Kazan, Elia (propr. Elia Kazanjoglous)
Regista e attore teatrale e cinematografico greco, naturalizzato statunitense, nato a Costantinopoli il 7 settembre 1909 e morto a New York il 28 settembre 2003. Fondatore, insieme a Lee Strasberg, dell'Actors Studio, esercitò una forte influenza sulla generazione di giovani attori che in quella scuola si formò. Da un punto di vista espressivo, il cinema di K. si presenta come cinema dell'ambiguità, del dubbio, della sofferenza, ma anche della nostalgia e del ricordo, in cui si manifesta un acuto bisogno del regista di costruire un mondo chiuso nel linguaggio ricercando uno spazio interiore e attingendo alle proprie radici. Premiato nel 1999 con l'Oscar alla carriera, aveva già ricevuto cinque nominations e due statuette nel 1948 per Gentleman's agreement (1947; Barriera invisibile) e, nel 1955, per On the waterfront (1954; Fronte del porto, film che ottenne ben otto Oscar). Sempre nel 1955 fu premiato anche al Festival di Cannes con un premio speciale per East of Eden (La valle dell'Eden); mentre alla Mostra del cinema di Venezia aveva ottenuto nel 1950 il premio internazionale speciale per Panic in the streets (1950; Bandiera gialla), nel 1951 il premio speciale della giuria per A streetcar named desire (1951; Un tram che si chiama desiderio) e nel 1954 il Leone d'argento per On the waterfront.
Appartenente alla minoranza greca in Turchia, K. si trasferì da piccolo con la famiglia a New York, dove visse nel West Side dal 1910 sino ai primi anni Venti. Durante la Depressione del 1929 il padre perse tutte le sue sostanze; seguirono anni difficili di adattamento, nel corso dei quali il giovane K. svolse i più svariati mestieri. Poté quindi entrare alla Yale Dramatic School e poi, nel 1933, nel Group Theatre dove lavorò come assistant stage manager e come attore; lì conobbe e divenne amico di Clifford Odets, Arthur Miller e Tennessee Williams, dei quali mise in scena molti lavori drammatici, vincendo più volte il Critics Award per la migliore regia dell'anno. Nel 1934, perdurando gli anni della Depressione di cui amava definirsi figlio, in opposizione alla politica capitalistica americana si iscrisse al Partito comunista, da cui si sarebbe dimesso quindici mesi dopo, nel 1935.
I rapporti con il cinema cominciarono assai presto: già nel 1934 aveva interpretato, diretto da Ralph Steiner, un cortometraggio sperimentale, Pie in the sky; successivamente girò nel 1937 The people of the Cumberlands (con la collaborazione di un fotografo straordinario, Paul Strand, che avrebbe esercitato su di lui una grande influenza) e nel 1941 un lungometraggio di due ore sulla necessità del razionamento in tempo di guerra, commissionato dal Ministero dell'agricoltura e intitolato It's up to you. Nel 1940 si trasferì a Hollywood, invitato dalla Metro Goldwyn Mayer a lavorare come attore in due film di Anatole Litvak City for conquest (1941; La città del peccato) e Blues in the nigth (1941). Nel 1945 esordì come regista con A tree grows in Brooklyn (Un albero cresce a Brooklyn); fu l'inizio di una carriera strepitosa: in pochi anni, dal 1947 al 1951, diresse The sea of grass (1947; Mare d'erba), Boomerang (1947; Boomerang ‒ L'arma che uccide), Gentleman's agreement, Pinky (1949; Pinky, la negra bianca), Panic in the streets e A streetcar named desire. Nel 1947 aveva inoltre fondato con Strasberg l'Actors Studio. Nel 1951 fu chiamato a rispondere di fronte alla HUAC (House Un-American Activities Committee): alcune ammissioni relative al periodo di iscrizione al Partito comunista e la denuncia contro alcuni intellettuali lo allontanarono da molti amici, isolandolo. Avrebbe più tardi dichiarato in un'intervista: "Ho compreso l'ambivalenza delle cose, il valore dei punti di vista opposti e soprattutto che scegliere significa fare e farsi del male. Ho sofferto molto all'inizio; alcune persone mi avevano voltato le spalle, e questo mi rendeva triste" (trad. it. in Bruno 1989, p. 74).
