ELETTROLISI
. Nei conduttori di seconda classe il passaggio della corrente elettrica non dà luogo soltanto a effetti termici (come nei conduttori di prima classe), ma dà luogo anche a trasporti di materia ponderabile e a fenomeni chimici. Il processo di trasformazione chimica, che non sia da attribuire a conseguenza di effetti termici, prende il nome di elettrolisi e il conduttore ove il fenomeno può avvenire si dice elettrolita (dal gr. λύω "sciolgo, separo").
Di regola l'elettrolisi avviene tra due conduttori di prima classe immersi nell'elettrolita e con correnti unidirezionali d'intensità costante. Non mancano tuttavia casi in cui si adoperano correnti alternate o correnti ondulate. I conduttori che adducono la corrente prendono il nome di elettrodi (dal gr. ὁδός "via") e nel caso di correnti unidirezionali il conduttore positivo si dice anodo, il negativo catodo.
Tali denominazioni derivano dal vecchio concetto in base al quale si riteneva che il passaggio dell'elettricità consistesse in un flusso di cariche positive dai punti a potenziale più alto verso quelli a potenziale più basso. Noi sappiamo oggi che il passaggio della corrente nei conduttori di prima classe è dato dal flusso di cariche negative (elettroni) i quali si muovono in senso opposto al campo elettrico; mentre che nei conduttori di seconda classe si ha una doppia schiera di trasportatori di cariche positive e negative strettamente legate ad atomi o gruppi atomici.
La funzione di vettori delle cariche elettriche, che questi aggruppamenti esplicano, ne giustifica il nome di ioni (dal gr. ἱέναι "andare"). Essi migrano sotto l'azione e secondo la direzione del campo elettrico e il senso del loro movimento è determinato dal segno della loro carica. Gli ioni positivi migrano verso il catodo e pertanto prendono il nome di cationi e quelli negativi verso l'anodo e prendono il nome di anioni.
Non sempre però gli ioni, arrivati al corrispondente elettrodo, neutralizzano semplicemente la loro carica e si rendono liberi (decomposizione elettrolitica primaria), come avviene per esempio se noi elettrolizziamo una soluzione di cloruro rameico fra elettrodi di platino.
In questo caso l'elettrolita si dissocia in ioni rameici e ioni cloro:
i primi arrivano al catodo, neutralizzano la loro carica e riacquistano tutte le proprietà chimiche e fisiche degli atomi neutri di rame, i secondi neutralizzano la loro carica e formano molecole biatomiche di cloro:
le quali, dopo aver saturato l'elettrodo e la soluzione, si liberano allo stato gassoso.
Il più delle volte gli atomi o gruppi atomici neutralizzati agli elettrodi acquistano il loro chimismo e reagiscono, a seconda dei casi, con l'elettrodo stesso, col solvente, o con sostanze eventualmente presenti nella soluzione.
Questa varietà di casi possibili spiega la difficoltà con la quale si è giunti all'attuale concezione dei fenomeni elettrolitici. Mentre i metalli pesanti di regola si depongono come tali agli elettrodi, dalle loro soluzioni acquose, i metalli alcalini e alcalino-terrosi e talvolta anche quelli dei successivi gruppi del sistema periodico, una volta liberati, reagiscono immediatamente col solvente per dar luogo a formazione dei corrispondenti idrossidi con messa in libertà d'idrogeno:
Per quantoriguarda gli anioni, escludendo quelli degl'idracidi, è difficile che passino allo stato libero su elettrndi inattaccabili. Quando non avvengono reazioni più complesse gli anioni degli ossiacidi, una volta neutralizzati, reagiscono con l'acqua per riformare l'acido e mettere in libertà ossigeno.
Gli ossidrilioni dànno anche luogo a svolgimento di ossigeno:
A questi casi semplici vanno aggiunti i numerosi altri di reazione con gli elettrodi, di polimerizzazione, reazione con i costituenti dell'elettrolita, ecc.
Il complesso dell'elettrolita, dei due elettrodi e degli accessorî prende il nome di elettrolizzatore (o anche bagno elettrolitico, cellula elettrolitica, ecc.).
Gli elettrodi possono essere insolubili o inattaccabili (quando essi non dànno luogo a nessuna reazione chimica con l'elettrolita o con i prodotti dell'elettrolisi), oppure attaccabili. Gli elettrodi di questo secondo tipo interessano specialmente quando funzionano da anodi per la raffinazione dei metalli. La distinzione è peraltro puramente schematica in quanto che anche gli elettrodi dotati di minina reattività possono disciogliersi (come avviene, ad es., per il platino sotto l'azione di correnti alternate) mentre materiali dotati d'alta reattività (come, ad es., il ferro rispetto all'ossigeno) possono dare luogo a fenomeni d'assoluta inerzia chimica (passività).
Tensione di decomposizione. Polarizzazione di saturazione. - Il passaggio della corrente elettrica in un elettrolita quando non avvengono fenomeni d'elettrolisi obbedisce alla legge di Ohm. Ciò implica che, in tali condizioni, l'energia spesa per intrattenere il passaggio della corrente nel conduttore è uguale a quella che si dissipa sotto forma di calore per effetto Joule. Ma se, invece di considerare il solo elettrolita, si considera il complesso elettrodi-elettrolita, ove avviene anche una reazione chimica, l'energia globale spesa per mantenere il passaggio della corrente deve essere maggiore e perciò la differenza di potenziale (d. d. p.) necessaria risulterà più grande di quella data dalla legge di Ohm, essendo ben determinato il valore della quantità d'elettricità trasportata (v. elettrochimica: Leggi di Faraday).
