Elettronica
di Francesco Carassa e Emilio Gatti
Elettronica
Sommario: 1. Introduzione. 2. Sviluppo storico. 3. Lo spettro delle onde elettromagnetiche. 4. Generalità sui sistemi elettronici. 5. Il tubo elettronico amplificatore: a) generalità; b) il pentodo come generatore di corrente comandato da tensione; c) guadagno trasduttivo di potenza del pentodo; d) limiti di funzionamento per l'amplificatore a pentodo; e) il rumore; f) temperatura di rumore di un amplificatore. 6. I dispositivi a semiconduttori: a) generalità; b) la giunzione pn; c) il transistore; d) cenno sul rumore del transistore. 7. Circuiti logici: a) principî generali; b) il transistore a effetto di campo. 8. Tubi per microonde: a) premessa; b) il klystron; c) il tubo a onda viaggiante; d) il magnetron. 9. Amplificazione parametrica. 10. I processi di fabbricazione: a) evoluzione dei processi di fabbricazione; b) il processo planare: diodi e transistori. 11. Gli organi di entrata e quelli di uscita (trasduttori). 12. I più recenti dispositivi a stato solido e le loro prospettive di sviluppo: a) generalità; b) il diodo tunnel; c) diodi a tempo di transito; d) diodi a trasferimento di elettroni; e) confronto fra le diverse soluzioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione
I reciproci scambi fra le diverse discipline mostrano, oggi più che mai, come lo sviluppo della scienza e della tecnica sia un fenomeno essenzialmente unitario. Non sembra quindi utile cercare, per una disciplina relativamente giovane e in rapidissimo sviluppo, quale l'elettronica, una definizione ‛dogmatica' capace di individuarla e di separarla, nel suo metabolismo, dagli adiacenti settori della fisica e dell'elettrotecnica. Ci limiteremo invece a riportare e discutere criticamente alcune delle definizioni che sono state successivamente formulate per il termine ‛elettronica'.
La più semplice di esse indica l'elettronica come la fisica dell'elettrone e lo studio del suo moto sotto diverse condizioni ed è direttamente collegata al contenuto etimologico della parola telettrone'; tale definizione individua però solo una parte dell'elettronica, da alcuni chiamata ‛elettronica fisica', che può in realtà essere considerata comune anche ad altri rami della scienza. Una seconda definizione descrive più precisamente l'elettronica come la disciplina riguardante lo studio dei fenomeni di conduzione dell'elettricità nel vuoto e nei gas, e gli strumenti basati su tali fenomeni. Sino a quando non venne affrontato lo studio dei dispositivi allo stato solido, questa definizione, basata sulle proprietà degli elettroni liberi e, per estensione, su quelle degli elettroni e degli ioni nei gas, poteva essere ritenuta soddisfacente, ma oggi essa dovrebbe essere ulteriormente estesa fino ad includere lo studio del moto degli elettroni nei semiconduttori e nei metalli, nonché il settore dell'elettronica quantistica e, almeno sotto un certo aspetto, l'ottica.
Il fatto che, a ogni importante sviluppo, si debba procedere a revisioni mostra che la definizione stessa è basata su aspetti contingenti e non sulla vera essenza dell'elettronica. Si è quindi tentata la nuova via di una definizione basata non più sulle caratteristiche dell'elettrone (protagonista forse accidentale e temporaneo dell'elettronica), ma sulle finalità dell'elettronica come scienza applicata: ‟l'elettronica è la disciplina che riguarda il potenziamento dei sensi dell'uomo e delle sue possibilità intellettive per mezzo di strumenti che raccolgono e trattano l'informazione, trasmettendola nel punto desiderato perché ivi controlli le macchine o venga presentata nel modo più opportuno a esseri umani per loro diretto uso" (W. L. Everitt, Let us re-define electronics, in ‟Proceedings of the Institute of Radio Engineers", 1952, XL, p. 899).
Quest'ultima definizione è certamente meno limitativa delle precedenti, ma appare sconcertante perché abbraccia attività umane che preesistevano da secoli all'elettronica, come la scrittura, i codici e la trasmissione di segnali ottici e acustici, inquadrate ora in modo scientifico nella teoria dell'informazione di Wiener e Shannon. Il fatto che in essa non sia più menzionato l'elettrone non deve far dimenticare che questo è tuttora il mezzo di lavoro più valido dell'elettronica. L'elettrone libero, con la sua piccola massa (pari a 1/1.860 di quella del più leggero atomo conosciuto) e con la sua carica coincidente con la più piccola quantità separabile di carica elettrica, dà infatti la possibilità di ottenere, nei tubi elettronici a vuoto o a gas, ‛filetti di corrente' quasi privi di inerzia che, opportunamente comandati, possono essere utilizzati per amplificare segnali elettrici variabili nel tempo anche con estrema rapidità; ed è di nuovo l'elettrone, o la sua assenza (detta ‛buco' o ‛lacuna'), che dà luogo, nei dispositivi a semiconduttore, a ‛filetti di corrente', all'interno di corpi a stato solido, comandati in modo da ottenere l'amplificazione di segnali elettrici.
In questo articolo sono raccolte alcune notizie generali e sono trattati i dispositivi mediante i quali le apparecchiature elettroniche vengono costruite.
In conformità con i richiami precedentemente fatti sulla definizione di elettronica, questo articolo è strettamente connesso con informazione: Trattamento e trasmissione dell'informazione; e anzi il complesso dei due articoli può essere considerato come una trattazione sostanzialmente unica.
2. Sviluppo storico
Le premesse per la nascita dell'elettronica possono essere individuate nel confluire, alla fine del XIX secolo, delle scoperte dell'elettrone e dei fenomeni elettromagnetici nel filone delle ricerche a scopo pratico, in corso da millenni, sui mezzi e sui metodi più efficienti ed economici per la trasmissione a distanza di informazioni (per via ottica, acustica ed elettrica): le più recenti conquiste erano a quell'epoca il telegrafo e il telefono.
Come è noto, le esperienze di H. R. Hertz e successivamente quelle di A. Righi confermarono le previsioni teoriche di J. C. Maxwell sulle onde elettromagnetiche e, dopo le esperienze di E. Branly, N. Tesla, O. J. Lodge, A. Popov, G. Marconi e le prime affermazioni della telegrafia senza fili ad opera di quest'ultimo, il XX secolo si aprì con la storica trasmissione, da parte di Marconi, di un segnale telegrafico in codice Morse attraverso l'Atlantico, fra Poldhu (Cornovaglia) e St. John's (Terranova). I problemi dibattuti a quell'epoca riguardavano in primo luogo le modalità di propagazione delle onde elettromagnetiche in presenza della Terra e della ionosfera: quest'ultima, fungendo da specchio, era infatti responsabile del successo delle citate trasmissioni a distanze che sarebbero state altrimenti precluse a causa della curvatura della superficie terrestre. Per quanto riguarda la generazione delle onde elettromagnetiche, essa era basata essenzialmente sull'eccitazione di oscillazioni a radiofrequenza in circuiti dove si provocavano fenomeni elettrici transitori mediante l'apertura e la chiusura di contatti: l'interruttore tipico era rappresentato dallo spinterometro a sfere e dalla scintilla che lo veniva a chiudere; nel circuito sviluppato da Marconi all'inizio delle sue esperienze lo spinterometro era direttamente inserito fra l'antenna e la terra, mentre, in quello più perfezionato di K. F. Braun, allo spinterometro era collegato un circuito oscillatorio, accoppiato induttivamente al circuito d'antenna (v. fig. 1).
Lo stesso Marconi fece della trasmissione ‛sintonica' (attuata con circuiti oscillatori) uno dei punti fondamentali dello sviluppo dei suoi sistemi.
Le limitazioni dei circuiti generatori sopra accennati erano rappresentate non soltanto dalla complessità dei fenomeni di scarica nei gas, a quel tempo capiti solo parzialmente, ma anche dal fatto che le onde generate erano smorzate, cosa questa mal conciliabile con la trasmissione sintonica. Miglioramenti al riguardo vennero ottenuti con l'introduzione di dispositivi rotanti: il disco di Marconi per il comando della scarica, o addirittura le macchine elettriche ad alta frequenza formate da alternatori con un grande numero di poli.
Per quanto infine concerne la ricezione, il primo rivelatore di onde elettromagnetiche di pratica utilizzazione fu quello sperimentato nel 1890 da E. Branly; si trattava di un dispositivo ‛a stato solido' (denominato coherer o più propriamente ‛radioconduttore') formato, come il coherer precedentemente attuato e sperimentato da T. Calzecchi Onesti, da un tubetto contenente una polvere metallica, la cui conducibilità veniva aumentata dal segnale elettromagnetico all'istante stesso in cui esso era ricevuto; il valore più basso di conducibilità si ripristinava percuotendo il dispositivo. Ancor oggi sarebbe difficile formulare una teoria di tale fenomeno!
In quegli stessi anni, dopo l'esperienza di Edison sul passaggio di corrente elettrica in un bulbo ad alto vuoto (1883) e la scoperta, da parte di H. R. Hertz e W. Hallwachs, dell'emissione fotoelettrica (1887-1888), si cominciarono ad acquisire le conoscenze necessarie per dominare l'elettrone, la particella che, con il suo elevatissimo rapporto carica elettrica-massa (misurato con una memorabile esperienza da J. J. Thomson nel 1897), apriva la possibilità di controllare fenomeni su una scala dei tempi inferiore di vari ordini di grandezza a quella ottenibile con il comando del movimento di oggetti ‛materiali', cioè formati da insiemi di atomi. Nel 1900 fu scoperta da J. Stark, P. E. A. von Lenard, A. W. Hull ed altri l'emissione secondaria, cioè l'emissione di elettroni da parte di una superficie metallica per effetto dell'impatto di elettroni di sufficiente energia. Nel 1905 Einstein formulò la teoria dell'emissione fotoelettrica, stabilendo la quantizzazione dell'energia elettromagnetica precedentemente ipotizzata da Planck nella teoria del corpo nero. La natura quantizzata della carica elettrica venne provata nel 1911 da R. A. Millikan, misurando la carica dell'elettrone.
Per quanto riguarda gli sviluppi tecnici, nel 1904 venne attuato da A. Wehnelt un tubo a vuoto a due elettrodi, basato sul moto degli elettroni liberi e adatto a raddrizzare correnti alternate; nello stesso anno J. A. Fleming brevettò un analogo dispositivo con il nome di ‛diodo'. Nel 1906 L. De Forest introdusse il triodo, un diodo con l'aggiunta di una griglia di comando per l'amplificazione di deboli segnali elettrici: il triodo - cui seguirono il tetrodo, il pentodo e gli altri tipi di tubi elettronici tra cui i vari tipi di oscillografi a raggi catodici (il primo di questi inventato da K. F. Braun nel 1897) e i moltiplicatori elettronici (J. Slepian, 1919) - aprì un capitolo che dura tutt'oggi e che è d'importanza assolutamente fondamentale per il trattamento dei segnali elettrici.
Parallelamente ai tubi elettronici si svilupparono all'inizio del secolo anche i primi dispositivi raddrizzatori a stato solido (il rivelatore a carborundum di H. H. Ch. Dunwoody, quello al silicio di G. W. Pickard e quello a galena che per molti anni fu il componente fondamentale dei radioricevitori non alimentati da sorgenti d'energia esterne): questi raddrizzatori, anche se il loro funzionamento non fu spiegato teoricamente, furono gli antesignani di quella rivoluzione dell'elettronica che, preceduta da un lungo periodo di approfondimento teorico, si espresse nel 1948 con l'invenzione del transistore da parte di J. Bardeen, W. H. Brattain e W. Shockley, che era il risultato di una conquistata comprensione del comportamento dell'elettrone, oltre che nello spazio vuoto e nei gas, anche all'interno dei corpi solidi.
La tecnica basata sull'uso dei tubi a vuoto o a gas, iniziata come si è detto con le invenzioni di De Forest e di Fleming, fu quella su cui si imperniò la prima fase dello sviluppo dell'elettronica (a quel tempo chiamata radiotecnica) nelle diverse direzioni: ricezione di deboli segnali elettromagnetici, generazione di elevate potenze a radiofrequenza cui associare segnali da trasmettere a grandi distanze, misure di grandezze fisiche, trattamento dell'in- formazione.
Le possibilità offerte dai tubi elettronici nella rivelazione e nel rafforzamento di segnali elettrici sempre più deboli permisero di indagare la natura con un occhio più sensibile di quello umano (in tutti quei casi ove era possibile trasformare i fenomeni da osservare in segnali elettrici) e di migliorare l'efficienza dei canali di trasmissione dell'informazione. D'altra parte il successo incontrato dalla trasmissione dell'informazione per via elettrica portò allo sviluppo di tubi elettronici e di tecniche dirette, da un lato, ad aumentare la massima potenza erogabile e, dall'altro, ad estendere a frequenze sempre più alte lo spettro delle onde elettromagnetiche utilizzate, sia per aumentare il numero e la capacità dei canali di trasmissione (come nelle telecomunicazioni), sia per sfruttare peculiari proprietà delle onde elettromagnetiche in un certo ambito di frequenza, come per es. nelle applicazioni radar.
Le ricerche in campo radar (RAdio Detecting And Ranging) partirono dagli studi di echi elettromagnetici dovuti alla ionosfera e, a causa della seconda guerra mondiale, vennero condotte in modo indipendente presso le varie nazioni impegnate nel conflitto. Per rendere i tubi elettronici adatti a frequenze sempre più alte, e cioè a lunghezze d'onda sempre più piccole, si cominciò col ridurre proporzionalmente le distanze fra i loro elettrodi, in modo da contenere entro limiti accettabili l'effetto del tempo di transito degli elettroni e da rendere tali distanze sufficientemente piccole rispetto alle lunghezze d'onda usate. Seguendo questa via si incontrarono però presto insuperabili difficoltà costruttive che spinsero a sviluppare nuovi tipi di tubi elettronici nei quali gli elettroni non interagiscono più con campi statici, ma con onde elettromagnetiche in strutture ‛distribuite'. Esempi di questi tubi sono il klystron (R. H. Varian, 1939), il magnetron (progettato in Inghilterra e sviluppato negli Stati Uniti nel corso della seconda guerra mondiale) e il tubo ad onde progressive (R. Kompfner, 1943; J. R. Pierce, 1946).
Di pari passo si svilupparono le tecniche di prelievo e di presentazione dell'informazione, e tra queste in primo luogo quelle di ripresa, di formazione e di presentazione delle immagini.
In questo campo la tecnica dei tubi elettronici ebbe ulteriori affermazioni con l'iconoscopio (V. K. Zworykin, 1923), l'image orthicon (A. Rose, P. K. Weimer, H. B. Law, 1946), il vidicon (P. K. Weimer, S. V. Porgue, R. Goodrich, 1950) e con sempre più perfezionati cinescopi per immagini in bianco e nero o a colori, e ancora oggi essa detiene il ruolo di unica protagonista, anche se da vari anni si stanno cercando soluzioni alternative con dispositivi a stato solido.
Da parte sua l'elettronica dello stato solido, che iniziò a svilupparsi nel 1948 con l'invenzione del transistore e fiorì negli anni sessanta e settanta, ha permesso di attuare applicazioni il cui progetto non si sarebbe potuto affrontare disponendo dei soli tubi elettronici. I dispositivi allo stato solido, con la loro elevatissima affidabilità, minimo ingombro, minimo consumo di energia e con la loro capacità di integrazione (ovvero di collegamento e di complementazione di più elementi formati su uno stesso supporto fisico, quale per es. una piastrina monocristallina di silicio) hanno permesso di attuare, in modo sicuro, funzioni estremamente complicate, quali l'elaborazione dei dati nei calcolatori elettronici o i processi di codificazione e decodificazione dei segnali; questi, a loro volta, hanno permesso di migliorare sostanzialmente l'utilizzazione dei canali di trasmissione e hanno reso possibile la guida e il controllo di missili e di satelliti, le comunicazioni intercontinentali via satellite (con capacità di varie migliaia di canali telefonici), le trasmissioni di dati e immagini dallo spazio profondo, l'automazione dell'industria, la commutazione elettronica nelle centrali telefoniche, e più in generale nei sistemi di istradamento delle informazioni, e il perfezionamento di strumenti di misura e osservazione, quali i campioni di tempo (orologi) atomici, i microscopi elettronici a scansione, i classificatori delle distribuzioni statistiche di impulsi dei rivelatori di radiazione per misure di fisica atomica e nucleare.
3. Lo spettro delle onde elettromagnetiche
Nella fig. 2 è mostrato lo spettro delle onde elettromagnetiche con le loro più importanti utilizzazioni. In generale si può dire che, nella scelta delle frequenze da utilizzare per una certa applicazione, si deve tenere conto simultaneamente o separatamente di quattro ordini di considerazioni: 1) la larghezza di banda spettrale necessaria, legata alla quantità d'informazione da trasmettere nell'unità di tempo; 2) le proprietà di propagazione (variabili con la frequenza) delle onde elettromagnetiche nel nostro ambiente naturale o entro strutture artificiali come linee bifilari, cavi coassiali, guide d'onda, o fibre ottiche; 3) la necessità di evitare interferenze con altri segnali già presenti nel luogo interessato e che già occupano una parte dello spettro potenzialmente utilizzabile; 4) le modalità di interazione fra onde elettromagnetiche e materia, che stanno alla base della generazione e della ricezione dei segnali elettromagnetici. A questo proposito si osserva che, al di sopra dell'energia termica a temperatura ambiente pertinente a un grado di libertà (circa un centesimo di elettron-volt), il singolo quanto di energia elettromagnetica, legato alla frequenza ν dalla relazione E = hν, dove h = (6,6256 ± 0,0005) × 10-34 joule s ≃ 4,1356 × 10-15 eV s è la costante di Planck, è rivelabile singolarmente; possono quindi essere usati rivelatori energetici di singoli quanti, quali i fotomoltiplicatori e i rivelatori di radiazioni X e γ. Al di sotto della suddetta energia, nella gamma corrispondente a lunghezze d'onda dell'ordine delle dimensioni atomiche, sono utilizzabili rivelatori energetici di tipo diverso, basati sull'assorbimento dei quanti da parte di atomi, molecole o cristalli; tali rivelatori sono insensibili al quanto singolo e sanno distinguere dal ‛fondo' solo flussi di radiazione.
Per quanto riguarda l'emissione, possono essere usate sia sorgenti incoerenti, come i diodi elettroluminescenti, sia sorgenti coerenti, come i vari tipi di laser, basati su fenomeni collettivi di emissione di onde coerenti da parte di singoli oscillatori elementari (v. ottica quantistica: Elettronica quantistica).
