ELIA d'Assisi (Elia da Cortona, al secolo Buonbarone)
Nacque probabilmente ad Assisi intorno al 1170-11 80. Le fonti che ci hanno tramandato i suoi dati biografici (quasi tutte francescane, spesso confuse, lacunose o tendenziose) sono particolarmente scarne riguardo alle notizie che precedono il suo ingresso nell'Ordine francescano. Secondo la Cronica di Salimbene da Parma (1283-1288), che dedica alla vicenda di E. un ampio excursus intitolato Liber de prelato, E., al secolo Buonbarone ("Bonusbaro"), sarebbe nato da padre bolognese e da madre assisiate, e ad Assisi avrebbe trascorso la giovinezza, esercitando sia l'attività di maestro di scuola sia quella di materassaio. Una notizia di Tommaso di Eccleston lo vuole, forse successivamente, notaio ("scriptor") a Bologna.
Imprecisata è pure la data del suo incontro con Francesco e dell'inizio del suo apostolato francescano, che può solo approssimativamente essere collocato tra il 1210 e il 1215. Alcuni biografi moderni hanno creduto di poter identificare E. nella figura del misterioso amico di s. Francesco, compagno della prima conversione cui accenna Tommaso da Celano (Vita I, 6, p. 9), costruendo così l'immagine di un E. strettamente legato al santo fin dai primordi della sua missione. Nell'impossibilità di provare questa ipotesi, quello che tuttavia risulta con chiarezza dalle fonti è l'estrema familiarità esistente tra Francesco ed E. ed il ruolo importante da lui svolto nell'organizzazione dell'Ordine. La cronaca di Giordano di Giano, scritta nel 1262, documenta la sua attività missionaria in Terrasanta: nominato nel 1217 ministro provinciale di Siria dallo stesso Francesco, rimase in quella regione fino al 1220, svolgendo un'intensa attività di predicazione, il cui risultato più cospicuo fu l'ingresso nell'Ordine di Cesario da Spira.
Durante il suo mandato furono fondati sicuramente il convento di Costantinopoli e quello di San Giovanni d'Acri e molto probabilmente anche quelli di Antiochia, Tripoli, Beirut, Tiro. Nel 1219 E. accolse s. Francesco pellegrino in Oriente e lo accompagnò nel suo viaggio attraverso la Siria. Insieme col santo e con frate Cesario rientrò in Italia alla fine dell'anno seguente o nella primavera del 1221, ed il 10 marzo, in seguito alla morte di Pietro Cattani, fu nominato vicario dell'Ordine. In questa veste E. ebbe modo di occuparsi di tutte le questioni riguardanti l'organizzazione dell'Ordine, a lui demandate da s. Francesco, che, troppo debole e ammalato per occuparsi direttamente della guida dei frati, conservava ormai solo la funzione di padre spirituale. A lui il santo affidò, con una lettera databile intorno al 1220 (Gli scritti di S. Francesco d'Assisi, a cura di K. Esser, Padova 1982, pp. 308-313), il compito di far osservare inviolabilmente la regola, trasmettendogli nello stesso tempo le indicazioni per la celebrazione della messa da parte dei frati sacerdoti, e a lui, se è E. il destinatario dell'epistola Ad quendam ministrum, scritta probabilmente nello stesso periodo (ibid., pp. 279 s.), inviò preziosi consigli in relazione al problema della correzione dei frati.
Ad E. spettò soprattutto il compito di gestire la rapida espansione dell'Ordine. Nel 1221 organizzò una missione in Germania, della quale affidò l'incarico a Cesario da Spira e nella quale coinvolse Giordano di Giano; nel 1224 i primi frati sbarcarono in Inghilterra; nel 1227 frate Daniele venne inviato con sei confratelli in Marocco, dove tutti furono martirizzati. Contemporaneamente E. si interessò allo sviluppo degli studi all'interno dell'Ordine e dell'organizzazione delle clarisse e del terz'ordine. Durante il suo vicariato E. non solo non fu mai in conflitto con S. Francesco e con la regola da lui dettata, ma fu sempre amorevole compagno del santo ed interprete della sua volontà. In questa attitudine lo descrive Giordano di Giano nel capitolo generale della Porziuncola (23 maggio 1221) nel quale E., quasi portavoce di Francesco stanco e malato, riferiva ai frati quanto egli gli sussurrava all'orecchio.
