Vedi ELEUSI dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
ELEUSI (v. vol. iii, p. 301)
Scavi recenti si sono limitati a chiarire il carattere e la storia dell'area ad O dei Grandi Propilei.
Essa è interessata da costruzioni del I sec. d. C., in funzione fino alla metà del III: case di una certa estensione, con ambienti attorno ad un cortile, sede probabile del personale del santuario. Il carattere sacro dell'area, e quindi la sua pertinenza al santuario e non alla città, è dato, oltre che dalla presenza in essa di altari, dal fatto che resta al di qua di quel diateichisma che la separò, in ogni epoca, dall'area profana. Si conferma quindi l'identificazione, già da tempo proposta, della casa dei kèrykes, sorta oltre i resti di un siròs di età pisistratea. Nello stesso contesto topografico un'altra costruzione di età pisistratea, le ῎Αστυδε πυλαί, è stata chiarita nella sua struttura: presenta uno schema a cortile obliquo, singolarissimo per la sua età, semplificato, più tardi, con una ricostruzione romana dell'alzato in opus concretum. Più ad E una piccola postierla corrisponde alla πυλὶς ἀπαντροκὺ τοῦ δολίχου ricordata in una epigrafe (Eleusiniakà, i, 1932, 189 ss.) fondamentale, assieme ad una seconda (I. G., ii2, 1672), per la conoscenza della topografia delle mura e dell'area amministrativa e residenziale del personale del santuario.
Ma la novità più singolare è data da una recente revisione sintetica che, con contributi singoli, rettifica precedenti ipotesi e soluzioni, permettendo di seguire le vicende edilizie del santuario e della città su uno sfondo storico.
I documenti più antichi, a prescindere da scarsi frammenti del Proto-Elladico, sono costituiti da resti estesi di un villaggio Medio-Elladico, situato ad O dell'attuale museo e nella stessa area del santuario. La ceramica, recuperata soprattutto dalla necropoli, è legata a tipi contemporanei della Beozia: il che potrebbe illuminare forse la mitica discendenza tebana del primo re della città, Eleusis, figlio di Ogygos. Sulle rovine del precedente villaggio ne sorge un secondo alla metà circa del II millennio e, nel Tardo-Elladico II, nell'area, ormai priva di abitazioni, delle pendici orientali della collina, sorge il primo santuario. La sua morfologia, con megaron entro un tèmenos rettangolare, è nota da tempo, anche nella seconda fase che amplia la primitiva costruzione accostandole tre vani. Connesso con questo primo santuario di età micenea è il problema della provenienza del culto, ora collegato con il N della Grecia più che con il mondo cretese, e una nuova lettura dell'inno Omerico a Demetra che, pur essendo composto alla fine del VII sec. a. C., rispecchierebbe quella originaria situazione topografica che, solo agli inizî del VI sec. a. C., comincerà a subire rilevanti modifiche. Presso lo spigolo NE della stoà di Filone è stato, infatti, messo in luce un pozzo scavato in roccia che ha elementi per esser ritenuto il precedente di quel pozzo arcaico che sta a lato dei Grandi Propilei: un primo Kallichoron che, con la aghèlastos petra, rappresenterebbe il segno di culto dell'arrivo di Demetra nella regione. Del palazzo miceneo, nessuna traccia; ma è probabile che fosse situato sulla sommità della collina, circondata da una prima cinta muraria; la necropoli ne occupava le pendici occidentali con tombe a camera.