A energie ancora più basse, corrispondenti a lunghezze d'onda dell'ordine delle dimensioni umane, l'interazione dell'onda elettromagnetica, anziché avvenire con singoli nuclei o atomi, assume carattere collettivo e i fenomeni d'emissione e di assorbimento sono determinati, ad esempio, dal moto ordinato e correlato degli elettroni ‛liberi' entro conduttori che formano l'antenna. In questo caso si possono considerare oltre all'aspetto energetico anche altri aspetti come l'ampiezza e la fase dell'onda elettromagnetica e, corrispondentemente, le ampiezze e le fasi delle onde di corrente e di tensione nell'antenna.
4. Generalità sui sistemi elettronici
Il più generale sistema elettronico, ad eccezione del calcolatore elettronico per il quale rimandiamo agli articoli relativi (v. calcolatori; v. informatica: Informatica ed elettronica dei calcolatori), può essere pensato costituito dal succedersi di: a) un sistema di osservazione e prelievo dell'informazione (dalla relativa sorgente); b) un sistema di modulazione o di codifica dell'informazione prelevata preceduto e/o seguito da eventuale sistema di amplificazione); c) un sistema di trasmissione in un diverso punto dello spazio; d) un sistema di demodulazione o di decodifica dell'informazione ricevuta (preceduto e/o seguito da eventuale sistema di amplificazione); e) un sistema di presentazione o utilizzazione dell'informazione che in certi casi (supplementata da altre informazioni disponibili a chi riceve) può portare a reagire sulla sorgente con un canale di ritorno di informazioni o di energia (v. fig. 3A).
Ad esempio rientrano in questo schema a blocchi, con le specificazioni di seguito indicate, i sistemi di radiodiffusione, i collegamenti telefonici, gli impianti radar, i servomeccanismi, i sistemi di misura di grandezze fisiche. Nel caso di sistemi di radiodiffusione (v. fig. 3B) manca il canale di ritorno, che può ancora pensarsi esistente se si tiene conto della reazione del pubblico che con lettere e telefonate può indurre l'ente radiotelevisivo a mutare la natura dei programmi. (Del resto per i sistemi di comunicazione a larga banda del futuro si parla spesso di un canale fonico che permetta l'immediata retroazione da parte di un limitato numero di utenti).
Nel collegamento telefonico (v. fig. 3C) si nota la presenza di due tipi di segnali: quelli vocali e quelli del disco combinatore; questi ultimi determinano nella prima centrale di commutazione l'individuazione del canale di trasmissione idoneo a raggiungere la seconda centrale di commutazione cui appartiene l'utente chiamato, e in essa stabiliscono il collegamento con quest'ultimo. Una volta stabilito il collegamento tra il chiamante e il chiamato, tutti i collegamenti e le funzioni devono risultare invertibili per permettere lo scambio di informazioni tra i due utenti in entrambi i sensi.
Se la sorgente non emette spontaneamente, essa può essere stimolata a farlo ed essere interrogata al fine di ricavare l'informazione desiderata. È questo il caso della tecnica radar. La sorgente, che è l'oggetto da rivelare, viene interrogata mediante un impulso di radiazione elettromagnetica emesso ad arte: il sistema di osservazione e prelievo dell'informazione è illustrato nella fig. 3D. L'informazione è acquisita in base al tempo impiegato per il percorso di andata e ritorno di un impulso di energia elettromagnetica, tempo che può essere valutato prendendo come istante di riferimento iniziale quello di emissione dell'impulso stesso. L'informazione utile, rappresentata dalla posizione angolare delle antenne e dall'intervallo di tempo tra l'impulso emesso e quello ricevuto, viene opportunamente presentata e utilizzata localmente. Se l'oggetto è costituito, per esempio, da un aeroplano, la reazione su di esso può essere la trasmissione via radio dei suoi dati di posizione o, secondo le circostanze, il lancio di un missile per abbatterlo. Nella stessa figura è illustrato anche un esempio di servomeccanismo: il controllo automatico della velocità di un motore (v. fig. 3E). In questo caso può mancare il canale di trasmissione a distanza. L'informazione sulla velocità dell'asse, fornita come tensione ai capi della dinamo tachimetrica, raffrontata con l'informazione che descrive la velocità desiderata, determina nel canale di ritorno, tramite l'amplificatore, una potenza elettrica di comando in grado di far assumere alla velocità del motore un valore prossimo a quello desiderato.
È infine illustrato un esempio di misura fisica: la misura di un debole flusso luminoso continuo (v. fig. 3F). Il sistema di osservazione comprende il modulatore (costituito da un otturatore rotante a ventola) che precede l'organo sensibile e che intercetta il flusso luminoso: il segnale utile in uscita dal fotodiodo è pertanto un segnale periodico di periodo e fase noti. Un demodulatore sincrono è in grado di isolare questa componente di segnale dalle componenti di rumore indesiderate, eventualmente presenti all'uscita del fotodiodo, che non hanno la periodicità impressa dal modulatore. Questo esempio mostra come modulazione e demodulazione possono essere introdotte, invece che per trasmettere informazione, per minimizzare disturbi sperimentali sistematici, per esempio quello dovuto a un flusso luminoso indesiderato che illumini il fotodiodo senza attraversare il modulatore a ventola.
Si può concludere questa rapida rassegna dei sistemi elettronici con un altro importante esempio di misura fisica, quello della radioastronomia, che consiste nella misura della potenza elettromagnetica della radiazione cosmica in determinate regioni spettrali, nelle varie direzioni, per l'individuazione delle radiostelle.
5. Il tubo elettronico amplificatore
a) Generalità
L'elemento fondamentale dell'amplificatore elettronico è stato, sino al 1960, il tubo elettronico multigriglia; esso ha il suo progenitore nel diodo a vuoto, dove la conduzione è affidata, entro un tubo a vuoto, ad elettroni emessi da un catodo caldo (emettitore termoelettronico) e raccolti da un elettrodo freddo (collettore). Come è noto il diodo a vuoto (v. fig. 4) è un bipolo a conduzione unidirezionale, la cui applicazione tipica è il raddrizzamento di correnti alternate, anche di altissima frequenza. Nel tubo elettronico multigriglia tipico, il ‛pentodo' (v. fig. 5), la corrente di elettroni emessi dall'elettrodo caldo (detto usualmente ‛catodo') e raccolti dal collettore (detto ‛anodo') viene comandata da un terzo elettrodo, la ‛griglia di comando', cui è applicata la tensione Vgk riferita al catodo.
Quando il tubo multigriglia è usato come amplificatore lineare, la griglia di comando è mantenuta a potenziale negativo rispetto al catodo per non raccogliere gli elettroni da esso emessi, che vengono invece accelerati verso l'anodo da un elettrodo ausiliario, la ‛griglia schermo', a potenziale positivo costante Vgsk.
Il funzionamento (a bassa frequenza) di un pentodo è determinabile, in linea di principio, in base alla conoscenza del campo elettrostatico (conseguente ai potenziali assegnati agli elettrodi), della distribuzione, in modulo e direzione, della velocità degli elettroni emessi dal catodo per effetto termoelettronico (termoelettroni) e delle modifiche del campo elettrostatico dovute alla carica spaziale degli elettroni in moto fra gli elettrodi. La situazione è schematizzata nella fig. 6, dove il potenziale della griglia di comando è stato assunto eguale a quello del catodo.
Lo studio delle traiettorie degli elettroni, e in generale di particelle cariche, in campi elettrici e magnetici, forma un capitolo ben sistemato dell'elettronica che si chiama ‛ottica elettronica' ed è di base al progetto, oltre che dei tubi elettronici amplificatori, dei cinescopi, dei tubi per ripresa televisiva, dei convertitori di immagini, dei microscopi elettronici, degli spettrografi di massa, delle macchine acceleratrici di particelle per la fisica nucleare e, tra i più recenti sviluppi, delle microsonde e dei microscopi elettronici a scansione.
b) Il pentodo come generatore di corrente comandato da tensione
In quasi tutte le applicazioni i tubi elettronici sono fatti funzionare in un regime per cui la corrente fra catodo e anodo risulta limitata dalla carica spaziale piuttosto che dall'emissione termoelettronica del catodo: il controllo della corrente da parte della tensione Vgk, applicata tra griglia di comando e catodo, avviene essenzialmente mutando la ripartizione fra i termoelettroni che ritornano al catodo (per la repulsione causata dalla carica spaziale che si forma in prossimità del catodo stesso) e quelli che, a causa della loro velocità iniziale, sono in grado di procede- re verso la griglia schermo (che ne intercetta una piccola frazione) per finire sull'anodo.
La griglia schermo è stata introdotta per rendere il campo elettrico, nella zona tra catodo e griglia di comando, praticamente indipendente dal potenziale assunto dall'anodo; la corrente raccolta da quest'ultimo elettrodo risulta in tal modo indipendente dal potenziale da esso assunto (per un ampio intervallo di potenziali).
L'elettrodo ‛soppressore', infine, è stato introdotto per evitare scambi, tra griglia schermo e anodo, di elettroni ‛secondari' emessi da questi elettrodi in conseguenza dell'impatto degli elettroni provenienti dal catodo.
La corrente anodica Ia è generalmente funzione non lineare di Vgk, Vgsk, Vak; per quanto si è detto precedentemente si può però ritenere che essa sia praticamente in- dipendente da Vak e poiché, d'altra parte, la tensione di alimentazione che determina Vgsk è tenuta costante, si può concludere che la corrente Ia è funzione non lineare della sola tensione Vgk:
Ia = f (Vgk). (1)
Se si considerano piccoli scostamenti di Ia e di Vgk dai valori assegnati in assenza di segnale (valori di riposo), la relazione tra questi scostamenti (che si denotano con le lettere minuscole ia e vgk) potrà essere ritenuta lineare e si avrà semplicemente (nei limiti delle grossolane approssimazioni fatte):
ia = g vgk, (2)
dove alla costante di proporzionalità g corrispondente alla ammettenza di trasferimento y21 (v. informazione: Trattamento e trasmissione dell'informazione) si dà il nome di ‛trasconduttanza' del tubo elettronico nell'intorno dei valori di riposo considerati; per i tubi amplificatori di piccola potenza, g è dell'ordine di alcuni milliampere al volt (mA/V).
Nella schematizzazione ora fatta il tubo elettronico appare come un doppio bipolo formato da un semplice generatore di corrente, tra gli elettrodi anodo e catodo, comandato dalla tensione tra gli elettrodi griglia di comando e catodo (v. fig. 5D).
Si nota che i1 = ig è nulla perché la griglia di comando è supposta a potenziale negativo rispetto al catodo e quindi non raccoglie elettroni (di conseguenza y11 = 0 e y12 = 0), mentre v2 = vak è semplicemente data dalla caduta di tensione − ZLi2 che la corrente i2 = ia, comandata dalla vgk, provoca ai capi della impedenza di carico ZL (di conseguenza anche y21 = 0).
Il tubo elettronico può quindi essere considerato, per piccoli segnali, come un amplificatore avente guadagno di tensione:
e guadagno di potenza infinito, dato che l'ingresso non assorbe corrente.
Il fatto che il pentodo assorba all'ingresso una potenza praticamente nulla è una dote preziosa per l'amplificazione di segnali elettrici con minima perturbazione della sorgente che li emette; si pensi per es. all'uso dell'amplificatore come ingresso di un oscillografo: la piccola perturbazione introdotta dall'amplificatore sul circuito da esaminare è dovuta, sino a frequenze non troppo elevate, solo al carico capacitivo corrispondente alle piccole capacità interelettrodiche tra la griglia di comando e gli altri elettrodi.
c) Guadagno trasduttivo di potenza del pentodo.
Nel campo delle comunicazioni elettriche è conveniente caratterizzare la sorgente che alimenta l'amplificatore (per es. il microfono, l'antenna, il cavo coassiale che trasporta il segnale, ecc.) con la potenza ‛disponibile' cioè con la massima potenza erogabile a un carico di opportuna impedenza; in base a questo dato la grandezza caratteristica dell'amplificatore che interessa considerare è il cosiddetto ‛guadagno trasduttivo di potenza', ovvero il rapporto tra la potenza erogata al carico di uscita dell'amplificatore e la corrispondente potenza disponibile dalla sorgente. Ad esempio, se la sorgente ha forza elettromotrice vS e resistenza interna RS, la potenza disponibile è:
(corrispondente a una resistenza di carico RL = RS, cioè tale da rendere massima la potenza erogata).
Se ora immaginiamo che la stessa sorgente sia collegata alla griglia di comando e al catodo di un pentodo tramite un trasformatore ideale con rapporto di trasformazione n, il complesso della sorgente e dell'amplificatore può essere schematizzato come nella fig. 7.
Ignorando per ora le capacità parassite Ci e Cu, la potenza erogata dall'amplificatore sulla resistenza di carico RL vale:
PL = g2n2vS2RL,
per cui il guadagno trasduttivo di potenza Gt è:
Corrispondentemente il guadagno trasduttivo di ampiezza At vale:
At = 2 gn √-R-L-R-S- . (5)
d) Limiti di funzionamento per l'amplificatore a pentodo.
La prima limitazione che si incontra è quella derivante dalla presenza delle capacità parassite, determinate dalla dimensione e dalla configurazione degli elettrodi del tubo elettronico, e delle capacità associate agli elementi circuitali collegati agli elettrodi stessi. Fissiamo l'attenzione per ora ‛solo sulla capacità di uscita Cu: per un normale tubo elettronico destinato all'amplificazione di piccoli segnali, si può pensare associata al circuito d'uscita una capacità Cu dell'ordine di 10 pF.
Osservando lo schema della fig. 8, si deduce che il guadagno di tensione A può essere espresso dalla relazione:
per cui il guadagno di tensione A0 a bassa frequenza (cioè per p → 0) vale gRL.
Nel caso ipotizzato di segnali sinusoidali (p = jω = j2πf), il guadagno ∣ A ∣ diminuisce al crescere della frequenza e in particolare risulta pari ad A0/√-2 in corrispondenza della frequenza critica fc = 1/2πRLCu, pari alla larghezza di banda B dell'amplificatore. Il prodotto banda-guadagno dell'amplificatore risulta pertanto dato da:
esso è indipendente dalla resistenza di carico RL, mentre dipende dal ‛fattore di merito' g/Cu, cioè essenzialmente dal tubo elettronico (anche se non completamente, per il fatto che Cu come si è detto, comprende pure le capacità parassite esterne).
Il fattore di merito g/Cu ha un limite teorico, legato alla distribuzione di velocità dei termoelettroni, che non può essere superato col progredire della tecnologia; oggi per i tubi più moderni, che si avvicinano a detto limite, è di circa 6 • 108 Hz. Questa limitazione in realtà non riguarda la frequenza massima a cui il tubo può essere usato utilmente come amplificatore (i limiti per la frequenza massima saranno discussi in seguito), ma solo la larghezza di banda ottenibile che in linea di principio potrebbe essere centrata attorno a qualsiasi frequenza f0. Basta infatti allo scopo trasformare il circuito di uscita dell'amplificatore in un circuito oscillatorio parallelo, con pulsazione di risonanza ω0, introducendo una induttanza L tale che: ω02 = 1/LCu. Dallo schema della fig. 9 si ricava che il guadagno di tensione vale:
nel caso di segnali sinusoidali si ha:
e quindi il guadagno di tensione si riduce del fattore 1/√-2 rispetto al guadagno ∣ A0 ∣ = gRL (corrispondente a ω = ω0) per uno scarto ± Δω, di ω da ω0, in valore assoluto pari a 1/2RLCu. Notando che la larghezza di banda B vale 2Δω/2π, si ha, per il prodotto banda-guadagno:
cioè l'espressione del prodotto banda-guadagno è identica alla (7); in questo caso però le bande di funzionamento, di larghezza B, sono centrate rispetto a +f0 e − f0 (v. fig. 10).
Analogamente, considerando il guadagno trasduttivo di ampiezza At e le limitazioni di banda imposte dalle capacità di ingresso e d'uscita, messe in evidenza nello schema della fig. 7, si può rilevare che il prodotto banda-guadagno trasduttivo è individuato da un fattore di merito g/√-C-i-C-u e che il suo valore massimo viene raggiunto per un valore n tale da rendere eguali le costanti di tempo n2RgCi e RLCu dei circuiti d'ingresso e d'uscita dell'amplificatore. Per questo valore di n risulta
e il prodotto banda-guadagno trasduttivo vale pertanto:
Anche in questo caso il fattore di merito g/√-C-i-C-u , determinato dalla trasconduttanza e dalle capacità associate agli elettrodi di ingresso e di uscita, limita le prestazioni del tubo elettronico per quanto riguarda il prodotto banda-guadagno trasduttivo. Osserviamo per inciso che l'amplificatore accordato sulla pulsazione di centro banda w0, che abbiamo ora considerato, è il caso più elementare di amplificatore adatto ad amplificare i segnali modulati di cui si parla nell'articolo informazione: Trattamento e trasmissione dell'informazione.
Per le frequenze superiori al gigahertz si incontra una seconda limitazione dovuta al tempo di volo degli elettroni, che per le tensioni in uso (centinaia di volt) e le normali dimensioni (qualche centimetro) è dell'ordine dei nanosecondi.
Una terza limitazione viene posta dal fatto che quando la lunghezza d'onda si abbassa al di sotto di una decina di centimetri, cioè la frequenza si avvicina ai 3 GHz, non si possono più ignorare i fenomeni di propagazione su dimensioni dell'ordine di quelle del tubo elettronico, e i campi elettrici non possono più essere considerati quasi stazionari come implicitamente si era supposto nella schematizzazione precedente fatta per il tubo elettronico multigriglia.
Un tentativo di superare queste due ultime limitazioni è stato quello compiuto con l'introduzione dei tubi cosiddetti a ‛faro' in cui i tempi di transito sono minimizzati riducendo gli spazi interelettrodici, mentre le capacità parassite introdotte dalle dimensioni del dispositivo vengono a far parte di strutture coassiali, cioè di strutture elettromagnetiche a costanti distribuite; questo è reso possibile dal particolare sistema a dischi adottato per la connessione ai tre elettrodi.
La fig. 11 mostra un tubo di tale tipo capace di erogare, funzionando come oscillatore, mezzo watt a 4 GHz. Vedremo nel cap. 8 che, per superare barriere di potenza e frequenza di questo ordine di grandezza, bisogna ricorrere a soluzioni diverse. Infine, una quarta limitazione è legata al ‛rumore', ad alcuni aspetti del quale è dedicato il paragrafo successivo.
e) Il rumore.