Secondo la legge di Ohm dovrebbe esistere una proporzionalità diretta tra corrente e tensione applicata. Vediamo invece quello che avviene quando si applicano differenze di potenziale gradualmente crescenti, a partire da valori molto piccoli, ai due elettrodi di un elettrolizzatore, e consideriamo il caso più semplice di due elettrodi inattaccabili di platino, immersi in una soluzione di cloruro sodico. Per l'esperienza si può ricorrere al seguente schema di montaggio (fig. 1), dovuto a Le Blanc. Un dispositivo potenziometrico, costituito da una batteria C e da una resistenza AB, permette di derivare tra l'estremo fisso A e il corsoio mobile M delle differenze di potenziale variabili, le quali sono applicate all'elettrolizzatore E attraverso un circuito dove è inserito un sensibile galvanometro G, mentre ai due poli dell'elettrolizzatore è derivato un voltametro V ad alta resistenza interna. Se cominciamo ad applicare una differenza di potenziale molto piccola, dell'ordine di un decimo di volt, vedremo subito il galvanometro segnare una corrente apprezzabile e ritornare poi rapidamente quasi a zero; e così avverrà per le successive misure se facciamo saltuariamente crescere la differenza di potenziale applicata, per es. di decimo in decimo di volt. A un certo punto però, e per un ben determinato valore del potenziale, non si hanno più i temporanei impulsi di corrente; ma si cominciano a osservare correnti permanenti e opprezzabili. Prima di raggiungere questo punto non si ha sviluppo di sostanze agli elettrodi e dopo di esso si comincia a vedere il regolare sviluppo di prodotti.
La tensione alla quale avviene il brusco passaggio dall'una all'altra condizione prende il nome di tensione di decomposizione.
Riportando su un diagramma rispetto a due assi coordinati ortogonali i valori delle correnti permanenti I in funzione delle differenze di potenziale applicate E, si ottiene una curva del tipo di quella disegnata sulla fig. 2.
Questo andamento si può spiegare col ragionamento che segue. Per far reagire una molecola-grammo di NaCl nel modo che si realizza durante l'elettrolisi della soluzione acquosa
occorre una certa quantità di energia U (tonalità termica della reazione). Per realizzare l'elettrolisi occorrerà inoltre una certa quantità di energia corrispondente al calore dissipato per effetto Joule, numericamente eguale al prodotto della caduta ohmica V per la quantità di elettricità che deve attraversare l'elettrolita (nel nostro caso un farad F).
L'energia totale occorrente W sarà
Se R è la resistenza del bagno e I l'intensità della corrente V=RI e quindi
Dividendo primo e secondo membro della (1) per F e tenendo conto che
rappresenta la tensione E applicata all'elettrolizzatore, risulta
Per I → O
Quindi
Nel sistema di assi coordinati prescelto la (2) è l'equazione d'una retta (AB nella fig. 3) che taglia l'asse delle ascisse nel punto Ed. L'impossibilità fisica che si ha - nelle date condizioni di esperienza - di realizzare correnti negative, fa sì che I debba restare eguale a zero per tutti i valori di E 〈 Ed.
Se al posto del semplice elettrolizzatore si ponesse un accumulatore capace d'intrattenere correnti negative per i valori di E 〈 Ed si osserverebbe per intero l'andamento indicato dalla retta AB; ma nella maggioranza dei casi dovremo attenderci una spezzata del tipo OEdB. Le differenze tra queste e la curva della fig. 2 dipendono da varie cause.
In primo luogo per i valori di E 〈 Ed si hanno delle piccole correnti, dette correnti residue, dovute al fatto che le sostanze scaricate sugli elettrodi e che conferiscono la polarizzazione, pur non liberandosi, diffondono nell'interno dell'elettrolita e dànno quindi luogo, per la loro sostituzione, ad un piccolo e permanente trasporto di cariche il cui ammontare dipende dalle condizioni dell'elettrolisi (temperatura, costanti di diffusione, ecc.).
Il tratto di curva corrispondente ai valori di E > Ed non è nemmeno perfettamente rettilineo per l'intervento di altri fattori (polarizzazione di concentrazione, sovratensione, ecc.) di cui dovremo presto discorrere.
Pertanto non è possibile dedurre dai dati sperimentali il valore di Ed estrapolando il tratto di curva NP della fig. 2 fino all'incontro con l'asse delle ascisse; ma si preferisce determinarlo come l'ascissa del punto d'incontro delle due tangenti ai tratti estremi dei due rami OM e NP della curva sperimentale.
Si dànno casi di curve che presentino più inflessioni, cioè più d'un punto di decomposizione e ciò è da mettere in rapporto con la possibilità di scarica di ioni diversi. Né mancano altre particolarità di cui non è possibile discorrere in questo cenno sommario.
L'esistenza d'una tensione di decomposizione implica l'esistenza di singole differenze di potenziale tra gli elettrodi e l'elettrolita ("tensioni di polarizzazione"), le quali possono essere trattate con gli stessi criterî seguiti per la misura delle forze elettromotrici (v. elettrochimica).
