ingresso di E. in palazzo Medici segnò una vera e propria rivoluzione nello stile di vita, fino ad allora piuttosto sobrio e quasi borghese della famiglia: ben presto il vecchio palazzo di via Larga, edificato da Michelozzo nel secolo precedente per Cosimo il Vecchio, si rivelò insufficiente ad accogliere la moltitudine di dame, paggi, cavalieri, servitori, per lo più spagnoli, di cui la duchessa amava circondarsi; inoltre il palazzo stesso era stato nello stesso periodo assegnato in proprietà a Margherita d'Austria, la vedova di Alessandro; pertanto nel 1540, pochi giorni dopo la nascita della figlia primogenita, Maria, la famiglia ducale si trasferì nell'antico palazzo della Signoria, che fu ristrutturato per adattarlo alle esigenze della famiglia; in particolare l'appartamento destinato ad E. fu dotato di una cappella, affrescata dal Bronzino, e di una terrazza con giardino pensile. In seguito, nel 1549, E. acquistò per la famiglia il palazzo dei Pitti, che mediante lavori di ampliamento e ristrutturazione durati alcuni anni e la dotazione di un giardino monumentale (il giardino di Boboli) fu trasformato in un'autentica reggia.
Il 1º ag. 1541 ebbe luogo il battesimo del secondo figlio e primo dei maschi, Francesco, così chiamato per onorare un voto fatto da E. alcuni mesi prima in occasione di un pellegrinaggio al santuario francescano della Verna; pochi giorni dopo Cosimo dovette recarsi a Genova per incontrare l'imperatore, lasciando ad E. le redini dello Stato. Dopo un iniziale moto di sgomento per le insolite responsabilità ("il sig. duca, per quell'affetto che ci vuole grandissimo, ha un concetto di noi maggiore del nostro merito e ci ha lasciato, nel partire per Genova, il peso di governare questi sudditi", scrisse alla superiora di un monastero pistoiese, chiedendone il sostegno morale e le preghiere; Cantini, p. 516), sembra che poi le abbia assolte con impegno.
Circostanze analoghe si verificheranno nel maggio-giugno 1534, in occasione di un altro viaggio a Genova di Cosimo, che doveva discutere con l'imperatore le condizioni per la restituzione delle fortezze di Livorno e di Firenze, ancora presidiate da guarnigioni spagnole. E., che aveva accompagnato il duca fino a Pietrasanta, tornò a Firenze e per qualche tempo dovette di nuovo occuparsi, con l'aiuto dei segretari ducali, degli affari di Stato. Nell'autunno dello stesso anno poi il duca Cosimo fu colpito da una grave malattia e ancora una volta fu E. che per circa dieci mesi si occupò del governo. Secondo Bernardo Segni, il peso di E. nella vita politica dello Stato fiorentino fu rilevante anche al di fuori di questi periodi di reggenza, in cui l'assenza o l'impedimento del duca la rendevano, anche formalmente, responsabile del governo del Ducato.
Narra infatti il Segni (p. 345) che il duca Cosimo nelle questioni più importanti ricercava il parere dei propri segretari, ma poi riservava la decisione ultima a se stesso, dopo essersi consultato con E. e con lo zio di lei, don Francesco de Toledo, che in qualità di ambasciatore cesareo a Firenze risiedeva quasi sempre presso la corte medicea.
In realtà è difficile discernere, in mancanza di diari, appunti, ricordi, scritti comunque direttamente riferibili ad E., quale fosse il suo ruolo nel maneggio quotidiano degli affari.
Scorrendo il suo carteggio (confluito in massima parte in quello di Cosimo) si evince che l'attività di E. si dispiegò principalmente nel filtrare le innumerevoli richieste di grazie, favori, sussidi, incarichi di ogni genere che da più parti si rivolgevano al duca, ma che venivano indirizzate a lei, con la richiesta, implicita oppure espressa, di una sua intercessione presso Cosimo in favore del richiedente.
