ELEONORA Gonzaga, duchessa di Urbino
Nacque a Mantova il 31 dic. 1493, primogenita del marchese Francesco e di Isabella d'Este. Al fonte le fu imposto il nome di Eleonora Violante Maria in omaggio alla nonna materna, Eleonora d'Aragona, morta due mesi prima. Compari al battesimo furono Paolo Barbo per conto della Serenissima, Ludovico da Fogliano per conto di Ludovico Sforza e Giovanni de' Medici per conto del fratello Lorenzo di Pierfrancesco.
Per quanto l'erede maschio fosse nelle speranze del marchese e di sua moglie, E. crebbe circondata d'attenzioni e Francesco Gonzaga, che quando era lontano da Mantova non mancava mai di chiedere sue notizie, l'amava teneramente. La sua educazione fu rigorosa: Sigismondo Golfo della Pergola, bibliotecario e storico dei Gonzaga, già precettore di Isabella, fu il primo a impartirle un'educazione letteraria. Nel 1505, al tempo del matrimonio, al prefetto di Roma che s'informa su E. Gian Lucido Cattaneo poté rispondere che "benintende gramaticha". Al Golfo successe Francesco Vigilio, che insegnò anche a Federico.
Nel dicembre 1503 si cominciò a parlare del matrimonio tra E. e Francesco Maria Della Rovere, designato dal papa come successore di Guidubaldo da Montefeltro nel Ducato di Urbino. Ma solo nel gennaio 1505 Guidubaldo inviò a Mantova Ludovico Canossa per stipulare il contratto. Il 2 marzo 1505 venne celebrato il matrimonio per procura: a Roma, presenti diciotto cardinali ma assente il papa, indisposto, la sposa era rappresentata dallo zio Giovanni Gonzaga.
"Non obstante … la Santità sua voglia che la pubblicatione et nome de la dote sia de ducati 30.000 d'oro, niente dimancho lo effecto è de duchati 28.000 d'oro", aveva scritto il 22 febbraio Francesco Gonzaga, le cui preoccupazioni finanziarie venivano accresciute da questo matrimonio. 20.000 ducati sarebbero stati consegnati alla sposa al momento della sua partenza da Mantova (15.000 contanti e 5.000 in "vestimenti e zoie"), gli altri venivano invece rimessi all'arbitrio di Elisabetta Gonzaga, moglie di Guidubaldo, zia di E. e intima amica di Isabella: sarebbe stata lei a decidere il "tempo del pagamento".
Il 29 aprile Isabella scrisse a Roma a Giovanna Della Rovere che sarebbe stata sua cura inviarle un ritratto di E., non appena avesse trovato un pittore "che sapesse ben colorire. Expectandone uno, subito lo farò fare".
E. in realtà fu ritratta da vari pittori: dal veronese Francesco Bonsignori (cfr. Diz. biografico degli Italiani, XII, sub voce Bonsignori, Francesco, p. 406) e da Lorenzo Costa, nel 1508 (cfr. ibid., XXX, sub voce Costa, Lorenzo, p. 216), infine negli anni 1536-38 la ritrasse il Tiziano: la bellezza giovanile di E. sembra colpisse la fantasia artistica del pittore che riprodusse il tipo idealizzato di lei in varie sue opere. Con Tiziano, del resto, E. e Francesco Maria Della Rovere ebbero molti rapporti (cfr. H. E. Wethey, The paintings of Titian, II, The portraits, London 1971, p. 134).
Nel gennaio 1508 morì la sorella di E., Livia (un'altra sorella, Margherita, nata il 13 luglio 1496 era vissuta solo due mesi); nell'agosto Isabella dette alla luce un'altra bambina, chiamata Livia anch'essa.
Nell'agosto 1508 Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino ad appena diciotto anni, si recò a Mantova per conoscere la sposa. Isabella si trovava allora a Cavriana, per il puerperio, e fu informata sugli avvenimenti da Federico de' Cattanei: il giorno 25 il cardinale Sigismondo accompagnò E., vestita "de tabe biancho", nella camera del Sole. Francesco Maria le si fece incontro, la baciò, ma "parse a li estanti che non havesse satisfato bene; fu spinto dal cardinale nostro a ritornagie e li butò lo brazo a la testa et la basò in bocha: poi andeteno tuti a sedere et resonono di molti casi, in specie de picture" (Luzio-Renier, p. 187). E. aveva allora poco più di quattordici anni e i divertimenti propri dell'età dovevano attirarla certo più dei doveri matrimoniali. Così il 19 giugno 1509 Tolomeo Spagnoli scriveva al duca Federico: "Heri si fece una festa a Capriana, ove donna Leonora cum le donzelle et villane mischiate fecero un gran ballare".