Il meccanismo di conduzione dovuto a portatori di carica quantizzati introduce una componente statistica nella corrente erogata dal tubo elettronico. Se in un intervallo di tempo Δt sono raccolti mediamente dall'anodo N0 elettroni distribuiti nel tempo in modo puramente casuale (il che implica tra l'altro che i loro moti non si influenzino reciprocamente), la varianza del numero N di elettroni raccolti (varianza di una distribuzione di Poisson) sarà pari a N0.
La corrente media sarà I0 = eN0/Δt (dove con e si è indicato il valore assoluto della carica del singolo elettrone), mentre la corrente I valutata in base alla carica eN raccolta in una singola osservazione, nell'intervallo Δt, sarà I = (e/Δt) • N. Pertanto la varianza di I sarà
Poiché la fluttuazione di una variabile statistica in un tempo Δt è dovuta al contributo delle sue componenti spettrali comprese in una banda di frequenza Δf = 1/2Δt, la varianza delle fluttuazioni i della corrente media I0 comprese in una banda Δf sarà data da:
-i2 = 2 eI0Δf. (10)
La (10) va corretta nel caso di correnti limitate da carica spaziale perché in tale caso il moto di ciascuna particella è notevolmente influenzato da quello di tutte le altre; è per questo motivo che la varianza -i2 della corrente di rumore risulta fortunatamente inferiore al valore teorico corrispondente alla (10), per un fattore δ compreso tra un decimo e un centesimo.
La corrente di rumore granulare viene normalmente riferita all'ingresso del tubo elettronico, immaginando questo come ideale, ma ponendo in serie alla griglia un generatore di tensione di rumore tale da provocare, tramite la trasconduttanza g del tubo stesso, fluttuazioni di corrente anodica pari a quelle osservate nel tubo reale a causa del rumore granulare. La varianza della tensione di rumore per tale generatore equivalente sarà quindi data da:
Dallo schema della fig. 12A si vede che al segnale d'ingresso si può pensare sovrapposta una tensione di rumore che ‛corrompe' il segnale nel senso che può diminuirne il contenuto informativo all'uscita dell'amplificatore, determinando un rapporto segnale-disturbo in uscita minore di quello presente all'ingresso.
Altri contributi di rumore sono dovuti, nei tubi elettronici, alla ripartizione statistica della corrente tra griglia schermo e anodo; per questa ragione, quando l'obiettivo principale è quello di rendere massimo il rapporto segnale-rumore, si preferisce rinunciare all'uso della griglia schermo (e quindi anche del soppressore) e usare i triodi in luogo dei pentodi. Lasciamo questo argomento, che non introduce concetti nuovi, e torniamo al rumore granulare.
Dato che il moto dovuto all'agitazione termica dei portatori di carica determina ai capi di una resistenza R, in equilibrio con un bagno termico a temperatura assoluta T, una tensione di rumore termico v espressa dalla relazione:
-v-2 = 4 kTRΔf (11a)
(cui corrisponde una densità spettrale di potenza termica disponibile kT nel campo di frequenze f per cui hf ≪ kT, dove, come è noto, h indica la costante di Planck e k quella di Boltzmann), possiamo sostituire, al posto del generatore equivalente di tensione di rumore dello schema della fig. 12A, una resistenza equivalente Req tale che:
Il rumore introdotto dal tubo elettronico si può cioè caratterizzare, anziché col generatore di tensione di rumore (v. fig. 12A), con la resistenza serie equivalente Req della fig. 12B:
che per i tubi elettronici a minimo rumore (triodi), adatti all'amplificazione di piccoli segnali, ha valore dell'ordine di 200 ÷ 300Ω per una temperatura della resistenza equivalente assunta pari, per convenzione, a quella ambiente (T = 300 °K).
f) Temperatura di rumore di un amplificatore.
Per caratterizzare gli amplificatori elettronici dal punto di vista del rumore è stato introdotto un metodo più generale del precedente e svincolato dal particolare dispositivo amplificatore.
Come mostrato nella fig. 13, l'amplificatore viene considerato unitamente alla sorgente di segnale (di resistenza interna RS) e al carico RL. In assenza di segnale, l'amplificatore eroga in un'assegnata banda di frequenze B, centrata attorno a una frequenza f0, una potenza di rumore P = PA + PT (PA a causa delle sorgenti di rumore presenti all'interno dell'amplificatore; PT a causa della potenza di rumore termica fornita dalla resistenza RS e amplificata dall'amplificatore). Possiamo ora pensare di sostituire l'amplificatore reale con un amplificatore ideale (cioè erogante la sola potenza di rumore PT) e di incrementare la temperatura di RS sino ad ottenere una potenza di rumore pari a quella (P = PA + PT) erogata dall'amplificatore reale. Tale incremento di temperatura TA è detto ‛temperatura di rumore' dell'amplificatore reale e misura, in una scala di temperature, il contributo di rumore di cui l'amplificatore è responsabile. In questa scala di temperature, la potenza totale di rumore erogata dall'amplificatore al carico risulta espressa da T + TA, cioè dalla somma della temperatura della sorgente e di quella di rumore dell'amplificatore. I migliori amplificatori a tubi elettronici sono caratterizzati da temperature di rumore pari circa alla temperatura ambiente TA = 300 °K.
Se si collegano in cascata due amplificatori con rispettive temperature di rumore T1 e T2 e guadagno trasduttivo di potenza Gt1 e Gt2, la temperatura di rumore T del complesso vale:
e il guadagno Gt:
Gt = Gt1Gt2. (14)
Come si vede dalla relazione (13), il contributo di rumore del secondo amplificatore diventa trascurabile se è elevato il guadagno del primo amplificatore.
Se invece tra la sorgente del segnale e l'amplificatore è interposto un attenuatore passivo che riduca di un fattore β la potenza trasmessa e che sia a temperatura Tβ (v. fig. 14), la temperatura T del sistema attenuatore-amplificatore risulta maggiore di quella TA del solo amplificatore ed è espressa da:
dove il primo addendo corrisponde al fatto che il segnale applicato all'amplificatore è stato attenuato e quindi è diminuito il rapporto segnale-rumore all'ingresso dell'amplificatore, mentre il secondo tiene conto del contributo di rumore introdotto dall'attenuatore a temperatura Tβ.
La (15) permette di valutare il degradamento del segnale dovuto a perdite nei sistemi di collegamento tra generatore e amplificatore: tipicamente, perdite nelle antenne e nei cavi di collegamento tra queste e i ricevitori.
Vedremo che con gli amplificatori cosiddetti parametrici (v. sotto, cap. 9) è possibile raggiungere temperature di rumore assai basse (10-20 °K) e pertanto il contributo di rumore dato da elementi di collegamento a temperatura ambiente (T = 300 °K) anche se di attenuazione limitata (β prossimo all'unità) può essere di grande rilievo (69 °K/dB).
6. I dispositivi a semiconduttori
a) Generalità
Prima di passare ad illustrare i mezzi con i quali si sono superati i limiti di frequenza, i limiti posti dal rumore e quelli, di cui non si è parlato, ma ovviamente esistenti, delle potenze erogabili dai tubi elettronici, vogliamo descrivere sommariamente il transistore, che è il principale dispositivo sostitutivo del tubo elettronico a vuoto e che ha fatto radicalmente mutare la tecnologia elettronica, a partire dagli anni sessanta, per vari motivi fra i quali i principali sono: 1) maggiore affidabilità per il passaggio da un dispositivo complesso, con parti a temperatura elevata e delicate strutture meccaniche, a un dispositivo che si avvicina alla semplicità elementare di un monocristallo e che opera a temperature vicine a quella ambiente; 2) dimensioni volumiche di sei ordini di grandezza più piccole e cioè tali da rimuovere le limitazioni elettromagnetiche connesse al rapporto fra lunghezza d'onda e dimensioni del dispositivo, e contemporaneamente da permettere di riunire in un piccolo volume un gran numero di componenti; 3) possibilità di utilizzare tecnologie che consentono la produzione di massa di singoli dispositivi a stato solido o di intere unità funzionali comprendenti via via un numero maggiore di elementi attivi e passivi capaci di svolgere funzioni sempre più elaborate (tecniche di integrazione); tali unità comprendono i collegamenti, attuati anch'essi in forma integrata, fra i diversi elementi; viene risolto così anche il problema delle connessioni, di grande interesse per l'affidabilità dei sistemi che trovano spesso nelle connessioni di tipo tradizionale il loro ‛tallone d'Achille'; 4) tensioni e correnti di lavoro dei dispositivi tali da provocare dissipazioni di potenza elettrica per singolo dispositivo così piccole da consentire l'accennata integrazione senza gravi difficoltà per quanto riguarda lo smaltimento del calore.
Come per i tubi elettronici si è passati storicamente dal diodo raddrizzatore al triodo di Fleming, con l'introduzione della griglia di comando del flusso elettronico, così per il transistore si è passati dal diodo a stato solido raddrizzatore, noto sin dal 1906 e impiegato durante gli anni quaranta come rivelatore di microonde nella strumentazione radar, a un dispositivo a tre elettrodi - emettitore, base, collettore - capace di controllare mediante la tensione applicata tra base e emettitore (con piccolo assorbimento di corrente) una corrente di intensità notevolmente maggiore tra emettitore e collettore; detta corrente può, in un opportuno campo di variabilità, risultare praticamente indipendente dalla tensione che si viene a localizzare tra collettore ed emettitore.
Il transistore è nato da un'approfondita comprensione dei fenomeni di conduzione nei solidi, e in particolare in quelli chiamati semiconduttori, che presentano resistività intermedia fra quelle dei metalli e dei dielettrici. Per questa classe di materiali, di cui tipici esempi sono i monocristalli di elementi tetravalenti, quali il germanio e il silicio, caratterizzati da una struttura a legami covalenti, era stato verificato che l'effetto Hall, già noto sin dal 1873, poteva risultare di segno opposto a quanto aspettato, come se i responsabili del trasporto di carica in qualche caso fossero delle cariche mobili positive anziché gli elettroni liberi, come nei metalli; questo fatto rimase un mistero per molti anni. Successivamente la fisica dei solidi ci ha fornito un modello per i semiconduttori, detto ‛modello a bande', in cui sono evidenziati gli stati energetici degli elettroni nel monocristallo considerato. Questo modello permette di mostrare che la conduzione può avvenire o per la presenza di elettroni in una banda di stati energetici più elevati e con scarsa probabilità di essere occupati, detta ‛banda di conduzione', o per la mancanza di elettroni e cioè per la presenza di ‛lacune' in una banda di stati energetici più bassi, normalmente occupati, detta ‛banda di valenza'. L'aggiunta nel monocristallo, di silicio o di germanio, di una piccola percentuale di un opportuno elemento ‛drogato', trivalente o pentavalente, crea dei livelli energetici in posizioni intermedie tra la banda di valenza e quella di conduzione e fa sì che, a temperatura ambiente, il monocristallo sia caratterizzato o da una prevalenza di elettroni nella banda di conduzione (drogante pentavalente) o da una prevalenza di legami rotti, corrispondenti ad assenze di elettroni o, come si è detto, a lacune nella banda di valenza (drogante trivalente). Quest'ultima situazione corrisponde a quelle condizioni del monocristallo in cui si osserva il citato effetto Hall anomalo, in cui cioè la corrente pare dovuta a cariche positive. È ora facile immaginare (non lo fu certo per Shokley che per primo introdusse questa idea ‛rivoluzionaria' delle lacune) come, in presenza di un campo elettrico, il rimpiazzamento del legame covalente mancante avvenga preferibilmente mediante un elettrone di valenza di un atomo vicino, che deve spostarsi nella direzione opposta a quella del campo elettrico; di conseguenza l'anomalia nella struttura elettronica, corrispondente al legame mancante, si muove concordemente al campo elettrico, come se fosse una carica positiva.
Con i processi di drogatura possiamo quindi disporre di monocristalli che possiedono o un ‛gas' di elettroni liberi o un ‛gas' di lacune del tutto assimilabile a un ‛gas' di particelle positive. È da notare che questi ‛gas' di elettroni o di lacune, essendo in presenza del reticolo cristallino, sono elettricamente compensati dalle cariche ‛fisse' del reticolo stesso; cioè in generale ogni porzione del monocristallo è elettricamente neutra e quindi, contrariamente a quanto avviene nei diodi a vuoto, le correnti fluenti non sono limitate da ‛carica spaziale'.
b) La giunzione pn
Un diodo a stato solido è costituito da una giunzione pn, cioè da un monocristallo drogato in modo da possedere in una sua regione un ‛gas' di elettroni liberi (regione n) e, nella parte restante, un ‛gas' di lacune (regione p). Se le due regioni non interagissero fra loro, i portatori n (elettroni) e i portatori p (lacune) sarebbero distribuiti in modo statisticamente uniforme nelle rispettive regioni (v. fig. 15A). Poiché nel diodo le due regioni sono invece a contatto fra loro, gli elettroni presenti nella regione n tendono a diffondere nella regione p; viceversa per le lacune. Il gas di elettroni e il gas di lacune non possono però diffondere completamente nell'intero monocristallo a causa delle forze elettrostatiche che immediatamente derivano dallo scostamento dalla neutralità conseguente alla diffusione dei portatori di carica (elettroni e lacune); tali forze limitano la modificazione delle concentrazioni n degli elettroni e p delle lacune a una sottile zona di transizione che comprende la superficie di contatto fra le due regioni. La situazione di equilibrio che si raggiunge è mostrata nella fig. 15B.
Le forze che impediscono a elettroni e lacune di mescolarsi e di ricombinarsi derivano dalla ‛barriera di potenziale' che si forma naturalmente alla giunzione tra le due regioni, a causa delle cariche ‛fisse' appartenenti al reticolo, e che mantiene la ‛zona di transizione' quasi svuotata, cioè priva di portatori di carica mobili. La zona di transizione per la presenza delle cariche fisse non compensate dai portatori è sede di carica spaziale; essa viene denominata anche ‛zona di svuotamento' o ‛zona di carica spaziale'. L'equilibrio statistico che, con l'altezza della barriera naturale, assicura una corrente nulla sia di elettroni che di lacune attraverso la giunzione (v. fig. 16A) viene alterato applicando al diodo una tensione; questa favorisce lo scambio di elettroni e lacune se ha polarità tale da abbassare la barriera (v. fig. 16B); viceversa lo riduce, o lo proibisce, se provoca un innalzamento della barriera (v. fig. 16C). (La zona di transizione si restringe nel primo caso e si allarga nel secondo: questo fatto, diretta conseguenza dell'equazione di Poisson, sarà ripreso nel cap. 7 a proposito dei transistori a effetto di campo e nel cap. 9 a proposito della amplificazione parametrica).
La tipica espressione della corrente I in un diodo cui è applicata una tensione V è:
I = IS [exp (eV/kT) − 1]. (16)
In questa relazione rappresentata nella fig. 17B è evidente il ‛fattore di attivazione' eV/kT (rapporto tra la variazione eV dell'altezza della barriera, rispetto a quella eV0 della barriera naturale, e la grandezza kT, proporzionale all'energia termica posseduta dai portatori che incontrano la barriera stessa).
La corrente IS detta ‛corrente inversa di saturazione' è legata alla presenza di piccole concentrazioni di portatori p in zona n e di portatori n in zona p (portatori ‛minoritari', generati per la rottura di legami covalenti e per altri processi, tutti dovuti all'agitazione termica). Per detti portatori minoritari, la barriera di potenziale è uno ‛scivolo' e appena essi si affacciano alla zona di transizione sono spinti dal campo elettrico ad attraversarla, passando nella regione in cui essi si trovano in maggioranza. Per il meccanismo ora descritto la corrente dovuta ai portatori minoritari risulta indipendente dall'altezza della barriera e quindi dalla tensione applicata. Per illustrare meglio i dispositivi a semiconduttore vediamo brevemente come possono essere schematizzati i fenomeni di conduzione che in essi hanno luogo.
La densità di corrente in un semiconduttore può essere espressa come somma di due contributi, uno Jn dovuto agli elettroni e l'altro Jp dovuto alle lacune. Ognuno dei due contributi può essere a sua volta pensato come somma di una componente dovuta al processo di diffusione (sempre presente quando la concentrazione dei portatori non è uniforme) e di una dovuta a deriva provocata dal campo elettrico E; avremo cioè:
J = Jn + Jp (17)
Jn = eDn grad n + eμnnE (18)
Jp = − eDp grad p + eμppE, (19)
dove Dn e Dp rappresentano i coefficienti di diffusione degli elettroni e delle lacune, μn e μp le rispettive mobilità (assunte entrambe positive), ed e indica il valore assoluto della carica dell'elettrone. Il campo E risulta legato allo squilibrio locale di densità di carica e [p − p0 − (n − n0)] dall'equazione di Poisson
dove ε è la costante dielettrica del semiconduttore e p0 è la concentrazione di equilibrio delle lacune nel semiconduttore nel punto considerato in condizioni di neutralità di carica; n0 è la corrispondente quantità riferita agli elettroni. In regime stazionario la continuità della densità di corrente globale J si esprime mediante la relazione
div J = 0,
da cui segue, per la (17), che div Jp = − div Jn. Queste quantità sono determinate dalla legge di generazione e ricombinazione e sono funzione, a una determinata temperatura, di p, n, p0, n0: per piccoli scarti dalle condizioni di equilibrio si può ammettere, nella maggioranza dei casi, che in un semiconduttore di tipo n sia:
Cioè, in un semiconduttore di tipo n, lo scarto della concentrazione p dei portatori di minoranza (lacune) dalla concentrazione di equilibrio p0 determina, tramite il tempo caratteristico di ricombinazione o ‛vita media' dei portatori stessi (τn nel caso considerato), le divergenze delle densità di corrente parziali degli elettroni e delle lacune; similmente in un semiconduttore di tipo p è la vita media τn degli elettroni a determinare le divergenze delle correnti parziali:
Le sei equazioni (17-22) permettono di determinare le grandezze J, Jn, Jp, p, n, E, quando siano assegnate le condizioni al contorno. In particolare consentono di ricavare la caratteristica tensione-corrente (16) di un diodo pn o quelle di un sistema a tre elettrodi come ad esempio il transistore, di cui nel paragrafo successivo cercheremo di illustrare sinteticamente il principio di funzionamento.
c) Il transistore.
Il transistore può essere pensato come l'insieme di due giunzioni pn ed np mutuamente interagenti. Per intuire il meccanismo di questa interazione torniamo a considerare la semplice giunzione pn e le concentrazioni dei portatori minoritari (elettroni nella zona p e lacune nella zona n) quando la giunzione non è polarizzata o quando è polarizzata in senso diretto o in senso inverso.