Facendo passare una corrente accompagnata da deposizione di sostanze agli elettrodi fino a saturare questi e il liquido circostante e misurando, subito dopo l'interruzione del circuito, la forza elettromotrice Es della pila formatasi, si ha il valore della polarizzazione di saturazione. Se il fenomeno dell'elettrolisi fosse perfettamente reversibile, quest'ultimo valore dovrebbe risultare eguale a quello Ed della tensione di decomposizione.
La tabella I racchiude alcuni valori tipici di Ed e di Es relativi all'elettrolisi di soluzioni acquose normali fra elettrodi di platino
Si vede che spesso la tensione di decomposizione supera il valore della polarizzazione di saturazione: ciò indica che per liberare permanentemente le sostanze agli elettrodi è necessario un eccesso di tensione (sovratensione) rispetto a quella corrispondente alla trasformazione chimica (irreversibilità del processo elettrodico).
Con gl'idracidi e con alcuni sali di ammonio si può avere invece la decomposizione a un valore del potenziale più basso, in conseguenza d'un fenomeno di depolarizzazione che i prodotti di un elettrodo compiono sull'altro elettrodo, cui pervengono disciogliendosi e diffondendosi in seno all'elettrolita. Questo valore più basso del potenziale si può avere anche per fenomeni di depolarizzazione determinati da altre sostanze disciolte in seno allo stesso elettrolita e che siano capaci di reagire con i prodotti dell'elettrolisi. In tutti questi casi non vi è contraddizione con i principî fondamentali dell'energetica in quanto le reazioni secondarie suppliscono, sotto forma d'energia chimica, alla minore quantità d'energia elettrica messa in giuoco.
Per misurare la polarizzazione dei singoli elettrodi si può ricorrere a varî artifici. Secondo il metodo di Glaser si esegue egualmente la misura della tensione di decomposizione col già descritto dispositivo di Le Blanc; ma si adopera un elettrolizzatore (fig. 4) costituito da un elettrodo di riferimento di grande superficie sul quale si lavora quindi con una densità di corrente trascurabile e da un elettrodo di lavoro di superficie molto ridotta. In tali condizioni si può ritenere che la tensione di polarizzazione dell'elettrodo di riferimento rimanga costante e quindi si può valutare l'influenza che i varî fattori esercitano sulla tensione di polarizzazione del solo elettrodo di lavoro.
Ma si può meglio disporre l'esperienza alimentando indipendentemente (fig. 5) l'elettrolizzatore E con correnti di nota intensità per mezzo d'una batteria C, d'un dispositivo potenziometrico AMB; e misurando poi la differenza di potenziale tra uno degli elettrodi e l'elettrolita col sussidio d'un elettrodo campione R (nel nostro caso un elettrodo a calomelano) e d'un ordinario potenziometro.
In conseguenza della ricordata irreversibilità del processo elettrodico, la tensione di polarizzazione dei singoli elettrodi risulta di regola più elevata del corrispondente potenziale di riposo che l'elettrodo presenterebbe se non si avesse svolgimento di sostanza, pur rimanendo inalterate tutte le altre condizioni (temperatura, pressione, concentrazioni, ecc.). La differenza fra la tensione di polarizzazione e il potenziale di riposo prende il nome di polarizzazione.
Polarizzazione di concentrazione. Polarizzazione chimica (Sovratensione elettrolitica). - Consideriamo il caso dell'elettrolisi di una soluzione di solfato di rame tra elettrodi di rame puro, condotta in condizioni per cui si abbia una dissoluzione quantitativa del rame all'anodo e una riprecipitazione quantitativa al catodo, rimanendo immutata la composizione media dell'elettrolita. Poiché l'energia chimica messa in giuoco è nulla, anche la tensione di decomposizione dovrebbe essere nulla; viceversa accade di poter misurare anche qui una polarizzazione apprezzabile degli elettrodi, la quale è tanto maggiore quanto più alta è la densità di corrente con la quale si lavora.
Questo fenomeno si spiega tenendo conto del fatto che l'elettrolisi, condotta nelle condizioni accennate, se pur non muta la concentrazione media dell'elettrolita, deve necessariamente produrre delle variazioni di concentrazione agli elettrodi. Nello stato di riposo il potenziale dei singoli elettrodi è dato da:
(v. elettrochimica: form. 20) se con c s'indica la concentrazione degli ioni Cu++. Ma durante l'elettrolisi si ha formazione di nuovi ioni Cu++ attorno all'anodo e sottrazione attorno al catodo in quantità che, per ogni unità di superficie dell'elettrodo, dipendono dalla densità di corrente (rapporto tra l'intensità della corrente e la superficie dell'elettrodo). Per smaltire o rifornire questi ioni intervengono i fenomeni di diffusione e si stabiliscono delle condizioni di regime per cui a contatto dell'anodo ci sara una concentrazione ca > c e a contatto del catodo una concentrazione cc 〈 c, con differenze il cui ammontare dipende dalla densità della corrente, dalla temperatura, ecc.
Pertanto, invece di avere agli elettrodi due potenziali eguali, e quindi una differenza nulla, avremo due valori:
e quindi una contro-forza elettromotrice di polarizzazione totale Π, pari a
Si dice allora che esiste una polarizzazione di concentrazione.