I suoi primi film assumono una piega intimista, riflettendo autobiograficamente una sorta di rimpianto per uno spazio interiore perduto: in A tree grows in Brooklyn questo spazio è la casa, nel quartiere povero di New York, è il silenzio che invade i personaggi alla ricerca di un'impossibile comunicazione; in The sea of grass, nella forma classica di un melodramma dal respiro sociale, questo spazio è il territorio americano, ma si coglie anche la nostalgia di un immigrato per la sua terra, per gli spazi perduti dell'Anatolia che avrebbe ritrovato in America, America (1963; Il ribelle dell'Anatolia), forse il suo film più intimo ("Questo film ‒ ha sottolineato il regista ‒ è la mia vita, sono io che parlo", Bruno 1989, p. 9). Anche in Boomerang è ancora lo spazio familiare che viene privilegiato; nonostante si tratti di una storia di corruzione politica si sente il respiro di una dolorosa situazione personale, la radiografia di un processo soggettivo o di autoreferenzialità. Come pure in Gentleman's agreement, film sul problema dell'antisemitismo negli Stati Uniti, o in Pinky, sul pregiudizio razziale che perseguita una giovane meticcia dalla pelle bianca. Probabilmente fu l'esperienza di lavoro, con Leo Horwitz e P. Strand, per un'organizzazione chiamata Frontier Films (che produceva film sui conflitti sociali e sulle contraddizioni dell'American life girati con occhio realistico) a condurre K. a emanciparsi, in Panic in the streets, dagli standard di una produzione coercitiva a favore di moduli espressivi più liberi, senza seguire la sceneggiatura ma andando a girare nei bar malfamati, nelle strade e nei bordelli di New Orleans, e conferendo al film un tono di improvvisazione inedito per quegli anni. Ma quando, subito dopo, accettò di portare sullo schermo A streetcar named desire, dal dramma di T. Williams, preferì ritornare sul set e mantenere un tono di finzione teatrale esasperando i toni del melodramma, coadiuvato dalla recitazione fisica e febbrile di Marlon Brando e dalla fragilità dirompente di Vivien Leigh.
Per Viva Zapata! (1952) K., che pur nutriva grande ammirazione per l'esattezza delle riprese e la fedeltà delle ambientazioni dei film di Aleksandr P. Dovženko e Robert J. Flaherty con il loro potente sentimento del paesaggio, inventò un Messico verosimile, girando nel Texas. Attraverso l'interpretazione di Marlon Brando, il personaggio del rivoluzionario acquista una dimensione umana, sospesa tra azione e nostalgia, un carattere introverso e problematico molto simile allo stato d'animo dell'immigrato, non più sicuro di sé e in cerca di identità, carattere che apparteneva allo stesso regista. Ancora una volta si impone il tema della nostalgia e del ricordo, insieme al bisogno di nascondersi dietro le pieghe di un volto riscoperto, in un processo interamente soggettivo; ancora una volta torna a dominare la luce del profondo Sud, quella dei villaggi messicani o, in Man on a tightrope (1953; Salto mortale), film chiuso nel piccolo mondo di un circo, quella livida di un paese dell'Est europeo. Ogni luogo condensa uno stato interiore, un'amarezza nascosta, come nell'incontro tra Brando ed Eva Marie Saint in On the waterfront, dove l'intensità degli sguardi e la luce che li avvolge agisce nella realtà filmica come respiro di un'emozione interiore, nella dura e violenta atmosfera degli scontri dei sindacati portuali. Oppure tra i protagonisti di East of Eden, un padre e un figlio che si fronteggiano nell'America rurale, o in Wild river (1960; Fango sulle stelle), storia a sfondo sociale d'ambiente contadino, e nel melodramma familiare colmo di malinconia Splendor in the grass (1961; Splendore nell'erba); in questi casi i personaggi rivivono nelle maglie della memoria le tensioni e le attese di un passato che si esprime nell'intensità drammatica del paesaggio, nei campi lunghi, nell'uso della luce, in una forza narrativa che ricorda, come lo stesso K. confessò, la forma poetica e realistica di Aerograd (1935) di Dovženko.Baby Doll (1956; Baby Doll ‒ La bambola viva) fu nella filmografia di K. quasi una parentesi, anche se ritornava l'influenza di un autore come T. Williams e dei suoi racconti introversi; con uno sguardo ambiguo sul crudele triangolo amoroso tra la moglie bambina, il marito e l'amante siciliano, il film si insinua come un sogno a occhi aperti, come una rêverie impersonale. Per quanto riguarda il resto della sua produzione, si avverte quasi sempre nei film di K. una congiunzione intima con le proprie esperienze, con la vita vissuta. Anche quando passa attraverso altre immagini, altri territori, altri personaggi, il suo stile si autoriflette come se si trattasse di un frammento di un'autobiografia, come se ogni storia fosse ossessivamente un proprio ricordo, un profondo bisogno di analizzarsi e comprendersi. È quello che avviene nei film America, America e The arrangement (1969; Il compromesso), basati su due romanzi dolorosamente autobiografici dello stesso K.: il primo, soprattutto, è una grande esplosione di amore e di rabbia, di lotte combattute ogni giorno, del ricordo di una vita difficile raccontata come un saga, attraverso una famiglia di emigranti e nella luce del bianco e nero. Dopo l'insuccesso di The visitors (1972; I visitatori), racconto di un dilemma morale sulle ferite della guerra del Vietnam, basato su una sceneggiatura del figlio Chris, l'ultimo lavoro, The last tycoon (1976; Gli ultimi fuochi) da un romanzo di F.S. Fitzgerald, chiuse il ciclo: è un film sul cinema e sul suo profondo mistero, ma anche un grande film d'amore, l'addio di un regista di cui si coglie maggiormente il senso della poesia affondando nelle sue radici.
Nel 1988 aveva pubblicato inoltre l'autobiografia dal titolo Elia Kazan: a life.
Kazan on Kazan, interviews with M. Ciment, London 1973; A. Rossi, Elia Kazan, Firenze 1977; E. Bruno, Elia Kazan, Roma 1989.