ELETTROMETALLURGIA
. L'elettrometallurgia comprende le teorie e le applicazioni relative alla produzione dei metalli (estrazione dei metalli dai minerali e da altre materie prime) quando viene impiegato come mezzo efficiente l'energia elettrica. L'elettrometallurgia comprende una parte elettrochimica e una parte elettrotermica. La prima studia e applica a scopo metallurgico le reazioni chimiche che sono generate o altrimenti dipendono da cause elettriche; la seconda studia invece e applica le reazioni che avvengono utilizzando l'energia elettrica soltanto come mezzo di riscaldamento. Ad es., appartiene alla metallurgia di tipo essenzialmente elettrochimico l'estrazione del rame mediante l'elettrolisi delle soluzioni dei sali di rame; appartiene invece alla metallurgia elettrotermica la preparazione della ghisa mediante utilizzazione di forni elettrici; appartiene infine ad ambo i tipi l'estrazione dell'alluminio dall'ossido di alluminio, poiché l'energia elettrica viene in tal caso adoperata cumulativamente, come mezzo elettrolizzante e come mezzo riscaldante.
Le esperienze d'elettrochimica interessanti l'elettrometallurgia cominciano subito dopo la scoperta di Volta con le indagini di Cruikshank il quale dimostrò la possibilità di ottenere la deposizione catodica dei metalli dalle loro soluzioni acquose. Nel 1808 Davy inaugura l'elettrometallurgia dei sali fusi con l'isolamento dei metalli alcalini. L'attenzione degli studiosi non poteva mancare di rivolgersi a queste nuove possibilità nel vasto campo della metallurgia. Ed infatti tra il 1835 e il 1840 il fisico francese Becquerel studiava il modo di utilizzare i fenomeni galvanici per accelerare i processi di trattamento per via umida dei minerali di piombo argentifero, giungendo a trattarne quantitativi piuttosto grandi fino a una tonnellata. Non sfuggiva allo studioso la possibilità di separare l'azione elettrolitica da quella galvanica; ma i generatori allora disponibili non permettevano d'eseguire per tal via il trattamento in grande. Nel 1838 Jacobi, riprendendo una vecchia osservazione di de La Rive sull'aderenza dei depositi elettrolitici di rame, comunicò all'Accademia delle scienze di Pietroburgo i risultati felici delle sue prime esperienze di galvanoplastica, le quali ebbero subito realizzazione per le minori quantità d'energia richieste. Poco dopo l'inglese Smee, ricollegando i varî risultati, ne mise in evidenza l'importanza in un trattato comprensivo dal titolo Electrometallurgy pubblicato a Londra nel 1841. L'interesse per le nuove prospettive è dimostrato dal fatto che nel 1851 si stampava una seconda edizione del libro.
Nello stesso anno 1851 R. Bunsen otteneva il magnesio per elettrolisi del cloruro fuso; nel 1854 (contemporaneamente ad H. Sainte-Claire Deville) isolava l'alluminio elettrolizzando il cloruro doppio di alluminio e di sodio e pubblicava un magistrale lavoro sull'elettrolisi delle soluzioni acquose di sesquicloruro di cromo specificando l'influenza della densità di corrente catodica per ottenere il metallo invece degli ossidi; ed infine nel 1855, in collaborazione con Mathiessen, giungeva alla separazione elettrolitica del litio. Ma l'invenzione del Volta, che pur aveva aperto la via alle ricerche, non permetteva l'applicazione industriale dei processi elettrometallurgici e solo quando A. Pacinotti ebbe scoperto il modo di realizzare la macchina dinamoelettrica, tali applicazioni cominciarono ad affermarsi. Proprio nello stesso anno (1867) in cui W. Siemens comunicava i primi dati pratici sulla costruzione della sua macchina dinamoelettrica, il Patera pubblicava in Germania un accurato studio sulla precipitazione del rame dalle acque di lisciviazione della miniera di Schmollnitz. Tra il 1865 ed il 1870 Elkington mette a punto il suo processo per la raffinazione elettrolitica del rame con l'uso della dinamo e con il recupero dell'argento dalle melme anodiche.
Questi tentativi davano subito luogo da un lato a prove industriali con mire più ambiziose e dall'altro a sistematiche ricerche di laboratorio. Nel 1882 l'italiano Marchese propone di trattare direttamente le matte povere di rame adoperandole come anodi nell'elettrolisi e costruisce prima un'officina semi-industriale a Casarza (Sestri-Levante) con una potenza di 125 HP e poi una seconda a Stolberg in Germania per conto della A. G. für Bergbau, Blei-und Zinkhüttenbetrieb; ma la soluzione definitiva di questo problema (come di quello analogo per l'estrazione dello zinco) doveva farsi attendere fino a questi ultimi anni. È da notare che il primo studio scientifico di tutti i fenomeni connessi con il trattamento elettrochimico del rame è dovuto a Kiliani, il quale fin dal 1885 ne chiariva gli aspetti principali.
Di pari passo con queste prime applicazioni procedono quelle per la preparazione dei metalli alcalini ed alcalino-terrosi, dando così impulso allo sviluppo del forno elettrico. Nel 1878 sir W. Siemens brevetta il suo forno a crogiolo e, in una famosa conferenza tenuta nel 1880 alla Society of Telegraph Engineers di Londra, ne segnala l'interesse per la metallurgia del ferro. Il forno elettrico doveva però affermarsi prima in altre applicazioni. Nel 1885 abbiamo i brevetti dei fratelli E. H. ed A. H. Cowles per la preparazione di leghe d'alluminio, nel 1886 quasi contemporaneamente P. Héroult e C. M. Hall brevettano in Francia e in America i forni per l'alluminio e nel 1892 H. Moissan e T. L. Wilson giungono indipendentemente alla preparazione del carburo di calcio (v. forno: Forno elettrico). L'elettrosiderurgia doveva attendere fino al 1898 il suo realizzatore in Ernesto Stassano, che eseguiva nell'officina dei Cerchi a Roma le prime prove di riduzione dei minerali di ferro con un forno da 130 HP. Così i varî processi elettrometallurgici, col sussidio dei potenti generatori forniti dall'industria e delle sicure conoscenze acquisite per mezzo di indagini ininterrotte, entravano nel campo delle pratiche realizzazioni.
