Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le ricerche sull’elettricità e il magnetismo subiscono nel corso del Settecento una radicale trasformazione. Nei primi decenni, gli studi su questi fenomeni rappresentano un semplice oggetto di curiosità; non solo non possiedono una struttura matematica, ma suscitano più interesse nei salotti eleganti che nei laboratori degli scienziati: i giochi elettrici sono una vera e propria moda. All’inizio dell’Ottocento l’elettrologia si presenta invece come un sistema omogeneo di dati quantitativi e formalizzazioni.
La prima metà del secolo
Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, in coincidenza con la pubblicazione delle grandi opere di Newton, si fa particolarmente evidente la differenza tra le scienze classiche (astronomia e meccanica), e le discipline baconiane o sperimentali (studio dei fenomeni elettrici, magnetici, meteorologici, chimici). Le scienze classiche, frutto di una tradizione ben consolidata, trovano con l’unione fra meccanica celeste e meccanica terrestre un importante punto di definizione e sono destinate a diventare in breve un capitolo dell’analisi matematica, soprattutto grazie a Lagrange. Le discipline baconiane non hanno invece tradizioni consolidate alle spalle.
Ognuna di esse costituisce un sapere emergente (si veda il caso della chimica) dove si intrecciano, in maniera spesso non coerente, tradizioni di ricerca e influenze culturali assai diverse fra loro. E, soprattutto, non sono matematizzate. Durante il Settecento si assisterà sovente al tentativo di estendere i metodi quantitativi delle scienze classiche alle discipline sperimentali; ma è altrettanto vero che molti ricercatori riterranno impossibile, se non addirittura nocivo, il tentativo di matematizzare questo settore delle scienze della natura.
Tale insieme di problemi fa parte dell’ampio e complesso capitolo di storia della scienza che riguarda lo sviluppo della fisica dopo Newton. Per spiegare l’intricato universo delle discipline sperimentali, Newton ipotizza l’esistenza di una sostanza molto simile all’aria, ma assai più sottile e impalpabile, costituita da particelle diverse rispetto a quelle ordinarie e prive di peso, attraverso la quale si esercitano le forze di attrazione e di repulsione della materia. Francis Hauksbee è fra i primi a cercare di organizzare in maniera nuova e coerente lo studio dei fenomeni elettrici, secondo le modalità proposte da Newton.
Spesso tuttavia si è costretti a limitarsi a una dichiarazione di intenti: mancano gli strumenti (nella cui costruzione Volta sarà maestro) in grado di verificare e quantificare adeguatamente gli effetti elettrici.
Stephen Gray dimostra, tra il 1728 e il 1729, l’elettrizzazione per strofinio delle sostanze, stabilendo una prima divisione fra conduttori e isolanti; ma soprattutto mette in evidenza che l’elettricità può essere trasmessa. Successivamente Charles Dufay verifica l’esistenza di due tipi di elettricità, che definisce vitreosa (positiva) e resinosa (negativa).
La scoperta del condensatore
È la scoperta del condensatore – effettuata in modo del tutto casuale da Georg von Kleist e Pieter van Musschenbroeck tra la fine del 1745 e l’inizio del 1746 –, ovvero la scoperta della possibilità di immagazzinare una carica elettrica fra due conduttori separati da un isolante, a imprimere una svolta decisiva allo studio dei fenomeni elettrici.
Grazie all’invenzione della “bottiglia di Leida” (così è chiamato lo strumento) questo settore di ricerca si trasformerà progressivamente da passatempo alla moda per curiosi e dilettanti, in disciplina autonoma dotata di caratteristiche specifiche e peculiari.
Il primo scienziato a proporre una teoria coerente in grado di spiegare il funzionamento del condensatore è Benjamin Franklin, secondo il quale l’isolante si presenta elettricamente neutro e in esso non avviene nessun tipo di modificazione. Inoltre le cariche di segno opposto, quando vengono in contatto, si distruggono. Ispirandosi alla teoria dei fluidi imponderabili di matrice newtoniana, Franklin ipotizza quindi che la causa dei fenomeni elettrici risieda in un’atmosfera o fluido diffuso nello spazio. I corpi risultano elettricamente neutri quando la concentrazione interna del fluido è identica a quella esterna, carichi positivamente o negativamente, se la concentrazione risulta in eccesso o in difetto. Franklin offre inoltre famosi contributi allo studio dell’elettricità atmosferica, dimostrando l’analogia tra scintille elettriche e fulmini inventando il parafulmine.
Alla teoria di Franklin aderisce in Europa Giambattista Beccaria, i cui testi, tradotti anche in francese, permettono una rapida circolazione delle idee dello scienziato americano. Robert Symmer, Gianfrancesco Cigna, ma soprattutto Alessandro Volta, dimostrano tuttavia che l’elettrificazione si prolunga in realtà anche dopo il contatto, eliminando così l’idea della distruzione delle cariche opposte e della neutralità degli isolanti.