Nelle strutture micenee il culto dovette continuare a svolgersi fino alla metà dell'VIII sec. a. C. circa, quando un muro di terrazzamento viene elevato ad E e a SE della primitiva area sacra per reggere un nuovo tempio. Di questo si è conservato un tratto di muro curvilineo, resto forse di una costruzione circolare o absidata. L'accesso all'area sacra era da S, cioè dal mare; e lungo la strada che dal mare portava ad esso sorse nello stesso periodo la cosiddetta ἱερὰ οἰκία, distrutta già agli inizî del VII secolo. Un'altra simile era situata presso l'angolo SE della stoà di Filone, presso il primo pozzo sacro. Nel cortile d'ingresso, a N dei Grandi Propilei, un edificio absidato stava nell'area del tempietto romano di Artemide Propölaia. Altri resti del periodo Tardo Geometrico stanno sotto il quartiere ad O dei Propilei. Le necropoli hanno un grande sviluppo soprattutto lungo le pendici meridionali (nota e interessante la cosiddetta Tomba di Iside); nel loro ambito inizia anche il rispetto e la venerazione per resti di tombe precedenti, anche preistoriche, come nella necropoli O dove si eleva un recinto che può forse essere identificato con quello delle tombe dei "Sette a Tebe" (Paus., i, 39, 2; Plut., Thes., 29).
Tra la fine del VII sec. e gli inizî del VI, forse per diretto interessamento di Solone (dopo che E. viene definitivamente assorbita nell'orbita ateniese), il santuario ha un nuovo sviluppo. La sua terrazza viene ampliata a E e a S con un muro di anàlemma in opera poligonale. L'ingresso, con una larga scalinata, guarda ancora verso il mare. Presso il vecchio pozzo, risparmiato dal nuovo anàlemma, si crea un'area di rispetto, sorge un altare e si dispone un podio di tre gradini: si realizza così quell'area cerimoniale per danze sacre, il cui ricordo resta legato per sempre al nome del pozzo. Sulla nuova, più ampia terrazza sorge un vano rettangolare (m 24 × 14) che, con un probabile àdyton a S, rappresenta forse il nucleo originario del Telestèrion con anàktoron interno. Le necropoli continuano presso le pendici occidentali e offrono esemplari ceramici di prima qualità, come la ormai celebre anfora protoattica con Perseo e la Gorgone.
A Pisistrato si deve l'imponente potenziamento di E. nella seconda metà del VI sec. a. C., con il nuovo orientamento del santuario verso la Via Sacra proveniente da Atene. Lungo l'ultimo tratto di questa dovevano probabilmente trovarsi anche le tombe, stranamente assenti, ora, dalla necropoli O. Le novità di questo periodo sono ben note e si esprimono innanzitutto in un nuovo grande Telestèrion (m 25,30 × 27,10) preceduto da un prostòon, con pareti e trabeazioni in pòros, sima e tegole in marmo pario. L'interno presentava l'anàktoron sul lato meridionale, e 22 colonne, in cinque file, probabilmente ioniche; lungo tre pareti era disposta la scalea per i mystài. Alla stessa impresa innovatrice si deve la cinta muraria di E. con una cortina composta di uno zoccolo litico, in poligonale, e di una sovrastruttura in mattoni crudi. Di essa si è recuperato ormai il percorso completo con torri rettangolari, diateichisma, e con la serie di porte e postierle di cui l'epigrafe citata conserva i nomi. Essa amplia anche l'area del santuario, annettendo ad esso aree ausiliari a N, a S e ad E, con una porta tra il vecchio anàlemma soloniano, ancora in funzione, e il nuovo muro. Qui, la nuova opera distrugge, però, l'unità topografica della corte dei segni sacri; a questo si supplisce con uno spostamento di essa più a N. Il nuovo Kallìchoron, collocato al termine della Via Sacra, sarà rispettato dalle mura cimoniane, da quelle del IV sec. a. C., sarà ricordato da Pausania (i, 38, 8) e sarà, infine, riguardato dal vicino Grande Propileo antoniniano. Non molto lontano da esso doveva trovarsi l'aghèlastos petra e, ancora, il naiskos di Plutone che si eleva allora, per la prima volta, all'imbocco di due grotte che dovevano valere come porte dell'Ade. Della fine del VI o del primo decennio del V sec. a. C. è un rinnovo della ἱερά οἰκία, con un perìbolos in tecnica poligonale e con un edificio interno rettangolare, alla cui decorazione frontonale viene riferita la cosiddetta Kore in corsa, attorno alla quale sono state di recente raggruppate opere riferibili ad un'officina eleusinia. Nel 480-79 il santuario è distrutto dai Persiani, penetrati da una grande falla creata nel muro orientale.