L'elettrometallurgia parzialmente elettrochimica viene generalmente suddivisa in due parti: elettrometallurgia per via umida ed elettrometallurgia per via secca.
L'elettrometallurgia per via umida comprende essenzialmente tutti gli studî e le applicazioni relative all'elettrolisi delle soluzioni in acqua di sali metallici (cloruri, solfati, ecc.). Eccezionalmente sono considerate le elettrolisi di soluzioni in altri solventi: organici (alcool, acetone, ecc.) e inorganici (ammoniaca, anidride solforosa, ecc.). Ne segue che le temperature alle quali viene realizzata l'elettrometallurgia per via umida sono generalmente inferiori ai 100° (punto d'ebollizione dell'acqua alla pressione atmosferica). Applicazioni importantissime dell'elettrometallurgia per via umida sono le industrie galvanoplastiche (ramatura, nichelatura, zincatura, cadmiatura, cromatura, doratura, argentatura, ecc.), la raffinazione dei metalli impuri (rame, argento, oro, ferro, piombo, stagno, ecc.) e le estrazioni di metalli dai minerali (rame, zinco, ferro, ecc.).
L'elettrometallurgia per via secca comprende invece gli studî teorici e le applicazioni relative all'elettrolisi di sostanze allo stato di fusione. Queste sostanze possono essere sostanze pure (per es.: idiato di sodio, cloruro di calcio, ecc.), oppure miscugli di due o più sostanze diverse (per es.: allumina, criolite e fluoruro di calcio). Ne segue che le temperature alle quali viene realizzata l'elettrometallurgia per via secca sono generalmente assai elevate e possono raggiungere molte centinaia di gradi. Il riscaldamento delle sostanze che vengono elettrolizzate allo stato di fusione può venir fatto, in alcuni casi, usufruendo di focolari a combustibile, ma in generale usufruendo del calore sviluppato dalla stessa corrente elettrica che è impiegata per l'elettrolisi allora quando attraversa le sostanze elettrolizzate. È allora essenzialmente utilizzato il calore Joule; ma non si deve dimenticare che a questo si somma quello proveniente dagli effetti Peltier che hanno luogo al contatto fra gli elettrodi e le sostanze con essi in contatto. Esempio tipico d'elettrometallurgia per via secca sono le preparazioni del sodio, dell'alluminio, del magnesio, del calcio, del berillio, ecc.
Nell'elettrometallurgia elettrotermica, la corrente elettrica non agisce come agente elettrolizzante ma soltanto come agente riscaldante. L'energia elettrica viene perciò trasformata in energia termica entro speciali apparecchi detti forni elettrici, nei quali vengono messe le sostanze che agendo fra di loro (chimicamente e fisicamente) dànno origine ai metalli o alle leghe metalliche che si vogliono produrre. Esempî tipici d'elettrotermometallurgia sono la produzione della ghisa a partire dal minerale di ferro, la produzione di ferro-leghe (ferro-cromo, ferro-silicio, ecc.), la produzione di acciai fini a partire da rottami d'acciaio, la produzione di acciai speciali (acciai al nichel, al cromo, acciai rapidi, ecc.). La produzione dello zinco al forno elettrico, ecc.
Nei trattati viene generalmente compresa nell'elettrotermometallurgia, anche la preparazione del fosforo al forno elettrico, quella del silicio, della grafite, del carborundum, del carburo di calcio, ecc. Queste preparazioni, però, più propriamente dovrebhero essere classificate come preparazioni elettrotermochimiche.
Fondamenti teorici dell'elettrometallurgia.
Elettrometallurgia per via elettrochimica. - I fondamenti teorici dell'elettrometallurgia per via elettrochimica devono ricercarsi nelle leggi generali dell'elettrochimica e dell'elettrolisi, tenendo presente il fatto che i sali metallici allo stato di soluzione o di fusione sono degli elettroliti, conducono cioè la corrente elettrica (v. elettrolisi).
Le molecole dei sali allo stato di soluzione o di fusione sono in gran parte dissociate in ioni aventi carica elettrica positiva e in ioni aventi carica elettrica negativa (es.: CuSO4=Cu++ + SO4=; NaCl = Na+ + Cl-), i primi costituiti dai radicali metallici e i secondi dai radicali acidi caratteristici del sale che si considera. Nelle soluzioni acquose dei sali esistono inoltre, in piccolissima o in notevole quantità (in causa della dissociazione elettrolitica dell'acqua e della idrolisi dei sali), idrogenioni (H+), ossidrilioni (OH-), ioni idrossonio (OH3+), ecc. Soluzioni saline cui vengono aggiunte notevoli quantità di acidi (es.: acido solforico alle soluzioni di solfato di rame impiegate nella raffinazione del rame), e quindi ricchissime di ioni idrogeno, sono spesso usate in elettrometallurgia. Esistono nelle soluzioni saline in molti casi anche aggregati di ioni con molecole (es.: AgNO3•NO3- nelle soluzioni di nitrato d'argento) e ioni complessi (es.: ioni Ag(CN)2- nelle soluzioni ottenute disciogliendo il cianuro d'argento in quelle dei cianuri alcalini).