La stessa immagine compare nella Vita I di Tommaso da Celano, composta negli anni 1228-29 e quindi sicuramente non viziata dai successivi sviluppi della vicenda di Elia. Nella Vita I E. compare come attento custode dell'Ordine e premuroso e amorevole sostegno per lo stesso S. Francesco. Ad E., scelto dal santo "come madre per sé e come padre per gli altri frati", spetta il compito di vigilare sulla salute ormai precaria di Francesco, forzando in qualche caso la sua stessa volontà ad accettare i rimedi dell'arte medica; ad E. viene profeticamente annunciata la morte del santo due anni prima che questa avvenga; ad E. è riservato il privilegio di vedere le stimmate mentre Francesco è ancora in vita; ad E. infine è destinata la particolare benedizione del santo al momento della morte. Nella biografia del Celano il vicario compare quindi come l'indiscussa guida dell'Ordine, l'artefice del suo straordinario sviluppo, il naturale successore di Francesco.
All'indomani della morte del santo (3 ott. 1226), con una lettera enciclica a tutto l'Ordine, E. annunciò ai frati la triste notizia, rendendo di pubblico dominio il miracolo della stimmate. Nella Pentecoste del 1227 indisse, probabilmente alla Porziuncola, il capitolo dei frati per l'elezione del ministro generale; la carica venne affidata a Giovanni Parenti ed E. si dedicò alla grande impresa della sua vita, la costruzione della basilica di Assisi.
Secondo una notizia che risale a Mariano da Firenze, E., abile architetto, avrebbe personalmente progettato l'originale modello delle due chiese sovrapposte ed avrebbe presieduto ai lavori della chiesa inferiore. La basilica, ideata a somiglianza del S. Sepolcro come una sorta di fortezza eretta a difesa del corpo del nuovo Cristo, Francesco, fu poi completata nella parte superiore da un altro architetto, molto probabilmente Filippo da Campello. Quel che è sicuro è che il 29 marzo 1228 E., a nome del pontefice Gregorio IX, ricevette da Simone Puzarelli la donazione di un terreno denominato Colle dell'Inferno, poi ribattezzato Colle del Paradiso, nel territorio di Assisi; il 29 aprile la bolla papale Recolentes qualiter proclamò ufficialmente l'avvio della costruzione di una basilica destinata ad accogliere le spoglie di S. Francesco; il giorno successivo alla canonizzazione del santo, il 17 luglio 1228, E. avviò i lavori di costruzione della basilica che con un'ulteriore bolla papale del 2 ottobre veniva accettata in proprietà dalla S. Sede.
Nella primavera del 1230 la basilica inferiore era ultimata; la bolla Is qui ecclesiam del 22 aprile la proclamava "caput et mater" dell'Ordine, mentre la bolla Mirificans misericordias del 16 maggio proclamava l'indulgenza per chi avesse assistito alla traslazione delle spoglie di s. Francesco. La cerimonia, che ebbe luogo il 25 maggio, fu turbata da una serie di incidenti, nei quali non è ben chiaro quale fu il ruolo svolto da Elia. Egli infatti, temendo un non improbabile trafugamento del corpo del santo, lo avrebbe fatto trasferire nella basilica di nascosto tre giorni prima della data prevista, scatenando in tal modo la reazione dei frati venuti da ogni parte e provocando addirittura l'intervento dei soldati di Assisi. Tommaso di Eccleston, fonte abbastanza attendibile, anche se ostile ad E., seguito poi in maniera assai più confusa dallo Speculum vitae, collega questo episodio ad un presunto tentativo di E. di farsi eleggere con la forza ministro generale durante il capitolo dei frati, tenuto ad Assisi subito dopo la traslazione, tentativo fallito solo grazie alla presenza di spirito di Giovanni Parenti, ed in seguito al quale E. si sarebbe ritirato per due anni a Cortona conducendo vita di penitenza. Riconquistata in tal modo la fiducia del papa e dei confratelli, al capitolo di Rieti del 1232 E. fu nominato ministro generale al posto di Giovanni Parenti, sciolto dalla carica.
Durante i sette anni del suo generalato E. dette un grande impulso allo sviluppo dell'Ordine, che si accrebbe fino al numero di 15-20.000 frati e si estese fino alle estremità dell'Europa (Spagna, Scandinavia, Scozia, Irlanda, Polonia, Livonia). Particolarmente attento alle missioni in Oriente, E. nel 1232-33 mandò a Nicea Aimone di Faversham e Rodolfo di Reims insieme con due domenicani per promuovere l'unione delle Chiese occidentale e orientale; nello stesso anno inviò Giacomo da Russano in Georgia ed altre tre missioni a Damasco, a Baghdad e in Marocco. Nel 1235 mandò una missione a Tunisi e nel 1238 ad Aleppo. Incoraggiò lo studio all'interno dell'Ordine, aprendo Studi di teologia in quasi tutti i conventi principali (merito questo che gli viene riconosciuto anche dal grande nemico Salimbene). Favorì un'intensa utilizzazione dei frati al servizio della S. Sede e poi anche, a partire dagli anni 1235-37, dell'Inquisizione. Riorganizzò la struttura delle province, portandone il numero da 16 a 40, istituì o quanto meno istituzionalizzò la figura del visitatore, una sorta di controllore inviato dal ministro generale nelle singole province.
