ELIA (ebraico 'Eliyyāhū o 'Elivyāh "Iahvè è Dio"; greco 'Hλ[ε]ιού e 'Ελ[ε]ίας; Vulgata Elias)
Il primo grande profeta che si presenta nella storia d'Israele, e che, sebbene non abbia lasciato alcuno scritto, ebbe una parte principalissima negli avvenimenti religiosi e politici della sua epoca. Della sua origine abbiamo soltanto lo scarso accenno di I[III] Re, XVII, 1, che lo dice "Tesbite, degli abitanti del Galaad", cioè nativo di una presunta località Tesbe, d'altronde ignota; esplicò la sua attività nel regno settentrionale o d'Israele, principalmente sotto il re Achab (circa 875-854 a. C.): l'unico accenno di sue relazioni col regno meridionale o di Giuda è contenuto in II Cronache, XXI, 12 segg., ov'è nominato il re Ioram (circa 850-843).
I tempi erano avversi al monoteismo iahvistico. Nell'876 un esercito assiro si era spinto per la prima volta fin nella Palestina e aveva imposto un tributo a Israele; anche una guerra che questi aveva condotto contro il regno di Damasco aveva sortito cattivo esito. Salito al trono Achab, si era lasciato sobillare dalla moglie Iezabel, figlia del re dei Sidonî, e aveva favorito il culto del Baal e dell'Astarte fenici da essa praticato. I disastri politici di fronte agli stranieri sembravano consigliare - secondo i principî religioso-nazionalisti dei tempi - l'accettazione dei culti di costoro, favorendo così quel sincretismo religioso che accanto al culto di Iahvè voleva far posto anche a quelli idolatrici suddetti. Gl'Israeliti, che sempre avevano avuto un debole per quei culti seducenti, non abbisognarono di molti incitamenti; il favore della corte portò ben presto le cose a un punto tale che la marea dell'idolatria aveva inondato il paese.
Elia fu la vetta non raggiunta dall'inondazione idolatrica, e sulla quale si rifugiò e salvò il monoteismo d'Israele. Tutta la sua attività e il suo stesso tenore di vita furono una protesta contro il dominante sincretismo. Vestito di primitivo ed ispido indumento (II [IV] Re, I, 8), avvezzo al deserto e a una vita di privazioni (I[III] Re, XVII 3; XVIII, 46; XIX, i segg.), egli ebbe profonda coscienza di esser guidato dallo spirito di Iahvè (I [III] Re, XVIII, 2; II [IV] Re, II, 16), e fece sua prediletta dimora il monte Carmelo (v.) quasi per fronteggiare alla regione donde penetrava in Israele l'invasione idolatrica fenicia (I[III] Re, XVIII, 19 segg.). Mentre i profeti di Iahvè dalla persecuzione di corte erano ridotti a circa un centinaio (ib., XVIII, 4), e quelli del Baal e dell'Astarte mantenuti direttamente dalla corte sommavano rispettivamente a 450 e a 400, E. annunziò in pubblico da parte di Iahvè la punizione per questo stato di cose, cioè una desolante siccità (ib., XVII, 1). Nascostosi poi presso il torrente Carith, e di lì cacciato dalla siccità, si rifugiò presso una vedova in Sarephta dei Sidonî, della quale riempì miracolosamente la casa di abbondanza e risuscitò il figlio morto (ib., 3-24). La siccità durò molto tempo (secondo Luca, IV, 25; Giacomo, V, 17, tre anni e mezzo); e il re Achab, impressionato dal compimento della predizione di E., accettò d'incontrarsi con lui e di permettere una pubblica prova sulla legittimità del culto di Iahvè o di quello del Baal (I [III] Re, XVIII,1-18). Radunatesi le varie centinaia dei profeti idolatrici con i loro seguaci sul Carmelo, stette loro di fronte E. ch'era rimasto solo dei profeti di Iahvè (ib., 19-22), e in tale occasione egli rivolse al popolo quel rimprovero che può considerarsi come il programma della sua vita: "Fino a quando zoppicherete voi da ambedue i lati? Se Iahvè è Dio, seguitelo; se è il Baal, seguite lui!" (ib., 21). La prova fu disastrosa per i seguaci dell'idolatria: costruiti due altari, con sopra due giovenchi per vittime, su quello per il Baal la vittima rimase intatta, nonostante le insistenti e crudeli cerimonie dei profeti; su quello invece per Iahvè, dopo preghiera di E., cadde il fuoco di Iahvè che consumò ogni cosa. Dal quale fatto impressionato il popolo gridò: "Iahvè è Dio! Iahvè è Dio!" (ib., 23-39). I profeti del Baal furono allora giustiziati, e di lì a poco cadde la pioggia ristoratrice.
