elettroshock
Metodo di cura di alcune malattie mentali (detto anche comunemente elettroshockterapia) ideato da U. Cerletti, che lo realizzò in collaborazione con L. Bini (1938). Consiste nella provocazione di un accesso convulsivo epilettico per mezzo di una scarica di corrente alternata di tensione 90÷150 volt, per 1÷5 secondi, che viene fatta passare tra due elettrodi applicati alle tempie. Terminato l’attacco convulsivo, il paziente torna in sé dopo pochi minuti oppure si addormenta per circa mezz’ora. Si effettua sempre in narcosi curarica, per evitare le brusche contrazioni muscolari. Dopo l’introduzione degli psicofarmaci il trattamento elettroconvulsivante, che prima veniva applicato su larga scala in quasi tutte le sindromi psichiatriche, è progressivamente caduto in disuso. I suoi ambiti d’applicazione sono attualmente costituiti solo da casi selezionati di gravi depressioni endogene (specialmente da quelle con arresto psicomotorio), dalle sindromi stuporose, dalla catatonia, dagli stati di grave eccitamento psicotico acuto. Il trattamento può essere combinato con la somministrazione di farmaci neurolettici.