Nelle soluzioni acquose di alcuni sali (specialmente se sono assai diluite e a temperatura piuttosto elevata) esistono anche particelle colloidali degl'idrossidi e dei sali basici derivanti dall'idrolisi del sale disciolto. Queste particelle posseggono cariche elettriche libere, positive o negative, e quindi possono essere considerate come grossi ioni. Esempî tipici si riscontrano nelle soluzioni diluite e calde dell'acetato ferrico, del cloruro ferrico, ecc. Ioni complessi, ioni aggregati e molecole aggregate, esistono particolarmente nei sali fusi (per esempio: gli ioni PbCl3- ecc., nel cloruro di piombo fuso).
Nel caso dei sali fusi, in presenza del metallo fuso, avviene talvolta la formazione della cosiddetta nebbia metallica, la quale può essere considerata come una soluzione colloidale o semicolloidale consistente in goccioline metalliche, ultramicroscopiche o microscopiche, elettricamente cariche, che si mantengono in sospensione nel sale fuso, e che causano inconvenienti gravissimi nelle elettrolisi industriali.
Se si stabilisce, nei sali allo stato di soluzione o di fusione descritti, una differenza di potenziale elettrico, gli ioni positivi sono sollecitati a muoversi nel senso delle forze elettriche e i negativi in senso opposto ed è su questo doppio flusso di ioni che si fondano i processi elettrometallurgici per via elettrolitica. Praticamente si applica una differenza di potenziale sufficiente a produrre mediante conduttori (elettrodi) immersi nel sale in soluzione o fusione (elettrolita) l'elettrolisi visibile, cioè la scarica degli ioni sugli elettrodi e la formazione dei prodotti dell'elettrolisi. All'elettrodo negativo (catodo) per effetto della scarica dell'ione metallico, possono così formarsi o il corrispondente metallo, solido o liquido (es. rame solido nell'elettrolisi del solfato di rame disciolto), oppure sostanze provenienti da reazioni concomitanti alla scarica dei cationi (formazione di idrato di sodio nella elettrolisi delle soluzioni acquose del cloruro di sodio). Talvolta anche la liberazione del metallo all'elettrodo negativo può dipendere da reazioni particolari (es. liberazione dell'argento nelle elettrolisi delle soluzioni contenenti miscugli di cianuro di potassio e cianuro d'argento, le quali non contengono in quantità sensibile gli ioni Ag+).
All'elettrodo positivo (anodo), invece, gli ioni negativi che vi sono trasportati possono o liberarsi senz'altro o reagire con il mezzo, se sono di adatta natura e se l'anodo è inattaccabile, o reagire con la sostanza di cui l'elettrodo è costituito, dando luogo a nuovi composti che entrano in soluzione se solubili, precipitano se insolubili, formando i cosiddetti fanghi elettrolitici, o si sviluppano se sono allo stato gassoso (es. ossido di carbonio nell'elettrolisi dell'allumina fusa tra elettrodi di carbone).
Contemporaneamente alla liberazione del metallo, si può avere al catodo sviluppo d'idrogeno per scarica diretta di ioni idrogeno o per effetto di reazioni secondarie; all'anodo sviluppo di ossigeno per scarica diretta di ioni o per reazioni secondarie.
Nel complesso, l'elettrolisi è accompagnata da fenomeni di riduzione chimica, che avvengono nella regione catodica dell'elettrolizzatore e di ossidazione che avvengono nella regione anodica, ed è appunto ai fenomeni di riduzione catodica che corrisponde la produzione del metallo.
Assai importanti a considerare, da questo punto di vista, specialmente nei casi in cui l'anodo debba essere corroso durante l'elettrolisi, sono i fenomeni di passività elettrochimica per effetto dei quali l'anodo diventa più o meno inattaccabile dai prodotti anodici dell'elettrolisi. Diversi mezzi sono stati usati per distruggere, quando occorra, tale stato passivo, fra cui l'aumento della temperatura alla quale si fa l'elettrolisi e l'aggiunzione all'elettrolita di sostanza originante cloroioni (es. cloruro di sodio nel caso degli anodi di nichel). Si è anche proposto l'uso di correnti pulsanti ottenute sovrapponendo una corrente alternata alla corrente continua elettrolizzatrice (elettrolisi dell'oro).
Anche le correnti alternate possono produrre, in grado più o meno notevole, la corrosione elettrolitica dei metalli allorquando sono soddisfatte certe condizioni d'irreversibilità, per effetto delle quali la quantità di metallo corroso nella fase della corrente in cui l'elettrodo considerato è anodo, non viene totalmente ridepositata sull'elettrodo nella fase successiva, quando esso diventa catodo. Tale irreversibilità può essere grandissima allorquando si ha formazione di anioni complessi (es.: elettrodi di rame in una soluzione di cianuro di potassio) e si può avere allora la dissoluzione completa del metallo ove la frequenza della corrente non sia troppo elevata. Con le correnti alternate di usuale frequenza (40 a 50 periodi) il ferro è notevolmente corroso allorquando è immerso in soluzioni di cloruri alcalini; esso infatti viene precipitato allo stato d'idrato allorché (per effetto dell'inversione della corrente) si forma l'idrato alcalino all'elettrodo di ferro che nella fase precedente ha funzionato come anodo; ed è stato quindi allora corroso per effetto degli ioni cloro portati su di esso dalla corrente elettrica. Nell'elettrometallurgia di tipo elettrochimico si impiegano esclusivamente correnti elettriche continue (unidirezionali); soltanto in casi specialissimi, come si è detto, si usa sovrapporre alla corrente continua una corrente alternata (correnti ondulate).