La polarizzazione diretta, abbassando la barriera e facilitando lo scambio dei portatori maggioritari (che divengono minoritari una volta attraversata la barriera), determina, in vicinanza della giunzione, un aumento della concentrazione dei portatori minoritari da entrambi i lati della giunzione stessa (v. fig. 18A); viceversa una tensione inversa, che innalza la barriera per i portatori maggioritari, determina la caduta praticamente a zero della concentrazione dei minoritari alla giunzione (v. fig. 18B). Nel caso di polarizzazione diretta, i portatori minoritari tornano alla loro concentrazione di equilibrio allontanandosi dalla giunzione, per effetto della ricombinazione con i portatori maggioritari, e la loro concentrazione decresce esponenzialmente con una lunghezza caratteristica, detta ‛lunghezza di diffusione', L = √-D--τ; (dove D è il coefficiente di diffusione dei portatori minoritari considerati e τ è la loro vita media).
La corrente portata dal diodo, costante in tutte le sezioni del diodo stesso, risulta ripartita tra la corrente portata dalle lacune e quella portata dagli elettroni nel modo indicato nella fig. 19. Lontano dalla giunzione, nella zona p, la corrente è praticamente fornita dal solo contributo Ip delle lacune (portatori maggioritari); avvicinandosi alla giunzione, Ip diminuisce perché parte delle lacune vanno a ricombinarsi con gli elettroni liberi (portatori minoritari); questi portatori, che provengono dalla regione n dove la loro concentrazione eccede il valore di equilibrio, diffondono infatti nella zona p portandovi il contributo In alla corrente totale. A destra della giunzione la corrente Ip è dovuta alla diffusione delle lacune divenute minoritarie nella zona n: allontanandosi dalla giunzione, il contributo delle lacune diminuisce, mentre viene a predominare la corrente In che provvede alla ricombinazione delle lacune in eccesso rispetto all'equilibrio. Al di fuori della barriera i campi elettrici sono molto piccoli e le concentrazioni dei portatori di maggioranza praticamente compensano in ogni punto gli scarti dalle concentrazioni di equilibrio dei portatori minoritari; i fenomeni di conduzione sono quindi dominati dalle leggi di diffusione e ricombinazione dei portatori minoritari piuttosto che dai fenomeni di deriva.
Le correnti di diffusione si possono dedurre dai diagrammi di concentrazione dei portatori minoritari, osservando che esse sono proporzionali alle pendenze delle curve di concentrazione. Notiamo che, nella giunzione pn considerata nelle figg. 18 e 19, in prossimità della regione di transizione la corrente di diffusione Ip è maggiore di quella In perché si è supposto che la zona p sia drogata più fortemente di quella n.
Supponiamo ora di porre in serie due diodi contrapposti costruendoli in un unico monocristallo e formando, con tre contatti alle tre regioni p, n, p, un doppio bipolo, come indicato nella fig. 20, in cui sono indicate anche le concentrazioni dei portatori di minoranza per una polarizzazione diretta della giunzione sinistra e inversa della giunzione destra.
Poiché nella zona centrale della base (supposta di lunghezza molto maggiore delle lunghezze di diffusione L sopra menzionate), cioè lontano dalle giunzioni, la concentrazione p dei portatori risulta quella di equilibrio, indipendente dalle tensioni applicate alle giunzioni, queste si comportano come se appartenessero a due diodi separati. In queste condizioni le correnti nei due diodi dipendono rispettivamente solo da VEB o solo da VCB:
IE = IES [exp (eVEB/kT) − 1]
IC = ICS [exp (eVCB/kT) − 1] (23)
IB = − IC − IE.
Se ora avviciniamo le due giunzioni rendendo lo spessore della base molto più piccolo della lunghezza di diffusione, il profilo di concentrazione diviene quello mostrato nella fig. 21A.
Si vede che, a pari tensione applicata tra emettitore e base e con pari polarizzazione inversa fra base e collettore, la pendenza del profilo di concentrazione è molto maggiore che nel caso precedente e la corrente di diffusione è aumentata corrispondentemente. Le lacune iniettate dall'emettitore diffondono nella base e sono quasi completamente raccolte dal collettore. La piccola concavità verso l'alto del profilo di concentrazione è dovuta alla ricombinazione delle lacune nella base; pertanto la pendenza in prossimità della giunzione d'emettitore è leggermente più alta di quella in corrispondenza della giunzione di collettore: di conseguenza la corrente di emettitore è maggiore di quella di collettore e la piccola differenza costituisce un contributo alla corrente di base (v. fig. 21B).
Le relazioni tra le correnti nei due diodi e le tensioni applicate alle giunzioni diventano le seguenti, dovute a Ebers e Moll:
IE = IES[exp(eVEB/kT) − 1] +
− αRICS[exp(eVCB/kT) − 1]
IC = − αFIES[exp(eVEB/kT) − 1] + (24)
+ ICS[exp/eVCB/kT) − 1]
IB = − (1 − αF)IES[exp(eVEB/kT) − 1] +
− ICS(1 − αR)[exp(eVCB/kT) − 1],
dove αF, αR, ICS IES, sono quattro costanti che caratterizzano il transistore, delle quali tre indipendenti dato che risultano legate dalla relazione: αRIES = αFICS. Si noti che le (24) altro non sono che le (23) completate da due termini (il secondo nella prima equazione e il primo nella seconda) di interazione fra le due giunzioni (termini contenenti αF e αR). Per giunzione emettitore-base polarizzata in senso diretto e giunzione collettore-base polarizzata in senso inverso, come avviene nel normale funzionamento del transistore, le (24) si riducono a:
IE = IES[exp(eVEB/kT) − 1] + αRICS
IC = − αFIES[exp(eVEB/kT) − 1] − ICS (25)
IB = − (1 − αF)IES[exp(eVEB/kT) − 1] + ICS(1 − αR).
Poiché αF e αR hanno valori assai prossimi a 1, la corrente di base è assai più piccola di quelle di emettitore e di collettore. La corrente di collettore (trascurando le componenti costanti indipendenti dalla tensione di barriera VEB) risulta proporzionale alla corrente di emettitore e poco minore di quest'ultima: in prima approssimazione possiamo pensare che le lacune che hanno sormontato la barriera emettitore-base diffondano nella base e siano raccolte, per una frazione αF, dal collettore, mentre la frazione (1 − αF) si ricombina nella base dando origine a una corrispondente corrente di elettroni nel collegamento di base. Quanto abbiamo detto non è a rigore esatto in quanto αF è diverso dall'unità non solo per il fenomeno della ricombinazione delle lacune nella base, ma anche perché la corrente IES[exp(eVEB/kT) − 1] non è dovuta solo alle lacune iniettate in base, ma anche a elettroni iniettati dalla base nell'emettitore: questa componente elettronica di corrente non è utile all'effetto di accoppiare le due giunzioni e contribuisce ad abbassare αF; per minimizzarla si usa una drogatura maggiore per l'emettitore che per la base.
Le (25) mettono in luce il transistore come dispositivo comandato dalla tensione di barriera VEB, il che corrisponde al suo essenziale meccanismo di funzionamento: considerando piccole variazioni delle correnti e delle tensioni intorno ai valori di polarizzazione possiamo scrivere:
Il transistore ha cioè comportamento simile a quello di un tubo elettronico in cui gli elettrodi catodo, griglia di comando, anodo corrispondano rispettivamente a emettitore, base, collettore; esso presenta però lo svantaggio che, mentre la corrente di griglia di comando è praticamente nulla nelle condizioni di funzionamento con griglia negativa (normali per l'amplificazione lineare), la corrente di base è diversa da zero: dell'ordine del centesimo della corrente di collettore. Per la (26) la trasconduttanza ic/veb è pari a circa eIc/kT, valore dettato dai limiti teorici per una corrente la cui intensità dipende dal superamento di una barriera di potenziale da parte di particelle a temperatura T. Nella fig. 22 è mostrato un transistore pnp utilizzato come amplificatore e le rispettive caratteristiche della corrente di collettore in funzione della tensione collettore-emettitore. I transistori hanno la possibilità di essere costruiti nei due tipi complementari pnp e npn; questo fatto ha permesso di raggiungere quella flessibilità nella progettazione dei circuiti da lungo tempo sognata dai progettisti che, lavorando coi tubi elettronici, spesso si imbattevano nelle difficoltà derivanti dalla mancanza di un tubo elettronico per elettroni positivi. Infatti per una condizione di funzionamento di riposo determinata dalla corrente disponibile o dalla massima dissipazione di potenza tollerabile, per un tubo elettronico è molto diverso il comportamento per aumento o per diminuzione della corrente rispetto al valore di riposo: in diminuzione è disponibile un'ampiezza massima pari alla corrente di riposo mentre in aumento le possibilità sono generalmente molto maggiori. Due transistori complementari collegati in parallelo possono simmetrizzare la situazione, per es. erogando ciascuno a suo turno, rispettivamente per escursione della tensione di comando in un senso o nell'altro, la maggior parte della corrente al carico.
d) Cenno sul rumore del transistore.
I meccanismi generatori di rumore nel transistore sono essenzialmente analoghi a quelli visti per i tubi elettronici; occorre però tenere conto di ognuna delle due correnti, di lacune e di elettroni, in cui possono essere scomposte le correnti del transistore e attribuire a ciascuna di esse il corrispondente rumore granulare.
Nella fig. 23 diamo a titolo di esempio le temperature di rumore ottenibili con un transistore, per frequenze nell'intorno di 10 kHz, in funzione della resistenza interna della sorgente di segnale e della corrente di polarizzazione di collettore.
7. Circuiti logici
a) Principî generali
Descritti il tubo elettronico e il transistore come amplificatori lineari di segnali elettrici o come generatori di oscillazioni elettriche, passiamo ad illustrarne il funzionamento come interruttori comandati. È questo tipo di funzionamento quello che caratterizza i sistemi cosiddetti ‛logici' per la elaborazione dell'informazione, tipici dei calcolatori elettronici e destinati sia all'elaborazione delle informazioni sotto forma numerica, sia all'effettuazione di operazioni corrispondenti alle operazioni della logica, intesa in senso matematico e filosofico. Lo stesso tipo di funzionamento ha interesse nel campo del controllo automatico dell'erogazione di elevate potenze elettriche o meccaniche (elettronica industriale) e in generale nel più vasto campo della automatica dove l'interesse è contemporaneamente centrato su problemi di trasmissione di informazioni e su problemi di potenza.
Consideriamo la proprietà di un interruttore ideale quale è quello disegnato nella fig. 24A. Quando l'interruttore è aperto la resistenza tra i terminali è infinita, quando l'interruttore è chiuso la resistenza è nulla, per cui il comportamento dell'interruttore può essere rappresentato nel piano corrente-tensione con la caratteristica di fig. 24B.
Questo dispositivo ideale non dissipa potenza elettrica in nessuna delle due condizioni e corrisponde al normale interruttore, oppure al relè elettromagnetico se il conduttore mobile destinato a chiudere il contatto è azionato mediante un elettromagnete. A causa dell'inerzia delle masse materiali i relè elettromagnetici più rapidi hanno tempo di intervento dell'ordine del millisecondo, mentre per i relè elettronici questi tempi possono scendere sotto il nanosecondo. Osservando le curve caratteristiche della corrente di collettore in funzione della tensione collettore-emettitore di un transistore tipico, ricavate dalle relazioni di Ebers e Moll (24) e riportate nella fig. 25A, si nota che, per corrente di base IB nulla, la caratteristica approssima quella di circuito aperto dell'interruttore ideale, entro l'intervallo di tensione collettore-emettitore da +5V a − 5V, mentre, per corrente di base di − 100 μA, la caratteristica approssima quella di circuito chiuso dell'interruttore ideale, entro l'intervallo di corrente di collettore da +1 mA a − 2 mA.
Le caratteristiche di ‛comando' dell'interruttore elettronico rappresentate nella fig. 25B, anch'esse derivate dalle relazioni di Ebers e Moll, permettono d'altra parte di valutare la potenza necessaria al comando. Si vede per es. che, in un circuito del tipo indicato nella fig. 26, con una potenza minore di 10-5W (punto di lavoro P della fig. 25B) è possibile controllarne una, erogata al carico utilizzatore RL, dell'ordine di grandezza di 10-2W.
Supponendo che il generatore eroghi una corrente di comando di zero oppure di − 100 μA, il punto C assume un potenziale rispettivamente di circa − 3V oppure nullo (in realtà qualche decina di millivolt) rispetto all'emettitore. Questo circuito è anche, in linea di principio, un circuito campionatore o ‛modulatore a campionamento', capace di effettuare l'operazione di cui si parla nell'articolo informazione: Trattamento e trasmissione dell'informazione. Basta pensare di porre in serie a una batteria il segnale di tensione s(t) da campionare (v. fig. 27): il punto C assumerà rispetto all'emettitore il potenziale zero oppure 3V + s(t) secondo il valore della corrente di base IB che, per questo tipo di operazione, sarà una corrente (fornita dal generatore di corrente costante I0) che mantiene il transistore in conduzione o che lo interdice quando viene annullata per l'intervento del generatore vc di impulsi di campionamento.
Nella fig. 28 è mostrato uno dei più semplici circuiti logici a due transistori npn, caratterizzato da due ingressi V1 e V2 e da una uscita Vu. Supponiamo che V1 e V2 siano due tensioni di comando ‛logiche', per es. due variabili binarie suscettibili di assumere, eccettuati i transitori di commutazione, due valori distinti per es. 0 e 3V. Le resistenze R giano scelte in modo che quando V1 vale 3V il transistore di sinistra sia comandato da una corrente di base di 100 μA. È immediato osservare che Vu è uguale a 3V quando entrambi i transistori sono interdetti, quando cioè V1 e V2 sono entrambe 0, mentre Vu è praticamente uguale a zero quando uno o entrambi i transistori sono in conduzione.
Il comportamento del circuito può essere specificato dalla seguente ‛tabella della verità' o ‛tabella delle combinazioni', dove figurano tre nuove variabili X1, X2, Xu, associate rispettivamente a V1, V2, Vu:
La cifra 1 sta ad indicare la presenza di tensione, cioè nel nostro caso una tensione di 3V e la cifra 0 sta ad indicare l'assenza di tensione. Si può scrivere Xu = f (X1, X2), dove tutte le variabili indicate sono variabili logiche binarie, o ‛variabili booleane', suscettibili di assumere due valori convenzionalmente indicati con 0 e 1.
La particolare funzione attuata dal circuito che abbiamo considerato ed esplicitata in tabella può essere scritta, con la simbologia dell'algebra booleana: Xu = -X -1- -+- -X-2 = Ù1 • Ù2 e si chiama NOR(NOT-OR). (La sopralineatura sta a indicare l'operazione di complementazione della rispettiva variabile). Con un opportuno insieme di circuiti di questo tipo è possibile realizzare la più generale funzione di n variabili Xu = f (X1, X2, ... Xn) capace di esprimere la scelta tra due alternative, espressa dal valore della variabile di uscita dipendentemente dallo stato delle n variabili binarie di ingresso.
Funzioni di questo genere servono, ad esempio, a stabilire, osservando la variabile di uscita, se certe condizjoni operative espresse con variabili binarie sono soddisfatte: ad esempio se sono soddisfatti tutti i requisiti necessari per il sicuro decollo di un aereo.
Combinazioni dei circuiti logici sopra considerati, con opportuni anelli di retroazione delle uscite sugli ingressi, permettono di attuare sistemi elettrici capaci di avere due o più configurazioni di equilibrio stabile. Tipico circuito di questa classe è il ‛bistabile' o flip-flop, costituito da due transistori mutuamente collegati in modo che l'uscita dell'uno sia riportata all'ingresso dell'altro (v. fig. 29). In questo circuito la conduzione di uno dei due transistori determina l'interdizione dell'altro. D'altronde la stessa simmetria del circuito indica che indifferentemente può essere conduttore il transistore di sinistra o quello di destra.
Un segnale elettrico può fare commutare il circuito ‛bistabile' da uno stato all'altro; pertanto questa classe di circuiti serve a memorizzare variabili binarie o, in connessione con circuiti logici, a realizzare funzioni logiche dipendenti dalla ‛storia' precedente del sistema. Tipici di questa classe di circuiti, detti sequenziali, sono i contatori elettronici di impulsi. Un'altra classe di circuiti su cui non possiamo soffermarci, ma che è opportuno citare, è quella dei cosiddetti convertitori analogico-numerici destinati a convertire in forma numerica i campioni di una grandezza fisica (la misura di questa grandezza osservata a un certo tempo t viene quantizzata in questi dispositivi ed espressa quindi con un numero intero, generalmente sotto forma di insieme di cifre binarie). La rappresentazione di un numero binario può essere o di ‛tipo parallelo', realizzata come stato di un certo numero n di circuiti bistabili (o come presenza dell'una o dell'altra di due tensioni standard su un insieme di n fili), o di ‛tipo serie' come successione, su un unico filo, di n impulsi con ampiezza scelta fra due determinati valori.
Lo stato di un ‛registro' di n circuiti bistabili, cioè il numero in esso contenuto, può essere letto in parallelo trasferendo l'informazione su memorie permanenti, per es. su n nuclei magnetici a ciclo di isteresi rettangolare dove ai due stati di magnetizzazione di saturazione vengono fatti corrispondere gli stati 0 e 1 del corrispondente bistabile. Altrettanto utile è il trasferimento inverso dalle memorie magnetiche passive (nuclei o nastri magnetici) alle memorie ‛dinamiche', costituite dai registri, ampiamente usate nei calcolatori elettronici per operare su numeri o su istruzioni codificate numericamente (v. informatica: Informatica ed elettronica dei calcolatori). I circuiti logici sono oggi prevalentemente realizzati mediante dispositivi a semiconduttori detti ‛transistori ad effetto di campo' che hanno principio di funzionamento completamente diverso da quello dei normali transistori, basato prevalentemente, come si è visto, sui portatori minoritari.
b) Il transistore a effetto di campo
Il fatto che una tensione applicata a una giunzione determini, come visto nel cap. 6, una zona di svuotamento, di spessore dipendente dalla tensione applicata, ha portato a concepire un dispositivo amplificatore basato essenzialmente sulla variazione, comandata da tensione, della resistenza presentata dalla zona non svuotata di una sbarretta di materiale semiconduttore. Tale dispositivo, chiamato transistore a effetto di campo è rappresentato nella fig. 30A e consiste di un canale conduttore di tipo p collegato a due contatti ohmici detti ‛sorgente' e ‛foce'. Lo spessore w del canale è determinato dalla tensione di comando VG applicata ai due elettrodi n+ di ‛porta' che formano con il canale p una giunzione polarizzata inversamente dalla stessa VG e dalla VD. La variazione dello spessore h della zona di svuotamento, causata dalla variazione di VG per la presenza di un segnale, determina la variazione dello spessore w del canale di conduzione e di conseguenza la variazione della resistenza tra gli elettrodi sorgente e foce. La fig. 30B mostra la caratteristica della corrente di foce in funzione della tensione foce-sorgente al variare della tensione di comando VG per un tipico transistore ad effetto di campo. Questa caratteristica ha, per basse tensioni di collettore, e cioè nell'intorno dell'origine del diagramma, un andamento quasi lineare tra corrente di foce e tensione foce-sorgente (come ci si poteva aspettare in base al principio di funzionamento che concepisce il canale come una semplice resistenza) e la diversa pendenza delle rette indica la dipendenza del valore di resistenza dalla tensione di comando VG.