Uno degli esempi più significativi di ciò fu l'opera di mediazione svolta da E., tendente a favorire il ritorno a Firenze dell'arcivescovo Antonio Altoviti, eletto nel 1548 ma impossibilitato a metter piede nella sua diocesi per la decisa opposizione di Cosimo I, che si vendicava in questo modo della lunga militanza antimedicea del padre di questo, Bindo Altoviti. Anche Riguccio Galluzzi, lo storiografo più autorevole della dinastia medicea, sottolinea, commentandone la morte, la grande rilevanza di questa attività di E.: "Molto persero i cortigiani perché essa era il canale di tutte le grazie solite compartirsi dal duca" (II, Storia del granducato…, p. 269).
Un altro campo che attrasse in particolare l'impegno di E. fu quello degli investimenti finanziari: ella si occupava in prima persona di ottenere cospicui prestiti in denaro da banchieri tanto fiorentini che stranieri, ma soprattutto genovesi. Impiegava le somme di denaro così ottenute in acquisti immobiliari (oltre al palazzo Pitti, acquistò a suo nome vaste tenute nella Maremma pisana e livornese e i feudi di Castiglion della Pescaia e isola del Giglio), in rifornimenti annonari destinati alla famiglia, ma, in periodi di carestia, alla stessa città di Firenze, in committenza artistica e culturale, in opere pie. Ella inoltre si occupava di commercializzare le eccedenze dei raccolti dei possedimenti ducali. Grazie anche alla sua oculata amministrazione, la situazione economica della famiglia Medici, assai modesta prima del suo matrimonio, migliorò notevolmente.
Di grande rilievo fu l'attività dispiegata da E. nel campo della cultura: si adoperò per la riapertura dello Studio di Pisa e per facilitare il reperimento di alloggi in città per studenti e professori; sotto i suoi auspici sorse in Firenze l'Accademia degli Elevati, per favorire lo studio della poesia, alle cui riunioni, che si tenevano nella residenza ducale, E. spesso intervenne di persona. Il suo mecenatismo si rivolse anche alle arti figurative: Angiolo Tori detto Bronzino fu uno dei suoi pittori favoriti, autore di tanti ritratti di E. e di altri membri della sua famiglia, mentre per la scultura e l'oreficeria commissionò molti lavori a Benvenuto Cellini, prima che il carattere scontroso dell'artista e l'interessata maldicenza di Baccio Bandinelli, altro scultore caro a E., contribuissero a farlo cadere in disgrazia.
Non si deve credere tuttavia che la committenza artistica avesse per E. un carattere episodico e rispondesse a necessità contingenti di procurarle dei gioielli o di abbellire i suoi palazzi; al contrario per lei il mecenatismo doveva entrare programmaticamente a far parte della pratica di governo di ogni principe saggio ed avveduto: "I soggetti che hanno merito e virtù", scriveva infatti a Bartolomeo Concini, suo segretario (Cantini, p. 246), "debbono essere impiegati ed il buon principe non deve aspettare che gli domandino l'impiego, ma deve lui stesso ricercargli".
Importante fu anche la sua attività in campo religioso: a lei si dovette in massima parte il favore con cui i gesuiti, dopo un primo periodo di diffidenza, furono ricevuti a Firenze. Proprio tra di loro, spagnoli come lei, E. scelse il suo confessore e padre spirituale, Jacopo Lainez, che fu uno dei primi compagni di s. Ignazio e suo immediato successore nel generalato dell'Ordine. Gesuita fu anche colui che l'assisté spiritualmente in punto di morte, Francesco Strada; ed all'influenza dei gesuiti, oltre che all'educazione ed al carattere stesso di E., viene generalmente attribuita l'atmosfera di austerità, compostezza e rigore morale che si respirava alla corte di Firenze e che era destinata a non sopravvivere ad Eleonora. Ella fu sempre molto generosa con chiese, monasteri, enti assistenziali, persone ecclesiastiche, tanto durante la vita che dopo la morte, disponendo per testamento, oltre ad alcuni lasciti minori, la fondazione di un monastero di monache benedettine a Firenze, destinato alle figlie delle più aristocratiche famiglie dello Stato e che avrebbe dovuto costituire l'equivalente femminile dell'Ordine di S. Stefano, fondato da Cosimo nel 1561. Tale monastero, detto "il monastero nuovo di via della Scala", fu iniziato a costruire nel 1568.
