Venizelos, Eleutherios
Politico greco (Murnies, Canea, 1864-Parigi 1936). Avvocato e giornalista liberale, durante la guerra greco-turca del 1897 capeggiò la fallita rivolta cretese contro la Turchia, riuscendo comunque, con l’appoggio delle potenze europee, a ottenere per l’isola un governo autonomo, del quale fu ministro della Giustizia (1899-1901). Entrato in contrasto col principe Giorgio, capo del governo di Creta, nel 1905 organizzò contro di lui un’insurrezione, costringendolo a lasciare l’isola. Nuovamente membro del governo cretese con A. Zaìmis, si trasferì più tardi ad Atene, dove nell’ag. 1910 fu eletto deputato. Primo ministro dall’ottobre dello stesso anno, intraprese una vasta opera di riforme interne e guidò la Grecia nelle vittoriose guerre balcaniche del 1912-13. Favorevole all’intervento a fianco dell’Intesa allo scoppio della Prima guerra mondiale, si trovò presto in forte dissenso con re Costantino, desideroso di mantenere la neutralità. Dopo aver tentato di forzare la volontà del sovrano, nel 1916 con l’appoggio degli anglo-francesi guidò una rivolta armata, costituendo un nuovo esercito e un governo provvisorio, obbligando Costantino ad abdicare (1917) e spingendo il suo successore Alessandro alla dichiarazione di guerra agli imperi centrali e alla Turchia. Alla fine delle ostilità, V. guidò la delegazione greca alla conferenza della Pace di Parigi, ottenendo un grande successo personale e notevoli ingrandimenti territoriali per il suo Paese, consacrati dai Trattati di pace di Neuilly e Sèvres. Nonostante i successi internazionali, la sua posizione in Grecia fu indebolita dal ritorno al trono di Costantino (dic. 1920) e soprattutto dalla sconfitta greca (1922) a opera dei kemalisti, che infranse quell’idea di un’espansione nella Penisola Anatolica che aveva avuto proprio in V. uno dei principali sostenitori. Capo della delegazione greca alla Conferenza di Losanna per la pace con la Turchia (1923), V. tornò alla presidenza del Consiglio nel 1924, dimettendosi però poco dopo e stabilendosi a Parigi. Tornato in patria, riprese la guida del Partito liberale e nel 1928 formò il suo ultimo ministero. Sconfitto nelle elezioni del 1932 si dimise, ma fomentò più tardi (1935) un tentativo di insurrezione armata, per il quale fu costretto all’espatrio e condannato a morte in contumacia.