La straordinaria espansione dell'Ordine ed il suo personale prestigio guadagnarono ad E. attestati di benemerenza da parte di insigni personaggi dell'epoca e gli conferirono un'autorità enorme. In nome di tale autorità fu chiamato ad intervenire in una disputa tra i Comuni di Spoleto e di Cerreto, che si concluse con un patto stilato il 10 ag. 1233. Negli anni successivi il prestigio di E. può essere testimoniato dalle attestazioni di stima rivoltegli da personaggi insospettabili, sia vicini all'Ordine, sia estranei ad esso: in una lettera ad Agnese di Boemia s. Chiara esprime fiducia incondizionata nell'operato di E. e ne antepone il consiglio a quello di chiunque altro; Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln, in due lettere databili tra il 1236 e il 1237 avanza al ministro francescano richieste di aiuto per la sua attività pastorale e al tempo stesso auspica un rapporto di più stretta amicizia; l'imperatore Federico II infine invia ad E. una lettera in occasione della traslazione del corpo di s. Elisabetta d'Ungheria (17 maggio 1236), nella quale all'esaltazione delle virtù della santa si interseca un vivo apprezzamento per l'operato dell'Ordine francescano. A causa di questa familiarità con l'imperatore, nel 1238 E. venne inviato dal papa Gregorio IX a Cremona per una delicata missione di mediazione con Federico II, missione che ebbe esito negativo e si concluse con la scomunica dell'imperatore (1239). Durante il suo generalato inoltre E. portò avanti il suo grande progetto di costruzione della basilica, nella quale volle essere rappresentato egli stesso, ai piedi del Crocifisso, oggi perduto, dipinto da Giunta Pisano nel 1236 all'ingresso del presbiterio.
Tuttavia, nonostante i grandi successi del suo generalato, E. non mancò di attirarsi le feroci critiche dei confratelli. È abbastanza difficile discernere nella ridda di accuse che le fonti ci hanno tramandato quali furono esattamente le colpe di E.: Giordano di Giano lo accusa di dispotismo ed inosservanza della regola; Tommaso di Eccleston di amore per il lusso e di modi violenti; Salimbene elenca una serie di tredici accuse che vanno dalla maleducazione al malgoverno, dal dispotismo al tenore di vita principesco, alla colpa, gravissima agli occhi di Salimbene, di favorire nell'Ordine i laici a scapito dei chierici. Tutti i cronisti comunque insistono sull'istituzione dei visitatori come elemento scatenante della rivolta contro frate E.: queste persone, spesso animate da eccessiva durezza, si comportavano più da esattori che da correttori ed esercitavano pressioni sulle province per estorcere tributi e doni. Le continue richieste di denaro, necessario per ultimare la costruzione della basilica, dovettero risultare particolarmente sgradite a quei frati che erano rimasti ancorati all'originario ideale di povertà. Tuttavia, almeno nelle fonti primitive, non compare mai l'accusa di violazione della regola sul tema della povertà; l'episodio di frate Leone che spezza la conca per la raccolta delle offerte è recepito solo tardivamente nella letteratura francescana (Speculum vitae), quando ormai ha preso corpo la leggenda di un frate E. avido e sovvertitore del valore della povertà. In realtà E., a differenza dei ministri che gli succedettero, non chiese mai alla S. Sede alcun privilegio che mitigasse la povertà nell'Ordine. La resistenza al sistema dei visitatori fu piuttosto espressione di un'opposizione "politica" al governo fortemente accentratore di E. che, laico in un Ordine ormai notevolmente clericalizzato, incoraggiava lo studio della teologia, ma continuava a favorire all'interno dell'Ordine l'elemento laico, più facilmente dominabile.