Questa interpretazione permette di rendere conto di valori molto piccoli della polarizzazione, ma non può spiegare i valori elevati di cui si trova traccia nella tabella I, dove figurano casi per i quali la polarizzazione complessiva dei due elettrodi raggiunge anche 1 volt.
Si deve quindi concludere che, in aggiunta alla polarizzazione di concentrazione, dovuta alla lentezza di afflusso e di deflusso degli ioni agli elettrodi e dagli elettrodi, esiste anche una polarizzazione chimica dovuta alla lentezza con la quale si compiono le trasformazioni chimiche.
Questi fenomeni di polarizzazione chimica assumono particolare importanza quando i prodotti dell'elettrolisi si svolgono sotto forma gassosa.
Le prime ricerche su tale argomento furono sistematicamente compiute da Gaspari, sotto la guida di W. Nernst e condussero a definire la sovratensione elettrolitica come la differenza tra il potenziale dell'elettrodo in condizioni di lavoro e il corrispondente potenziale reversibile dell'elettrodo in riposo, misurati nelle identiche condizioni di concentrazione, di temperatura, di pressione, ecc. Evidentemente la sovratensione elettrolitica così definita rappresenta per un dato elettrodo e per date condizioni di lavoro la somma delle due polarizzazioni chimica e di concentrazione.
Il valore della sovratensione dipende da un insieme di fattori e anche in misura notevole dalla natura e dallo stato fisico dell'elettrodo. Le misure pertanto non sono suscettibili di dare risultati estremamente concordanti, anche perché esistono delle divergenze circa i metodi di misura, delle quali non possiamo occuparci in questa rapida esposizione.
Di regola si misura la sovratensione minima, che corrisponde al punto di decomposizione e all'inizio dello sviluppo dei prodotti dell'elettrolisi; ma sono anche estremamente interessanti per le pratiche applicazioni i valori della sovratensione elettrolitica misurati con densità di corrente elevate.
Quando si sviluppano dei gas, il manifestarsi d'una sovratensione è equivalente, dal punto di vista energetico, a un caso in cui si facesse avvenire la trasformazione in modo reversibile a una pressione più elevata.
La polarizzazione degli elettrodi è un fenomeno di irreversibilità che compare quando noi, allontanandoci dalle condizioni di riposo, facciamo avvenire le trasformazioni con velocità apprezzabili. A causa del valore finito che hanno le velocità di diffusione e di reazione chimica, la trasformazione si compie passando attraverso stati intermedî che non sono infinitamente prossimi a stati di equilibrio (condizione della reversibilità).
Accanto alla polarizzazione elettrolitica della quale ci siamo ora occupati esiste una polarizzazione galvanica la quale si manifesta tutte le volte che una pila funziona erogando corrente apprezzabile. Se la pila dà luogo soltanto a dissoluzione di metallo e deposizione di altri ioni metallici (come avviene, per esempio, per la pila di Daniell) sono da attendersi solo fenomeni di polarizzazione di concentrazione che di regola risultano di scarsa importanza; ma se avviene una reazione chimica all'elettrodo (formazione di molecole gassose, ad es.), come nella pila di Volta, nella Leclanché, ecc., si possono avere fenomeni apprezzabili di polarizzazione chimica ai quali occorre por mente nelle pratiche applicazioni.
Depolarizzazione e depolarizzanti. - Abbiamo già accennato che se, durante l'elettrolisi, l'elettrodo viene ad essere circondato da sostanze capaci di reagire con i prodotti dell'elettrolisi stessa, la tensione di polarizzazione può essere abbassata fino a raggiungere un valore inferiore a quello del corrispondente potenziale di riposo. Per contrapposto alla polarizzazione questo fenomeno prende il nome di depolarizzazione elettrolitica. Ogni sostanza capace di abbassare il potenziale dell'elettrodo prende il nome di depolarizzante.
L'attività d'un depolarizzante dipende non solo dalla natura chimica sua e del prodotto dell'elettrolisi con cui esso agisce, ma anche da tutte le condizioni ambientali capaci d'influenzare la velocità della reazione chimica, e quindi dipende anche dalla natura e dallo stato fisico dell'elettrodo. Per avere un'idea dell'attività dei depolarizzanti si possono rilevare, col metodo di Glaser, le curve di decomposizione, facendo funzionare come elettrodo di lavoro quello dove si verifica la depolarizzazione.
La fig. 6 dà le curve di decomposizione anodica d'una soluzione 3N di H2SO4: da solo (curva I); col 25% di C2H5OH (curva II); col 25% di CH3OH (curva III). Si vede che questi corpi hanno una sensibile azione depolarizzante, riducendo il potenziale di decomposizione di 0,5 ÷ 0,6 volt.
Nelle condizioni che sono state sopra citate essi reagiscono con l'ossigeno e dànno quindi indirettamente luogo ad un fenomeno di ossidazione elettrolitica. Con i depolarizzanti catodici si hanno fenomeni di riduzione elettrolitica.
È interessante notare dall'esame della curva che la depolarizzazione è tanto maggiore quanto più bassa è la densità della corrente e che l'attività depolarizzante diminuisce per l'alcool etilico prima che non diminuisca per il metilico. Questo andamento si spiega pensando come, al procedere della reazione, occorre che si allontanino per diffusione i prodotti formati all'elettrodo e che vi pervenga nuovo depolarizzante. Ciò è tanto più agevole quanto più piccola è la quantità richiesta in corrispondenza dell'unità di tempo e dell'unità di superficie (cioè quanto più piccola è la densità della corrente) e quanto più grandi sono i coefficienti di diffusione (cioè quanto più piccola è la massa molecolare del depolarizzante).