Per calcolare l'energia elettrica che è necessario impiegare per ottenere la produzione d'una determinata quantità di metallo mediante l'elettrolisi dei suoi sali, bisogna conoscere il rendimento di corrente e la tensione sotto la quale si deve operare per produrre la voluta elettrolisi.
Indicando con V la tensione applicata ai poli dell'elettrolizzatore, l'energia elettrica assorbita dall'elettrolizzatore per produrre M grammi del metallo (i cui cationi hanno la valenza n, e il cui atomo ha peso A) è misurata dal prodotto della tensione V per la quantità d'elettricità q fluita attraverso l'elettrolizzatore durante l'elettrolisi, cioè, se V è espressa in volt, è data, indicando con il rendimento elettrolitico, da:
Volendo riferirsi alle unità generalmente usate (chilowattora) bisogna dividere il valore del secondo membro per il numero 3.600.000; risulta cioè (arrotondando le cifre):
Poiché le correnti impiegate sono continue, la tensione V è data dalla somma di almeno quattro tensioni; e cioè della tensione elettrica necessaria per vincere la resistenza dell'elettrolizzatore (che viene determinata se si conosce la sua resistenza ohmica, R, e l'intensità i della corrente che lo percorre, cioè è data da: iR), di quella necessaria per vincere i fenomeni di polariżzazione che avvengono agli elettrodi, di quella necessaria per vincere gli eventuali fenomeni di sovratensione (specialmente notevoli ove si abbia sviluppo gassoso agli elettrodi) e infine di quella corrispondente alle controforze elettromotrici generate dalla differenza di concentrazione che, per effetto dell'elettrolisi, si generano nell'elettrolita. A queste tensioni si deve talvolta aggiungere la tensione necessaria per vincere le resistenze che si oppongono al passaggio della corrente attraverso al contatto fra gli elettrodi e l'elettrolita (resistenze al passaggio elettrodo-elettrolita) resistenze la cui origine è sovente assai complessa, e la cui grandezza può diventare notevolissima in casi speciali (es.: fenomeni anodici nell'elettrolisi dei sali fusi). Indicando con E la somma delle forze elettromotrici di polarizzazione ai due elettrodi, con ε la controforza elettromotrice dipendente dalle differenze di concentrazione agli elettrodi, con S la sovratensione complessiva ai due elettrodi, con P la tensione dovuta alle resistenze al passaggio elettrodo-elettrolita, risulta: V = iR + E + ε + S + P. Nella pratica industriale si fa in modo (agitando l'elettrolita, facendo avvenire l'elettrolisi a temperatura conveniente, scegliendo la natura degli elettrodi, regolando la densità della corrente, cioè proporzionando convenientemente l'intensità della corrente alla superficie degli elettrodi ecc.) che le quantità ε, S, P, sieno le minime possibili. La quantità iR viene invece stabilita in modo da far sì che la quantità di calore sviluppata in ogni minuto secondo nell'elettrolizzatore per effetto Joule, corrisponda alla quantità di calore che è necessario cedere in ogni minuto secondo all'elettrolizzatore per mantenerne la temperatura al calore necessario per la data elettrolisi. Nel caso di elettrolisi per via umida la iR sarà quindi generalmente assai piccola, mentre potrà raggiungere valori notevoli nel caso di elettrolisi di sali fusi. Per quanto riguarda la quantità E, essa si calcola in base all'affinità della reazione (v. affinità, I, p. 683 segg.).
Il valore di E può essere piccolissimo (pressoché nullo) nel caso in cui le reazioni anodiche abbiano valore energetico eguale e di segno opposto a quello delle reazioni catodiche (es.: elettrolisi di soluzioni di solfato di rame, con anodi di rame), mentre può essere assai elevato se intervengano notevoli fenomeni di polarizzazione anodica. Nell'elettrolisi delle soluzioni di sali fusi il valore di V è assai elevato poiché generalmente si lavora con grandi densità di corrente e si hanno notevoli forze controelettromotrici di polarizzazione e d'altra parte il valore di iR è in tali casi generalmente forte anche perché il bagno di sale fuso deve essere mantenuto ad alta temperatura.
A titolo d'esempio è da ricordare che mentre la tensione V per ogni elettrolizzatore è dell'ordine di grandezza 0,3 a 0,4 volt nel caso della raffinazione elettrolitica del rame, essa è dell'ordine di 2 a 3 volt nel caso dell'estrazione elettrolitica del rame (elettrodi insolubili) ed è dell'ordine di 7 a 8 volt nel caso dell'estrazione dell'alluminio (elettrolisi di sali fusi con anodi di carbone).
Elettrometallurgia per via termica. - Se anche l'elettrometallurgia sia di puro tipo elettrotermico, i suoi fondamenti teorici devono ricercarsi nella elettrotecnica, per quanto riguarda le caratteristiche elettriche del forno, e nella chimica-metallurgica, per quanto riguarda le reazioni che conducono all'ottenimento del metallo o della lega.
La convenienza o la necessità di adoperare l'energia elettrica come mezzo di riscaldamento per scopi metallurgici, dipende talvolta da ragioni economiche (quando l'energia termica ricavabile dall'energia elettrica costa meno di quella ricavabile dai combustibili), ma più in generale dal fatto che solamente mediante tale energia è possibile raggiungere le altissime temperature che sono necessarie per alcune reazioni; nonché dal fatto che mediante i forni elettrici è possibile ottenere condizioni di lavoro difficilmente realizzabili (e in alcuni casi non realizzabili affatto) con i forni a combustibile, e anche prodotti di qualità superiore.