Al crescere della tensione di collettore si verifica un fenomeno di saturazione della corrente che trasforma, al pari di quanto accade per il pentodo e per il transistore a portatori minoritari, il transistore a effetto di campo in un generatore di corrente comandato da tensione. Il fenomeno di saturazione, su cui non ci soffermeremo, è determinato dalla non uniformità dello spessore w del canale, indicata nella fig. 30A, che dipende dalla caduta di tensione lungo il canale e dalla conseguente variazione della tensione inversa in corrispondenza delle diverse sezioni tra canale p è porta. Abbiamo voluto accennare anche a questo dispositivo sia per mostrare come l'amplificazione possa essere ottenuta anche modulando una resistenza con un opportuno segnale di comando (si noti che, essendo la giunzione ‛porta-canale' polarizzata inversamente, il segnale di comando determina una corrente di comando molto piccola e pertanto è richiesta una potenza di comando molto piccola rispetto alla potenza controllata) sia per non dimenticare un dispositivo che, con l'avvento della tecnica planare e dell'integrazione in grande scala, è divenuto quello più utilizzato soprattutto per i circuiti logici e per le applicazioni ad altissima frequenza con potenze limitate.
8. Tubi per microonde
a) Premessa.
Al fine di vedere come si possano superare simultaneamente le barriere di frequenza e di potenza dei tubi elettronici tradizionali (barriere che solo separatamente sono superabili, o mediante la riduzione delle dimensioni o rispettivamente con il loro aumento in modo da permettere una sufficiente dissipazione del calore agli elettrodi), è opportuno prendere in esame le modalità di scambio di energia tra fascio di elettroni e circuito di uscita in un tubo elettronico tradizionale.
Se n elettroni al secondo passano mediamente attraverso la griglia schermo gs e transitano tra quest'ultima e l'anodo, una corrente indotta (per induzione elettrostatica) I0 = en fluisce, attraverso la resistenza R, dalla griglia gs all'anodo a; sulla resistenza di carico R si sviluppa allora la caduta di potenziale RI0 per cui il potenziale dell'anodo a rispetto al catodo k sarà minore di quello, E0, di gs. Gli elettroni passando da gs ad a sono decelerati e la potenza elettrica fornita al carico R è pari alla perdita di energia cinetica che essi subiscono nello spazio interelettrodico gs − a (v. fig. 31). Possiamo così dire che la potenza è fornita al carico R a spese dell'energia cinetica degli elettroni del fascio. Corrispondentemente la potenza termica dissipata sull'anodo a per impatto degli elettroni è minore, per la loro diminuita energia cinetica, di quella che si avrebbe se non vi fosse la caduta di tensione su R: in generale, ogni volta che gli elettroni di velocità u forniscono lavoro, decelerando a causa della forza e(E + u ⋀ B) che il campo elettromagnetico esercita su di essi, viene fornita una equivalente energia elettromagnetica al sistema che sostiene il campo elettromagnetico.
b) Il klystron.
La fig. 32 è la rappresentazione schematica di un klystron amplificatore per microonde. Il dispositivo consiste di un fascio elettronico accoppiato a due cavità risonanti di cui quella più vicina al catodo è quella di ingresso e serve ad imprimere una modulazione di velocità al fascio, la seconda è quella di uscita. Le pareti delle due cavità, attraversate dal fascio, sono costituite da due griglie fra le quali è presente un campo elettrico assiale. Lo spazio tra le due cavità, senza campi elettromagnetici, è lo spazio di volo, dove la modulazione di velocità impressa agli elettroni del fascio dal segnale di ingresso (che appare come tensione applicata alle griglie della cavità di ingresso) determina una modulazione di densità del fascio.
Come ciò avvenga è descritto dal significativo diagramma di Applegate in cui (trascurando i fenomeni di carica spaziale) sono disegnate le linee orarie per gli elettroni che a tempi diversi attraversano la cavità d'ingresso. Tali linee sono delle rette la cui pendenza (che rappresenta la velocità degli elettroni) dipende dalla tensione Vi ai capi della cavità al momento dell'attraversamento.
Supponendo di applicare una tensione sinusoidale alla cavità di ingresso si ottiene il diagramma di fig. 33. Esso mostra che, per effetto delle differenti velocità iniziali impresse dalla cavità di modulazione, un fascio elettronico originariamente a densità costante viene a trovarsi, a una opportuna distanza r0 corrispondente alla regione AB, modulato in densità: gli elettroni cioè viaggiano a ‛pacchetti'. Il corrispondente grafico della corrente di fascio risulta quello di fig. 34.
Se la cavità di uscita è posta a distanza opportuna, corrispondente appunto a quella della regione AB, essa viene eccitata dagli impulsi di corrente mostrati nella fig. 34 e diventa sede di un campo elettromagnetico oscillante tale da decelerare i pacchetti di elettroni che l'attraversano e che, quindi, a spese della loro energia cinetica, forniscono energia elettromagnetica alla cavità stessa. L'energia cinetica residua è smaltita sull'anodo che il fascio colpisce dopo aver attraversato la cavità di uscita. Si vede così come il tempo di transito degli elettroni del fascio, anziché costituire un impedimento all'amplificazione ad alta frequenza, è l'elemento fondamentale del meccanismo di amplificazione di questo dispositivo e permette di introdurre un'apprezzabile distanza (spazio di volo) fra i circuiti di ingresso e di uscita dell'amplificatore.
Naturalmente il klystron amplificatore può essere trasformato in oscillatore riportando alla cavità di ingresso, con un cavo coassiale, una frazione dell'energia a radio- frequenza disponibile alla cavità di uscita.
L'amplificazione di potenza di un klystron può essere molto grande, dell'ordine di 1.000 o maggiore; una limitazione è invece rappresentata dalla relativamente piccola banda passante dovuta alla necessità di usare cavità risonanti di uscita poco smorzate, al fine di estrarre una frazione apprezzabile dell'energia cinetica del fascio elettronico. I valori della potenza media e della potenza di cresta di moderni klystrons oscillatori sono indicati nel grafico di fig. 35.
c) Il tubo a onda viaggiante
Più interessanti dei klystrons sono, da un punto di vista concettuale, i tubi a onda viaggiante o a interazione continua (v. fig. 36). In questi tubi il tempo di transito può essere maggiore del periodo dell'oscillazione a radio frequenza ed inoltre la cessione di energia da parte degli elettroni avviene con continuità per interazione degli elettroni stessi con un'onda elettromagnetica sostenuta dal dispositivo: le dimensioni del dispositivo possono venire aumentate senza le limitazioni imposte dalla lunghezza d'onda dato che l'interazione distribuita può avvenire con numerose onde ‛contenute' in un certo istante nel dispositivo stesso.
Nei tubi a onda viaggiante l'onda elettromagnetica si propaga entro una struttura di trasmissione, detta ‛a onda lenta', generalmente formata da un conduttore avvolto ad elica. L'effetto di questa struttura sull'onda elettromagnetica è tale che la velocità di propagazione nella direzione dell'asse dell'elica risulta prossima a quella che si avrebbe se i fronti d'onda viaggiassero con la velocità della luce c lungo il conduttore elicoidale. La velocità di propagazione u in direzione assiale può cioè essere assai minore di c. Per una struttura ‛ad elica' essa è espressa approssimativamente dalla relazione:
dove d è il passo dell'elica e 2πr ne è la circonferenza (v. fig. 37).
L'amplificazione è dovuta alla continua interazione, lungo l'asse dell'elica, fra gli elettroni del fascio e l'onda elettromagnetica ‛lenta', che si propaga con velocità poco inferiore a quella degli elettroni. Sotto l'azione della componente assiale del campo elettrico dell'onda, gli elettroni tendono a raggrupparsi nelle regioni dove il campo stesso cessa di essere accelerante e comincia a diventare decelerante (v. fig. 38).
In questa regione il campo effettua un lavoro negativo sugli elettroni e l'energia dell'onda elettromagnetica aumenta a spese dell'energia cinetica media degli elettroni.
Come si è detto, per ottenere una soddisfacente amplificazione del segnale a radiofrequenza, la velocità media degli elettroni del fascio deve superare quella dell'onda ‛lenta'.
Il limite superiore di frequenza, oltre il quale non può avere luogo l'interazione fra onda elettromagnetica ed elettroni, aumenta al diminuire del diametro dell'elica della struttura trasmissiva a onda lenta; alle basse frequenze il guadagno è invece limitato dalla lunghezza dell'elica. In pratica le strutture ad elica sono usate nel campo da 0,5 a 50 GHz.
Il funzionamento dei tubi a onda viaggiante è per un ampio intervallo scarsamente dipendente dalla frequenza e la larghezza di banda relativa è pertanto molto grande. Questi tubi possono essere usati come amplificatori di segnali a microonde (tubi a onda progressiva) o come oscillatori con frequenza di accordo comandata da tensione (tubi a onda regressiva o ‛carcinotron'). Un tipico tubo a onda progressiva a basso rumore (per ricezione) può avere una larghezza di banda relativa del 20%, nell'intorno di una frequenza di alcuni gigahertz, con una temperatura di rumore di 900 °K e guadagno di potenza di circa 500.
d) Il magnetron
Un altro esempio largamente noto di tubo per microonde a interazione continua usato prevalentemente per la generazione di grandi potenze impulsive o continue è il magnetron; a differenza di quanto si è visto per i tubi a onda viaggiante, il funzionamento di questo tubo si basa sull'azione di un campo elettrico e di uno magnetico normali fra loro.
Il magnetron è stato il primo oscillatore adatto a generare alte potenze alle frequenze delle microonde ed è stato sviluppato nel corso della seconda guerra mondiale per l'attuazione di efficienti trasmettitori per i sistemi radar.
Il meccanismo di amplificazione del magnetron può essere illustrato partendo dalla struttura idealizzata della fig. 39 dove sono indicate le direzioni del campo elettrico e di quello magnetico. In assenza di campo a radiofrequenza la traiettoria degli elettroni emessi dal catodo sarebbe del tipo di quella indicata nella figura stessa. Il rapporto E/B, pari alla velocità media longitudinale degli elettroni, e scelto in modo che gli elettroni avanzino di un passo ‛polare' in un semiperiodo del campo a radiofrequenza per il quale le cavità sono risonanti. Le varie cavità dell'anodo si comportano come circuiti oscillatori accoppiati; se si fa in modo di indurre una tensione alternativa fra i due ‛poli' che delimitano la cavità di ingresso, eccitando la cavità stessa mediante un generatore esterno, i due poli si caricano di segno opposto; per induzione il terzo ‛polo' si carica di segno opposto al secondo, e così via (modo elettromagnetico detto a π). Se non vi fosse emissione elettronica da parte del catodo, la potenza prelevabile dall'ultima cavità sarebbe minore di quella introdotta nella prima a causa delle perdite. Il campo elettromagnetico potrebbe quindi essere pensato come un'onda propagantesi con attenuazione, da sinistra verso destra.
Nella fig. 40 l'andamento del campo a radiofrequenza è rappresentato in un determinato istante (dopo mezzo periodo la configurazione deve pensarsi trasferita di una cavità verso destra). La fig. 41 mostra l'andamento del campo elettrico risultante dalla sovrapposizione al campo a radiofrequenza del campo dovuto a una tensione continua applicata ai due elettrodi.
In queste condizioni, che sono quelle di effettivo funzionamento, gli elettroni emessi dal catodo (per effetto termoelettronico) seguono traiettorie del tipo di quelle illustrate nella fig. 42.
L'elettrone A, a causa dell'effetto frenante dovuto al campo a radiofrequenza, anziché tornare al catodo, come avviene per la traiettoria imperturbata della fig. 39, ‛cade' verso l'anodo per passi successivi, interagendo con le successive cavità e cedendo man mano le sua energia potenziale all'onda elettromagnetica. L'elettrone B al contrario, accelerato dal campo a radiofrequenza, viene riportato al catodo dopo una traiettoria minore di un passo polare. Urtando il catodo esso libera elettroni secondari che vanno a rinforzare l'emissione catodica (in pratica gli elettroni secondari costituiscono la grande maggioranza dell'emissione catodica). Quindi, mentre gli elettroni con traiettorie di tipo A cedono energia al campo a radiofrequenza, quelli con traiettoria di tipo B assorbono energia dal campo stesso, ma in misura molto minore (dato che vengono tolti dal gioco in un solo passo) e hanno l'effetto utile di incrementare sostanzialmente l'emissione catodica. Il magnetron oscillatore è attuato in pratica con una struttura cilindrica che si può pensare derivata da quella lineare di fig. 39.
Nella fig. 43 è mostrato lo spaccato di un magnetron oscillatore. Le principali limitazioni del magnetron sono dovute alla sensibilità del suo funzionamento ai cambia- menti dell'impedenza di carico e alle variazioni della tensione applicata fra anodo e catodo. Esso si presta ad ero- gare potenze a radiofrequenza nel campo delle microonde con elevati rendimenti, a causa, oltre che del descritto meccanismo di funzionamento, anche della struttura meccanica dell'anodo e del catodo che assicurano una facile rimozione del calore dall'anodo e una lunga vita del catodo. La potenza di picco tipica di un magnetron per radar in banda X (3 cm) era nel 1945 di 300 kW. Un tipico magnetron a impulsi per radar di grande portata, operante su una frequenza di circa 9 GHz, può avere (1972) una potenza di picco di 1 GW, durata d'impulso di 2 μs, con impulsi spaziati di almeno 2 ms uno dall'altro. Attualmente i magnetron sono stati sostituiti, nella maggior parte delle applicazioni, dai klystrons oscillatori.
9. Amplificazione parametrica
Torniamo al concetto di amplificazione per illustrare un diverso modo di realizzare questa funzione che sin qui abbiamo visto svolgere da dispositivi attivi capaci di comandare una corrente di uscita mediante una tensione d'ingresso (pentodi e transistori) o mediante la modulazione di una resistenza (transistori a effetto di campo).
L'amplificazione si può ottenere anche ‛parametricamente' cioè facendo variare periodicamente nel tempo un parametro non dissipativo (induttanza o capacità) del circuito amplificatore. La potenza necessaria all'amplificazione deriva da quella che si deve fornire per far variare il parametro considerato ed è pertanto una potenza fornita da un generatore locale a radiofrequenza.
Oggi trovano importante impiego gli amplificatori parametrici a capacità variabile, i cosiddetti ‛varactor', formati da una giunzione pn polarizzata inversamente; una tale giunzione funziona come una capacità quasi ideale di valore dipendente dalla tensione inversa applicata, perché, come già accennato nel cap. 6, la zona di svuotamento tra regione p e regione n si ispessisce al crescere della tensione inversa e cioè all'innalzarsi della barriera di potenziale (v. fig. 44), cosicché le due armature del condensatore, formate dalle regioni p e n non svuotate, mutano la loro distanza al variare della tensione inversa.
Considerare come parametro variabile un parametro non dissipativo come la capacità è importante perché a un tale parametro non è associato un segnale termico di rumore e pertanto gli amplificatori che utilizzano questa tecnica possono avere temperature di rumore assai basse. Il loro impiego è tipico nei ricevitori di segnali irradiati dai satelliti artificiali nei sistemi di telecomunicazione spaziale.
Cerchiamo di illustrarne il funzionamento in un caso particolare di amplificatore destinato ad amplificare segnali appartenenti a una stretta banda di frequenza, centrata attorno a una determinata frequenza f1: supponiamo (v. fig. 45) che il segnale ricevuto sia rappresentato dal generatore di corrente i1, di conduttanza interna gs: i1 è una corrente quasi sinusoidale di pulsazione prossima a ω1 = 2πf1, dove f1 è la frequenza di risonanza del circuito oscillatorio parallelo cui è applicato il generatore di corrente i1; g1 rappresenta la conduttanza di carico utile (comprensiva delle eventuali perdite). Alla risonanza si ottiene, ai capi del circuito oscillatorio, una tensione
Questo segnale può essere amplificato accoppiando, tramite una capacità variabile ΔC sen ωt (con ω > ω1), il circuito ora considerato a un secondo circuito oscillatorio ‛parassita' risonante alla pulsazione ω2 = ω − ω1 come illustrato nella fig. 46.
Il condensatore a capacità variabile è in pratica costituito da un ‛varactor', a cui mediante un generatore ausiliario, detto ‛pompa', viene erogata la tensione a pulsazione ω che fa variare lo spessore della zona di svuotamento della giunzione e quindi la corrispondente capacità. Il segnale v1 di pulsazione ω1, che viene a trovarsi applicato alla capacità variabile con pulsazione ω, provoca attraverso di essa delle correnti dipendenti dal prodotto della capacità per la tensione di segnale, e quindi di pulsazione ω − ω1 = ω2 e ω + ω1.
Di queste due correnti interessa solo la prima che è quella capace di provocare una tensione ai capi del circuito oscillatorio parassita, risonante alla pulsazione ω2: la tensione v2 a pulsazione ω2 cosi generata fa sì che la capacità (variabile con pulsazione ω) venga attraversata da correnti con pulsazione ω − ω2 = ω1 e ω + ω2.
Interessa solo la prima corrente che ha la stessa pulsazione ω1 del segnale i1 e si può provare che essa ha fase tale da sommarsi al segnale: il segnale originale v1 applicato ai capi del circuito oscillatorio viene pertanto ad essere amplificato. In altre parole, si può dire che la presenza del circuito parassita, accoppiato mediante una capacità oscillante di ± ΔC in un periodo del generatore di pompa, è equivalente a una conduttanza negativa
posta in parallelo al circuito risonante a pulsazione ω1 (v. fig. 47).