In analogia a quanto è stato sopra esposto per la depolarizzazione elettrolitica si possono avere fenomeni di depolarizzazione galvanica, aggiungendo, per esempio, degli ossidanti in quei casi in cui si ha svolgimento d'idrogeno. Si usa per ottenere questo effetto la pirolusite nella pila di Leclanché, il bicromato in quella di Grenet e così via (v. pila).
Processi catodici. - Nell'elettrolisi delle soluzioni acquose al catodo si possono avere i seguenti fenomeni: a) sviluppo d'idrogeno; b) deposizione di metalli allo stato puro; c) deposizione di metalli sotto forma di leghe; d) riduzioni elettrolitiche.
a) Sviluppo d'idrogeno. - Questo processo, come tutti quelli che dànno luogo a sviluppo di prodotti gassosi, è accompagnato quasi sempre da notevoli manifestazioni di passività chimica. La grandezza della sovratensione elettrolitica dipende in notevole misura dalla natura e dallo stato fisico dell'elettrodo, come si può facilmente rilevare dai valori della sovratensione minima, determinati da Gaspari e raccolti nella tabella II.
La sovratensione dell'idrogeno diminuisce col crescere della temperatura, aumenta col diminuire della pressione al disotto del valore normale e, secondo alcuni, diminuisce sensibilmente per pressioni elevate.
Quando si aumenta la densità della corrente la sovratensione cresce prima rapidamente, ma mostra poi la tendenza ad assumere un valore limite. Per date condizioni di lavoro la sovratensione aumenta col procedere del tempo, forse in dipendenza delle alterazioni che la superficie dell'elettrodo subisce durante il processo di elettrolisi.
b) Deposizione di metalli allo stato puro. - Anche nella deposizione dei metalli si possono avere fenomeni di sovratensione: la parte di essa che deriva da polarizzazione di concentrazione può essere però sensibilmente ridotta con un'energica agitazione dell'elettrolita. Nella maggior parte dei casi i metalli, per i quali si hanno valori elevati della sovratensione propria, funzionano da elettrodi con bassa sovratensione per l'idrogeno e viceversa.
Nello studiare la deposizione d'un metallo bisogna tener conto della possibilità che si scarichino all'elettrodo altri ioni esistenti nella soluzione, e primi fra tutti gli ioni idrogeno. Indicando con σH la sovratensione dell'idrogeno e con σM la sovratensione del metallo, nelle date condizioni d'esperienza, i potenziali di decomposizione dell'idrogeno EH e del metallo EM saranno:
Se EM è sempre minore di EH (fig. 7), il metallo si depositerà facilmente dalle soluzioni acquose; in caso contrario si avrà svolgimento d'idrogeno. Se ci sono delle condizioni per cui risulta EH = EM (fig. 8) si può avere contemporaneamente la deposizione del metallo e dell'idrogeno. La ripartizione della corrente tra i due ioni avviene nello stesso rapporto secondo cui si trovano le corrispondenti intensità di corrente AB e AC sulle curve di decomposizione.
Quello che si dice per la scarica degli ioni d'un metallo rispetto agli ioni idrogeno, si può dire della scarica di quanti si vogliano ioni metallici da una soluzione che ne contenga di diversa specie. Se uno degli ioni è presente in grande concentrazione rispetto agli altri, esso può depositarsi da solo lasciando in soluzione ioni anche di metalli più nobili che siano contemporaneamente presenti. Per la stessa ragione è difficile in molti casi impedire completamente la liberazione dell'idrogeno da liquidi elettrolitici fortemente acidi.
La conoscenza esatta dei potenziali di decomposizione forma la base della elettrometallurgia (v.). Questa si preoccupa anche di assicurare una certa regolarità del deposito che può risultare cristallino, microcristallino, spugnoso, splendente, in dipendenza da una serie di fattori, di cui alcuni operano attraverso un meccanismo non ancora ben precisato. Basterà accennare all'influenza che esercitano la natura dell'anione del sale, il rapporto tra densità di corrente e concentrazione, la temperatura, la presenza di colloidi (gelatina, liquirizia, ecc.) e la valenza degli ioni (quando essi provengano da metalli capaci di diversa valenza).
c) Deposizione di metalli sotto forma di leghe. - La formazione di leghe si può avere tra il metallo che si deposita e il catodo, come avviene con i metalli alcalini che si scaricano su catodi di mercurio formando amalgama senza che si sviluppi idrogeno a causa della grande sovratensione che questo ha sul mercurio. Si dànno però anche casi di formazione di leghe tra due metalli i cui ioni si scaricano contemporaneamente, e in tal caso il fenomeno può essere facilitato dall'attività depolarizzante d'uno dei metalli sugli ioni dell'altro.
d) Riduzioni elettrolitiche. - Abbiamo già visto che alcune sostanze possono essere ridotte agendo da depolarizzanti attorno al catodo. Ciò può avvenire per addizione di idrogeno
o per eliminazione d'ossigeno
oppure si possono avere scambî di cariche elettriche
Per raggiungere l'optimum della depolarizzazione occorre scegliere l'elettrodo più adatto e lavorare con alte concentrazioni del depolarizzante e con basse densità di corrente, come si è precedentemente spiegato.
