ELEUTERIO
Le fonti note non forniscono alcuna notizia su E. anteriormente al 616, anno in cui segnalano che fu nominato esarca d'Italia dall'imperatore Eraclio. Non conosciamo, pertanto, nulla circa le sue origini, l'epoca della sua nascita, le vicende della sua vita e della sua carriera sino a quella data. Ci viene detto soltanto che era eunuco e che aveva raggiunto, presso la corte di Costantinopoli, l'altissimo rango di "patricius et cubicularius".
Quando E. venne nominato esarca l'autorità dell'Impero in Italia stava attraversando un momento particolarmente difficile. La discontinuità e la scarsa incisività degli interventi del governo centrale, l'incertezza dei rapporti con i Longobardi, con i quali lo stato di guerra appariva congelato e latente piuttosto che risolto definitivamente da una tregua d'armi ogni anno rinnovata dietro il pagamento di un pesante tributo (500 libbre d'oro), la disorganizzazione dei servizi pubblici, l'irregolarità nel pagamento del soldo alle truppe di stanza nella penisola, l'ininterrotto lievitare della pressione fiscale (tutti fenomeni, questi ultimi, connessi con le continue e costose guerre che l'Impero era costretto a sostenere contro i numerosi nemici orientali, Avari e Persiani soprattutto) avevano portato le popolazioni italiane soggette a Bisanzio, non direttamente minacciate da quei pericoli e non motivate da solidarietà con gli abitanti di quelle lontane regioni, ad uno stato di esasperazione nei confronti del governo centrale tale da portarle a tentare atti estremi.
Di questo malcontento e di questa esasperazione si erano fatte espressione, con moti apertamente sediziosi, non solo le milizie rurali e cittadine, ma anche le truppe regolari dell'esercito d'Italia, anch'esse reclutate tra la popolazione locale, che detenevano il potere delle armi. Nel 615 o nello stesso 616 a Ravenna, capitale dei territori di dominio bizantino, l'esarca Giovanni, da poco succeduto a Smaragdo, era stato trucidato insieme con un gruppo di alti funzionari imperiali, "iudices reipublicae", come li definisce un contemporaneo di quei luttuosi avvenimenti, l'anonimo autore della biografia del papa Deusdedit (Adeodato I) inserita nel Liber pontificalis della Chiesa romana. A Napoli nello stesso periodo di tempo un Giovanni da Conza - le fonti non precisano se fosse un esponente delle forze politiche locali o il comandante delle locali forze armate - si era impadronito della città e si era arrogato poteri sovrani.
È possibile che in tali rivolte abbia avuto una qualche parte il re dei Longobardi Agilulfo, il quale le poté vedere "come elementi di un vasto piano da lui concepito per la ripresa della conquista" (Bertolini, I Germani, p. 242). Sembrano confermarlo sia il fatto che nel 614 era scaduta l'ultima tregua rinnovata da quel sovrano, sia l'affermazione dell'anonimo autore della Prosperi Continuatio Havniensis, secondo il quale E. era stato inviato con lo specifico compito di "proteggere tutta l'Italia, che i Longobardi non avevano ancora occupato".
Assunto l'alto incarico, E. per prima cosa raggiunse Ravenna, molto probabilmente per via di mare e sul finire del 616. Portava senza dubbio con sé contingenti di truppa: riuscì infatti a reprimere rapidamente la rivolta, soffocandola nel sangue e facendo giustiziare quanti erano stati coinvolti nell'uccisione del suo predecessore. Si portò quindi con i suoi a Roma, dove fu accolto, con gli onori dovuti al suo grado, dal papa Deusdedit, salito al soglio di Pietro nell'ottobre 615. Da Roma mosse contro Napoli, che investì e conquistò, sconfiggendo Giovanni da Conza e restaurando il governo legale. Condannato a morte e fatto giustiziare l'usurpatore, rientrò a Ravenna, dove fece pagare alle milizie locali, che probabilmente avevano sostenuto la rivolta contro l'esarca Giovanni, il soldo arretrato. Ristabilito in tal modo l'ordine nell'Italia bizantina ed assicurata la tranquillità al suo interno ("facta est pax in tota Italia" scrive l'anonimo autore della vita del papa Deusdedit), E. affrontò la seconda parte del suo programma di governo, quella riguardante il problema longobardo, che prevedeva, sulla base delle direttive ricevute a Costantinopoli, l'abbandono della politica di distensione e la ripresa della lotta armata.
Le circostanze sembravano favorevoli all'adozione di una linea di fermezza e alla riapertura delle ostilità. Sul trono di Pavia era infatti asceso, succedendo al padre Agilulfo, scomparso nel 616 (o fine 615), il figlio Adaloaldo, allora quindicenne, sotto la reggenza della madre, la regina Teodelinda. Ciò costituiva senza dubbio un fattore di debolezza per il potere regio, la cui azione di governo - ad onta delle doti di intelligenza e di risolutezza proprie della reggente - appariva per la sua stessa provvisorietà inadeguata a fronteggiare situazioni eccezionali di pericolo o di crisi sul piano internazionale.
