ELETTROCHIMICA (XIII, p. 722)
Il progresso delle conoscenze sul meccanismo delle reazioni chimiche ha portato a riconoscere come in qualsiasi reazione abbia sempre luogo una variazione della distribuzione spaziale degli elettroni esterni di taluni, o di tutti gli atomi delle sostanze reagenti, per dare origine ai prodotti della reazione. In senso lato pertanto ogni reazione entrerebbe nel campo dell'elettrochimica. Per comodità di studio e di classificazione, si è convenuto di limitare l'ambito della elettrochimica a quel ramo di ricerche che studiano le relazioni tra reazioni chimiche e lavoro elettrico assorbito da un circuito esterno indipendente dal sistema reagente, oppure messo in libertà in esso. I fenomeni elettrotermici quindi a rigore non fanno parte della elettrochimica vera e propria, ma costituiscono un campo di ricerche e di applicazioni a sé stante, abbastanza ben definito e la cui trattazione lentamente si viene sganciando da quella dei fenomeni elettrochimici sopra definiti.
In base alla suddetta definizione l'elettrochimica applicata viene ora suddivisa nelle due seguenti classi: a) processi elettrolitici nei quali la reazione chimica ha luogo con assorbimento di lavoro elettrico esterno, indipendentemente dal fatto che l'elettrolisi avvenga in soluzione acquosa o no, a temperatura intorno all'ordinaria, oppure elevata, o ancora in un composto puro (caso di elettroliti fusi); b) processi elettrochimici in conseguenza dei quali si ottiene lavoro elettrico disponibile in un circuito esterno (processi sfruttati nelle pile primarie e negli accumulatori). Il primo gruppo comprende quindi i processi elettrochimici forzati, mentre il secondo comprende quelli spontanei.
Forza elettromotrice. - La teoria osmotica di Nernst per il calcolo della forza elettromotrice di ogni singolo elettrodo di una pila è stata sottoposta a critiche molto fondate poiché è basata sulla ipotesi di lavoro dell'esistenza di una tensione elettrolitica di soluzione, la quale, per quanto feconda, è arbitraria poiché non suffragata da alcun dato sperimentale. Tale grandezza ipotetica tra l'altro non è calcolabile a priori, neanche in linea di principio, da alcuna altra grandezza fisica, nonostante varî tentativi fatti in tal senso, e non rappresenta altro, dal punto di vista matematico che una costante indefinita di integrazione. In più è da notare che l'ipotetica tensione elettrolitica di soluzione in parecchi casi assume valori talmente elevati (1090 atmosfere) o talmente bassi (10-80 atmosfere) che le leggi dei gas perfetti e le leggi osmotiche delle soluzioni ideali, utilizzate per il calcolo delle forze elettromotrici, non possono avere più alcuna validità. Tale ipotesi viene oggi pertanto gradualmente abbandonata e sostituita dal calcolo termodinamico che, se pure materialmente non ancora eseguibile, è però concettualmente perfetto e privo di qualsiasi ipotesi arbitraria.
Il lavoro elettrico esterno A ottenibile da un elettrodo è dato dal prodotto della differenza di potenziale elettrodo-soluzione, cioè dalla sua forza elettromotrice ε per la quantità di elettricità q. Prendendo in considerazione per esempio un elettrodo formato da un metallo a contatto con una soluzione di suoi ioni (elettrodo di 1a specie), nel quale si faccia avvenire la trasformazione di 1 grammo-atomo di metallo dallo stato elementare alla forma ionica (o viceversa, secondo il senso della reazione spontanea), la grandezza q è uguale al prodotto della valenza z dello ione metallico per la quantità di elettricità F (i Faraday = 96.500 Coulomb) legata ad 1 grammo-atomo di ogni ione monovalente. E perciò A = εzF.
D'altra parte tale lavoro elettrico è eguale alla variazione ΔG dell'energia libera dell'elettrodo per effetto della reazione elettrochimica. Cioè si può porre:
da cui:
Per il calcolo della grandezza ΔG si prende in considerazione il passaggio isotermo, isobaro e reversibile di un grammo-atomo di metallo dallo stato elementare (elettrodo) allo stato di ione in soluzione. In tali condizioni la variazione totale della energia libera ΔG eguaglia il lavoro elettrico esterno messo in gioco, A.
Essendo pressione e temperatura costanti, la variazione dell'energia libera è solo funzione della variazione del numero di mole mi; nelle varie fasi ed in prima approssimazione può essere espressa mediante la relazione:
La derivata dell'energia libera rispetto al numero di mole per ogni fase è data dall'espressione:
nella quale hi, si ed ai sono rispettivamente l'entalpia, l'entropia e l'attività di una mole in fase ideale. R è la costante dei gas e T è la temperatura assoluta. Ponendo ω = s − h/T, la relazione precedente diventa:
Essendo in tali condizioni le grandezze si; ed hi funzione della temperatura e della pressione, ma non del numero di mole, ne risulta che anche le grandezze ωi sono indipendenti dalla variazione del numero di mole e sono costanti a temperatura e pressione costanti.
Per il passaggio isotermo, isobaro e reversibile di 1 mole (dmi =1) dall'elettrodo alla soluzione, dalle relazioni [1] e [2] si ottiene:
nella quale l'indice sol indica le grandezze riferite alla soluzione e l'indice el indica le stesse grandezze riferite all'elettrodo. Sviluppando la [3] e considerando che l'attività nella fase solida chimicamente omogenea è per definizione unitaria (e perciò ln ael = o) essa diventa
Per soluzioni diluite l'attività può essere posta eguale alla concentrazione c; passando dalla concentrazione termodinamica
alla concentrazione ionica espressa in mole/litro e conglobando tutti i valori costanti la [4] diventa:
ossia
per la temperatura ambiente di 25 °C, ossia per T = 298, si avrà:
La relazione [5] è analoga a quella ricavata dalla teoria osmotica di Nernst e ne rappresenta la forma rigorosa e generale. Però mentre la costante εo della relazione di Nernst risulta da un' ipotesi di lavoro arbitraria, mediante il calcolo termodinamico essa resta perfettamente definita e potrebbe determinarsi a priori se fossero noti o calcolabili i valori assoluti delle entropie e delle entalpie dell'elettrodo e della soluzione.