È possibile però ridurre al catodo anche sostanze che non depolarizzino l'elettrodo come è il caso di molti composti organici studiati per primi da Tafel e da Elbs. In questi casi conviene ricorrere a elettrodi che presentino il massimo della sovratensione e, per quanto si è già detto, si può pensare qui a un analogo elettrochimico dell'idurazione a pressione elevata. Alcuni casi però di azioni elettive da parte di alcuni metalli fanno pensare a una vera e propria "catalisi elettrochimica".
Processi anodici. - I fenomeni principali che possono aversi all'anodo nell'elettrolisi delle soluzioni acquose sono: a) sviluppo d'ossigeno; b) dissoluzione di metalli puri; c) dissoluzione delle leghe; d) scarica degli ioni alogenici; e) ossidazioni elettrolitiche.
a) Sviluppo d'ossigeno. - Si manifestano in questo caso delle sovratensioni importanti, come per l'idrogeno, e si ha sensibilmente lo Stesso andamento in funzione dei varî fattori di azione (pressione, temperatura, natura dell'elettrodo, densità di corrente, tempo).
La tab. III racchiude alcuni valori caratteristici trovati per le sovratensioni minime.
Da questi dati e da quelli della precedente tab. II risulta che - escludendo il platino e i metalli spugnosi - la migliore combinazione da adottare in pratica per l'elettrolisi dell'acqua, al fine di realizzare la minima sovratensione complessiva, è rappresentata dall'uso d'un anodo di nichel e d'un catodo di ferro.
o) Dissoluzione di metalli puri. - Di regola il fenomeno di dissoluzione dei metalli puri dovrebbe avvenire quantitativamente ogni volta che è esclusa la possibilità di sviluppo dell'ossigeno. È da notare però che la tensione di soluzione d'un metallo dipende dalla condizione fisica della superficie e certamente esistono differenze della tensione di soluzione per le diverse facce d'un cristallo puro. Talché l'attacco della massa del metallo avverrà in modo ineguale ed elettivo lasciando inalterati dei noduletti i quali - isolati dal resto dell'anodo - precipitano a fondo formando la melma anodica.
Nel calcolo della quantità d'elettricità necessaria a disciogliere una certa massa di metallo occorre tener conto del fatto che molti metalli possono dar luogo a ioni di valenza diversa, ognuno dei quali presenta un suo potenziale caratteristico. E questo a sua volta è influenzato dalla concentrazione alla quale i corrispondenti ioni si trovano nella soluzione. Se si formano due ioni di valenza m ed n del metallo Me (Mem+ ed Men+) esisteranno tre potenziali caratteristici E1, E2, E3, cioè i potenziali dei due ioni e quello del corrispondente elettrodo di ossiriduzione regolato dal valore del rapporto delle concentrazioni dei due ioni nell'elettrolita. La dissoluzione deve procedere in modo che i tre potenziali risultino eguali.
Quando i prodotti formati nell'immediata vicinanza dell'anodo si diffondono nella massa dell'elettrolita e si diluiscono, cambiano le condizioni d'equilibrio tra ioni di varia valenza e possono aver luogo delle reazioni del tipo
con precipitazione del metallo allo stato polverulento che va ad arricchire la melma anodica.
Questi fenomeni fondamentali possono essere ulteriormente complicati dalla formazione di ioni complessi e la conoscenza precisa di essi è indispensabile per realizzare l'elettrolisi col minimo dispendio d'energia e con le minime perdite nelle melme anodiche.
c) Dissoluzione delle leghe. - Le leghe possono contenere due o più metalli allo stato di: mescolanza meccanica, soluzione solida, composti.
Nel primo caso, in assenza di ioni metallici nell'elettrolita, si ha la dissoluzione del metallo meno nobile. Se invece, per la presenza predominante degli ioni d'un metallo nella soluzione, il potenziale corrispondente risulta maggiore di quello degli altri costituenti meno nobili, esso passa in soluzione insieme con tutti questi altri e i metalli più nobili restano inattaccati precipitando nella melma anodica. Così avviene per es. nell'attacco anodico del rame impuro durante il processo di raffinazione elettrolitica di questo metallo. Le soluzioni solide presentano, a seconda della composizione, una tensione di soluzione intermedia e variante con continuità tra i due valori che competono ai costituenti. Viceversa i composti hanno ciascuno una propria tensione di soluzione che anche di regola ha valore intermedio fra i due estremi. Talché la formazione di soluzioni solide e di composti tende a sottrarre dallo stato di maggiore attività una parte più o meno grande del metallo più attivo (v. elettrometallurgia).
d) Scarica degli ioni alogenici. - La scarica di questi ioni s'accompagna con fenomeni spesso cospicui di sovratensione. La grande reattività dei prodotti limita molto la scelta del materiale degli eletrodi che si possono adoperare. All'infuori del platino, i migliori risultati si conseguono con elettrodi di carbone i quali rispondono tanto meglio quanto più il carbonio si avvicina alla forma grafitica. In pratica hanno dato ottimi risultati gli elettrodi di grafite Acheson.