Contemporaneamente si apre un dibattito sul numero di fluidi in gioco nei fenomeni elettrici. È in particolar modo Symmer a sostenere che l’esistenza di cariche positive e negative deve essere spiegata ricorrendo all’idea di due fluidi imponderabili, e non soltanto uno. In Italia questa teoria incontra il favore di due eminenti personaggi, come Carlo Barletti e Felice Fontana.
Aepinus, Volta e la matematizzazione
In quegli stessi anni, e precisamente nel 1759, il fisico tedesco Aepinus si propone di eliminare il concetto di atmosfera elettrica, preferendo individuare l’azione elettrica nelle forze agenti tra le particelle della materia ordinaria.
Le ricerche di Aepinus risultano determinanti per comprendere come il passaggio, alla metà del Settecento, da una elettrologia di tipo qualitativo a una di tipo quantitativo non sia semplice o scontato. Studiando le proprietà della tormalina, Aepinus si accorge che il minerale, oltre a rivelare un singolare fenomeno di elettrizzazione (per riscaldamento e non per strofinio), mostra un’estremità carica positivamente e una negativamente.
L’analogia tra fenomeni elettrici e polarizzazione magnetica si rivela quindi sempre più evidente. Aepinus sviluppa una nuova teoria del magnetismo (non molto progredita dai tempi di Gilbert) in relazione a un originale modello elettrico di matrice newtoniana.
Tuttavia la sua opera non è apprezzata dai contemporanei. La matematica utilizzata da Aepinus ha una struttura troppo semplice per suscitare interesse fra gli studiosi di meccanica razionale, ma risulta sufficientemente complessa per tenere a distanza tutti coloro che si occupano di discipline sperimentali.
In realtà, durante la seconda metà del Settecento, il punto di riferimento per i cultori di elettricità continua a essere Jean-Antoine Nollet, il che renderà assai complessa e intricata anche la diffusione delle idee di Franklin sulle atmosfere e i fluidi imponderabili. Ciò dimostra sostanzialmente che il Settecento, pur essendo definito il secolo di Newton, si rileva ricco di diverse e molteplici influenze filosofiche e scientifiche, in primo luogo quelle dell’opera di Cartesio. Nollet è infatti sostenitore di una teoria degli effluvi di origine cartesiana, che prevede l’azione diretta di emanazioni della materia, e non di forze che agiscono fra le particelle a distanza e nel vuoto, se pur mediate da interazioni con le molecole dei fluidi imponderabili. Il fatto che la teoria di Nollet non sia stata alla fine quella vincente non deve impedire di rilevarne l’importanza storica. Nollet contribuisce, tra l’altro, allo sviluppo di una solida tradizione di studi sperimentali in Francia ed esercita un ruolo fondamentale nella diffusione e nell’organizzazione di studi e ricerche sui fenomeni elettrici.
Un impulso decisivo al superamento delle teorie di Nollet viene indubbiamente dall’invenzione dell’elettroforo di Volta, che conosce l’opera di Aepinus. Nel decennio successivo Volta mette a punto una teoria sempre più quantitativa e definisce i concetti di capacità, tensione, potenziale, carica, e i loro rapporti reciproci, costruendo strumenti tecnologicamente raffinati (condensatore, elettrometro, elettroscopio ecc.).
Volta consente inoltre il collegamento tra gli studi sui fenomeni elettrici e quelli sulla nascente chimica dei gas influenzando, grazie alle osservazioni sulla combustione dell’aria infiammabile (idrogeno) per mezzo dell’elettricità, anche i fondamentali esperimenti di Lavoisier e Laplace sulla sintesi dell’acqua.
Nel 1787, l’abate René Just Haüy (1743-1822) pubblica un’esposizione divulgativa della teoria sui fenomeni elettrici e magnetici secondo i principi di Aepinus, che incontra un enorme successo. Eliminando qualsiasi riferimento di tipo matematico, l’impostazione dell’opera di Haüy segna una svolta nella comprensione delle proposte di Aepinus. In quegli stessi anni Coulomb inizia ad occuparsi di fenomeni elettrostatici, arrivando a sostenere nel 1785 che le forze elettriche di attrazione e repulsione sono inversamente proporzionali al quadrato della distanza e seguono perciò esattamente la legge di Newton. Coulomb ed Haüy sviluppano inoltre gli studi sulla tormalina, rendendo definitiva l’analogia tra elettricità e magnetismo. Coulomb, nel 1789, applica il modello di spiegazione dei due fluidi anche ai fenomeni magnetici. In pochi anni gli scienziati francesi che fanno capo alla scuola di Laplace rendono il settore dei fenomeni elettrostatici assolutamente autonomo e matematizzato. È Poisson, nel 1811, a sintetizzare tutti i risultati dei suoi predecessori estendendo la teoria del potenziale ai fenomeni elettrostatici in generale. Ma anche in questo caso la storia non è affatto semplice e lineare, ma assai complessa. La teoria di Coulomb ottiene consensi soltanto in Francia. Nelle altre zone d’Europa il modello a due fluidi non convince; gli scienziati preferiscono affidarsi all’autorità di Volta, sostenitore del modello a un fluido.