Di fatto i visitatori erano particolarmente invisi in quelle zone dell'Ordine che, geograficamente lontane da Assisi, si erano venute organizzando secondo formule in qualche misura autonome rispetto al modello italiano e che avevano risolto il problema dei rapporti laici-chierici secondo equilibri diversi da quelli che il generale tentava di imporre. E fu proprio dalle province cismontane che partì l'iniziativa della rivolta; assistiti da una coalizione di maestri dell'università di Parigi (Alessandro di Hales, Giovanni della Rochelle, Riccardo Rufo, Aimone di Faversham) e capeggiati da frate Arnolfo, penitenziere del papa, i ministri di quelle province sollecitarono, contro la volontà di E., la riunione del capitolo generale. Riuniti a Roma alla presenza del pontefice il 15 maggio 1239, i frati attaccarono E. sul piano dell'osservanza della regola, accusandolo di amore eccessivo per il lusso e di modi violenti e contemporaneamente presentarono al papa un progetto di riforma dell'Ordine. E. cercò di difendersi accampando la salute cagionevole come ragione degli agi di cui si circondava, ma le accuse furono puntualmente riprese da Aimone di Faversham. La seduta si trasformò ben presto in una tumultuosa contrapposizione fra i partigiani di E. ed i suoi oppositori prevalentemente inglesi e si concluse con la sospensione di E. dalla carica di ministro e la sua sostituzione con Alberto da Pisa, ministro della provincia inglese.
La cronaca di Tommaso di Eccleston ci informa sugli sviluppi ulteriori della vicenda di E.: egli avrebbe scelto di dimorare a Cortona (ma un documento del 27 maggio 1239 lo definisce ancora custode della chiesa di S. Francesco ad Assisi), mantenendo tuttavia rapporti con il monastero delle clarisse, nonostante la proibizione del ministro generale. Questa infrazione della regola ed il rifiuto di sottomettersi all'obbedienza del ministro avrebbe condotto E., insofferente di ogni umiliazione, a schierarsi a fianco dell'imperatore Federico, che in quel momento si trovava in Toscana. Di qui la scomunica di Gregorio IX. Di fatto Federico non aveva fatto mancare il suo appoggio ad E., e, già all'indomani della deposizione, nel luglio del 1239, aveva stilato un documento in cui ricordava i meriti del ministro deposto, erede designato da s. Francesco e fautore della pace con l'Impero, deplorava vivamente il gesto del papa, nel quale leggeva una mossa antimperiale e lo accusava di avere tramato subdolamente ai danni di E. rifugiatosi presso di lui, nel tentativo di catturarlo con l'inganno, simulando propositi di riconciliazione. La scomunica di E., che tutte le fonti mettono in relazione con il passaggio al seguito di Federico, probabilmente automatica nel momento in cui il frate si schierò con l'imperatore scomunicato, fu resa pubblica ed esplicita nel 1240, forse in seguito al fallimento di un effettivo tentativo di riconciliazione cui accennano alcune fonti: una lettera di giustificazione, affidata al generale Alberto da Pisa, non venne mai recapitata al pontefice, ma fu trovata nella tasca interna della tonaca di Alberto dopo la sua morte (1240) e dopo che la sua negligenza aveva irrimediabilmente compromesso la posizione di Elia.
Lo scandalo per la defezione e per la scomunica di E. fu enorme. Un documento della Curia papale del 1240 deplora il comportamento dell'imperatore che, nonostante la scomunica, continua ad assistere alle cerimonie religiose, e nello stesso tempo bolla E. ed i frati che lo accompagnano come "apostati profani", testimoni della perversità dell'imperatore scomunicato. Le fonti di parte spirituale tramandano la reazione di frate Egidio, il quale, all'apprendere la notizia della defezione di E., si prostrò a terra in un tentativo di estrema umiliazione, ricordando da quali altezze E. era precipitato così in basso; mentre Salimbene riferisce lo scandalo che il gesto di E. aveva attirato sull'intero Ordine, oggetto ormai di ludibrio perfino da parte del popolino e dei ragazzi.
La solidarietà di E. con Federico durò diversi anni e comportò per il frate anche incarichi di una certa responsabilità: nel 1240-41 E. partecipò a fianco dell'imperatore all'assedio di Ravenna e di Faenza; nel 1243 venne mandato in missione in Oriente, accompagnato da una lettera imperiale per il re di Cipro, nella quale viene descritto come familiare di Federico e persona di grandi qualità diplomatiche. Non sappiamo quale fosse di preciso l'oggetto della missione; la lettera si limita a segnalarne la difficoltà e a riconoscere la presenza di E. indispensabile per un servizio così delicato, ma molti biografi ipotizzano si trattasse di un tentativo di concludere la pace tra i due imperatori d'Oriente Baldovino e Vatacio. In Oriente E. rimase quasi due anni, dedicandosi forse all'antico progetto di conciliazione delle Chiese greca e latina. Nel 1244 tornò in Italia, carico di reliquie, tra le quali un prezioso reliquiario bizantino in avorio contenente un frammento della vera Croce, che portò a Cortona. Qui il 23 genn. 1245 il Comune fece dono ad E. "tamquam bene merito" e ai suoi frati di un terreno sito in località "Balneum Reginae", nel quale egli avviò subito la costruzione di una basilica dedicata a s. Francesco. L'anno successivo il Comune aggiunse ancora un pezzo di terra adiacente ed alcune costruzioni verso la porta di S. Cristoforo. La chiesa, che riecheggia il motivo assisiate delle due basiliche sovrapposte, fu completata molto velocemente ed in un documento del 1254 compare come già aperta al culto.