Il 29 nov. 1509 Elisabetta Gonzaga, Emilia Pio e un folto gruppo di urbinati erano a Mantova per condurre la sposa a Urbino. Francesco Maria Della Rovere si trovava allora a Roma dal papa, e proprio il papa inviava a E. "una bellissima lectica portata da due belli fresoni … tutta coperta di tela d'argento tirato, reportata de cordegliere d'oro et apresso una nobil chinea benissimo guarnita" (ibid., p. 191).
Il 9 gennaio, la partenza (due giorni prima era stata rinviata a causa di un accesso di gotta di Elisabetta Gonzaga): il cardinale Sigismondo accompagnò la nipote fino a Gonzaga. Il giorno dopo Isabella scrisse una lettera a Ludovico Brugnolo a Roma per puntualizzare quanto le stava a cuore: E. aveva portato con sé "quatro peze di panno d'oro, de brocchati, tela d'oro et tela d'argento per far quatro camore, argenti de credenza, alcune poche zoglie per uso quotidiano et gli ducati cinquemila…". Il resto delle gioie (per 2.500 ducati) sarebbe stato consegnato se il gioielliere che si aspettava da Bologna fosse giunto in tempo. Ma E., continua Isabella, aveva lasciato disposizioni perché venissero consegnati a un suo procuratore in Mantova. La figlia, si lamentava la duchessa, senza riguardo per i tempi tristissimi per l'erario (allora il padre era prigioniero dei Veneziani), era stata molto esigente nella riscossione della dote, fino a farle perdere - lei diceva - più di 500 ducati, sborsati "voluntieri perché non si credesse che dal canto nostro mettessimo alcuna difficultà".
Certo è che i rapporti tra madre e figlia, anziché da calore e affetto, sembrano, in questa come in altre occasioni, tepidi e centrati su motivi di interesse. Molto più cordiali e assidui furono, ad esempio, i rapporti tra Isabella e la cognata Elisabetta.
Il corteo nuziale si fermò a Gonzaga, a Carpi, Modena, Imola, Forlì, Cesena, Savignano, Rimini e Montefiore. Fu un viaggio all'insegna del cattivo tempo, delle strade pessime e dei fiumi in piena. Francesco Maria Della Rovere incontrò la sposa a due miglia dalla città; l'entrata in Urbino non riuscì come il duca desiderava, se è vero che egli pensava di ripeterla, ma Elisabetta vi si oppose. Da Roma per le nozze arrivarono Cesare Borgia e il conte Ludovico Canossa. Alessandro Picenardi scriveva a Isabella: "La nocte di Natale [gli sposi] si acolegorono insieme et ferono li facti suoi … e la madre duchessa … disse: Alexandro mio caro … le cose sono andate bene" (ibid., p. 195).
E. trovò a Urbino una corte disegnata a immagine di Elisabetta: un cenacolo letterario vivo e aperto in cui lei non riuscì forse a inserirsi completamente. E tuttavia Bernando Dovizi da Bibbiena il 26 dicembre scriveva ogni bene di lei alla madre Isabella.
Giulio II volle che il matrimonio del nipote avesse solenne riconferma a Roma; così dopo l'Epifania E. e Francesco Maria, accompagnati da Elisabetta, Emilia Pio, cavalieri e dame si misero in viaggio. A Roma vennero accolti con feste sontuose, musiche, rappresentazioni teatrali, palii, corse di bufali. E. cercò di intercedere presso il papa per sollecitarlo a intervenire per la liberazione del padre nelle mani dei Veneziani, ma inutilmente. Pietro Bembo il 15 aprile scriveva di lei: "è una bellissima fanciulla, riesce ogni di più dilicata e gentile e prudente, tanto che supera gli anni suoi".
Nel marzo 1511 E. dette alla luce l'atteso primogenito, Federico, ma il bambino non visse che due mesi.
Nel 1512, dopo la battaglia di Ravenna, E. venne mandata dal marito, insieme a Elisabetta, nella fortezza di San Leo.
Il 2 apr. 1514 E. dette alla luce il secondo figlio maschio, Guidubaldo, erede del Ducato.
Nell'aprile 1516 si abbatté su Francesco Maria l'accusa papale di fellonia e, dopo un inutile viaggio a Roma della duchessa Elisabetta, arrivò la scomunica: lo Stato veniva tolto al duca e consegnato da Leone X nelle mani di Lorenzo de' Medici. Così, nei primi giorni di giugno, "quando il duca vede perso lo Stato, imbarcò le signore duchesse et la roba et lui" alla volta di Mantova. "Se levò una fortuna grandissima che li portorno più di 700 milia quasi in Schiavonia", scrive il 14 giugno Ippolito Calandra a Federico Gonzaga.