Molto importanti per questi elementi sono i fenomeni di depolarizzazione dovuti alla loro grande reattività. Il fluoro non si può ottenere dalle soluzioni acquose perché esso reagisce con l'aequa dando luogo a sviluppo d'ossigeno e d'ozono. Anche il cloro reagisce in parte con l'acqua formando acido ipocloroso. Più importanti risultano i fenomeni di depolarizzazione quando si elettrolizzano le soluzioni acquose di alogenuri alcalini, in quanto i prodotti catodici (idrossidi) pervenendo all'anodo reagiscono per formare - a seconda delle condizioni - gli ipoalogenuri accanto a maggiori o minori quantità di acidi ipoalogenici; dai quali prendono poi ulteriormente origine i corrispondenti alogenati:
e) Ossidazioni elettrolitiche. - Le ossidazioni elettrolitiche avvengono, come le corrispondenti riduzioni, sia per fenomeno di depolarizzazione, sia per l'intervento di sovratensioni. Anche qui possiamo avere i varî casi e cioè: addizione d'ossigeno, eliminazione d'idrogeno, oppure scambio di cariche
Particolare importanza ha il caso di scarica parziale presentato dallo ione manganico
che si può interpretare anche scrivendo
Questa reazione forma la base della preparazione elettrolitica dei permanganati.
Un caso più complicato si ha, nell'ossidazione degli ioni cromici a ioni dell'acido cromico:
da cui risulta che ogni molecola-grammo di acido richiede 3F.
Infine si sogliono classificare tra le ossidazioni elettrolitiche alcuni fenomeni che potrebbero dirsi di polimerizzazione, e che avvengono di regola con densità anodiche molto elevate. Tali sono la formazione elettrolitica dell'ozono e la preparazione di alcuni peracidi:
Fenomeni di passività. - Accade in alcuni casi che un metallo attaccabile non dia luogo a un rendimento di corrente teorico nel processo di dissoluzione. Si dice allora che il metallo è divenuto passivo, o che presenta fenomeni di passività. È interessante notare che un metallo può acquistare lo stato passivo anche con un trattamento chimico appropriato. Ciò fu osservato per la prima volta da Kier nel 1790 e confermato poi da Schönbein nel 1836 per il ferro trattato con acido nitrico concentrato.
Riguardo al comportamento anodico dei metalli si usa distinguere tra passività meccanica dovuta a formazione di uno strato insolubile protettore e passiviià chimica dovuta a un trattamento che non dà luogo a formazione d'uno strato facilmente apprezzabile.
Il piombo che funzioni da anodo in soluzioni solforiche rappresenta un caso tipico di passività meccanica in quanto - una volta raggiunta la continuità dello strato di perossido di piombo - incomincia a svolgersi ossigeno quantitativamente come su un elettrodo inattaccabile. Gli anodi di piombo si adoperano perciò largamente in alcuni processi elettrometallurgici che avvengono in soluzioni solforiche. Fenomeni analoghi si hanno col tallio e con i metalli capaci di dare idrossidi insolubili e buoni conduttori della corrente. Se lo strato formato non è conduttore avviene che il metallo funzionante da anodo forma più o meno rapidamente un ostacolo all'ulteriore passaggio della corrente, la quale ricomincia invece subito a passare se s'inverte la polarità. Presentano in grado molto spiccato questa proprietà l'alluminio e il tantalio, in misura minore il magnesio, il cadmio, lo zinco, il rame. Di essa si può trar profitto per trasformare le correnti alternative in correnti unidirezionali (v. convertitore).
La passività chimica è di più difficile interpretazione. Qualcuno ha sostenuto che essa sia dovuta ugualmente a formazione di strati d'ossido estremamente sottili; ma oggi si propende a credere che si tratti d'uno strato gassoso continuo assorbito alla superficie dell'elettrodo. Tipico è il comportamento anodico del ferro, del nichel e del cromo. Quest'ultimo assume facilmente un potenziale eguale a quello del platino.
L'anione che si scarica ha una grande influenza sulla passività anodica: col ferro bastano tracce minime di cloro per distruggere la passività che il metallo acquista nelle soluzioni alcaline.
Gli ioni idrogeno tendono a distruggere la passività del nichel il quale si discioglie nelle soluzioni d'acido solforico molto più che non in quelle di solfati. La tendenza del cromo a passivarsi è tanto grande che esso allegato al ferro in proporzioni del 14-15% gli conferisce un comportamento di metallo nobile (acciai inossidabili).
L'aumento della temperatura elimina i fenomeni di passività.
Tensioni di decomposizione dei sali fusi. - Nell'elettrolisi dei sali fusi gli effetti di depolarizzazione e le correnti residue sono molto forti a causa della notevole entità che assumono i fenomeni di convezione e di diffusione alle elevate temperature cui si opera. Questi fattori influiscono anche sul rendimento di corrente. R. Lorenz ha potuto eseguire per primo misure di tensione di decomposizione nei sali fusi adoperando elettrodi incapsulati.
Misure indirette della polarizzazione di saturazione possono essere fatte studiando gli equilibrî del tipo
e applicando le formule della termodinamica (v. affinità).
Dal complesso dei dati disponibili si può finora dedurre che la serie di spostamento alle alte temperature coincide con la serie elettrochimica delle soluzioni acquose, salvo piccole divergenze che si possono spiegare in base ai valori delle energie libere di soluzione dei sali (Devoto).