Perseguitato per questo dalla moglie di Achab, Elia fu costretto a fuggire a Bersabea di Giuda e nel deserto; di là si portò a Damasco con l'intenzione di ungere Hazael qual re di Siria, Iehu qual re d'Israele, ed Eliseo (v.) quale profeta (ib., XIX, 1-21).
Nell'episodio di Naboth rifulge il profondo senso di giustizia di E. Desiderando Achab acquistare la vigna di Naboth, confinante col suo parco, e non volendo il proprietario cederla, costui fu condannato e lapidato per falsa testimonianza orditagli contro dalla moglie di Achab; cosicché la sua vigna passò per legge al re. Ma quando costui scese a prenderne possesso, si trovò di fronte all'irriducibile profeta, che, solo fra la tacita disapprovazione generale, ebbe l'energia di rinfacciargli apertamente il suo misfatto e d'annunziargli da parte di Iahvè la stessa fine della sua vittima (ib., XXI). E. riappare sotto il breve regno di Ochozia figlio di Achab (853), a cui rimprovera di mandare a consultare Beelzebub (v.) per la sua malattia (II [IV] Re, I, 1 segg.), e ancora nel citato episodio di II Cron., XXI, 12 segg. La fine di E. è il coronamento della sua attività: un uomo siffatto non doveva morire, e in Israele la tradizione antica (II [IV] Re, 2, 1-14) e recente (Ecclesiastico, XLVIII, 1-13) lo presentò rapito al cielo sopra un carro di fuoco con cavalli di fuoco nel fragore d'un turbine; e, precisando ancora, la tradizione (Malachia, IV, 5-6; Marco, IX, 11; Matteo, XVII, 10) ritenne ch'egli debba tornare prima dell'ultimo giudizio alla fine del mondo.
Ad E. è da Gesù rassomigliato Giovanni il Battista come figura morale (Matteo, XVII, 12-13; cfr. Marco, IX, 12-13; Luca, I, 17). In molti scritti dei Padri, e comunemente nelle leggende medievali sul paradiso terrestre, E. è accoppiato con Enoch (v.) e creduto dimorare presentemente nell'Eden in attesa della sua venuta alla fine del mondo. Per il suo atteggiamento contro i profeti idolatrici E. fu spesse volte nel Medioevo ritenuto protettore dell'Inquisizione; anche Calvino e Beza argomentarono da quell'episodio che gli eretici si debbano ordinariamente punire col fuoco. È venerato come santo dalle chiese latina, greca e siriaca, e la sua festa è celebrata il 20 luglio.
Intorno alla figura di Elia si formarono numerose leggende giudaiche e cristiane, le quali ebbero ampî riflessi anche nell'islamismo: già il Corano (VI, 85 e XXXVII, 123-130) fa menzione del "profeta" Ilyās, intorno al quale si sbizzarrirono poi i commentatori e gli storici musulmani; inoltre alcuni tratti della figura leggendaria d'Elia furono attribuiti nell'islamismo al mitico personaggio al-Khaḍir o al-Khiḍr. Il monte Carmelo (v.) ha quindi luoghi venerati contemporaneamente da cristiani, ebrei e musulmani; esso stesso è chiamato in arabo Gebel Mār Ilyās "il monte di Sant'Elia".