A causa della resistenza negativa la potenza fornita al carico g1 vale:
mentre la potenza disponibile dal generatore vale:
per cui il guadagno trasduttivo di potenza risulta:
L'amplificatore entra in oscillazione quando, incrementando l'accoppiamento a capacità variabile ΔC sen ωt, si rende la conduttanza negativa − gn pari a quella positiva gs + g1. Nel funzionamento come amplificatore (gn 〈 gs + g1) la capacità variabile assorbe la potenza Pω a pulsazione ω ed eroga sia la potenza Pω1 a pulsazione ω1, sia la potenza Pω2 a pulsazione ω2. Poiché le potenze Pω, assorbita e Pω1, Pω2 erogate risultano proporzionali a -i-1-2, il segnale di ingresso provoca erogazione di potenza sia verso il circuito di ingresso sia verso il circuito parassita.
Oltre all'evidente relazione Pω = Pω1 + Pω2, che deriva dal fatto che una reattanza non dissipa energia, vale anche la relazione
che è un caso particolare di una importante relazione dovuta a Manley e Rowe. Essa si può giustificare attraverso la visione quantistica, interpretando l'amplificazione parametrica come assorbimento di un quanto di energia ℏω da parte della capacità variabile, a spese della pompa, e conseguente erogazione di un quanto ℏω1 al circuito di ingresso e di un quanto ℏω2 al circuito parassita.
La temperatura di rumore T dell'amplificatore per alto guadagno (quando gn è poco minore di gs + g1) vale
dove T1 è la temperatura del carico g1 e T2 è la temperatura del circuito parassita. La temperatura di rumore dell'amplificatore parametrico è dovuta all'amplificazione del rumore termico associato al carico g1 (primo termine) e alle perdite del circuito parassita (secondo termine). Questi elementi vengono pertanto tenuti alla più bassa temperatura possibile. In pratica gli amplificatori sono fatti funzionare in refrigeratori ad azoto liquido (77 °K) oppure in refrigeratori a elio con temperatura di esercizio di 20-30 °K. Con una più elaborata disposizione circuitale e l'uso di elementi non reciproci detti ‛circolatori', si può fare in modo che il rumore termico del carico non contribuisca alla temperatura di rumore T dell'amplificatore (v. fig. 48).
Nelle formule di temperatura di rumore ora date si sono trascurate le perdite del varactor, che in realtà non è puramente reattivo. È principalmente a causa di queste perdite che le temperature raggiunte dagli amplificatori parametrici sono dell'ordine di 20 °K: temperature di rumore minori sono state conseguite dagli amplificatori ‛maser'.
Nel campo dalle basse frequenze sino alle microonde il rumore associato ai quanti di energia elettromagnetica non ha praticamente importanza dato che ℏω ≪ kT anche per temperature dell'ordine di quella dell'elio liquido (4 °K). Nel campo dell'infrarosso e del visibile, dove ℏω > kT, diminuisce l'importanza del rumore-termico introdotto dai rivelatori e dagli amplificatori di radiazione, ma intervengono le limitazioni introdotte dal rumore quantistico, come si vede ricordando che la densità di potenza disponibile ai capi di un resistore di conduttanza g a temperatura T è data dalla legge di emissione del corpo nero
[che si riduce a kT per ℏω ≪ kT, in conformità alla (11a)]. In questo campo di frequenze elevatissime il rumore, anziché essere additivo, cioè sovrapposto al segnale da parte del mondo esterno e degli amplificatori, risulta prevalentemente associato al segnale elettromagnetico utile, nel senso che questo può essere al limite considerato di natura corpuscolare (quantum noise) cioè definito dalla funzione P(t) che indica la densità temporale media del numero di fotoni P(t)/ℏω aspettati.
Per una radiazione monocromatica coerente e per un intervallo di osservazione Δt, si aspetterà mediamente un numero di fotoni P(t)Δt/ℏω con una distribuzione poissoniana dei fotoni effettivamente ricevuti, il che comporta una varianza di questo numero pari al numero stesso. P(t), che rappresenta anche il flusso del vettore di Poynting della radiazione considerata attraverso la superficie sensibile del sistema ricevitore, può subire fluttuazioni indesiderate a causa di interferenze dovute a emissione contemporanea di più ‛modi' da parte della sorgente o alla ricezione di contributi che per disomogeneità del mezzo si propagano e giungono al ricevitore seguendo cammini ottici diversi. Il rumore associato a tali interferenze si chiama, per la sua origine ondulatoria, wave noise in contrapposizione all'ineliminabile quantum noise di cui abbiamo già parlato. Le considerazioni sul rumore associato alla radiazione elettromagnetica, che sono state recentemente sviluppate nell'ambito dell'elettronica quantistica e che hanno giocato un ruolo fondamentale nel progresso dell'astronomia con la celebre esperienza di R. Hanbury-Brown e R. Q. Twiss (1956), sono essenziali anche nell'elettronica classica per valutare le prestazioni dei rivelatori di immagine e di radiazione luminosa.
Le capacità non lineari a diodo semiconduttore, che sono le componenti essenziali degli amplificatori parametrici, trovano anche un utile e ampio impiego come elementi non lineari passivi usati per la moltiplicazione di frequenza mediante creazione di armoniche. Segnali centrati su portanti a frequenze di centinaia di megahertz possono così essere trasferiti su frequenze di alcuni gigahertz per comunicazioni via ponte radio.
È con queste tecniche e con quelle, in fase di sviluppo, basate sull'impiego di diodi a valanga o di dispositivi Gunn che l'elettronica dello stato solido sta soppiantando l'elettronica dei tubi a vuoto il cui campo di applicazione pare confinato alla generazione o all'amplificazione delle altissime potenze ad alta frequenza.
10. I processi di fabbricazione
a) Evoluzione dei processi di fabbricazione
Dal 1948 le tecniche di fabbricazione dei dispositivi a semiconduttori hanno subito una rapida evoluzione di cui il processo planare rappresenta lo stadio attuale. La fig. 49 mette in evidenza le caratteristiche essenziali di alcune tra le più importanti tecnologie del passato e del presente, confrontando i diversi metodi adottati nella realizzazione di una giunzione pn.
Secondo il metodo a giunzione accresciuta, un cristallo di semiconduttore drogato (per es. di tipo p) è cresciuto dal fuso. A un certo istante si scioglie nel fuso una forte quantità di droganti di tipo n in modo che il cristallo successivamente cresciuto risulti di tipo n. Si crea così una giunzione pn, la cui localizzazione è però assai difficile da controllare (v. fig. 49A).
La realizzazione del metodo a giunzione di lega ha consentito la produzione di dispositivi a semiconduttori su scala industriale garantendo una certa riproducibilità e migliorando le caratteristiche elettriche. Secondo questa tecnica una piccola quantità di metallo ricco di droganti (per es. di tipo p) è deposta su di una piastrina di semiconduttore di tipo n. Il sistema è scaldato oltre il punto di fusione del metallo e successivamente raffreddato in modo che si formi nel semiconduttore una zona ricristallizzata satura di droganti di tipo p (v. fig. 49B).
Il processo a giunzione di lega presenta dei limiti nel controllo della profondità di giunzione e nella definizione delle aree e delle geometrie delle giunzioni.
Il processo ‛mesa', dal quale deriva direttamente la tecnologia planare, permette di superare in parte i limiti delle tecniche sopra citate. Una fetta di semiconduttore (per es. di tipo n) viene esposta ad alta temperatura in un ambiente gassoso ricco di droganti di tipo p che si depositano sulla superficie e penetrano diffondendo nell'interno durante un successivo trattamento termico a temperatura e durata controllate. Si viene a formare in tal caso una giunzione che separa la regione n di semiconduttore dalla regione di tipo p ottenuta per diffusione.
Con l'aiuto di una maschera metallica forata, ottenuta con metodi fotografici di alta precisione, si proteggono alcune zone che vengono successivamente separate attaccando chimicamente le regioni non protette, fino a ottenere la struttura mesa illustrata nella fig. 49C. L'impiego di processi di diffusione permette di controllare la profondità di giunzione entro qualche frazione di micron, mentre l'uso di sistemi di mascheratura consente una notevole definizione delle aree e delle geometrie di giunzione. Per mezzo del processo mesa è possibile diffondere contemporaneamente, e successivamente separare mediante incisione, parecchie centinaia di dispositivi a giunzione.
Il processo planare si fonda sulla possibilità di mascherare e proteggere la superficie del silicio mediante un sottile strato di ossido di silicio compatto, resistente ed impermeabile a quasi tutti i comuni droganti.
Come è illustrato nella fig. 49D, una fetta di silicio del diametro di pochi centimetri e spessore di poche centinaia di micron viene ricoperta di uno strato di ossido con spessore minore di un micron. Processi fotografici e chimici consentono di aprire nell'ossido finestre di dimensioni microscopiche e controllate con altissimo grado di precisione. Attraverso tali finestre vengono diffusi droganti che, nelle altre zone, restano bloccati dallo strato di biossido di silicio. I dispositivi vengono infine separati mediante un'operazione di taglio.
La tecnologia planare offre una serie di vantaggi di natura sia tecnica che economica: 1) le profondità di giunzione e la struttura dei dispositivi possono essere controllate con altissima precisione; 2) la presenza di uno strato passivante di ossido sopra le giunzioni (v. fig. 49D) migliora lo stato della superficie, le caratteristiche elettriche, la stabilità, la riproducibilità e l'affidabilità dei dispositivi; 3) la presenza dello strato isolante di ossido sulla superficie del semiconduttore risolve numerosi problemi di montaggio e chiusura dei dispositivi; 4) l'adozione di processi fotografici di mascheratura dell'ossido di silicio permette di ridurre le dimensioni dei dispositivi a tal punto che è oggi possibile diffondere su una fetta di silicio del diametro di 5 cm diverse decine di migliaia di transistori nel caso di dispositivi discreti, o qualche centinaio di migliaia di componenti attivi nel caso di circuiti integrati; 5) il maggiore controllo dei processi, delle geometrie, delle strutture e dello stato della superficie dei dispositivi ha determinato un sensibilissimo aumento delle rese di produzione. Tale aumento, associato alla possibilità di diffondere contemporaneamente una enorme quantità di dispositivi, ha contribuito a ridurre il costo di produzione dei dispositivi fino a livelli in un primo tempo nemmeno immaginabili.
La tecnologia planare ha infine reso possibile la realizzazione pratica e lo sviluppo dei circuiti integrati.
Sebbene siano già disponibili dispositivi planari al germanio, all'arseniuro di gallio e ad altri semiconduttori, l'interesse della tecnologia planare è tuttora concentrato sul silicio, per le soddisfacenti proprietà dei ricoprimenti a biossido di silicio o, più recentemente, a biossido e nitruro di silicio, e per la relativa semplicità dei processi, il basso costo di produzione e l'elevata qualità dei dispositivi ottenibili con questo materiale.
b) Il processo planare: diodi e transistori
Per fornire un'immagine d'insieme del processo planare si vuole anzitutto descrivere la tipica sequenza delle operazioni necessarie alla fabbricazione di un diodo (v. fig. 50).
Nella fig. 51 è rappresentata, non in scala, la sezione di un transistore npn planare epitattico. Questo transistore si fabbrica diffondendo entro una regione n di collettore, epitattica o non epitattica, prima una zona p di base in ambiente ossidante in modo che la zona di base stessa risulti ricoperta da uno strato di ossido; successivamente, rimovendo lo strato di ossido nella regione centrale, si forma per diffusione, sempre in ambiente ossidante, una zona n+ di emettitore a bassa resistività. Infine una terza mascheratura permetterà di rimuovere lo strato di ossido sopra le zone di emettitore e di base per effettuare mediante metallizzazione i rispettivi contatti.
La fig. 52 mostra infine l'ingrandimento di un particolare di una fetta in cui appaiono due dei tremila transistori planari. Sono ben visibili la zona chiara centrale metallizzata (area di contatto metallico di emettitore), la zona chiara esterna metallizzata (area di contatto metallico di base), la striscia scura che separa le due zone metalliche (perimetro della giunzione base-emettitore) e la sottile linea esterna alla zona metallica di base (perimetro della giunzione base-collettore).
I singoli transistori devono poi essere separati mediante taglio della fetta lungo il reticolo delle linee di taglio, ben visibili nella stessa fotografia.
Come si vede nella fig. 53, la struttura MOS si differenzia da quella del transistore a effetto di campo (v. sopra, cap. 7) per il fatto che la ‛porta', anziché formare una giunzione con la sottostante regione n, viene a costituire l'armatura metallica di un condensatore metallo-ossido-semiconduttore: il campo elettrico dovuto alla tensione applicata alla porta fa sì che in condizioni di equilibrio si produca, in prossimità dello strato di ossido, un eccesso di lacune, in modo che in quella zona il semiconduttore di tipo n si comporti come se fosse di tipo p. Tale ‛canale p', che connette sorgente e foce, costituite entrambe da regioni p ottenute per diffusione entro il semiconduttore n, rappresenta l'elemento a resistenza variabile comandato dalla tensione di porta.
La realizzazione tecnologica di una struttura MOS è descritta nella fig. 54. Fra i molteplici vantaggi di questa struttura vogliamo citare: la semplicità di isolamento di un MOS dall'altro nelle strutture integrate (infatti il canale di conduzione si forma soltanto in corrispondenza della ‛porta' cioè dell'elettrodo d'ingresso del dispositivo); il processo di fabbricazione, più semplice di quello richiesto per i transistori tradizionali (quattro operazioni di mascheratura contro sei, una sola diffusione contro due); la minore area occupata sulle fette di silicio, sino a dieci volte più piccola di quella richiesta per un transistore tradizionale. Lo svantaggio presentato inizialmente dalle strutture MOS, di una minore velocità di commutazione (o equivalentemente, di una minore larghezza di banda), è stato recentemente superato col progresso delle tecnologie, che ha permesso un accurato controllo delle dimensioni e una drastica riduzione di quelle irregolarità che determinano la presenza di livelli elettronici localizzati superficialmente sull'interfaccia ossido-semiconduttore. Con transistori MOS sperimentali è stato recentemente possibile raggiungere frequenze superiori a una decina di gigahertz (v. fig. 55).
I circuiti logici a elementi attivi usati per integrazione a media scala (MSI) (da 10 a 100 porte logiche) e a grande scala (LSI) (oltre 100 porte logiche) fanno oggi uso sia di strutture metallo-ossido-semiconduttore (MOS), sia di strutture bipolari. Un circuito integrato bipolare LSI progettato con ausilio di un calcolatore (che determina la posizione ottimale di circa 300 componenti per ridurre al minimo la lunghezza complessiva delle interconnessioni) è mostrato nella fig. 56.
11. Gli organi di entrata e quelli di uscita (trasduttori)
I trasduttori usati come organi di entrata nel sistema della fig. 3A sono destinati a convertire un segnale, proveniente da un uomo o da un sistema fisico, in un segnale elettrico, mentre quelli usati come organi di uscita sono destinati ad operare la funzione inversa, cioè la conversione del segnale elettrico in modo da ottenere la presentazione diretta all'uomo, o il segnale di comando di una macchina (calcolatrice, operatrice), o la registrazione in una memoria permanente (nastro magnetico, telescrivente, telefoto, calcolatore).
Data la diversa natura delle variabili di ingresso cui è associata una informazione e la varietà dei modi di presentazione o di utilizzazione delle informazioni in uscita, non è possibile, se non in un trattato, esaminare una frazione significativa dei trasduttori che sono stati sviluppati dal 1900 a oggi. Ci limiteremo pertanto ad illustrarne due particolarmente significativi: l'orticon immagine (che è oggi il tubo da ripresa televisiva più impiegato e perfezionato e che è frutto dell'applicazione di molteplici fenomeni fisici e di tecniche elettroniche utilizzate anche per la costruzione di organi di entrata e di uscita più semplici) e il corrispondente organo di uscita, il cinescopio, per la presentazione delle immagini.
Gli altri trasduttori sono invece solamente ricordati in- quadrandoli in varie tabelle (I-VI) dove sono indicati i principi fisici usati per la trasduzione dei segnali.
L'orticon immagine è uno speciale tubo elettronico che scandisce l'immagine di una scena da trasmettere e fornisce in uscita un segnale elettrico, dipendente dalla luminanza dei punti sequenzialmente esplorati. La sua struttura complessiva è mostrata nella fig. 57. Esso comprende una parte di conversione di immagini (illustrata più dettagliatamente nella fig. 58), costituita da un catodo fotosensibile e da una sottile lastrina di vetro di bassa resistività, con funzione di anodo, nonché da uno schermo costituito da una finissima griglia metallica, con dimensione delle maglie dell'ordine della decina di micron, posta a una distanza dello stesso ordine di grandezza dalla lastrina di vetro.
La pellicola fotosensibile del catodo è così sottile che, quando un'immagine ottica è formata sulla superficie aderente all'involucro di vetro del tubo, dei fotoelettroni, in quantità proporzionale alla luminanza di ciascun punto, vengono emessi dalla superficie opposta, rivolta verso l'interno del tubo.
Questi elettroni sono accelerati verso lo schermo e la massima parte di essi ne attraversa le maglie e finisce col colpire la lastrina di vetro dell'anodo. Un campo magnetico assiale uniforme, generato dagli avvolgimenti indicati nella fig. 57, determina la focalizzazione degli elettroni in modo da ottenere una corrispondenza uno a uno tra il punto di emissione di un fotoelettrone e il suo punto di impatto sull'anodo.
Nella fig. 58 sono illustrate le traiettorie a elica di due elettroni emessi dallo stesso punto A del fotocatodo con diversa velocità iniziale e terminanti nello stesso punto B dell'anodo. (E questo un esempio di un sistema di ottica elettronica con focalizzazione magnetica).
Per effetto dell'impatto degli elettroni che cadono su di esso, l'anodo di vetro emette elettroni secondari che sono catturati dallo schermo (tenuto a potenziale poco maggiore dell'anodo); data l'energia a cui sono stati accelerati gli elettroni primari, gli elettroni secondari che lasciano la superficie dell'anodo sono più numerosi di quelli incidenti e pertanto si crea una distribuzione di densità di carica positiva che riproduce la distribuzione di intensità luminosa dell'immagine formata sul fotocatodo.
La seconda parte dell'orticon immagine, posta dalla parte opposta dell'anodo, rispetto al fotocatodo, è destinata a scandire la distribuzione di carica elettrica formatasi sulla lastrina di vetro dell'anodo, i cui punti sono esplorati sequenzialmente da un fascio elettronico prodotto da un catodo tenuto allo stesso potenziale della lastrina e focalizzato da un cannone elettronico.