Rimandando alla v. forno: Forno elettrico per quanto riguarda la comparazione fra il costo del riscaldamento elettrico e quello del riscaldamento con combustibili, qui basta soltanto ricordare che i forni elettrometallurgici ben costruiti hanno un rendimento termico più alto degli altri, poiché a parità di potenza, molto minori sono le perdite di calore verso l'esterno che essi subiscono. Inoltre con i forni elettrici è possibile far sviluppare il calore proprio dove è più necessario, e infine generare mediante azioni elettrodinamiche un energico rimescolamento nel bagno metallico, così da ottenere prodotti d'alta omogeneità. Infine, usando i forni elettrici, il metallo non viene in contatto con prodotti della combustione e risulta più puro. S'aggiunga che le condizioni, nelle quali avviene la colata del metallo in forme o in lingottiere, possono essere assai migliori usando forni elettrici, e si comprenderà come anche quando l'energia elettrica abbia un prezzo alto, essa debba essere usata per la produzione di metalli e di leghe d'alto valore (p. es. gli acciai più fini).
La corrente adoperata per i forni elettrotermometallurgici è oggi esclusivamente alternata, monofase o polifase.
Generalità sugl'impianti e sugli apparecchi elettrometallurgici.
In ogni stabilimento elettrometallurgico speciale importanza ha la sezione per la preparazione delle materie prime, essendo queste delle più diverse specie e qualità (minerali o prodotti da essi ricavati con precedenti lavorazioni, rottami di metalli da trattare per la raffinazione o per l'estrazione di alcuni componenti, ecc.). Nel caso di raffinazioni di metalli con elettrolisi per via umida è parte essenziale di questa sezione la fonderia degli anodi, che può avere forni elettrici o a combustibile a seconda della convenienza economica. Nel caso d'elettrolisi per via secca con anodi di carbone è alcune volte (caso dell'alluminio) condotta nello stabilimento anche la preparazione di questi elettrodi. Negli stabilimenti importanti non manca un laboratorio per analisi e per ricerche chimicometallurgiche e così pure un'officina per la manutenzione dei macchinarî, degli elettrolizzatori, dei forni elettrici e degli altri impianti fissi e mobili esistenti nello stabilimento. La costruzione degli elettrolizzatori e dei forni elettrici viene fatta, di solito più economicamente, da officine specializzate. Parte essenziale è anche la cabina elettrica dove l'energia elettrica che arriva dall'esterno, generalmente sotto forma di corrente alternata trifase ad altissima tensione, viene trasformata in corrente continua (se si tratti d'impianti metallurgici con elettrolizzatori) o in corrente alternata di tensione opportuna se si tratti d'impianti elettrotermometallurgici.
Il nucleo elettrometallurgico dello stabilimento è però costituito dagli elettrolizzatori e dai forni elettrici; generalmente disposti in grandi sale o sotto opportune tettoie. Gli elettrolizzatori per via umida sono costituiti da cassoni di ferro, se l'elettr0lita è alcalino, o di cemento o di legno foderati internamente di piombo, se l'elettrolita è acido; o anche talvolta di grès. I cassoni hanno capacità fino a più decine di metri cubi e sono molte volte disposti in fila in modo che l'elettrolita possa passare da ognuno al successivo e venir raccolto dall'ultimo per essere rinviato (dopo eventuali purificazioni e opportuni trattamenti) al primo, mediante sistemi di pompe. Per facilitare tal movimento, i cassoni si dispongono anche a scalinata, cioè in maniera che ognuno sia più elevato del successivo rispetto al livello del suolo.
L'elettrolita viene generalmente riscaldato e mantenuto alla temperatura opportuna dal calore che sviluppa la stessa corrente elettrica impiegata per l'elettrolisi passando dagli anodi ai catodi attraverso l'elettrolita. Ma se ciò non è sufficiente si adattano negli elettrolizzatori dei serpentini percorsi da vapore, o altri apparecchi di riscaldamento, i quali talvolta sono allogati anche nelle vasche in cui si purifica o altrimenti si tratta l'elettrolita circolante. In qualche caso, invece che riscaldare, è necessario raffreddare l'elettrolita.
Gli anodi e i catodi sono generalmente di forma parallelepipeda piatta. In qualche caso i catodi sono costituiti da cilindri metallici che si fanno rotare velocemente entro il bagno (fabbricazione elettrolitica di tubi di rame e di ferro senza saldatura).
Se si tratta di raffinazione di metalli, gli anodi sono costituiti con il metallo impuro, e hanno allora lo spessore di alcuni centimetri, mentre i catodi sono inizialmente costituiti da fogli sottili del metallo puro, che s'ingrossano durante l'elettrolisi per il deposito di altro metallo puro. In altri casi i catodi sono costituiti da un metallo differente da quello che vi si deposita; questo viene staccato quando ha raggiunto uno spessore conveniente. Gli anodi e i catodi sono immersi nell'elettrolita sostenendoli opportunamente in modo che assumano posizione verticale. Gli anodi sono generalmente alternati con i catodi (fig. 1) e tutti gli anodi e tutti i catodi singolarmente appartenenti ad ogni vasca sono elettricamente uniti fra loro in parallelo, in modo che la corrente elettrica entri nell'elettrolita da tutti gli anodi (e fra loro si ripartisca ugualmente) ed esca da tutti i catodi, dopo aver attraversato l'elettrolita.
Tutti gli elettrolizzatori d'una stessa fila sono disposti elettricamente in serie, di modo che se V è la tensione elettrica ai poli d'ogni elettrolizzatore, la tensione complessiva alle estremità della serie (se m indica il numero degli elettrolizzatori che compongono quella fila) è: mV + ir, ove i indica l'intensità della corrente impiegata ed r indica la resistenza elettrica complessiva delle connessioni esistenti fra gli elettrolizzatori.