E. sferrò dunque con decisione una serie di attacchi contro i territori di dominio longobardo, ma senza successo: tra il 617 ed il 619 fu ripetutamente e duramente sconfitto sul campo da un condottiero formatosi alla scuola di Agilulfo e legato alla memoria di quel sovrano, il duca Sundrarit. Respinto, dovette acconciarsi a trattare. Ottenne una tregua che confermava l'obbligo del pagamento di 500 libbre d'oro annue già imposto da Agilulfo all'esarca Callinico.
Le vicende delle guerre in Oriente (i Persiani, conquistati la Siria, la Palestina e l'Egitto, erano giunti sino a Calcedonia; gli Avari, incalzando dal Nord le truppe imperiali, erano arrivati fin sotto Costantinopoli) fecero sentire ancora una volta le loro ripercussioni anche in Italia.
Nel novembre o ai primi di dicembre del 619 E. si ribellò al suo sovrano e tentò di usurpare il potere supremo: "Eodem tempore, ante diem ordinationis eius [cioè prima che venisse ordinato il papa Bonifacio V], Eleutherius patricius et eunuchus factus intarta adsumpsit regnum" si legge nella biografia di Bonifacio V inserita nel Liber pontificalis della Chiesa romana. Secondo quanto riferisce l'anonimo autore della Prosperi Continuatio Havniensis, E., "cum iam purpuram induisset atque coronam sibi dari proposuisset", sarebbe stato esortato da un "venerabilis vir Iohannes" - quasi certamente l'arcivescovo di Ravenna Giovanni (IV) - "ut ad Romam pergeret atque ibi, ubi Imperii solium maneret, coronam sumeret": consiglio probabilmente nato dal desiderio del presule di non compromettersi in un'avventura le cui probabilità di successo non erano sicure. E. accolse il consiglio e si mise in marcia per Roma con un piccolo contingente di truppa, ma, giunto a Castrum Luceoli, antico centro presso l'odierna Cantiano (Pesaro-Urbino), nell'Appennino umbro-marchigiano, "cum paucis iam suo itinere comitantibus", venne ucciso dai suoi stessi soldati. Il suo capo, mozzato, fu inviato a Costantinopoli.
Non ci sono chiari i motivi della rivolta da lui tentata. Nel momento in cui l'imperatore Eraclio si trovava sotto la dura pressione di Persiani ed Avari, E. poté nutrire seri dubbi sulla capacità dell'Impero di poter fornire all'esarcato un sostegno adeguato contro i Longobardi; forse temette addirittura che non potesse nemmeno garantirgli la sopravvivenza. Si è sostenuto (Classen) che intraprese la "prima marcia di incoronazione a Roma della storia del mondo" in vista di una restaurazione in Occidente dell'Impero, la cui idea continuava ad essere ben viva, come attestano sia la decisione, maturata dall'imperatore Maurizio nel 596-597, di dividere l'Impero stesso tra i figli e di assegnare Roma con l'Italia e le isole al secondogenito Tiberio, sia il progetto, vagheggiato dallo stesso Eraclio, di trasferire la capitale a Cartagine. Tuttavia, sebbene l'Italia di dominio bizantino stesse acquistando, nel corso del sec. VII, una sua distinta identità rispetto alle province orientali dell'Impero, qualsiasi progetto di restaurare l'indipendenza della penisola riportandovi la sede imperiale precorreva i tempi. Questo spiega perché E. non poté trovare, tra i suoi, se non un sostegno molto limitato. Il fatto di essere eunuco, inoltre, può aver ostacolato le sue pretese imperiali. È comunque possibile, anche, che le sue ambizioni contemplassero soltanto l'instaurazione, nell'Italia bizantina, di un governo autonomo.
Fonti e Bibl.: Pauli Diaconi Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann e G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saecc. VI-IX, I, Hannoverae 1878, p. 128; Agnelli Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder-Egger, ibid., p. 340; Gesta episcoporum Neapolitanorum, a cura di G. Waitz, ibid., p. 414; Prosperi Continuatio Havniensis, ibid., Auctores antiquissimi, IX, 1, a cura di T. Mommsen, Berolini 1892, p. 339; Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 319, 321; L. M. Hartmann, Untersuchungen zur Geschichte der byzantinischen Verwaltung in Italien (540-750), Leipzig 1889, pp. 13 s.; Id., Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 1, Gotha 1900, pp. 200-204; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna s. a. [ma 1941], pp. 299-303; Id., I Germani. Migrazioni e regni nell'Occidente già romano, in Storia universale, diretta da E. Pontieri, III, 1, s. n. t. (ma Milano 1965), pp. 242 s.; Id., Appunti per la storia del Senato di Roma durante il periodo bizantino, in Scritti scelti di storia medioevale, a cura di O. Banti, I, Livorno 1968, pp. 227-267 passim; A. Guillou, Régionalisme et indépendance dans l'Empire byzantin au VIIe siècle. L'exemple de l'Exarchat et de la Pentapole d'Italie, Roma 1969, pp. 204-206; P. Bertolini, Bonifacio V, papa, in Diz. biogr. d. Ital., XII, Roma 1970, p. 140; P. Classen, Die erste Romzug in der Weligeschichte. Zur Geschichte des Kaisertum im Westen und der Kaiserkrönung in Rom zwischen Theodosius dem Grossen und Karl dem Grossen, in Historische Forschungen für Walter Schlesinger, a cura di H. Beumann, Köln-Wien 1971, pp. 325-347.