Molto stretti furono i rapporti di E. con papa Pio IV, che nel 1560 le affidò l'amministrazione degli "spogli" delle abbazie, monasteri ed altri benefici ecclesiastici non concistoriali esistenti sul territorio del Ducato e resisi vacanti, con l'obbligo di devolverne il ricavato in opere di beneficenza. Oltre a costituire un indubbio riconoscimento per E., tale decisione fu anche il mezzo per risolvere una lunga controversia sorta durante il pontificato di Paolo III tra Papato e Ducato di Firenze, appunto a motivo della destinazione dei proventi dei benefici vacanti, la riscossione dei quali il papa aveva affidato a dei collettori apostolici, nominati allo scopo, mentre il duca voleva ricondurla nell'ambito della competenza statale.
Nonostante le numerose gravidanze ed una grave malattia, probabilmente la tubercolosi polmonare, che la colpì nel 1558 e che poi si riacutizzò più volte negli anni successivi, E. condivise tutte le attività del marito: tanto i viaggi di Stato (come quello che la condusse a Siena ed a Roma nel 1560) quanto le non meno faticose battute di caccia e di pesca nella Maremma pisana e livornese, tanto le visite in diverse parti del dominio, anche allo scopo di sorvegliare i molteplici lavori di bonifica intrapresi dal duca, quanto i lunghi soggiorni invernali a Pisa e a Livorno. Oltre alla caccia ed alla pesca ed alle conversazioni con artisti e letterati, passatempi favoriti di E. furono il gioco delle carte e le scommesse; nella sua contabilità non è raro imbattersi in registrazioni di somme, spesso rilevanti, pagate o riscosse per questo motivo.
Ai figli, ma soprattutto alle femmine, E. fece impartire un'educazione severissima, tanto da tenerle continuamente confinate nei loro appartamenti, ove vivevano quasi recluse, con la sola compagnia delle dame e del confessore, seguendo in questo assai probabilmente l'esempio dell'educazione ricevuta da lei stessa alla corte vicereale di Napoli.
Benché non priva di qualità intellettuali e nonostante gli indubbi meriti nei confronti del duca e dello Stato, E. fu assai poco amata dai Fiorentini, i quali le rimproverarono, oltre alla nazionalità spagnola, l'alterigia e l'ostentato distacco nei confronti, non solo dei sudditi, ma degli stessi dignitari di corte; ad essi E. preferiva indubbiamente la compagnia dei connazionali (sembra che abbia avuto dei seri problemi perfino con l'uso della lingua italiana), con i quali invece intratteneva relazioni cordialissime e che cercava di favorire in tutti i modi (ad esempio: aveva fatto loro destinare una cappella nella chiesa fiorentina di S. Maria Novella, detta "cappellone degli Spagnoli").
La vita di E. fu funestata da una serie di lutti familiari: la figlia primogenita Maria morì a diciassette anni, il 19 nov. 1557; nel 1561 morì la figlia minore Lucrezia, poco dopo il suo matrimonio con Alfonso II d'Este. Nell'autunno del 1562, mentre con il marito ed i due figli Giovanni, da poco assurto alla dignità cardinalizia, e Garzia era in viaggio nella Maremma livornese, questi ultimi si ammalarono di febbri malariche e morirono a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro. Pochi giorni dopo E., contagiata dallo stesso male o, più probabilmente per il riacutizzarsi della tubercolosi polmonare di cui soffriva da tempo e in stato di prostrazione psicofisica conseguente alla morte dei figli, morì a sua volta in Pisa il 17 dic. 1562. Fu sepolta, dopo solenni onoranze funebri, nella basilica fiorentina di S. Lorenzo.