Nell'esilio, le condizioni materiali dei duchi erano tutt'altro che buone: già a partire dal luglio E. ed Elisabetta sono costrette - come scrive il Capilupo - "a fare rompere et battare alcuni pezi di argenti, tra quali era due bacilli con due bronzi de mano molto belli de disegno et foglia antiqua designati per Raphael ".
Il 19 ott. 1516 le duchesse erano presenti alle nozze di Baldassarre Castiglione, per anni fedele servitore dei duchi di Urbino. Mentre Francesco Maria pensava al modo di recuperare il Ducato, E. si recava a Venezia e vi si trattenne per circa un mese, fino all'11 novembre. Durante la guerra del 1517 E. era sempre a Mantova: l'11 febbraio Isabella prestava alla figlia 800 ducati ma lei stessa era costretta a impegnare delle gioie a Ferrara. Nel giugno 1518 E. era di nuovo a Venezia in compagnia di Elisabetta per assistere alla processione del Corpus Domini. Francesco Maria Della Rovere le raggiunse, in incognito, e le riaccompagnò poi a Mantova.
Nel marzo 1519 morì Francesco Gonzaga: nel testamento aveva disposto un lascito di 6.000 ducati annui al duca e alle duchesse di Urbino per aiutarli durante l'esilio. Nel maggio 1520 E. ed Elisabetta erano di nuovo a Venezia per la festa dell'Ascensione. Nell'autunno 1520, poiché Isabella aveva manifestato l'intenzione di stabilirsi in corte vecchia, i duchi di Urbino dovettero traslocare nel palazzo posseduto in Mantova dai prozii Ludovico, Federico e Pirro Gonzaga. Ma nel 1521 la nuova alleanza tra il duca Federico e il papa rese difficile un loro ulteriore soggiorno nella città e se E. ed Elisabetta restarono a Mantova, Francesco Maria dovette chiedere asilo alla Serenissima. Un fitto epistolario lo tenne legato durante la forzata separazione alla sposa: lei raccoglieva e gli relazionava le novità, faceva osservazioni, dava suggerimenti e consigli che attestano la sua attiva partecipazione alle vicende politiche e un sicuro ascendente sul marito.
Fu soltanto dopo la morte, nel dicembre 1521, di Leone X., che Francesco Maria poté riconquistare il suo Ducato: verso la fine dell'aprile 1522 anche E. lasciò Mantova, affidando il figlio Guidubaldo alle cure di Elisabetta.
Il 17 febbr. 1525 E. e il marito si recarono a. Pesaro per salutare Isabella, diretta a Roma. Il 31 genn. 1526, mentre iduchi di Urbino si trovavano in territorio veronese, morì Elisabetta Gonzaga e da allora i legami tra Urbino e Mantova si allentarono. Isabella scriveva nell'ottobre 1526 di qualche "umbreza" tra Francesco Maria Della Rovere e Federico Gonzaga, ma in realtà anche tra madre e figlia, venuto a mancare quella specie di anello di congiunzione rappresentato da Elisabetta, i rapporti si raffreddarono.
Troppo diversi i loro caratteri e i loro interessi: E. aveva tendenze mistiche prese tra l'altro parte a quel movimento religioso diretto a una riforma nel senso dell'ortodossia cattolica per cui tanto si appassionarono Vittoria Colonna (che amava E.) e Caterina Cibo duchessa di Camerino. Madre e figlia, perciò, non si curarono molto di rivedersi e fu A. Tridapale a tenere informata E. di ciò che faceva Isabella: con lui l'epistolario è più nutrito di quello con Isabella stessa.
Nel 1527 E. era a Venezia con Guidubaldo: le accuse di tradimento o negligenza rivolte allora da più parti a Francesco Maria Della Rovere, dopo l'entrata in Roma degli Imperiali, fecero sì che venisse loro "posta la guardia". Fu il provveditore Pisani ad adoperarsi allora per una soluzione del caso e le guardie vennero presto ritirate.
E. fu a Bologna nel 1530, in occasione dell'incoronazione di Carlo V e a Mantova nell'aprile del 1533 (il 15 di quel mese E. partorì il figlio Giulio) e nel maggio 1537, per l'ultima volta.