Verso la fine del 1244 si colloca anche il misterioso episodio della congiura di Assisi, congiura capeggiata da Tiberio Magalotti, con l'obiettivo di sottrarre la città al potere papale e consegnarla nelle mani dell'imperatore. I documenti sulla congiura pubblicati da Faloci Pulignani attestano che vi furono reiterati contatti fra il Magalotti e frate E. nel convento di Cortona, ma non consentono di chiarire fino in fondo quale fu il ruolo di E., se cioè egli assunse in prima persona la direzione dell'impresa, grazie alla quale avrebbe potuto rientrare in Assisi, o se, come pare più probabile, rifiutò di aderire alla congiura e tentò di dissuadere il Magalotti medesimo (cfr. le tesi contrapposte di M. Faloci Pulignani, Aneddoto sconosciuto difrate E., in Misc. franc., XXIX [1929], pp. 129-133, e di L. Salvatorelli, Nota su alcuni nuovi documenti intorno a frateE., in Ricerche religiose, VI [1930], pp. 56-60; e la replica di Faloci Pulignani, Ancora di frateE., in Misc. franc., XXX [1930], pp. 16-19).
Nel 1247 ci sarebbe stato un tentativo da parte dell'Ordine di recuperare il frate ribelle: a detta di Salimbene, frate Gerardo da Modena fu inviato a Cortona su iniziativa del ministro generale Giovanni da Parma per pregare E. di rientrare nell'Ordine, ma egli, temendo di affrontare la punizione per le sue colpe e le possibili rappresaglie dei ministri provinciali da lui offesi, nonché di perdere il favore dell'imperatore, rifiutò le insistenti offerte di frate Gerardo. La notizia di Salimbene riguardo ai timori che avrebbero impedito la riconciliazione è confermata anche dal verbale di assoluzione di E., dal quale apprendiamo anche che il frate fu scomunicato due volte, la prima da Gregorio IX, la seconda da Innocenzo IV. A questa seconda scomunica, promulgata nel 1244 in occasione del capitolo di Genova, accenna del resto, sia pure in modo molto confuso, la Chronica XXIV generalium.
Nulla sappiamo sugli ultimi anni di vita di Elia. Una notizia degli Actus, ripresa poi da alcuni biografi moderni (Golubovich, Attal), lo vuole nel 1250 nuovamente a fianco dell'imperatore in Sicilia, dove lo avrebbe assistito nella costruzione di alcune fortificazioni, e dove, morto Federico il 13 dicembre di quell'anno, si sarebbe egli stesso ammalato ed avrebbe cercato in ogni modo la riconciliazione con la Chiesa. È più probabile che E. abbia passato gli ultimi anni della sua vita a Cortona, dove sicuramente morì il 22 apr. 1253, riconoscendo le sue colpe (l'adesione al partito dell'imperatore Federico e la cattiva amministrazione dell'Ordine) ed ottenendo l'assoluzione dalla duplice scomunica e la riconciliazione con la Chiesa e con l'Ordine per opera dell'arciprete Bencio.
Alla luce di questi eventi, documentati dal verbale di assoluzione, è da ritenersi improbabile la notizia di Salimbene, il quale, lasciando in dubbio l'assoluzione finale di E., parla invece di una riesumazione postuma del corpo, gettato nello sterco come la carcassa di un asino.
Degli scritti di E. ci rimangono soltanto due lettere che possono essergli attribuite con assoluta certezza. La prima, indirizzata ai frati di S. Bartolomeo presso Valenciennes e composta probabilmente nel 1225, è stata inserita da Jacopo di Guisa negli Annales historiae illustrium principumHanoniae (a cura di E. Sackur, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXX, Hannoverae 1886, pp. 294 s.; riprodotta anche in A. Callebaut, Les provinciaux de la province de France au XIIIe siècle. Notes, documents et études, in Arch. franc. hist., X [1916], p. 297). La lettera affronta il delicato problema delle donazioni fatte all'Ordine e risolve con autorevolezza un caso particolarmente spinoso. Ai frati di S. Bartolomeo infatti, che rifiutavano ostinatamente di trasferirsi dal loro convento in un edificio all'interno della città, messo a loro disposizione dai conti di Fiandra, edificio giudicato troppo lussuoso ed inadatto allo stile di vita francescano, E. ricorda la necessità di osservare fedelmente il Vangelo e la regola, approvata da Innocenzo II e di recente confermata da Onorio IV. Il riferimento al Vangelo e alla regola è propedeutico ad un pressante invito all'obbedienza ed E., dopo aver ricordato che il pontefice ha già approvato il trasferimento del convento entro le mura della città, esorta i frati a sottomettersi, secondo l'invito paolino, ai propri padroni e ad accettare in spirito di umiltà la donazione ed il trasferimento.