Cimone ricostruisce, con ampliamenti, santuario e mura; chiude la falla persiana con un paramento isodomico e delle mura pisistratee, rincalzate da una cortina interna in mattoni crudi, si serve come di anàlemma per una più grande terrazza adatta ad un più grande Telestèrion. Questo ingloba l'area del precedente prostòon e si estende ad O, verso la collina rocciosa, che subisce un primo grande taglio. Il nuovo edificio rettangolare (m 50 × 27) doveva avere, su tre lati interni, una cavea di 7 gradoni, tre file di 7 colonne e l'anàktoron, conservato nel luogo originario, lungo la parete S. L'opera, giunta ai primi rocchi delle colonne, verrà interrotta e abbandonata per i nuovi successivi progetti pendei. A sostituzione dell'area ausiliare orientale interrata, Cimone ne crea una simile più ad E, compresa entro una nuova cinta muraria. Questa presenta un ingresso principale a N, sostituito più tardi dai Grandi Propilei, ed uno minore presso lo spigolo orientale delle mura pisistratee.
Con Pericle il progetto di un nuovo grande Telestèrion comporta un ulteriore ampliamento della terrazza ad E e a SE con un muro isodomico, di anàlemma e di recinzione nello stesso tempo, provvisto di due torri circolari e una rettangolare. Nel tratto più settentrionale dell'aggiunta, un siròs sotterraneo si inserisce tra il muro pisistrateo e quello cimoniano-pericleo. Le vicende edilizie delle due fasi del Telestèrion di tale periodo sono da tempo note: l'anàktoron diventa il fulcro della grande sala ipetrale occupandone il centro; le scalinate si distribuiscono ora lungo le quattro pareti e le colonne interne, che nel piano di Iktinos (51,50 × 49,45 m) dovevano essere disposte in 5 file di 4 ciascuna, diventano più fitte, in 7 file di 6 ciascuna. Sopra queste Metagenes innalza, tramite un diàzoma, un secondo ordine concluso al centro dall'opàion di Xenokles. All'esterno non è più sostenibile per tale periodo né un prostòon e tanto meno un portico su tre lati, come voleva il Noack. I due contrafforti ad L con spina interna presso gli spigoli NE e SE del Telestèrion sarebbero infatti della prima metà del IV sec. a. C., immediatamente seguenti ad un ultimo ampliamento del santuario, e in previsione di una piattaforma, prima, e di un prostòon poi, che verrà concluso da Filone dopo il 317.
Al IV sec. a. C. viene attribuita ora anche la seconda fase del Ploutònion con un tèmenos triangolare e un tempietto in antis, l'esedra ad L intagliata in roccia a S del Ploutònion, siròi e stoài lungo il nuovo tratto di mura a E e SE, dove nel III sec. sorgerà il noto bouleutèrion. Ma nel primo ellenismo il centro di E. assume una notevolissima importanza strategica: restaura a varie riprese le sue mura e costruisce un castello a pianta triangolare, presso una grotta di Pan, su una collina occidentale, oggi distrutta dalle cave di pietra.