Fonti e Bibl.: Il carteggio di E. relativo agli anni 1539-62 si trova unito a quello di Cosimo I de' Medici nell'Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 330-496, su cui si veda ora: Archivio di Stato di Firenze, Carteggio universale di Cosimo I de' Medici, I, Firenze 1982; II, ibid. 1984; V-VI, ibid.1990, ad Indices. Il registro delle lettere di Stato scritte da E. durante la permanenza a Genova di Cosimo Ibid., Carte Strozziane, serie I, 49. Relativi alla situazione patrimoniale ed alla contabilità di E. si trovano nel fondo Mediceo del Principato i seguenti documenti: 642, Inventario delle possessioni; 5922a, Lettere, contratti, quietanze e testamento 1540-1562; 5922b, Copie di lettere e ricordi tenuti per mano di Tommaso de' Medici…; 635, Spoglio di debitori de libri della duchessa di Fiorenza. Si vedano inoltre i Libri mastri della contabilità di E. Ibid., Possessioni, 4136-4140.
L'unico studio monografico su E., pregevole perché basato su uno spoglio pressoché completo dei carteggi medicei, ma che scade talvolta in toni agiografici è A. Baia, Leonora di Toledo duchessa di Firenze e Siena, Todi 1907. Cenni più o meno ampi su E. si trovano in tutte le biografie di Cosimo I de' Medici ed in quasi tutte le storie e le cronache del periodo. In particolare: B. Segni, Storie fiorentine, II, Augusta 1723, pp. 247, 264, 275, 345, 350, 352; R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Livorno 1781, 1, pp. 30 ss., 53, 83, 179, 206; II, pp. 201, 234 s., 263-269; L. Cantini, Vita di Cosimo de' Medici…, Pisa 1805, pp. 99 s., 106, 122, 128 s., 132, 134, 138, 179, 193, 208, 212, 246, 250, 256, 258, 314, 325, 335, 380, 393, 421, 424 s., 447, 516, 538, 626, 635; G. E. Saltini, L'educazione del principe don Francesco, in Arch. stor. ital., s. 4, XI (1889), pp. 52-58, 61, 73, 80; A. Lapini, Diario fiorentino, a cura di G. O. Corazzini, Firenze 1900, p. 102; U. Cassuto, Gli ebrei a Firenze nell'età del Rinascimento, Firenze 1918, pp. 88 s.; G. Pieraccini, La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, II, Firenze 1924, pp. 55.70; G. F. Young, IMedici, II, Firenze 1949, pp. 213 ss., 224, 237, 239, 243, 245 s., 249 ss.; G. Coniglio, Note sulla società napoletana ai tempi di don Pietro di Toledo, in Studi in onore di R. Filangieri, II, Napoli 1959, p. 348; F. Winspeare, Isabella Orsini e la corte medicea del suo tempo, Firenze 1961, pp. 1-13, 15 ss., 20 s., 28, 31, 37, 41, 45, 49, 53 ss., 57, 59 s., 80, 92, 135 s., 138 s., 148; A. D'Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 88, 122, 151, 191, 304, 324, 397, 449 s., 452, 500; E. Cochrane, Florence in the forgotten centuries, London-Chicago 1973, pp. 38 s., 40, 42, 44 s., 49 s., 61, 69, 89 s., 132; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 72, 119, 143, 166, 185, 233; R. Cantagalli, Dalla cronaca fiorentina di Antonio di Orazio Marucelli da San Gallo: spirito pubblico e coscienza popolare a Firenze negli anni tra l'avvento di Cosimo I e la conquista senese, in La nascita della Toscana, Firenze 1980, pp. 111 s., 114, 121; A. Cistellini, La componente religiosa nella personalità dei granduchi del '500, ibid., p. 211; G. Spini, Cosimo I e l'indipendenza del principato mediceo, Firenze 1980, pp. XXI, 132, 135 s., 141, 144, 168, 173, 202 s., 205, 241; K. Langedijk, The portraits of the Medici, Firenze 1981, pp. 98 ss., 692-708; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Medici, tav. XIV, p. 245.
I principali avvenimenti della vita di E. (matrimonio, visita a Siena ed a Roma) e la sua morte dettero spunto a scritti di occasione; se ne veda la bibliografia in D. Moreni, Serie d'autori di opere riguardanti la celebre famiglia Medici, Firenze 1826, pp. 5, 14, 20, 97, 154, 256, 359 s.