La seconda è la lettera enciclica De transitu beati Francisci, alla quale si è già accennato. Essa è stata pubblicata da M. Bihl in Anal. franc., X, Ad Claras Aquas 1926-41, pp. 525-28, secondo la versione contenuta nello Speculum vitae, indirizzata a frate Gregorio da Napoli, ministro della provincia di Francia. Del testo non è rimasto alcun manoscritto, verosimilmente tuttavia la lettera dovette essere redatta in varie copie, inviate dal vicario dell'Ordine a tutti i ministri provinciali il giorno successivo alla morte del santo. Giordano di Giano infatti ci informa che in quella circostanza E. mandò per tutto l'Ordine lettere di consolazione, con le quali trasmetteva ai frati la benedizione di s. Francesco, dava notizia delle stimmate e di altri miracoli da lui operati, raccomandava infine ai ministri e ai custodi di convenire ad Assisi per l'elezione del ministro generale. Nella redazione che noi possediamo non si fa parola né dei miracoli di s. Francesco né dell'elezione del ministro generale: è quindi ipotizzabile che il testo scritto da E. fosse più ampio di quello riprodotto dallo Speculum vitae o che Giordano abbia confuso due lettere composte in momenti diversi. L'epistola è scritta in forma molto ricercata ed è infarcita di citazioni scritturali. E., che si qualifica, come d'abitudine, "frater Elia peccator", esprime innanzitutto il suo profondo dolore per l'immane perdita, perdita che, incolmabile per tutti, è particolarmente grave per chi come lui si vede investito di troppe responsabilità e di troppi problemi. L'esortazione alle lacrime e al rimpianto lascia poi il posto alla rievocazione degli ultimi istanti del santo: prima di morire egli ha benedetto tutti i frati e perdonato le loro colpe, e, subito dopo il trapasso, il suo volto ed il suo corpo, tesi e sofferenti, si sono mirabilmente trasformati, assumendo un atteggiamento di suprema serenità. Ma l'annuncio centrale dell'epistola è costituito dalla rivelazione del miracolo delle stimmate, comparse sulle membra di Francesco qualche tempo prima della morte e che E. descrive dettagliatamente. Le mani ed i piedi, trafitti come da chiodi, presentavano cicatrici nere da una parte e dall'altra, mentre il fianco, come trapassato da una lancia, perdeva spesso gocce di sangue. La lettera si conclude con un nuovo moto di dolore e con l'invito a tutti i frati a pregare, non solo per il padre appena morto, ma anche perché il Signore conceda loro un'altra guida in grado di condurre l'Ordine lasciato orfano da Francesco.
A queste lettere va aggiunta una serie di opere alchemiche che la tradizione manoscritta attribuisce ad Elia. La notizia che E. coltivasse l'alchimia è del resto presente in alcune fonti, sia pure quelle più palesemente ostili al frate. Salimbene la inserisce come undicesimo capo d'accusa nella sua dura requisitoria contro E., e, pur concedendo il beneficio del dubbio alle notizie che riporta, riferisce che il ministro rintracciava all'interno dell'Ordine tutti i frati che nel secolo si erano occupati di questa materia e li tratteneva presso di sé ad Assisi, nel palazzo fatto costruire da papa Gregorio. Del resto sempre Salimbene accenna al grande ascendente che su E. aveva frate Bartolomeo da Iseo, alchimista riconosciuto e autore di un Liber compostella multorum experimentorum. Anche Angelo Clareno nella Historia septem tribulationum parla di un E. alchimista -, sempre alla ricerca di "cose curiose", sempre aperto alle credenze più inconsuete, sempre pronto a circondarsi di gente strana e misteriosa. Queste notizie, nate probabilmente nel momento in cui si era fatta più stretta la collaborazione tra E. e Federico II, sono alla base del proliferare di testi che la tradizione manoscritta ascrive ad E., ma che la critica riconosce per lo più come spurie.