Inoltre sussiste il problema della matematizzazione, rapidissimo in Francia, meno veloce nel resto del continente. È sufficiente ricordare che le prime grandi memorie di Avogadro sulla polarizzazione del dielettrico sono assolutamente prive di matematica.
Bioelettricità, elettrochimica ed elettrofisica
Non è possibile rendere conto degli studi sui fenomeni elettrici nella seconda metà del Settecento senza parlare dell’enorme capitolo riguardante l’elettricità animale. Luigi Galvani, dopo aver rilevato che l’unione di due nervi del muscolo di una rana, attraverso un arco metallico, provoca una contrazione del muscolo, ipotizza, nel 1791, che gli animali possiedano nel loro organismo una specifica elettricità, indipendente da qualsiasi influenza esterna. Volta, dopo aver studiato attentamente le esperienze di Galvani, offre una diversa interpretazione del fenomeno: le contrazioni non vanno attribuite a una presunta elettricità animale, ma sono dovute all’arco metallico, costituito da metalli differenti. La disputa, assai celebre, conduce Volta alla più famosa delle sue invenzioni, la pila. Il 20 marzo del 1800, in una lettera indirizzata a Joseph Banks, presidente della Royal Society, Volta annuncia la realizzazione di uno strumento in grado di produrre una quantità di corrente continua assai notevole, se paragonata con quella messa a disposizione dal condensatore e dalle macchine elettrostatiche in generale. La pila rappresenta una scoperta di straordinaria importanza, che va al di là delle intenzioni per le quali è concepita da Volta. Essa apre la strada a un fondamentale settore di ricerca nell’Ottocento, quello degli studi elettrochimici.
Oggi, a distanza di tanto tempo, tutti sanno che Galvani e Volta avevano entrambi una parte di ragione, e che la vittoria nella controversia sull’elettricità animale, contrariamente a quello che indicavano i rispettivi esperimenti cruciali, non appartiene solo a Volta, ma a Volta e Galvani insieme.
Galvani ha davvero scoperto la bioelettricità, cioè l’esistenza di una corrente di demarcazione tra nervo e muscolo (anche se sbagliava a pretendere di ridurre a questa anche l’elettricità dei metalli scoperta da Volta), e quindi può a buon diritto continuare a fregiarsi del titolo di padre dell’elettrofisiologia; Volta ha invece dimostrato, grazie all’invenzione del primo dispositivo capace di produrre corrente elettrica continua, che l’elettricità non si produce solo per strofinio ma anche per contatto (anche se chiudeva completamente gli occhi sulle reazioni chimiche che intervengono tra l’elettrolito ed i piattelli metallici della pila, nelle quali si nasconde il segreto della nuova fonte di energia), e quindi merita il ruolo di padre dell’elettrofisica e dell’elettrochimica che gli era già stato attribuito in vita.
Il dibattito tra i medici e tra i fisici
Esempio paradigmatico di interazione tra scienze medico-biologiche e scienze fisico-chimiche, il dibattito sull’elettricità animale coinvolge fisici, medici, biologi, chimici e dilettanti. La controversia sull’elettricità animale non è infatti, come normalmente si pensa, una controversia solo tra Galvani e Volta. In realtà, intorno alla scoperta galvaniana si sviluppano diverse e distinte controversie. Già nel gennaio 1792, prima ancora che alcune copie della memoria galvaniana arrivino a Pavia, una controversia sull’elettricità animale si è già celebrata a Bologna. È la controversia tra galvaniani e halleriani, tra chi, come Giovanni Aldini, attribuisce la causa dei movimenti muscolari all’elettricità animale e chi, come Tarsizio Riviera Folesani e poi Leopoldo e Floriano Caldani, Stefano Gallini e Simone Stratico, l’attribuisce alla forza irritabile delle fibre dei muscoli stimolate dal fluido elettrico.
Se c’è una controversia sull’elettricità animale nella comunità dei medici, non manca un’analoga disputa sull’elettricità metallica tra i fisici. Nel caso specifico, Volta deve fronteggiare le pretese dei sostenitori della rabdomanzia, come Pierre Thouvenel e Carlo Amoretti, che si avvalgono della scoperta di Galvani per rivendicare l’idea di un potere rabdomantico posseduto da individui sensibili all’influenza elettrica delle acque e dei metalli sotterranei.
Un terzo fronte nella controversia sull’elettricità animale, ma ampiamente minoritario, è rappresentato infine da coloro che scelgono di non stare né con Galvani né con Volta. Si distinguono in questo ambito Felice Fontana, il quale proponeva un’interpretazione vitalistica del fluido galvanico, e Giovanni Fabbroni, il quale prefigurava addirittura la risoluzione chimica dell’elettricità animale, secondo l’impostazione che sarebbe stata ripresa e sviluppata, all’inizio dell’Ottocento, da Humphry Davy con la rivoluzionaria scoperta dell’elettrolisi dell’acqua e l’identificazione di molte nuove sostanze chimiche.