La scansione avviene per righe parallele, secondo la normale tecnica televisiva. Il fascio deposita elettroni su ciascuna areola colpita sino a compensare, punto per punto, la carica positiva: effettuata la compensazione, gli ulteriori elettroni del fascio sono respinti e ritornano verso il cannone elettronico, formando un fascio di ritorno con intensità di corrente variante in modo complementare alla densità di carica delle areole scandite.
La lastrina di vetro ha conduttanza tale che il tempo di attraversamento degli elettroni (che vanno a compensare la carica positiva presente sulla faccia opposta della lastrina) sia dell'ordine di 40 ms cioè dell'intervallo che si fa intercorrere fra due scansioni della medesima areola, quindi, ad ogni scansione, il fascio di ritorno fornisce l'informazione relativa alla luminanza assunta dai successivi punti mediata nell'intervallo di tempo suddetto.
L'ottica elettronica di questa sezione del tubo è progettata in modo che la maggior parte degli elettroni del fascio di ritorno vengano a cadere sull'elettrodo 2 del cannone elettronico, che è trattato superficialmente in modo da possedere un alto coefficiente di emissione secondaria e fungere così da dinodo. Gli elettroni secondari, da esso prodotti, vengono focalizzati su un moltiplicatore di elettroni costituito da una successione di dinodi a potenziale positivo erescente uno rispetto all'altro e disposti in modo che gli elettroni secondari emessi da un elettrodo finiscano sul successivo provocandovi a loro volta l'emissione di elettroni secondari (v. fig. 59).
Come risultato finale la corrente di elettroni, emessa dall'ultimo di questi elettrodi e raccolta da un collettore, risulta proporzionale, con un elevato fattore di amplificazione, alla corrente associata agli elettroni di ritorno del fascio esploratore.
La definizione spaziale ottenibile corrisponde a quella di un'immagine analizzata con 800 linee di scansione e la sensibilità, limitata dal rendimento quantico del fotocatodo e dal rumore granulare della corrente di uscita del moltiplicatore elettronico, è di poco inferiore a quella dell'occhio. (Speciali tubi televisivi, detti plumbicon, sviluppati già da vari anni, presentano sensibilità notevolmente superiori a quella dell'occhio).
L'organo di uscita corrispondente all'organo di entrata ora descritto è il cinescopio che è storicamente il diretto discendente del tubo oscillografico a raggi catodici di Braun e degli oscillografi di misura che costituiscono uno tra gli strumenti di uso più frequente nei laboratori elettronici. Il cinescopio per televisione in bianco e nero è un tubo elettronico a vuoto, contenente un ‛cannone elettronico', cioè un catodo emettitore di elettroni, un elettrodo di comando a cui è applicato il segnale che reca l'informazione di luminanza, seguito da: una successione di elettrodi focalizzatori atti a formare un sottile fascio di elettroni, un sistema magnetico per la deflessione del fascio e un anodo ricoperto da uno strato di materiale che diviene fluorescente per impatto di elettroni (schermo); un cinescopio per televisione a colori è mostrato nella fig. 60. Il potenziale dell'elettrodo di comando di ciascuno dei tre cannoni elettronici permette di modulare l'intensità del relativo fascio elettronico e quindi risulta determinata la luminanza della corrispondente triade di punti fluorescenti (di colore rosso, verde o blu) sullo schermo.
12. I più recenti dispositivi a stato solido e le loro prospettive di sviluppo.
a) Generalità.
I dispositivi elettronici a stato solido sono in continua evoluzione; le linee di sviluppo sono essenzialmente due: a) miglioramento delle prestazioni dei dispositivi tradizionali facendo ricorso a tecnologie di fabbricazione più raffinate e all'impiego di semiconduttori aventi alcune caratteristiche fisiche (quali la mobilità, la vita media dei portatori minoritari o la banda energetica proibita) più favorevoli di quelli normalmente impiegati (germanio o silicio); b) utilizzazione di effetti fisici diversi da quelli impiegati nei transistori bipolari, o nei transistori a effetto di campo, sia facendo ricorso ai materiali tradizionali sia utilizzando particolari proprietà di semiconduttori composti quali l'arseniuro di gallio, l'arseniuro di gallio e alluminio, il tellururo di cadmio, il tellururo di cadmio e mercurio.
Da un punto di vista concettuale sono più interessanti gli sviluppi innovativi del secondo tipo; bisogna però ammettere che il progresso tecnologico del primo tipo ha sinora spesso mantenuto in competizione i dispositivi tradizionali.
Ricordiamo brevemente i dispositivi attivi non tradizionali seguiti al transistore bipolare e al transistore ad effetto di campo.
b) Il diodo tunnel
Il diodo tunnel, scoperto da Esaki nel 1958, è un diodo pn degenere, cioè con regione p e regione n drogate così fortemente che il livello di Fermi risulta interno alla banda di valenza per la regione p e interno alla banda di conduzione per la regione n. (Come è noto, il livello di Fermi rappresenta, nel modello a bande del semiconduttore, quel livello energetico al di sotto del quale, allo zero assoluto, tutti i livelli energetici possibili per gli elettroni sono occupati, e al di sopra del quale sono tutti liberi).
Come si è visto nel cap. 9, un elemento a due morsetti può generare o amplificare potenza a una determinata frequenza se, alla frequenza di interesse, presenta resistenza negativa ai morsetti esterni. Esaki osservò una regione di resistenza negativa nella caratteristica diretta tensione-corrente del diodo degenere e la spiegò come effetto tunnel quantomeccanico. La fig. 61 mostra detta caratteristica e il punto rappresentativo su di essa per cinque diverse condizioni di polarizzazione. Per descrivere più semplicemente il funzionamento del dispositivo si fa in un primo tempo l'ipotesi che il diodo sia a temperatura molto bassa cosicché il livello di Fermi costituisca una netta delimitazione fra stati occupati e non occupati. Nella condizione A si nota che, per la mutua posizione delle bande di energia, determinata in un diodo degenere dalla polarizzazione inversa, gli elettroni possono passare dalla banda di valenza della zona p a livelli non occupati della banda di conduzione della zona n, determinando la corrente inversa che si legge sulla caratteristica. Il passaggio dell'elettrone attraverso la banda energetica proibita equivale, dal punto di vista della meccanica ondulatoria, a superare per effetto ‛tunnel' un ‛muro' di potenziale, cioè una zona dello spazio nella quale l'equazione di Schrödinger dell'elettrone non ammette soluzioni di tipo oscillatorio. La condizione B corrisponde ad assenza di polarizzazione e mostra l'impossibilità per gli elettroni di passare dall'una all'altra zona (corrente nulla). Per le condizioni C e D la figura mostra come un elettrone della banda di conduzione nella zona n possa passare (ancora per effetto tunnel) come elettrone di valenza nella zona p, senza alcun salto energetico fra stato iniziale e finale.
Incrementando ulteriormente la tensione applicata al diodo, la situazione delle bande diventa quella corrispondente alla condizione E: non si hanno più stati liberi che siano isoenergetici nella banda di valenza della zona p, che permettano il trasferimento di elettroni della banda di conduzione della zona n; la parte di corrente dovuta a effetto tunnel crolla quindi a zero e, a temperatura ambiente, rimane solo il contributo normale alla corrente diretta dovuto ai portatori (elettroni e lacune) che per effetto termico superano la barriera di potenziale, come già visto per la normale giunzione pn, nel senso indicato dalle frecce. La caratteristica, dopo il tratto a pendenza negativa (resistenza negativa), si raccorda pertanto a quella di un diodo normale.
Il diodo tunnel si presta ad operare come amplificatore, oscillatore o circuito a scatto sino ad elevatissime frequenze. Inoltre, come amplificatore, presenta temperature di rumore molto basse, dell'ordine di 360 °K per diodi al Ge funzionanti a temperatura ambiente, e di 270 °K per diodi a GaSb sino a frequenze dell'ordine dei gigahertz.
c) Diodi a tempo di transito
Nei dispositivi a tempo di transito lo sfasamento necessario (compreso fra π/4 e 3π/4) fra tensione e corrente totale (supposte sinusoidali) per avere resistenza negativa è ottenuto sfruttando il tempo di transito dei portatori dì carica attraverso il dispositivo e quindi il ritardo fra la causa che ha provocato l'emissione dei portatori dalla ‛sorgente' del dispositivo (campo elettrico alla sorgente) e l'effetto (corrente indotta dai portatori nel circuito esterno).
Si consideri (v. fig. 62) un pezzo di semiconduttore omogeneo e intrinseco avente lunghezza L e sezione A. Ai suoi capi sia applicata una tensione continua V0 tale che il campo elettrico abbia intensità E0 = V0/L, superiore al valore di saturazione, in corrispondenza del quale la velocità media dei portatori diventa indipendente dal campo elettrico (velocità di saturazione us). In queste condizioni una carica unitaria q, iniettata al tempo t = 0 all'elettrodo sorgente del dispositivo, si muove con velocità costante verso l'elettrodo foce e induce nel circuito esterno un impulso rettangolare di corrente, di ampiezza qus/L e durata pari al tempo di transito T = L/us (v. fig. 62B). Se dalla sorgente viene iniettata una corrente di portatori is(t), il suo effetto sul circuito esterno sarà dato dall'integrale di convoluzione fra la corrente iniettata is e la risposta (v. fig. 62B) alla iniezione di una carica unitaria. Tenendo conto anche della corrente capacitiva
la corrente totale nel circuito esterno risulta:
In regime sinusoidale permanente la (27) si scrive
Per determinare lo sfasamento β fra tensione variabile applicata v(jω) e corrente variabile totale nel circuito esterno i(jω), è necessario conoscere il legame fra la corrente iniettata is(jω) e la tensione ai capi del dispositivo. Tale legame è ottenibile dalla conoscenza del fenomeno fisico di iniezione degli elettroni da parte dell'elettrodo sorgente. I diversi meccanismi di iniezione della sorgente nella zona di deriva portano ai diversi tipi di diodi a tempo di transito. Se si suppone che fra is e v valga una relazione generale del tipo is = kve-jβ, si ottiene al variare di ωT il diagramma vettoriale corrispondente al valore scelto per β (v. fig. 63). (Si ricorda che in generale β può risultare funzione della pulsazione ω).
Per avere conduttanza differenziale negativa massima è necessario rendere massima la componente di i in contro- fase a v. Nel caso indicato nella fig. 63 (β = π/6) questa condizione è verificata per ωT = 3,8.
Tra i diodi a tempo di transito verranno considerati quelli del tipo BARITT e del tipo IMPATT con i suoi derivati, per es. TRAPATT.
Diodi BARITT. - I diodi BARITT (BARrier Injection Transit Time), che rappresentano la più recente acquisizione nel campo dei dispositivi a stato solido a microonde, sono caratterizzati dal fatto che i portatori sono iniettati nella zona di deriva svuotata da portatori mobili, per mezzo di una giunzione p+n o di una giunzione metallo-semiconduttore di tipo n (Schottky barrier) in cui il metallo si comporta come una zona fortemente drogata (p+). Nella fig. 64 è indicata la struttura di un diodo BARITT; essa è costituita da un pezzo di silicio tipo n, formante, con gli elettrodi terminali in platino, due contatti raddrizzanti in opposizione. Applicando al dispositivo una tensione v, le due giunzioni saranno polarizzate una direttamente, l'altra inversamente. La corrente è determinata dalla giunzione polarizzata inversamente (a sinistra in figura) e quindi i sarà trascurabile fino a una tensione vrt (reach through voltage) in corrispondenza della quale le zone di svuotamento dei due diodi si congiungono. Per tensioni superiori a vrt le lacune iniettate nel semiconduttore dalla giunzione di destra (polarizzata direttamente), che diventa la sorgente, si trovano in una regione svuotata da elettroni e non appena superata la barriera ‛cadono' in un campo che le accelera verso l'altra giunzione. La corrente cresce quindi rapidamente con la tensione, in quanto essa è costituita dalle lacune che riescono a superare la barriera di potenziale della giunzione polarizzata direttamente, di altezza h, che diminuisce al crescere della tensione applicata.
Con tensione maggiore di vrt (campo di funzionamento di un diodo BARITT) è possibile ricavare il legame per piccoli segnali tra la componente variabile della corrente is, iniettata dall'elettrodo sorgente, e la tensione variabile v. In prima approssimazione (se si trascurano cioè gli effetti di carica spaziale variabile nel tempo) il campo elettrico sarà uniforme nel dispositivo e uguale al campo alla sorgente Es(t). La corrente is iniettata dalla sorgente è proporzionale, nella ipotesi di piccoli segnali, alla parte variabile nel tempo della barriera di potenziale alla sorgente e quindi al campo Es(t). La corrente is risulta allora in fase con Es(t), e quindi con v = Es(t).
Il caso in esame corrisponde pertanto a β = 0 e, dalla fig. 63, immaginata ridisegnata per β = 0, si può dedurre che l'angolo di transito ottimo per conseguire resistenza negativa è ωΤ = 3π/2 rad.
I primi risultati sperimentali sono stati ottenuti nel 1971 da Coleman e Sze con un diodo oscillante nella banda 4-8 GHz.
La potenza in uscita a 4,9 GHz era pari a 5 mW per funzionamento continuo (CW) con un rendimento (dato dal rapporto fra la potenza a radiofrequenza PRF e la potenza in continua fornita al diodo) pari all'1,8%. La stessa struttura, non ancora ben ottimizzata, venne utilizzata anche nella realizzazione di un amplificatore a conduttanza negativa del tipo a riflessione ottenendo un guadagno di 19 dB, un prodotto guadagno-larghezza di banda di 200 MHz e una temperatura di rumore di 10.000 °K a una frequenza di funzionamento di 6 GHz. I migliori risultati sono stati finora (1972) quelli conseguiti da Liu e Risko con una struttura pnip (PRF = 40mW, η = 2%, f = 6 GHz), dove i sta ad indicare un semiconduttore intrinseco.
L'interesse suscitato dalle strutture che danno origine a diodi BARITT dipende principalmente dalla loro semplicità costruttiva e dalla bassa temperatura di rumore teoricamente aspettata. Infatti l'iniezione dei portatori non è dovuta a un fenomeno intrinsecamente rumoroso (quale ad esempio il processo di moltiplicazione a valanga, che verrà considerato in seguito) ma al superamento di una barriera di potenziale a cui è associato solo il rumore granulare della corrente di funzionamento. Di contro si ha allo stato attuale lo svantaggio di una minore potenza d'uscita rispetto ad altri tipi di generatori e amplificatori a stato solido.
Diodi a valanga IMPATT. - La famiglia dei diodi a valanga utilizza per l'iniezione dei portatori il fenomeno della ionizzazione da impatto. La possibilità di ottenere conduttanza negativa ad elevata frequenza, sfruttando la ionizzazione a valanga e il tempo di transito, fu suggerita da Shockley già nel 1954 e in seguito da Read (1958) con una struttura npip+, dove i indica, come sopra, un semiconduttore intrinseco.
Per una rapida comprensione del funzionamento dei diodi a valanga si consideri la struttura originariamente proposta da Read, n+pip+, indicata nella fig. 65A. La tensione applicata polarizza inversamente la giunzione n+p e il suo valore è tale che il campo elettrico massimo EM alla giunzione n+p (v. fig. 65B) sia superiore al campo di valanga Ec, cioè a quel valore del campo elettrico per cui l'accelerazione dei portatori rende divergente la catena di processi di generazione per impatto di coppie di elettroni e lacune. (Nel silicio si ha Ec = 3,3 • 105 V/cm). La funzione della giunzione n+p è quella di iniettare nella zona di deriva i un flusso di portatori (lacune nel caso in esame), comandato dalla tensione applicata. Il drogaggio e lo spessore della zona p sono tali da determinare nella zona intrinseca un campo di intensità superiore al valore Es di saturazione di velocità, così che le lacune si muovono nella zona intrinseca a una velocità di saturazione us indipendente dal campo elettrico. Se si sovrappone alla polarizzazione una tensione a radiofrequenza (v. fig. 65C), il campo elettrico varia nel tempo e tale variazione dà luogo nella zona di valanga, localizzata in corrispondenza della giunzione n+p, a una generazione di coppie variabile nel tempo. Se, in prima approssimazione, si trascurano gli effetti di carica spaziale, la parte variabile nel tempo del campo elettrico E è indipendente dalla posizione lungo il dispositivo e quindi è in fase con v. Nell'ipotesi di piccoli segnali, la generazione di coppie può essere ritenuta proporzionale all'intensità istantanea E(t) del campo elettrico; per la variazione nel tempo della concentrazione di lacune ps possiamo pertanto scrivere:
che corrisponde in regime sinusoidale a
jωps (jω) = KE (jω); (29)
la corrente di lacune iniettate nella zona di deriva vale is = pse us, Come risulta dalla (29), in regime sinusoidale lo sfasamento tra concentrazione di lacune ps nella zona di valanga e campo elettrico E vale π/2 e quindi la corrente iniettata is, in fase con ps, sarà sfasata di π/2 rispetto a E e cioè alla tensione applicata v. Essendo β = π/2, l'angolo ottimo di transito risulta (come si può vedere ridisegnando la fig. 63 per β = π/2) ωΤ = 2,25. Per regime di grandi segnali sono indicate nelle fig. 65D e 65E la corrente di portatori is e la corrente indotta nel circuito esterno ii, e si può osservare come lo sfasamento fra la componente fondamentale di ii e la tensione v sia in effetti superiore a π/2.
I fenomeni a grandi segnali in questi dispositivi sono descritti da equazioni differenziali non lineari e solo mediante metodi numerici di integrazione col calcolatore elettronico è stato possibile determinare l'andamento dell'ammettenza e del rendimento di conversione in funzione della tensione a radiofrequenza per grandi segnali. È stato anche possibile mostrare come la conduttanza negativa, e quindi la potenza a radiofrequenza ottenibile da diodi Read, sia aumentata dalla presenza di armoniche o subarmoniche della frequenza di funzionamento e come tale miglioramento dipenda dalla loro fase ed ampiezza. La massima potenza PM ottenibile con un diodo IMPATT può essere espressa mediante la relazione:
dove Xc = L/(ωopεA) è la reattanza capacitiva del dispositivo, ωop è la pulsazione ottima di funzionamento, Ec è il valore dell'intensità del campo di valanga e us è la velocità di saturazione. Si può osservare dalla (30) che il limite superiore dell'indice Pmf 2 = PM ω²op/4π2 dipende, a pari reattanza Xc, solo dalle proprietà intrinseche del materiale. Un altro parametro di interesse negli oscillatori è il rendimento di conversione, che per un diodo Read può scriversi in prima approssimazione:
dove V è la tensione globale applicata al dispositivo e VD è la tensione parziale che cade nella zona di deriva.