In mancanza di un catalogo completo delle opere attribuite ad E., la rassegna più ampia è quella di Di Fonzo (col. 175), cui vanno aggiunte le segnalazioni e le precisazioni di H. M. Briggs, De duobus fratribus minoribus medii aevi alchimistis, fr. Paulo de Tarento et fr. E., in Arch. franc. hist., XX (1927), pp. 305-313; D. W Singer, Catalogue of Latin and vernacular alchemical manuscripts in Great Britain and Ireland dating from before XVI century, Bruxelles 1928-31, I, pp. 148 s., n. 172; E. Crivelli, Dante e gli alchimisti, in Giornale dantesco, XXXVIII (1935), pp. 29-32; M. Mazzoni, Sonetti alchemici di Cecco d'Ascoli e frate E., Roma 1955; B. Boni, Frate E. e l'alchimia, in Actes du VIIIe Congrès international d'histoire des sciences, Firenze-Paris 1958, pp. 506-527.
La vicenda di E., troppo singolare nel suo sviluppo e troppo importante per il ruolo da lui giocato nell'organizzazione dell'Ordine, non poteva non trovare ampia eco nella letteratura francescana dei primi secoli. Accanto e spesso sopra alla figura dell'E. storico si è così creata un'immagine del frate, nella quale si rifletteva non solo un giudizio morale sul suo operato, ma anche un'interpretazione globale della prima era del francescanesimo e della sua rapida trasformazione. Senza voler ripercorrere tutta l'enorme letteratura su E. (per la quale si rinvia al ricco articolo del Pompei), ci limiteremo a segnalare gli spostamenti e le aggiunte che la letteratura francescana del XIII e XIV secolo ha prodotto nella biografia eliana, creando quell'immagine del "frate maledetto" che si è tramandata fino all'età moderna. Le fonti successive alla deposizione di E. infatti sono tutte in una certa misura influenzate da quella sconcertante vicenda, che finisce per proiettare la sua ombra anche sugli episodi anteriori della vita di E.; il suo nome diviene sospetto, quando non addirittura esecrabile. Significativo ad esempio lo spostamento dalla prima alla seconda Vita del Celano: trascurando ogni accenno alla familiarità tra s. Francesco ed E., su cui tanto aveva insistito nella prima biografia, il Celano della Vita II (scritta nel 1246-47) evita di nominare espressamente E. e, pur senza omettere del tutto gli episodi che lo riguardano (ad esempio la benedizione), li attribuisce alla non meglio identificata figura del vicario. Lo stesso procedimento è adottato da s. Bonaventura nel compilare quella Legenda sancti Francisci (1266) che era destinata a rimpiazzare tutte le biografie precedenti: mai nominato, E. compare tuttavia nella Legenda in un importante episodio, più volte ripreso poi dalla letteratura francescana, quello della stesura della regola e del suo misterioso smarrimento; è proprio alla trascuratezza del vicario, infatti, che, secondo il racconto di Bonaventura, è imputabile la responsabilità della perdita.
Compilazioni più tarde, ma nelle quali confluiscono anche le notizie raccolte da frate Leone, come la Compilatio Assisiensis o lo Speculumperfectionis, forniscono una lettura diversa dei rapporti tra Francesco ed Elia. Alla familiarità affettuosa di cui parlava il Celano si sostituisce un rapporto che è certo stretto, ma di una solidarietà un po' coatta e spesso difficile: E., al quale il santo demanda la cura della propria salute, è spesso assente, lento a venire assorbito da mille impegni; preoccupato delle necessità materiali, si affretta a costituire un edificio alla Porziuncola che risulta particolarmente sgradito a Francesco; si fa portavoce delle istanze più lassiste dei ministri provinciali, che paventano il rigore del santo intento a scrivere una nuova regola; perfino al capezzale di Francesco agonizzante appare non tanto turbato dal dolore per la morte imminente quanto preoccupato delle apparenze e del giudizio degli osservatori esterni. Il vicario E. compare insomma più che come il sostegno ed il successore di Francesco, come la guida ed il simbolo di un Ordine già avviato verso la corruzione, al quale il fondatore si sente ormai estraneo e lontano.