Molte volte più file sono disposte elettricamente in serie in modo da poter impiegare macchine dinamoelettriche con tensioni piuttosto elevate (generalmente 100 a 200 volt) per ragioni di miglior rendimento elettrico e di minor costo del macchinario.
Elettrolizzatori (fig. 2) assai più modesti sono solamente impiegati per gl'impianti di galvanoplastica e in tal caso si adoperano dinamo con bassissima tensione (in generale 6 o 12 volt e anche meno) poiché pochi sono gli elettrolizzatori disposti in serie. Esistono tuttavia impianti per galvanoplastica di assai grandi dimensioni.
Nel caso delle elettrolisi di sali fusi, gli elettrolizzatori sono generalmente costituiti da vasche di ferro, e contengono talvolta un solo anodo e un solo catodo con forme speciali come è indicato schematicamente nella fig. 3 che si riferisce a un elettrolizzatore per la produzione del sodio.
Talvolta posseggono invece più anodi di carbone, tutti disposti elettricamente in parallelo, di forma parallelepipeda la cui faccia inferiore fa contatto col bagno. La vasca di ferro (di forma cilindrica o parallelepipeda) è molte volte internamente rivestita di materiale refrattario, e questo d'un grosso strato di carbone, in modo da poter funzionare da elettrodo negativo (es.: elettrolizzatori per alluminio; fig. 4).
I forni usati nella elettrotermometallurgia sono descritti alla voce: forno: Forno elettrico.
Le principali applicazioni elettrometallurgiche.
Elettrometallurgia per via umida. - Rame. - La raffinazione elettrolitica del rame è impoitantissima a causa dell'enorme richiesta di rame purissimo per scopi elettrotecnici. Si calcola che annualmente ne venga così raffinato più di 1.500.000 tonnellate, cioè più di quattro quinti della produzione mondiale. Le più importanti raffinerie elettrolitiche di rame si trovano negli Stati Uniti d'America, in minor numero anche in Inghilterra, Germania e Belgio. In Italia esisteva una piccola raffineria di rame a Livorno, che cessò poi di funzionare; e un'altra più importante a Torino (con la produzione di circa 4500 tonnellate di rame). Questa estraeva il rame con un procedimento speciale (metodo O. Scarpa), dai rottami di bronzo che si trovavano in grande quantità sul mercato, a causa della demolizione delle navi nel dopoguerra.
I sottoprodotti che normalmente si ricavano raffinando elettricamente il rame sono l'oro e l'argento quasi sempre contenuti nei rami grezzi. Essi costituiscono il maggior guadagno dell'industria, la differenza di prezzo fra il rame metallurgico ed il rame elettrolitico compensando all'incirca soltanto le spese della raffinazione. Nella raffineria di Torino si otteneva come sottoprodotto lo stagno. L'oro e l'argento (come lo stagno) si ricavano lavorando i fanghi prodotti durante l'elettrolisi.
Il buon rame elettrolitico titola almeno 99,95 per cento in rame. Il consumo d'energia elettrica, quale si ha in pratica, è di circa 400 chilowattora per tonnellata di rame prodotto; ma, tenendo conto di tutte le perdite, può arrivare a 700 chilowattora nei piccoli impianti.
Oltre alla raffinazione va acquistando sempre maggior importanza l'estrazione elettrochimica del rame dai minerali. I primi tentativi di questa industria furono fatti in Italia intorno al 1880 (Marchese), ma il suo sviluppo è recentissimo ed è specialmente dovuto ai nuovi metodi di trattazione dei minerali poveri. Schematicamente si può dire che il metodo principale consiste nella lisciviazione con soluzioni acide del minerale torrefatto, e nella successiva elettrolisi delle soluzioni di sali di rame così ricavate. Si usano perciò anodi insolubili (di magnetite, di leghe non corrodibili, o di piombo) e quindi il consumo dell'energia elettrica, a causa della polarizzazione, è circa 5 a 7 volte maggiore che nella raffinazione. La più grande installazione di questo tipo funziona nel Chile e tratta minerali contenenti in media soltanto 2% di rame. I metodi fondati sull'uso di soluzioni contenenti sali di ferro a forte concentrazione (nel qual caso il consumo d'energia è minore per effetto della depolarizzazione anodica causata dai sali ferrosi) sembrano abbandonati per le difficoltà inerenti all'uso necessario di diaframmi porosi disposti fra gli anodi e i catodi.
Zinco. - Assai importante è l'estrazione elettrolitica dello zinco (la raffinazione non ha importanza industriale) che viene ottenuta lisciviando con acido solforico diluito il minerale torrefatto, ed elettrolizzando (fra anodi di piombo e catodi d'alluminio) le soluzioni dei sali di zinco così ottenute. Per ottenere buoni risultati è però necessario purificare con estrema cura queste soluzioni prima d'elettrolizzarle. Annualmente sono così prodotte nel mondo circa 500 mila tonnellate di zinco elettrolitico. I più grandi impianti esistono in America; impianti di notevole potenza si hanno anche in Italia: a Crotone (che è uno dei più grandi impianti europei di zinco elettrolitico) ove si lavora con i metodi americani, e in Sardegna dove la purificazione delle soluzioni è fatta con metodi studiati nel paese (Cambi). Lo zinco ottenuto elettroliticamente titola intorno a 99,5% e più; il consumo totale di energia elettrica è dell'ordine di 4000 a 5000 chilowattora per tonnellata di metallo.