L'attività di questi ultimi anni è stata indirizzata al conseguimento di maggiori potenze e rendimenti a frequenze più elevate. Col miglioramento delle caratteristiche del materiale semiconduttore e con il perfezionarsi delle tecniche di realizzazione e di montaggio dei diodi (al fine di un'efficace dissipazione del calore) si sono ottenute frequenze di funzionamento che vanno da 1 a 40 GHz e valori di potenza e rendimento, per IMPATT costruiti con GaAs, rispettivamente di 750 mW e del 9%, in funzionamento continuo (CW). Con strutture al silicio tipo p+nn+ è stata ottenuta una potenza in funzionamento continuo di 250 mW e un rendimento del 6% a una frequenza di 60 GHz.
Diodi a valanga TRAPATT. - Nel 1966 Prager, Chang e Weisbrod osservarono sperimentalmente, in diodi a valanga funzionanti a impulsi, oscillazioni con rendimento di conversione del 25% e frequenza notevolmente inferiore all'inverso del tempo di transito. La spiegazione fisica di questo modo di funzionamento ‛anomalo' si poté dare successivamente con l'ausilio del calcolatore su cui venne simulato il comportamento del dispositivo, usando come termini di riferimento le forme d'onda ottenute sperimentalmente e mostrando che per segnali molto alti si ha intensa ionizzazione a valanga in tutto il dispositivo con intrappolamento del plasma generato. Risultati sperimentali molto promettenti sono stati ottenuti sia per la potenza sia per il rendimento di questi diodi TRAPATT (TRApped Plasma Avalanche Transit Time).
Come esempi si possono citare dispositivi funzionanti a impulsi nella banda 2-2,3 GHz che hanno fornito una potenza di uscita di 140 W con rendimento del 25% e un diodo funzionante a impulsi a 2,7 GHz con 17 W di potenza di uscita e rendimento del 45%.
d) Diodi a trasferimento di elettroni
Una classe di oscillatori e amplificatori per microonde, importante sia per la sua già dimostrata utilità sia per la novità del suo principio di funzionamento, è costituita dai diodi che presentano resistenza differenziale negativa di volume, noti sotto il nome di diodi Gunn, o diodi a trasferimento di elettroni (T. E.). In alcuni semiconduttori (tipicamente GaAs), caratterizzati da una particolare struttura a bande, la velocità media degli elettroni al di sopra di un determinato valore del campo elettrico (ET = 3,1 kV/cm nel GaAs) diminuisce all'ulteriore crescere del campo elettrico.
Il modello a bande di questo tipo di materiali presenta una struttura complessa che può essere schematizzata con due bande di conduzione a forma di valle, come indicato, schematicamente, nella fig. 66 per il GaAs. I livelli energetici degli elettroni sono qui rappresentati non in funzione della posizione entro il semiconduttore, ma in funzione della caratteristica dinamica dell'elettrone considerato, indicata mediante il suo vettore d'onda k. In particolare nella figura si riportano i livelli energetici per un moto dell'elettrone nella direzione cristallografica 100, in funzione della componente del vettore d'onda secondo tale direzione.
La valle più bassa ha il minimo a k = 0 e, a temperatura ambiente, gli elettroni hanno massa efficace m1 = 0,068 me (ms = massa elettronica) e mobilità μ1 = 7.500 cm2/Vs. La valle più alta, separata dalla prima di 0,36 eV [è importante notare, come si vedrà nel seguito, che tale energia è minore dell'intervallo di energia proibita (1,43 eV)], ha il minimo nella direzione cristallografica 100 in corrispondenza con il confine della prima zona di Brillovin; in essa gli elettroni hanno massa efficace m2 = 1,2 me e mobilità μ2 = 120 cm2/Vs.
Se a un pezzo di semiconduttore di tipo n è applicata una tensione non superiore a un certo valore, la conduzione è dovuta agli elettroni che sono nella valle più bassa e il comportamento del dispositivo è ohmico. Per valori più elevati della tensione applicata, alcuni elettroni possono essere accelerati e trasferiti nella valle ad energia superiore cui compete una mobilità μ2 molto bassa, dovuta all'elevata massa efficace dell'elettrone. La velocità media degli elettroni risulta in definitiva data dalla media pesata:
dove n1 e n2 sono le popolazioni delle due valli.
Nel GaAs, per campi elettrici di intensità superiore a 3,1 kV/cm, un numero elevato di elettroni passa nella valle superiore, la velocità media degli elettroni diminuisce e conseguentemente si ha un tratto con pendenza negativa nella caratteristica della velocità u in funzione del campo E (v. fig. 67). Condizione perché si verifichi il fenomeno ora illustrato, scoperto da J. B. Gunn (1963), è che il popolamento della valle superiore avvenga a campo elettrico inferiore a quello per cui iniziano fenomeni di ionizzazione da impatto; pertanto è necessario che la separazione energetica tra le valli di conduzione sia minore dell'intervallo di energia proibita, condizione che, come si è già notato, risulta verificata per il GaAs. Si può intuire come un campione di GaAs, polarizzato con un campo uniforme, superiore al campo di soglia, mostri una conduttanza differenziale negativa, dato che la densità di corrente è proporzionale alla velocità u. Il fenomeno è in effetti più complesso; infatti, a causa della mobilità differenziale negativa μ = du/dE degli elettroni e alla conseguente costante di rilassamento dielettrico negativo (costante di ‛eccitamento' dielettrico), ogni fluttuazione di carica o di campo elettrico tende a crescere nel tempo dando luogo a disuniformità e instabilità del dispositivo.
Una fluttuazione di carica introdotta al tempo zero al catodo cresce nel suo moto verso l'anodo con legge esponenziale, con una costante di tempo coincidente con il tempo di eccitamento:
dove n0 è il numero di portatori per unità di volume.
La corrente indotta nel circuito esterno come risposta a una eccitazione impulsiva non ha più forma d'onda rettangolare, come nella fig. 62B, ma è un esponenziale crescente troncato a un tempo pari a quello di transito T (v. fig. 68).
La corrente totale dovuta a un'iniezione di portatori is(jω) al catodo è pari alla somma di una corrente capacitiva, di una corrente resistiva (dovuta alla presenza della resistenza negativa) e della corrente indotta nel circuito esterno da is(jω) pari al prodotto di is(jω) per la trasformata di Laplace del suddetto impulso esponenziale:
dove Rd = − L/eμn0A e T = L/ur è il tempo di transito del dispositivo (L è la lunghezza del diodo). L'impedenza calcolata dalla (33), ponendovi s al posto di jω, ha zeri e poli nel piano complesso della variabile s che dipendono dal rapporto T/τ. Più precisamente, se
è maggiore di un valore critico pari a circa 2 (e quindi n0L maggiore di 1012 cm-2), l'impedenza ha zeri nel semipiano destro e il dispositivo è instabile, se alimentato in tensione. Per valori minori del rapporto T/τ, e quindi per n0L minore di 1012 cm-2, l'impedenza ha zeri solo nel semipiano sinistro, ma presenta egualmente parte negativa per frequenze dell'ordine dell'inverso del tempo di transito.
La resistenza differenziale negativa di diodi sottocritici (n0L 〈 1012 cm-2) è usata per la realizzazione di amplificatori, mentre i diodi sopracritici (n0L > 1012 cm-2) originano diversi tipi di oscillatori (e anche particolari tipi di amplificatori). Questa seconda condizione che caratterizza i diodi sopracritici, capaci di oscillare se alimentati a tensione costante, può essere visualizzata con considerazioni elementari.
Si è già detto che una fluttuazione di carica, introdotta al catodo, cresce spostandosi verso l'anodo con una costante di tempo pari al tempo di eccitamento dielettrico. Si può formare un dominio di alto campo, o dominio ‛maturo', solo se la costante di tempo di crescita è minore del tempo di transito L/ur; nel caso contrario non c'è tempo sufficiente per una crescita apprezzabile della carica spaziale e del dominio di alto campo ad essa associato. Da questa coincidenza si ricava pertanto la seguente condizione:
da cui, di nuovo, si trova:
Un diodo sopracritico avente come carico un circuito risonante può dar luogo a diversi tipi di funzionamento secondo la frequenza di risonanza e il coefficiente di risonanza del circuito stesso.
Diodo Gunn sopracritico con modo di funzionamento a tempo di transito. - Se il carico di un diodo sopracritico è un circuito a basso coefficiente di risonanza (al limite un carico resistivo) si ha il modo di funzionamento più classico, quello a tempo di transito, messo in evidenza da Gunn. In tale modo di funzionamento la instabilità che viaggia verso l'anodo è un dominio a dipolo cioè una zona di accumulazione di elettroni seguita da una zona di svuotamento (v. fig. 69). Quando il dominio a dipolo, dopo un tempo pari al tempo di transito T, raggiunge l'anodo e viene assorbito, un altro dominio viene enucleato al catodo e il ciclo si ripete.
Le forme d'onda di corrente e tensione sono del tipo di quelle mostrate nella fig. 70A e hanno periodo pari al tempo di transito.
Il modo di funzionamento a tempo di transito non ha molta importanza per gli oscillatori dato il basso rendimento ottenibile. Ha però importanza come base per gli altri dispositivi a effetto Gunn.
Diodo Gunn sopracritico con modo di funzionamento a risonanza. - Se il diodo è inserito in un circuito oscillatorio con coefficiente di risonanza elevato e periodo di risonanza T0 diverso dal tempo di transito T degli elettroni, nel diodo stesso si possono avere modi di funzionamento con rendimento più elevato.
Si supponga che la tensione ai capi del diodo sia data da una componente sinusoidale v1 sovrapposta a una continua V0; se l'ampiezza di v1 è dell'ordine di V0, la tensione può risultare inferiore, per una frazione del periodo T0, alla tensione di sostenimento del dominio (tensione di soglia). Di conseguenza il dominio può essere dissolto prima di arrivare all'anodo oppure può essere ritardato l'innesco d'un nuovo dominio. Il primo modo di funzionamento, detto ‛a domini smorzati', lo si ha se il periodo del circuito oscillatorio è minore del tempo di transito, ma maggiore del tempo di eccitamento dielettrico. Il secondo modo di funzionamento, detto ‛a domini ritardati', si ha invece nel caso di tempo di transito leggermente minore del periodo: il dominio arriva all'anodo, ma, se all'istante del suo arrivo la tensione è sottosoglia, non si può di conseguenza formare immediatamente un nuovo dominio. La creazione del nuovo dominio avviene solo quando la tensione oscillante ripassa per il valore di soglia.
In questi due modi di funzionamento la frequenza è controllata dal circuito esterno passivo e non dal tempo di transito del dispositivo, per cui il sistema risulta entro certi limiti accordabile; altro sostariziale vantaggio è l'aumento della potenza e del rendimento di conversione, sia per il più alto rapporto fra l'ampiezza della tensione alternata e la tensione media, sia soprattutto per la maggiore ampiezza della componente fondamentale della corrente rispetto alla componente continua. Si aumenta, infatti, in entrambi questi modi di funzionamento, l'intervallo di tempo in cui, non essendoci un dominio viaggiante, la corrente permane nello ‛stato alto'. Il calcolo mostra che sono ottenibili rendimenti del 13% per il modo a domini smorzati e del 27% per il modo a domini ritardati.
Diodo Gunn a carica spaziale limitata (L.S.A.). - Notevole potenza con buoni rendimenti a frequenza elevata si possono avere anche con il funzionamento L.S.A. (Limited Space-charge Accumulation) scoperto e studiato da Copeland (1967) con una simulazione al calcolatore. In questo modo di funzionamento il periodo del circuito risonante è inferiore al tempo di formazione del dominio e quindi, a fortiori, per i diodi sopracritici, è anche inferiore al tempo di transito; la frequenza e l'ampiezza della tensione a radiofrequenza sono tali da limitare la formazione di carica spaziale cosicché il campo elettrico nel campione può approssimativamente ritenersi uniforme. Il diodo è polarizzato in corrente continua con una tensione notevolmente superiore al valore di soglia e l'ampiezza della componente a radiofrequenza è tale da portare il dispositivo sottosoglia per una frazione del periodo. All'attraversamento della soglia da parte della tensione a radiofrequenza, la carica spaziale tende a crescere in prossimità del catodo; non esiste però la possibilità, essendo il periodo dell'oscillazione molto piccolo, di una saturazione del dominio. La tensione dopo un breve intervallo di tempo ritorna sottosoglia e la carica spaziale accumulata, ancora in prossimità del catodo, si dissolve rapidamente perché il materiale, nella zona sottosoglia, è caratterizzato da un'elevata mobilità (positiva) e quindi da un piccolo tempo di rilassamento (positivo). La corrente esterna è approssimativamente quella determinata dalla caratteristica velocità-campo elettrico (v. fig. 71). Il rendimento ottenibile è stimato intorno al 20%.
Il modo L.S.A. sembra attualmente il più idoneo per ottenere elevate potenze ad elevate frequenze da un dispositivo allo stato solido. In particolare il limite superiore in frequenza deriva dai tempi finiti di transizione degli elettroni tra le valli di conduzione del GaAs e tale limitazione comincia ad essere sensibile solo al di là dei 50 GHz.
e) Confronto fra le diverse soluzioni
Per facilitare il confronto fra le prestazioni potenza-frequenza dei diversi dispositivi esaminati in questo capitolo, nella fig. 72 sono riportate le prestazioni ottenibili (1972) con questi dispositivi utilizzati come oscillatori.
Si possono fare le seguenti osservazioni: a) per ogni tipo di dispositivo la potenza decresce all'incirca in modo inversamente proporzionale al quadrato della frequenza; b) nel funzionamento impulsato si ottengono potenze superiori rispetto a quelle ottenibili nel funzionamento in continua (CW) perché attualmente la potenza ottenibile dal singolo dispositivo è limitata soprattutto dalla possibilità di dissipazione termica; c) nel funzionamento impulsato le maggiori potenze sono ottenute dai diodi non legati al tempo di transito, cioè dai diodi L.S.A. e TRAPATT. Le potenze di picco più elevate, anche se a volte con piccola potenza media, sono ottenute con diodi L.S.A.; d) nel funzionamento continuo (CW), se si considerano solo le caratteristiche di potenza e rendimento, i diodi a valanga (IMPATT e TRAPATT) sono superiori per le frequenze più basse ai diodi T.E. (Gunn e derivati). Considerando però anche altri parametri, principalmente quelli di rumore, i diodi T.E. possono essere preferiti per alcune applicazioni; e) i diodi BARITT mostrano il più basso indice Pmf2: ciò non sembra dovuto a limitazioni intrinseche, ma piuttosto al fatto che lo sviluppo di tali dispositivi è appena iniziato (1972); f) è da notare che, come si vede dal confronto del grafico di fig. 35 con quello di fig. 72, per gli oscillatori classici, quali il klystron e i tubi ad onda viaggiante, l'indice Pmf2 è superiore di alcuni ordini di grandezza a quello dei dispositivi allo stato solido.
Per quel che riguarda l'amplificazione si può ricordare che amplificatori sono stati realizzati usando sia diodi a valanga che diodi T.E. Questi ultimi sono stati utilizzati in amplificatori a resistenza negativa del tipo a riflessione con accoppiamento a circolatore, simili come configurazione a quelli a resistenza negativa ottenuta per effetto parametrico (v. sopra, cap. 9). Per questi amplificatori le caratteristiche di rumore e di banda passante sono particolarmente significative e i diodi T.E. sembrano attualmente offrire la migliore combinazione quanto a potenza in uscita, banda passante e temperatura di rumore. Nella fig. 73 sono riportati alcuni risultati tipici riguardanti tali amplificatori.
Per quanto riguarda il rumore, i diodi T.E., con una temperatura di rumore di 10.000 °K, sono nettamente migliori dei diodi a valanga caratterizzati da una temperatura di rumore di 100.000 °K.
Per quanto riguarda i materiali utilizzati, silicio e arseniuro di gallio sono quelli più usati, sia per le loro proprietà intrinseche sia per il livello tecnologico cui sono stati portati. Il silicio può essere considerato il materiale principe fino ad alcuni gigahertz (3-4 GHz) sia per i dispositivi classici, quali i transistori, sia per i diodi TRAPATT e BARITT. Per le frequenze più alte l'arseniuro di gallio sembra più adatto non solo per i dispositivi T.E., dove non ha concorrenti, ma anche per i dispositivi IMPATT. (Benché si siano ottenuti ottimi risultati, per gli IMPATT, anche con il silicio, si ritiene che ciò dipenda non tanto da caratteristiche intrinseche del materiale, quanto dai più avanzati processi tecnologici disponibili). L'arseniuro di gallio è stato utilizzato inoltre per l'attuazione di transistori FET con funzionamento fino a 40 GHz con temperature di rumore molto basse (300 °K).
Una intensa attività di ricerca è attualmente in corso per lo sfruttamento di nuovi materiali e per sviluppare le piene potenzialità dell'arseniuro di gallio. Si possono citare tra i materiali più interessanti i composti e le leghe del tipo In Asx P1-x che hanno due campi potenziali di applicazione. Il primo è quello dei dispositivi T.E.: tali composti dovrebbero presentare un maggiore rapporto picco-valle nella caratteristica velocità-campo elettrico mostrata in fig. 67 per l'arseniuro di gallio; da ciò conseguirebbe un maggiore rendimento di conversione come oscillatori (maggiore ampiezza possibile per la corrente alternata relativamente alla componente continua); inoltre dovrebbero avere un maggiore coefficiente di diffusione, quindi minori possibilità di instabilità di carica spaziale e di conseguenza maggiore facilità di utilizzazione in modi di funzionamento indipendenti dal tempo di transito. L'altro campo di applicazione riguarda i transistori a effetto di campo (FET) ad alta frequenza, prevedendosi per questi materiali una velocità di saturazione maggiore di un fattore 2,5 rispetto ai dispositivi ad arseniuro di gallio e di un fattore 5 rispetto a quelli al silicio. Per quanto riguarda la competitività dell'arseniuro di gallio rispetto al silicio nei dispositivi tradizionali, nuove tecniche di fabbricazione di giunzioni, di conservazione nel tempo della composizione stechiometrica e miglioramenti nei processi di lavorazione e di protezione delle superfici esposte potranno in vari casi spostare la situazione a favore dell'arseniuro di gallio.
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