Jelinek, Elfriede
Jelinek, Elfriede. – Scrittrice e drammaturga austriaca (n. Mürzzuschlag 1946), premio Nobel per la letteratura nel 2004. Sin dall’infanzia si è dedicata alla poesia e alla musica conseguendo il diploma di organista al Conservatorio di Vienna nel 1971. Con uno stile narrativo dissacrante, che fonde citazioni classiche con il linguaggio massificato della cultura pop, si è dedicata a narrare la violenza dell’immaginario maschilista sui corpi e sui desideri delle donne; la sua produzione letteraria spazia dalla lirica, alla prosa, al teatro, ai libretti d'opera. A partire da romanzi come Die Liebhaberinnen (1975; trad. it. 1992), Die Klavierspielerin (1983; trad. it. 1991) – che ha ispirato l’omonimo film diretto da Michael Haneke nel 2001 – Lust (1989; trad. it. 1994), e dalle opere teatrali come Wolken. Heim (1988; trad. it. 1991), Sport. Ein Stück (1998; trad. it. 2005), l’impegno femminista di J. raggiunge il suo apice nel nuovo secolo con Gier (2000; trad. it. 2005), storia di una guardia giurata che seduce le donne per trasformarle in personali oggetti erotici. Dagli anni Ottanta del Novecento si è dedicata molto al teatro scrivendo varie opere tra cui: Bambiland (2004; trad. it. 2005), incentrato sul ruolo mistificatorio assunto dai media durante la guerra in Iraq; Babel (2004), Ulrike Maria Stuart (2006) e Rechnitz (2008), dedicato al massacro di 60 ebrei ungheresi durante l’occupazione nazista nella città austriaca di Deutsch Schützen, Kein Licht (2011), sulla tragedia di Fukushima. Non abbandonando mai il senso del dovere civile e sociale, anche nell'opera teatrale Winterreise (2011), ispirata al ciclo di Lieder composti da Franz Schubert e dedicata alla vera storia di Natascha Kampusch – rapita nel 1998 all’età di 10 anni e segregata in un garage di una cittadina austriaca da cui è fuggita nel 2006 dopo 8 anni di reclusione –, la letteratura di J. continua a far risuonare, come recita la motivazione del premio Nobel, «il suo flusso musicale di voci e controvoci nei romanzi e nei drammi che, con straordinario zelo linguistico, rivela le assurdità dei clichés sociali e del loro potere soggiogante».