elettrocardiografia
Metodica non invasiva che permette la registrazione di superficie dei potenziali del campo elettrico originati dal cuore durante il ciclo cardiaco. Il tracciato ottenuto da questa registrazione è l’elettrocardiogramma (ECG). L’e. è uno strumento ampiamente utilizzato e di enorme valore clinico per la diagnosi di un’ampia gamma di cardiopatie (cardiopatia ischemica, cardiomiopatie, anomalie del ritmo e della conduzione, disfunzioni metaboliche, tossicità da farmaci, ecc.).
L’e. è il risultato finale dell’elaborazione di meccanismi elettrofisiologici complessi che è possibile realizzare grazie a particolari strumenti di registrazione (elettrocardiografi). Il campo elettrico cardiaco viene generato da flussi di ioni attraverso le membrane cellulari, che a riposo presentano una differenza di carica elettrica tra l’esterno della membrana cellulare (potenziale più alto) e l’interno (potenziale più basso), detto potenziale elettrico di riposo. Una cellula in condizioni elettriche di riposo è detta polarizzata. Se in un punto della superficie della cellula si applica uno stimolo, si inverte la polarità della cellula che da elettronegativa diviene debolmente elettropositiva mentre all’esterno si registra una negatività. La cellula attivata è detta depolarizzata, e la depolarizzazione si propagherà rapidamente a tutta la superficie cellulare. Poiché il tessuto miocardico è un sincizio funzionale, l’impulso si diffonderà rapidamente alle cellule adiacenti. L’eccitazione del muscolo miocardico porta alla formazione di differenze di potenziale che si modificano durante le fasi del ciclo cardiaco e che, grazie alla conducibilità elettrica dei liquidi dell’interstizio cellulare, vengono registrate tramite degli elettrodi posti sulla superficie corporea.
Gli elettrodi vengono posti sul corpo in modo convenzionale secondo tre sistemi di derivazioni (tre derivazioni standard, tre unipolari degli arti e sei precordiali). Nel cuore normale lo stimolo elettrico nasce e si propaga dagli atri ai ventricoli attraverso il sistema di conduzione che parte dal nodo seno-atriale (di Keith-Flack), il pace maker naturale del cuore. Da qui l’impulso viene convogliato al nodo atrio-ventricolare (di Tawara-Aschoff), situato tra gli atri e i ventricoli; passa poi nel fascio di His che percorre il setto interventricolare e si divide dopo un breve tratto in una branca destra e in una sinistra, le quali a loro volta si ramificano nel sistema delle fibre di Purkinje, che terminano, sfioccandosi, nel tessuto miocardico ventricolare. L’elettrocardiografo amplifica gli impulsi elettrici registrati dagli elettrodi e fa in modo che a essi corrispondano oscillazioni costanti delle penne scriventi che permettono di ottenere il tracciato elettrocardiografico.
Come si legge un elettrocardiogramma
L’elettrocardiogramma (ECG) è il tracciato ottenuto mediante l’elettrocardiografo, apparecchiatura che registra, su carta millimetrata, l’attività del cuore tramite elettrodi applicati in diversi punti del corpo. Si utilizzano complessivamente dodici elettrodi posti sul torace, polsi e caviglie, che rappresentano i diversi punti di osservazione dell’attività elettrica cardiaca. Il tracciato ECG è una risultante vettoriale, ossia un segnale elettrico risultante dalla somma di tutti i vettori elettrici che rappresentano l’attività elettrica di ogni singola fibrocellula miocardica.