Accade spesso che il metallo, che si deposita catodicamente, formi in seno al sale fuso una sorta di nebbia la quale rimane imprigionata nella massa allo stato di sol (pirosoli di Lorenz) e provoca forti perdite per reazione con l'ossigeno dell'aria e con i prodotti anodici. Tutte queste cause di perdita esercitano sul rendimento dell'elettrolisi un'influenza relativa tanto più piccola quanto più elevata è la densità di corrente.
Rendimenti di corrente e rendimenti di energia. - Le leggi di Faraday ci forniscono un'indicazione precisa circa la quantità d'elettricità che occorre mettere in gioco per ottenere una determinata massa di prodotto. Ma noi abbiamo visto che non mancano reazioni secondarie capaci d'assorbire una parte dei prodotti formati all'elettrodo, né mancano casi in cui si scaricano ioni diversi da quelli che interessano il processo principale. E infine, come ad es. nelle ossidazioni e riduzioni elettrolitiche, può addirittura riuscire interessante di rendere quantitativa la reazione secondaria tra una data sostanza e il prodotto primario dell'elettrolisi.
D'altra parte i fenomeni di diffusione e di migrazione degli ioni possono sottrarre dalla zona elettrodica, ove essi si sono formati, i prodotti che c'interessano portandoli all'altro elettrodo e quindi impedendone la raccolta.
La tecnologia elettrochimica, previa un'esatta conoscenza dei singoli fenomeni, può ricorrere a una serie di espedienti adatti a mitigare tutte le azioni perturbatrici e a permettere la formazione e la raccolta, per quanto più è possibile integrale, dei prodotti primarî o secondarî dell'elettrolisi a seconda del loro interesse. La scelta del materiale degli elettrodi, la separazione della zona anodica dalla catodica per mezzo di opportuni diaframmi, il movimento del liquido, l'uso di dispositivi convenienti di raccolta dei gas hanno molto preoccupato i tecnici e gli studiosi, i quali sono giunti molto spesso a risultati veramente notevoli. Tuttavia la massa di sostanza che si raccoglie non è mai eguale a quella che si dovrebhe teoricamente avere: il rapporto tra i numeri che esprimono queste due quantità prende il nome di rendimento corrente Rc. Questo è anche uguale al rapporto tra la quantità d'elettricità teoricamente occorrente Qt e quella effettivamente impiegata Q
Dal punto di vista energetico non basta però raggiungere un alto rendimento di corrente, occorre anche fare in modo che la quantità d'energia complessivamente spesa sia quanto più possibile prossima alla quantità teorica che si deduce dalla misura dell'affinità della reazione.
La quantità teorica di energia Wt sarebbe eguale al prodotto della polarizzazione di saturazione Es per la quantità d'elettricità Qt prevista dalle leggi di Faraday; la quantità d'energia adoperata W è invece eguale al prodotto della differenza di potenziale E, applicata all'elettrolizzatore, per la quantità d'elettricità effettivamente occorsa Q. Il rapporto tra Wt e W rappresenta il rendimento di energia Rw:
tenendo presente la (3) si ha
Il rendimento d'energia si può quindi scrivere come prodotto del rendimento di corrente Rc per il rendimento di voltaggio
Quest'ultimo rapporto dipende non solo dai fenomeni di polarizzazione e in genere di sovratensione, ma anche dalla caduta ohmica nell'elettrolizzatore. Considerando il caso più semplice di due elettrodi piani e paralleli, di superficie s, posti alla distanza d in un elettrolita di conduttività κ, la caduta ohmica V, per una corrente d'intensità I, sarà data da:
e quindi avremo
indicando con σa e σc le sovratensioni anodica e catodica. Da tale formula risulta che il rendimento di voltaggio sarà tanto più grande - per un dato elettrolizzatore e un dato processo elettrochimico - quanto più piccola sarà la densità della corrente giacché anche le sovratensioni crescono col crescere di questo rapporto.
A prescindere dal fatto che in alcuni processi è indispensabile, per varie cause, avere un'alta densità di corrente onde assicurare un alto valore di Rc; le precedenti considerazioni trovano un limite nel fatto che, ceteris paribus, l'uso di basse densità di corrente porta a moltiplicarne il numero di apparecchi necessarî ad assicurare una determinata produzione giornaliera. Ne segue che, da un certo punto in poi, la diminuzione della spesa d'energia è più che controbilanciata dall'aumento delle spese di manutenzione d'interesse al capitale, di ammortamenti, ecc. In pratica la scelta del minimo economico dipende da un insieme di fattori la cui influenza relativa varia caso per caso.
Bibl.: Oltre i libri già citati alla voce elettrochimica: P. Askenasy, Einführung in die technische Elektrochemie, II, Brunswick 1916; J. Billiter, Technische Elektrochemie, 2ª ed. in 3 voll., Halle 1923; M. de Kay Thompson, Theoretical and Applied Electrochemistry, New York 1925; K. Arndt, Technische Elektrochemie, Stoccarda 1929; G. Devoto, La serie di spostamento dei metalli nei sali fusi, in Atti III Congr. Naz. Chim. Pura e Appl., pp. 322-330, Firenze 1929; V. Engelhardt, Handbuch der Technischen Elektrochemie, Lipsia 1931.