Nel 1530 cominciarono a Pesaro i lavori voluti da Francesco Maria per la trasformazione e l'ampliamento della villa imperiale degli Sforza: la duchessa però non soltanto curò personalmente i contatti con gli artisti chiamati a decorarla (Francesco Menzocchi da Forlì, Raffaellino del Colle, Battista e Dosso Dossi, il Bronzino), ma prese anche l'iniziativa per la costruzione - a monte della villa - di un corpo di fabbrica maggiore nel suo compimento alla villa stessa e ad essa collegato con un cavalcavia. Sotto gli occhi vigilanti di E. le mura crebbero rapidamente e nel 1532 Gerolamo Genga, il disegnatore, poteva pensare ai dettagli (finestre, colonne, ecc.). Per il giardino la duchessa si procurò, senza lesinare, piante preziose. Il Bembo, chiamato da E. a ideare un'iscrizione per il fregio della villa, pensò a una testimonianza dell'affetto per il duca: "Francisco Mariae duci Metauriensium a bellis redeunti Leonora animi eius causa villani aedificavit".Nel 1530 E. si ammalò, contrasse dal marito "il mal franzese" e nel novembre di quell'anno Paride Ceresara, medico e astronomo inviato da Mantova per curarla, scrisse al duca: "La signora duchessa [è] epileutica et ancor come maniaca et haver la gonorea et de tal mali è fatta molto e molto debile". Il 16 novembre poi annunciò: "gli acitendi epileutici et melanconici al presente più non si trovano … è ritornata in se medesma, senza perdita degli occhi, come molti dubitavano".
In una lettera del 17 ottobre di quell'anno il frate domenicano Serafino da Mantova scriveva a E. che Isabella mostrava "cordoglio et displicentia" per lei; assicurava di averla sentito dire "l'è pur stata la poverina un tempo battuta da la fortuna! La non ha mai auto quasi ben! Mi amaraviglio che non la sia morta de fastidi". Lettera, che, ancora una volta sia pure indirettamente, attesta la freddezza di rapporti che intercorreva tra madre e figlia.
Persino nel testamento Isabella, prodiga di lasciti per tutti, per quanto riguarda la sua primogenita sentì il bisogno di richiamare a mediatrice la defunta Elisabetta, quasi che solo in grazia sua E. potesse beneficiare della sesta parte dei 25.000 ducati che aveva avuto in dote.
Nel 1537 la duchessa dette in sposa ad Antonio d'Aragona duca di Montalto la figlia Ippolita; nel 1548 sposerà ad Alfonso d'Este Giulia; Elisabetta, la terza figlia, andrà in sposa nel 1552 ad Alberico Cibo (poi Cibo Malaspina, marchese di Massa).
Nel 1538, alla morte del marito (forse avvelenato), E. ereditò l'usufrutto dei beni nel ducato di Sora, nella Massa Trabaria, a San Lorenzo in Campo, a Montalfoglio, a Castelvecchio e a Castelleone, insieme con il governo di questi luoghi. Esperienza di governo E. già ne possedeva molta: durante le sue lunghe e frequenti assenze, Francesco Maria aveva rimesso nelle mani della moglie il governo del Ducato (nel giugno 1532, durante una carestia, fu lei che si incaricò, ad esempio, di porre un aggravio fiscale di uno scudo per fuoco ai suoi sudditi), segno di una stima e di un affetto di cui egli dette prova anche nel testamento. L'8 marzo 1539 papa Paolo III inviò alla duchessa di Urbino un breve per significarle la gioia per l'avvenuta riconciliazione tra la S. Sede e Guidubaldo sulla questione del ducato di Camerino: E. si era prodigata perché il figlio rinunciasse ad annettere al Montefeltro le terre ereditate dalla moglie, Giulia Varano; già una volta aveva dovuto sperimentare l'ostilità di Roma ed era certo un'esperienza che non desiderava ripetere.
E. morì a Urbino il 13 febbr. 1550.
Fonti e Bibl.: B. Castiglione, Lettere, a cura di G. La Rocca Milano 1978, ad Ind.; G. Leoni, Della vita di Francesco Maria di Montefeltro della Rovere IIII duca d'Urbino, Venezia 1605, pp. 94-433; J. Dennistoun, Memoirs of the dukes of Urbino, London 1851, pp. 264-43 7 passim; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d'Urbino, Firenze 1859, II, pp. 163-275; A. Luzio-R. Reiner, Mantova e Urbino, Torino-Roma 1893, passim; G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, pp. 3-16; A. Mercati, Lettere di Elisabetta e di Leonora Gonzaga a Francesco Maria Della Rovere rispettivo figlio adottivo e marito (dicembre 1521-aprile 1522), in Atti dell'Acc. virgiliana di Mantova, XXVI (1943), pp. 3-77; Mantova, la storia, le lettere, le arti, Mantova 1961, 11, pp. 96-99, 172, 201, 213 s., 247, 264; P. Maldura, La seconda redazione del "Cortegiano" di Baldassarre Castiglione, Firenze 1968, pp. 184 ss.; I Della Rovere (catal.), a cura di G. G. Scorza, Pesaro 1981, pp. 11 -22, 43; G. Marchini, La villa imperiale di Pesaro, s. l. né d.; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Della Rovere.