Bibl.: Oltre ai commenti ai libri dei Re (v., e v. bibbia), è da consultare per le tardive leggende la bibliografia citata alla voce carmelo. Per le leggende musulmane si veda A. J. Wensinck, art. Ilyās, nella Encycl. de l'Islām, II (1919), con la bibliografia colà indicata.
Le Apocalissi di Elia. - 1. Antichi scrittori ecclesiastici come Origene (In Matth., XXVII, 9) e S. Girolamo (In Isaiam, XVII, LXIV, 4) conoscevano un libro detto dei Secreta Eliae, o semplicemente Eliae, da cui ammettevano o negavano che S. Paolo avesse tratto i passi, introdotti con frasi che indicano la citazione, in I Corinzî, II, 9 ed Efesini, V, 14; ma solo il compilatore priscillianista (sec. III-IV) dell'apocrifa Fpistula Titi "de dispositione matrimonii", cita con le parole testatur quoque Elias un brano che può essere stato da lui raffazzonato mettendo insieme per l'appunto quei testi già addebitati a Elia. Nulla che corrisponda a questi dati si trova tuttavia nella tardiva Apocalisse ebraica di Elia, che adopera i libri del Nuovo Testamento, particolarmente l'Apocalisse canonica. In essa E., sotto la scorta dell'angelo Michele, predice quasi minutamente i fatti della fine del mondo; l'ultimo re sarà chiamato Hrmlt o Trmîla; l'Anticristo, figlio d'una schiava, avrà, tra gli altri segni, una protuberanza tra gli occhi e statura di sei braccia; dopo le guerre e gli eccidî e un ritorno a tre tappe del popolo esiliato, Dio fa venire Gog e Magog: Gerusalemme è distrutta; segue la risurrezione universale e l'edificazione della nuova Gerusalemme.
2. Una seconda Apocalisse di E., salvo un piccolo frammento in un papiro greco del sec. IV (ed. E. Pistelli, in Papiri Soc. Ital., I, Firenze 1912, n. 7, p. 16), si possiede in copto, in due versioni frammentarie, akhmimica e saidica, di cui la seconda dipende dalla prima (ed. da G. Steindorff, Die Apokalypse des Elias, Lipsia 1899, Texte u. Untersuchungen, n. s., II, 3; un frammento da C. Schmidt, in Sitzungsber. d. Berl. Akad., 1925, pp. 312-321). Questa Apocalisse, pur di tenore diverso dalla precedente, non manca di ravvicinamenti significativi: dopo un'esortazione alla bontà predice grandi guerre in Egitto tra re assiri e persiani, contro i quali verrà dall'Occidente un re pacifico, a difesa del nome unico di Dio; al quarto anno di questo re apparirà il figlio dell'iniquità, che si darà per Cristo, contraffacendone i miracoli, tranne la risurrezione. I suoi caratteri distintivi saranno tali da poter essere da lui facilmente nascosti, tranne uno, cioè un marchio bianco nei capelli. E. ed Enoch (v.) lottano contro di lui per 7 giorni, ne sono uccisi, risuscitano dupo 4 giorni; quindi risurrezione, dannazione e gloria finale. Un originale greco pare si debba ammettere; ma questo deve, a sua volta, aver rimaneggiato un fondo giudaico, almeno di tradizioni; certo dev'essere d'epoca recente, come appare da talune parole (p. es. ὀϕϕίκιον per "incarico").
Bibl.: Per la prima e l'Epistula Titi, v.: D. de Bruyne, in Rev. béned., XXXVII (1925), p. 47 segg.; A. v. Harnack, in Sitzungsber. d. Berlin. Akad., 1925, p. 180 segg.; M. Buttenwieser, Die hebräische Elias-Apokalypse, I, Lipsia 1897; M. Mieses, in Monatschrift f. Gesch. und Wissensch. d. Iudentums, LXXIV (1930), p. 345 segg.; per la seconda: W. Bousset, in Zeitschr. f. Kirchengeschichte, XX (1900), p. 103 segg.