Ferro. - La produzione del ferro per via elettrolitica (tanto la raffinazione partendo da ferro impuro quanto l'estrazione dai minerali di ferro) sarebbe importantissima soprattutto per l'industria elettrotecnica poiché permetterebbe di ottenere ferro purissimo con ottime caratteristiche magnetiche. Il costo di questa lavorazione è però assai forte, ragione per cui parecchie imprese che la praticavano avevano dovuto sospenderla. Una delle maggiori difficoltà di questa lavorazione è costituita dal fatto che il ferro ottenuto direttamente dall'elettrolisi è fragile e ha cattive proprietà magnetiche, ed è necessario disidrogenarlo per poterlo impiegare nei diversi usi. In Italia per circa un anno ha lavorato, utilizzando il metodo del Bouchayer una modesta officina a Pont S. Martin (Val d'Aosta). La raffinazione elettrolitica del ferro, con produzione di tubi, richiede circa 4000 chilowattora per tonnellata.
Nichel. - Esistono officine in America e in Norvegia in cui si estrae il nichel per via elettrolitica dalle matte di rame-nichel ricavando tanto il rame quanto il nichel. Questa lavorazione presenta però notevoli difficoltà. La produzione annua di nichel elettrolitico è di circa 20.000 tonn.
Piombo. - Con la raffinazione elettrolitica del piombo impuro si ottiene del piombo purissimo, la cui produzione ha importanza per l'industria degli accumulatori, per quella dei colori al piombo, e per i rivestimenti di piombo che non debbono andar soggetti a forti corrosioni. Esistono officine in Inghilterra e in America. Il piombo ottenuto titola 99, e il consumo di energia è di appena 98 chilowattora per tonnellata di metallo. Dai fanghi ottenuti durante l'elettrolisi si ricavano, come sottoprodotti, argento, antimonio, bismuto, rame e oro che costituiscono la principale fonte di guadagno. La produzione annuale di piombo elettrolitico è di circa 250.000 tonnellate.
Stagno. - In America ha raggiunto un grande sviluppo la raffinazione elettrolitica dello stagno. Questo titola in buone condizioni 99,98%. Il consumo di energia è di circa 160 chilowattora per tonnellata di metallo.
Una certa importanza ha il ricavo elettrolitico dello stagno dai residui della lavorazione della latta e delle scatole di latta usate. Si consumano allora circa 1900 chilowattora per tonnellata di stagno. In Italia esistono per tale scopo alcune piccole officine (S. Giovanni a Teduccio, ecc.). Stagno purissimo si ricava anche dalla lavorazione elettrolitica dei rottami di bronzo; come fu detto, questa industria fu realizzata in Italia.
Oro e argento. - L'oro e l'argento si ricavano per via elettrolitica dai rottami di oreficeria con i quali, dopo rifusi, si costituiscono degli anodi. Queste industrie sono sviluppate specialmente in America e in Germania. Esse richiedono impianti modesti, ma, se di notevole importanza, presuppongono forte immobilizzo di capitali a causa del valore delle materie prime e dei prodotti finali. Il consumo di energia è di circa 0,3 chilowattora per chilogrammo di oro, e di 0,4 a 0,8 chilowattora per chilogrammo di argento prodotto.
Anche l'estrazione elettrolitica dell'argento dal minerale, e dell'oro dalle sabbie aurifere, hanno notevole importanza. Per questo scopo si utilizzano soluzioni contenenti cianuri alcalini le quali portano in soluzione l'oro e l'argento sotto forma di cianuri complessi che vengono elettrolizzati.
Altri metalli. - Il cadmio, il bismuto, l'antimonio sono stati ottenuti e raffinati per via elettrolitica. Particolare interesse ha il cadmio le cui applicazioni (per la cadmiatura dei metalli) acquistano sempre maggiore importanza. Il cadmio è estratto dai residui della lavorazione dello zinco. La produzione annuale di cadmio è di circa 1500 tonn. Un impianto producente circa 10 tonn. annue di cadmio funziona in Sardegna.
Applicazioni galvanoplastiche. - La galvanoplastica è pur fondata sulla elettrolisi per via umida, e consiste nella elettrodeposizione di metalli su oggetti generalmente metallici, a scopo di proteggerli dalle corrosioni (se sono di ferro o d'acciaio per proteggerli dalla ruggine) oppure a scopo ornamentale. Particolare interesse hanno a tale fine la doratura e l'argentatura elettrolitica, mentre a scopo industriale si pratica in larghissima scala la ramatura, la zincatura, la nichelatura, la cadmiatura, la piombatura, la cromatura e la cobaltatura. Per estese notizie su queste applicazioni V. galvanoplastica.
Elettrometallurgia per via secca. - Alluminio. - Questo metallo si fabbrica oggi in grandissima scala. La materia prima è la bauxite (ossido idrato d'alluminio, impuro specialmente per composti del ferro, del titanio, e del silicio) dalla quale con processi chimici o elettrotermici si estrae l'allumina anidra (ossido d'alluminio) che vien mescolata con la criolite (fluoruro doppio di sodio e di alluminio). Questo miscuglio si mette in elettrolizzatori riscaldati elettricamente, e il bagno fuso viene elettrolizzato fra elettrodi di carbone. Il fondo dell'elettrolizzatore costituisce il catodo e quindi, essendo l'alluminio fuso leggermente più denso del bagno, esso rimane al fondo e viene poi spillato o altrimenti raccolto e versato nelle forme per ottenerne gli usuali lingotti. A mano a mano che l'elettrolisi procede si aggiunge nel forno nuova allumina che si discioglie nel bagno e compensa quella elettrolizzata. Il consumo di criolite nei forni ben condotti è piccolo. L'ossigeno che si sviluppa agli anodi (che son sempre in numero multiplo) ne brucia il carbone, fatto che origina una notevole spesa poiché il carbone, onde sono costituiti gli anodi, deve essere particolarmente puro (coke di petrolio) per non causare impurità dell'alluminio. L'alluminio risultante deve avere il titolo intorno a 99,5%; se ha titoli inferiori trova anche impiego, ma può presentare gravi difetti soprattutto per la minore conduttività elettrica e per la maggiore corrodibilità. Per ottenere una tonnellata d'alluminio (dalla allumina) sono necessarî circa 27.000 chilowattora.