Varie precisazioni interessano anche la vita del santuario in periodo romano, il secondo grande periodo costruttivo di E. dopo quello pisistrateo-pericleo. I Piccoli Propilei, dedicati da A. Claudio Pulcro nel 54 a. C. e conclusi dai suoi nipoti, dovevano avere semicolonne accostate alle pareti laterali del cortile settentrionale, mentre le fasi dello Hörmann relative alla fronte meridionale, valide per le fontane in nicchia trasformate in porte, non lo sarebbero per le Cariatidi, che avrebbero mantenuto sempre il loro posto originario, staccate dalla parete e simmetricamente contrapposte alle colonne corinzie dell'altro lato. Ad Adriano va attribuita la costruzione di un ponte, ottimamente conservato, sul Cefiso eleusinio lungo la Via Sacra e un acquedotto. Probabilmente nel II sec. furono tagliate nella roccia la terrazza ad O del Telestèrion, l'area a gradoni e tribuna a S, nonché i due templi F ed L forse dedicati alle dive Sabina e Faustina. Il primo di questi recava nel frontone una decorazione scultorea, copia parziale dei gruppi del frontone occidentale partenonico in una scena che doveva tuttavia rappresentare il ratto di Proserpina; secondo il Travlòs l'edificio non sarebbe tempio, ma thesauròs. L'occasione per la ricostruzione romana del Telestèrion dovette essere la distruzione del santuario ad opera dei Costoboci nel 170 d. C. Fu allora che il grande monumento ebbe un ulteriore ampliamento di m 2,50 ad O e che l'area d'ingresso N ebbe una completa risistemazione. Gli elementi fondamentali di essa sono i Grandi Propilei, che copiano il modello ateniese e che, a giudicare dall'imago clipeata dell'imperatore che ne occupa il campo del timpano, dovrebbero essere di Marco Aurelio, una fontana a π due grandi archi trionfali che replicano lo schema della Porta di Adriano ad Atene, il tempio di Artemide Propylaia e di Posidone, frutto classicistico di uno studio attento dell'architettura attica del V sec., altari ed edifici varî delle aree ausiliari. Del periodo romano sono anche rifacimenti nell'area del Bouleutàrion e varie costruzioni ai limiti esterni dell'area sacra, come una grande terma recentemente esplorata, il mitreo tardo-romano, il ginnasio, cisterne, piccole terme e sistemazioni varie destinate ad alloggio e conforto per i pellegrini. Nel 395, con la distruzione di Alarico, E. interrompe per sempre la bimillenaria vita del suo santuario.
Bibl.: P. Faure, Ploutonion, in Bull. Corr. Hell., 82, 1958, p. 800 ss.; K. Jeppesen, Paraidegmata, Aarus 1958, p. 103 ss.; J. Travlòs, Ελευσίς, 1950-60, in ᾿Αρχ. Δελτίον, 16, 1960, Chronikà, p. 43 ss.; J. Threpsiadis, ibid., p. 60 ss.; A. J. Bundgaard, Mnesikles, Copenaghen 1957, pp. 100 ss.; 224, n. 252; F. G. Maier, Griechische Mauerbauinschriften, Heidelberg 1959, I, p. 84 ss.; A. v. Gerkan, in Gött. Gelehrt. Anz., 214, 1960, p. 12 ss.; G. Mylonas, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, Princeton 1961 (e relative recensioni, sopratt. in Gnomon, 35, 1963, p. 813 ss. e in Am. Journ. Arch., 67, 1963, p. 99 ss.); K. Kerényi, Die Mysterien v. Eleusis, Zurigo 1962; P. Ålin, Das Ende der mykenischen Fundstätten, Lund 1962, p. 112 ss.; V. R. Desborough, The last Mycenaeans and their Successors, Oxford 1964, p. 114 ss.; C. Tiberi, Telesterion, in Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura, 1964, p. i ss.; G. Malteso, Eleusis und die Mysterien, Lincks-Crusius 1964; A. Giuliano, La cultura artistica delle province della Grecia in età romana, Roma 1965, p. 27 ss.; R. Hope Simpson, A Gazetteer and Atlas of myc. Sites, Londra 1965, p. 110; G. Mylonas, Dionysos and Eleusis, in ᾿Εϕημ. ᾿Αρχ., 1960 (1965), p. 68 ss. (cfr. anche Bull. Corr. Hell., 88, 1964, p. 433 ss.); G. Gruben, Die Tempel der Griechen, Monaco 1966, p. 210 ss.
Per gli scavi più recenti si veda soprattutto: Praktikà, 1957, p. 27 ss.; 1960,p. 13 ss.; 1961, p. 9 ss.; 1964, p. 3 ss., e inoltre Ergon e Chronique des fouilles del Bull. Corr. Hell.,1960, 1961, 1962, 1964. Per problemi storico-artistici cfr. E. Simon, in Ath. Mitt., 69-70, 1954, p. 54 ss.; N. Himmelmann-Wildschütz, in Marb. Winckelm. Progr., 1957, p. 9 ss.