Questi episodi e queste valutazioni si dilatano e si enfatizzano nella letteratura spirituale. Si è già visto quanto ostile ad E. sia la narrazione del filospirituale Salimbene: il suo E. superbo, autoritario, avido, ingiusto e violento è "un uomo pessimo, sotto il cui dominio era durissimo vivere". Nell'Arbor vitae di Ubertino da Casale (1305) e nella Historia septem tribulationum di Angelo Clareno (1325-30) E. è ormai l'antieroe, il modello negativo per eccellenza, l'emblema stesso del traviamento dell'Ordine. Ubertino individua nella sua vicenda una tappa fondamentale della degradazione dell'Ordine; gli episodi che riferisce, ignoti ad altre fonti, inseriscono il rapporto tutt'altro che amichevole di E. con Francesco nel quadro della lotta tra elemento carnale ed elemento spirituale: E. è per Francesco il simbolo dei "bastardi dell'Ordine", di coloro che sotto la ricchezza dell'abito e l'atteggiamento ipocrita nascondono solo superbia e vanità interiore; è l'espressione della prudenza della carne, destinata a sopraffare lo spirito evangelico; la degna guida che il Signore ha predisposto in vista dello sviluppo futuro dell'Ordine. Questi spunti si allargano nella Historia del Clareno, fino a rileggere l'intera vicenda di E. come modello del trionfo della prudenza mondana sul genuino spirito francescano. E., dedito alla sottigliezza filosofica, ancora vivo Francesco, capeggia una fazione di frati amanti della vana scienza e tenta con l'aiuto del papa di soppiantare il santo nel governo dell'Ordine; E. si fa portavoce delle istanze dei frati contro le durezze della regola che Francesco sta scrivendo; dopo la sua morte E., divenuto degno superiore di un Ordine già corrotto, si dà ad insegnare cose discordi e contrarie a quelle che Francesco aveva amato e professato; E. infine, trascinato dall'adulazione dei suoi seguaci e inorgoglito dalla stima dell'imperatore e del papa, incomincia a diffamare e perseguitare i fedeli discepoli di Francesco: molti frati vengono imprigionati, Bernardo di Quintavalle è costretto a rifugiarsi in un eremo, Cesario da Spira viene ucciso, s. Antonio da Padova è flagellato a sangue. Inseriti nella cornice escatologica della Historiaseptem tribulationum, questi episodi non solo acquistano un senso rispetto alla vicenda dell'Ordine, destinato a riconquistare attraverso la persecuzione la purezza delle origini, ma consentono anche una lettura della storia di E. in chiave di contrappasso. Le colpe del ministro diventano lo strumento della sua stessa condanna: scomunicato e privato dell'abito, E. è, alla fine della sua vita, vittima egli stesso di quell'occultamento della verità di cui aveva fatto il suo metodo di governo, e muore senza potersi riconciliare con la Chiesa e con l'Ordine.
Gli echi di questa impostazione sono percepibili in altre opere di letteratura francescana che, troppo tarde per essere considerate fonti attendibili della biografia eliana, testimoniano nondimeno l'atteggiamento corrente nei confronti della figura del ministro. Lo Speculum vitae, compilazione cinquecentesca, nella quale però confluiscono materiali databili intorno al 1325, e la Chronica XXIVgeneralium (1365), che con lo Speculum è strettamente imparentata, ricostruiscono una biografia confusa, piena di episodi palesemente inverosimili (tra cui quello dello scontro E. - s. Antonio da Padova all'atto della deposizione del ministro), dominata da un E. superbo, arrogante, amante del lusso ed avido di denaro. E. pretende di governare l'Ordine "per mundanam sapientiam", smarrisce la regola per incuria, dopo la morte del santo introduce nella regola stessa modifiche sostanziali, sollecitando continue dispense papali, estorce denaro a tutte le province, suscitando la reazione di frate Leone, che non esita poi a reprimere con la violenza più brutale. Gli Actus beati Francisci (1327-40) ed i fortunatissimi Fioretti che li volgarizzano, apportano altri significativi episodi: E., ancora vivente s. Francesco, si rivela vicario iracondo e superbo, tale da allontanare con la sua alterigia gli angeli stessi; egli è di fatto destinato all'apostasia e alla dannazione, al punto da essere inviso allo stesso fondatore cui tale destino è stato rivelato, e solo per intercessione di lui ottiene la grazia della salvezza estrema, E. infine tenta di usurpare la benedizione che Francesco morente impartisce a Bernardo nel quale riconosce il suo vero successore. Le Conformitates di Bartolomeo da Pisa (1390) attingono a piene mani da questi testi, riportando i temi ormai consueti dell'avidità e superbia di E., della contrapposizione tra E. e Bernardo, dello scontro con s. Antonio e della violazione sistematica della regola, punita infine con la scomunica e con la morte fuori dall'Ordine, cui si aggiunge una nuova interpretazione dell'episodio della regola, non già smarrita, bensì volutamente distrutta dal vicario. Alla fine del XIV secolo la trasformazione dell'immagine di E. è ormai un fatto compiuto; la leggenda del frate apostata e scomunicato è pronta per essere tramandata ai secoli successivi.
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