Invece che usare la bauxite come minerale di partenza (e in Italia si hanno grandi giacimenti di bauxite nell'Abruzzo, nella Campania e nell'Istria) si può usare la leucite (silicato doppio di alluminio e di potassio) minerale di cui in Italia si hanno immensi depositi nei terreni vulcanici della Campania e del Lazio. Si ottengono allora come sottoprodotti sali potassici (solfato, nitrato, cloruro di potassio) che hanno grande valore per l'agricoltura. La fabbricazione dell'allumina e dei sali potassici dalla leucite è stata particolarmente studiata e attuata in Italia da A. Blanc.
Si producono attualmente nel mondo circa 250 mila tonnellate annue d'alluminio. L'Italia ne produce circa 10 mila. Le più grandi fabbriche d'alluminio sono negli Stati Uniti d'America, seguono quelle in Germania, in Francia, in Norvegia, in Inghilterra, in Svizzera. Vi sono in Italia tre fabbriche d'alluminio in funzione (a Mori, a Marghera, a Borgofranco-Ivrea). A Porto Marghera vi è anche un'importante fabbrica d'allumina dalla bauxite; essa fondamentalmente impiega metodi elettrotermici (metodo Haglund). A Bussi si fabbrica l'allumina dalla bauxite con metodi chimici (metodo Bayer) e ad Aurelia si fabbrica l'allumina dalle leuciti con il metodo Blanc. In America si eseguisce la raffinazione dell'alluminio mediante elettrolisi in speciali forni elettrici. Si arriva così ad alluminio con il titolo 99,8 - 99,9% al quale compete una maggiore conduttività elettrica e una maggiore resistenza alla corrosione.
Magnesio. - La fabbricazione del magnesio per elettrolisi fu esclusivamente fatta in Germania fino al 1914; ma i bisogni di guerra spinsero la Francia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti a studiarla e a installarla nei loro paesi, ov'è ora in pieno sviluppo. Il magnesio è infatti necessario per la labbricazione di leghe metalliche leggiere, richieste dalle industrie aeronautiche e automobilistiche.
In Germania e in Francia si ottenne il magnesio elettrolizzando in forni elettrici la carnallite (cloruro doppio di potassio e magnesio); in Inghilterra si fabbricò, per elettrolisi ignea della carnallite, una lega di piombo e magnesio che veniva decomposta (pure con elettrolisi) per ricavare il magnesio puro. Occorrono circa 18.000 chilowattora per produrre una tonnellata di magnesio. Esistono anche metodi per ottenere più semplicemente il magnesio dal suo cloruro, utilizzando come materia prima la dolomite (carbonato di calcio e magnesio).
Sodio. - La fabbricazione elettrolitica del sodio ha speciale interesse per l'industria chimica. Viene ottenuto per elettrolisi del cloruro di sodio fuso in forni elettrici elettrolizzatori (incontrando però forti difficoltà), e più comunemente per elettrolisi dell'idrato di sodio fuso, che fonde a temperatura molto più bassa.
Per produrre una tonnellata di sodio dall'idrato fuso occorrono circa 15.000 chilowattora. La fabbricazione del sodio è fatta principalmente in Francia, in Germania e negli Stati Uniti.
Calcio. - Questo metallo viene quasi esclusivamente prodotto in Francia e in Germania. È fabbricato elettrolizzando in forni elettrici il cloruro di calcio fuso. Per produrre una tonnellata di calcio occorrono 42.000 chilowattora.
Cerio. - Si ottiene per elettrolisi ignea del cloruro di cerio. La sua fabbricazione è fatta in Francia, in Germania e negli Stati Uniti. L'impiego principale di questo metallo è, sotto forma di lega con il ferro, per pietruzze di accenditori automatici. Occorrono circa 20.000 chilowattora per tonnellata.
Berillio. - Questo metallo è da pochi anni fabbricato industrialmente (in Germania) mediante elettrolisi del suo fluoruro mescolato con fluoruri alcalini e alcalino terrosi allo stato di fusione. L'enorme leggerezza di questo metallo e alcune sue speciali proprietà chimico-metallurgiche fanno a molti sperare un suo notevole avvenire.
Litio. - Il litio viene fabbricato per elettrolisi del suo cloruro mescolato con cloruro di potassio, per abbassarne la temperatura di fusione. La grande leggerezza del litio (è molto meno denso dell'acqua) è caratteristica di questo metallo la cui principale applicazione attuale è nella metallurgia d'alcune leghe. Viene fabbricato in Germania.
Potassio. - Anche il potassio può essere fabbricato elettrolizzandone alcuni sali allo stato di fusione. La sua produzione non ha attualmente importanza industriale.
Applicazioni elettrotermometallurgiche. - Queste applicazioni riguardano la fabbricazione, con forni elettrici puri (non elettrolizzatori), degli acciai al carbonio, degli acciai speciali, della ghisa, delle ferro-leghe, di leghe non ferrose, dello zinco ecc. Di esse sarà trattato alla voce forno: Forno elettrico e alle voci riguardanti i singoli metalli.