Il cuore è un dipolo elettrico e gli elettrodi rilevano la proiezione del vettore dipolo sulla propria congiungente; di conseguenza due elettrodi paralleli al vettore misurano la differenza di potenziale per elettrolisi, chiamata derivazione. Le derivazioni corrispondono a diversi punti di osservazione dell’attività elettrica cardiaca: si distinguono sei derivazioni periferiche (tre derivazioni bipolari degli arti D1, D2 e D3 e tre derivazioni unipolari degli arti aumentate aVL, aVF e aVR) che registrano l’attività elettrica sul piano frontale e sei derivazioni precordiali (da V1 a V6) che registrano l’attività elettrica sul piano orizzontale. In ogni istante, durante la propagazione dell’ impulso attraverso il cuore, il vettore dipolo varia direzione, verso e modulo e pertanto, a livello di ogni singola derivazione, vengono registrate le diversi fasi dell’attività elettrica cardiaca sotto forma di onde di diversa morfologia, che si iscrivono in successione, separate da intervalli. In particolare, si distinguono: l’onda P, corrispondente alla depolarizzazione degli atri; l’intervallo PR che corrisponde alla conduzione dell’impulso elettrico dagli atri ai ventricoli o conduzione atrio-ventricolare; il complesso QRS, che corrisponde alla depolarizzazione ventricolare; il tratto ST e l’onda T che corrispondono alla ripolarizzazione dei ventricoli. L’onda di ripolarizzazione atriale non è evidente sul tracciato ECG in quanto inscritta nel complesso QRS.
Ecco i principali parametri da valutare, in successione: presenza di un ritmo sinusale, ossia la presenza di onde P in tutte le derivazioni; la positività dell’onda P in D1, D2, aVL e aVF; verifica che ogni onda P sia seguita da un complesso QRS e che ogni complesso QRS sia preceduto da un’onda P; misura della frequenza cardiaca. Sapendo che la carta millimetrata scorre a 25 mm/s, e che quindi in un minuto l’ECG percorre 300 quadrati da 5 mm, per calcolare la frequenza cardiaca (numero di battiti per minuto) è sufficiente dividere 300 per il numero di quadrati da 5 mm tra due complessi QRS. Se il ritmo non è regolare, per calcolare la frequenza cardiaca è necessario effettuare una sorta di campionatura, contando il numero di complessi QRS in 30 quadrati di 5 mm (corrispondenti a 6 secondi) e moltiplicando tale numero per 10; determinazione dell’asse elettrico medio del complesso QRS sul piano frontale, corrispondente alla direzione media dell’onda di eccitamento durante l’attivazione dei ventricoli, cioè della porzione quantitativamente più importante del miocardio. Pertanto si considera la derivazione tra le derivazioni periferiche con la maggior positività del complesso QRS e si considera l’asse parallelo a tale derivazione e perpendicolare alla derivazione con il massimo isodifasismo (la somma delle deflessioni positive e negative del QRS pari a zero). Normalmente l’asse elettrico del QRS è posto tra −30° e +90°; misura dell’intervallo PR tra l’inizio dell’onda P e l’inizio del complesso QRS, ossia l’intervallo di tempo necessario all’impulso elettrico, che parte dal nodo seno atriale, per raggiungere e depolarizzare il ventricolo. Tale intervallo è compreso tra 120 e 200 ms; misura dell’ampiezza del complesso QRS corrispondente alla depolarizzazione ventricolare e dell’intervallo QRS, corrispondente al tempo di conduzione dell’impulso all’interno dei ventricoli. L’intervallo QRS normale è compreso tra 80 e 120 ms; valutazione dell’intervallo ST e l’onda T, che rappresentano nell’insieme la fase di ripolarizzazione ventricolare. L’onda T deve avere la stessa polarità del complesso QRS e l’intervallo ST deve essere posizionato vicino alla linea di base; valutazione dell’intervallo QT, misurato dall’inizio del complesso QRS alla fine dell’onda T, che rappresenta la durata dell’intero potenziale d’azione ventricolare, ossia il tempo di depolarizzazione e ripolarizzazione ventricolare. La durata dell’intervallo QT decresce all’aumentare della frequenza cardiaca. Quindi l’intervallo QT corretto (QTc) viene stabilito sulla base della frequenza cardiaca utilizzando la formula di Bazett (QTc=QT/√RR), dove per RR si indica l’intervallo che intercorre tra due onde R. Il normale intervallo QTc è inferiore a 440 ms.
L’elettrocardiogramma costituisce l’indagine strumentale di base della diagnostica cardiologica e consente, se integrato nel contesto clinico, di individuare disturbi del ritmo cardiaco, alterazioni della conduzione dell’impulso (allungamento del PR; allargamento del complesso QRS), segni di sofferenza ischemica (sopra o sottolivellamento del tratto ST e alterazioni della morfologia e della polarità dell’onda T), disturbi elettrolitici (allungamento o accorciamento dell’intervallo QT), intossicazione da farmaci (per es, da digitale).